Il principio di consumazione del potere di impugnazione nel processo amministrativo al vaglio dell’Adunanza Plenaria (nota a CdS Sez. IV, 25 ottobre 2021, n. 7138)
di Roberto Fusco
Sommario: 1. Il caso di specie. – 2. Il principio civilistico di consumazione del potere di impugnazione. – 3. L’applicazione del principio nell’ambito del processo amministrativo. – 4. Il contrasto giurisprudenziale all’origine del deferimento. – 5. Le riflessioni della Sezione rimettente sul potere di consumazione e sulla decorrenza del termine per il deposito. – 6. I quattro quesiti deferiti all’Adunanza Plenaria. – 7. I limiti temporali della consumazione del potere di impugnazione: il discrimen del deposito. – 8. Alcuni spunti di riflessione in attesa della pronuncia dell’Adunanza Plenaria.
1. Il caso di specie.
Con l’ordinanza in commento[1] la Sezione Quarta del Consiglio di Stato deferisce all’Adunanza Plenaria la questione relativa al c.d. principio di consumazione del potere di impugnazione, domandandosi se esso trovi applicazione nel processo amministrativo e, nel caso, quale sia il suo perimetro applicativo.
Il caso di specie origina dalla reiterazione della notifica di un atto di appello da parte dell’amministrazione soccombente in primo grado[2]. Più precisamente, la sentenza di primo grado veniva impugnata con un primo atto di appello notificato (in data 23 dicembre 2020) ma mai depositato, a cui poi seguiva un secondo atto di appello notificato (in data 19 gennaio) e questa volta depositato (in data 29 gennaio 2021)[3].
L’appellato nelle sue difese eccepisce preliminarmente l’irricevibilità (o comunque l’improcedibilità) del proposto appello in considerazione dell’asserito tardivo deposito del ricorso. Secondo detta eccezione, ai fini della verifica della ritualità dell’impugnazione, sarebbe necessario mettere in relazione, ai sensi degli artt. 94 e 45 c.p.a., la prima notifica dell’atto di appello con il deposito presso la Segreteria del giudice adito, senza che possa in alcun modo riconoscersi effetto alla successiva e volontaria rinnovazione della notificazione effettuata dalla parte. In caso contrario, la ripetizione della notificazione – pur se avvenuta entro il termine previsto dalla legge per proporre l’appello – avrebbe l’unico scopo di eludere il termine perentorio previsto per il deposito, il quale non potrebbe che decorrere dalla prima notificazione andata a buon fine.
Secondo l’impostazione dell’appellato una siffatta interpretazione si porrebbe in contrasto con il principio di consumazione del potere di impugnazione, applicato sia dalla giurisprudenza civile che da quella amministrativa.
2.- Il principio civilistico di consumazione del potere di impugnazione.
Il principio di consumazione del potere di impugnazione è quel principio secondo il quale, tendenzialmente, la presentazione di un mezzo di gravame preclude la possibilità di proporne un altro (identico o ampliativo) al di fuori di alcune tassative ipotesi[4].
Il disposto del principio di consumazione è desumibile dagli articoli 358 e 387 c.p.c. i quali, rispettivamente per il giudizio di appello e per il giudizio in Cassazione, escludono la possibilità di reiterare il gravame dichiarato inammissibile o improcedibile anche se non sia ancora decorso il termine per la sua proposizione[5]. Quindi, da un’analisi letterale delle citate disposizioni, si evince che solo l’impugnazione dichiarata inammissibile o improcedibile non può essere riproposta, non rimanendo preclusa una sua reiterazione negli altri casi, sempreché non sia ancora scaduto il termine decadenziale per l’esercizio del potere di impugnazione.
La Sezione rimettente, nell’ordinanza in commento, ricostruisce quali sono le coordinate interpretative enucleate dalla Corte di cassazione relativamente all’applicazione di detto principio, le quali si possono sintetizzare nei seguenti punti cardine: a) perché si verifichi la consumazione è necessario che la seconda impugnazione sia della stessa specie della prima; b) la seconda impugnazione può basarsi anche su motivi diversi dalla prima; c) la riproponibilità della seconda impugnazione deve essere limitata ai soli casi in cui la medesima verta sugli stessi motivi della prima con l’esclusione della possibilità di integrare o dedurre nuovi motivi; d) l’ammissibilità della seconda impugnazione deve essere subordinata all’esistenza di un vizio formale o sostanziale della prima che sia idoneo a decretarne l’irricevibilità ovvero l’improcedibilità e che, dunque, possa essere conseguentemente emendato; e) anche qualora la sentenza non sia stata oggetto di notificazione, la possibilità di riproporre l’impugnazione è ancorata, in ogni caso, al termine breve decorrente dalla notificazione della prima impugnazione, la quale è idonea a determinare la conoscenza legale del provvedimento medesimo[6].
In alcuni casi, però, la giurisprudenza (insieme a parte della dottrina) è arrivata anche ad estendere ulteriormente i confini di detto principio, escludendo che la parte soccombente, dopo aver proposto l’impugnazione, possa successivamente integrarla con la proposizione di ulteriori motivi entro il termine previsto per l’impugnazione[7].
3. L’applicazione del principio nell’ambito del processo amministrativo.
La Sezione rimettente evidenzia come nel processo amministrativo il principio di consumazione del potere di impugnazione abbia da tempo trovato applicazione e come sia operante anche attualmente[8].
La giurisprudenza amministrativa ha interpretato detto principio sin da subito in senso ampliativo, non consentendo la proposizione da parte del medesimo soggetto di appelli successivi al primo anche indipendentemente dall’inammissibilità o dall’improcedibilità del precedente atto. Secondo la giurisprudenza amministrativa, cioè, il diritto di impugnazione di una sentenza sfavorevole si consuma con il suo valido esercizio, per cui l’avvenuta proposizione del gravame preclude la possibilità di dedurre successivamente ulteriori motivi di impugnazione, anche qualora il termine decadenziale non sia ancora scaduto[9].
Il principio di consumazione del potere di impugnazione, infatti, va coordinato con il principio del divieto di frazionamento dell’impugnazione, secondo il quale la parte non può presentare diverse impugnazioni, pur nella pendenza del termine, dovendo concentrare tutte le sue censure nel primo atto di gravame. Una limitata eccezione a tali principi è prevista nel solo caso in cui il primo atto di impugnazione sia stato proposto in modo irrituale e ad esso segua un secondo atto diretto a sostituire il precedente viziato, nel rispetto dei termini perentori previsti dalla normativa e antecedentemente alla dichiarazione di inammissibilità o di improcedibilità della prima impugnazione[10].
Come ci ricorda la Sezione rimettente, però, nel codice del processo amministrativo è prevista un anche una deroga a questo divieto con riguardo alla possibilità di proporre motivi aggiunti in appello qualora una parte venga successivamente a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o dei provvedimenti amministrativi impugnati[11].
Non è questa la sede per effettuare una valutazione critica del citato principio di consumazione così come applicato dalla giurisprudenza civile e amministrativa[12]. In tale breve commento si proverà esclusivamente ad enucleare quali sono i nodi che l’Adunanza Plenaria avrà il compito di sciogliere e che, come si avrà modo di illustrare, vanno anche al di là della mera applicazione del principio di consumazione, riguardando alcuni aspetti inerenti alla corretta instaurazione del rapporto processuale.
4. Il contrasto giurisprudenziale all’origine del deferimento.
Il deferimento all’Adunanza Plenaria viene motivato dal riscontro di un contrasto giurisprudenziale nell’applicazione del suddetto principio di consumazione. Più precisamente, la Sezione Quarta si interroga in merito alla necessità che la duplicazione dell’impugnazione debba essere motivata dall’esigenza di riparare a vizi di nullità dell’atto di appello idonei a condurre ad una sua declaratoria di irricevibilità o di improcedibilità.
I due poli del rilevato contrasto giurisprudenziale vengono individuati: da un lato nella giurisprudenza della Sezione rimettente che ammetterebbe la possibilità di riproporre la stessa impugnazione solo per emendare un vizio dell’appello presentato (rectius notificato), sostituendo un atto valido ad uno invalido[13]; dall’altro nella diversa impostazione del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana secondo la quale sarebbe ammessa la reiterazione dell’impugnazione anche a prescindere dal fatto che la prima presentata sia viziata, purché la seconda sia proposta entro il termine decadenziale e antecedentemente ad una pronuncia giudiziale in rito sulla stessa[14].
Oltre alla fattispecie sulla quale è chiamata a pronunciarsi, la Sezione Quarta richiama anche un proprio precedente nell’ambito del quale l’amministrazione appellante aveva notificato tre atti di appello avverso la medesima sentenza depositando, però, solamente il terzo atto notificato. Il Collegio, in quell’occasione, ha giudicato inammissibili tutti e tre gli atti di appello notificati: i primi due in quanto mai effettivamente depositati ai sensi dell’art. 94 c.p.a., mentre il terzo in applicazione del principio di consumazione del potere di impugnazione, rilevando che la (terza) notifica non fosse stata effettuata per sanare alcun vizio delle precedenti impugnazioni (rectius notifiche dell’atto di appello)[15].
A ben vedere, però, il caso deciso dal C.G.A.R.S. riguarda una fattispecie diversa da quelle considerate dalla Sezione Quarta, nelle quali a più atti di notifica è seguito (in entrambi i casi) un solo deposito.
Nel caso esaminato dal Giudice siciliano, infatti, la sentenza di primo grado è stata appellata per due volte dalla medesima parte con due autonomi ricorsi che, depositati entrambi nei termini di cui all’art. 94 c.p.a., hanno dato vita a due autonome iscrizioni nel registro di Segreteria. Il C.G.A.R.S., dopo aver preso atto che la parte si era determinata a questo comportamento processuale senza evidenziare le ragioni di tale duplicazione, ha riunito le due impugnazioni proposte (perché aventi identico contenuto) e le ha accolte entrambe, riformando la sentenza impugnata[16].
Al Collegio, nell’ordinanza di rimessione in commento, non sfugge la circostanza che nel citato caso deciso dal C.G.A.R.S. entrambe le impugnazioni sono state ritualmente (notificate e) depositate, ma pur in presenza di questa rilevante distinzione fattuale, qualifica tale decisione del Giudice siciliano come idonea ad aprire una riflessione sul contenuto e sui limiti applicativi del principio di consumazione.
5. Le riflessioni della Sezione rimettente sul potere di consumazione e sulla decorrenza del termine per il deposito.
Evidenziato detto contrasto, la Sezione Quarta effettua alcune considerazioni propedeutiche all’enucleazione dei quesiti da deferire all’Adunanza Plenaria.
La riflessione del Collegio parte dal dato testuale delle disposizioni prevedenti il principio di consumazione (i citati artt. 358 e 387 c.p.c) che fanno discendere l’effetto consumativo non dalla mera proposizione del primo gravame, ma dalla decisione di inammissibilità o di improcedibilità della prima impugnazione. Alla luce di tale interpretazione letterale viene evidenziato come, rispetto al diritto di agire in giudizio tutelato dall’art. 24 cost., sarebbe coerente sostenere che non sia la prima impugnazione, ma la decisione su di essa, ad impedire la riproposizione dell’impugnazione medesima[17]. Infatti, le disposizioni che escludono, limitano o introducono condizioni più restrittive per l’esercizio dei diritti (anche in sede processuale) di per sé andrebbero interpretate in senso restrittivo e, comunque, col divieto di applicazione analogica, a maggior ragione nei casi come questo in cui il principio in questione non è sancito in maniera espressa dalla legge ma è perimetrato, quanto al suo contenuto e ai suoi limiti di estensione, dall’esegesi giurisprudenziale.
Da tali riflessioni sembrerebbe che la Sezione rimettente, melius re perpensa, stia rimeditando il proprio orientamento precedente che era, invece, propenso ad un’ampia (e forse eccessiva) applicazione del principio di consumazione.
Un ulteriore elemento di riflessione evidenziato dalla Sezione in questa direzione è costituito dal richiamo all’art. 96 c.p.a. che regola nel processo amministrativo le diverse impugnazioni avverso una medesima sentenza. Infatti, se è vero che tale articolo è fisiologicamente destinato a regolare la riunione delle impugnazioni proposte dalle diverse parti avverso un’unica pronuncia, lo stesso potrebbe essere anche letto come una conferma dell’ammissibilità di più impugnazioni di una stessa parte avverso una medesima sentenza, in assenza di un esplicito divieto in tal senso[18].
Infine, l’ultima questione su cui si sofferma la Sezione rimettente riguarda la corretta interpretazione da dare all’art. 45, comma 1, c.p.a. secondo il quale l’iter notificatorio si intende completato con il deposito nella Segreteria del giudice dell’atto soggetto a preventiva notificazione entro il termine decadenziale di trenta giorni. Secondo il Collegio, a tal proposito va chiarito se la rinnovazione della notificazione, eseguita entro il termine e anteriormente alla declaratoria giudiziale di irricevibilità o di improcedibilità dell’impugnazione, si possa qualificare come elusiva, poiché comporta lo spostamento in avanti del termine perentorio di deposito del ricorso rispetto alla prima notificazione non andata a buon fine; ovvero se, trattandosi di notificazione valida rispetto al termine di impugnazione, non sia ravvisabile il suddetto effetto elusivo e il termine di deposito vada calcolato dall’ultima notificazione. Detta questione interpretativa ha un’importanza dirimente nel caso di specie ove, a differenza del citato precedente del C.G.A.R.S., vi è stato un solo deposito del gravame effettuato entro il termine decadenziale calcolato rispetto alla seconda notifica effettuata dall’appellante.
Ad ogni modo, nonostante queste riflessioni sembrerebbero preludere ad un cambio di rotta nella giurisprudenza della Sezione Quarta in merito alla precedente applicazione piuttosto estensiva del principio di consumazione, il Collegio decide di non provvedere in autonomia ad un proprio revirement, preferendo investire l’Adunanza Plenaria della questione (rectius delle questioni).
6. I quattro quesiti deferiti all’Adunanza Plenaria.
La Sezione Quarta deferisce all’Adunanza Plenaria quattro distinti quesiti: i primi tre direttamente concernenti l’applicazione del principio di consumazione, mentre il quarto attinente alle tempistiche del deposito dell’atto presso la Segreteria del Giudice in presenza di più notifiche dell’atto medesimo. Quest’ultimo quesito, come si avrà modo di argomentare, costituisce una problematica distinta dall’applicazione del succitato principio (pur se ad esso strettamente collegata), il quale presuppone l’effettiva instaurazione di plurime impugnazioni avverso la medesima pronuncia giudiziale.
Procedendo con ordine, individuiamo quali sono i quattro quesiti che vengono deferiti all’Adunanza Plenaria[19].
Col primo quesito viene richiesto genericamente se il principio di consumazione dei mezzi di impugnazione debba essere applicato nell’ambito del processo amministrativo e, in caso affermativo, entro quali limiti. Tale genericità viene bilanciata dai successivi due quesiti che si appalesano maggiormente specifici, andando a toccare le due questioni più dibattute relativamente a detto principio nell’ambito del processo amministrativo.
Col secondo quesito, infatti, viene posto il problema se ad una parte processuale sia consentito rinnovare la notificazione al solo scopo di emendare i vizi dell’atto oppure se il rinnovo in questione sia consentito anche a prescindere dall’eliminazione di un vizio e senza altra apparente ragione. Questo è il tema della reiterabilità del medesimo atto già presentato quando la riproposizione non sia finalizzata all’emenda di vizi formali, ma sia dovuta ad altre motivazioni.
Col terzo quesito, invece, viene indagato se alla medesima parte processuale sia consentito presentare nuovi motivi di impugnazione al di là dei casi normativamente previsti per la proposizione di motivi aggiunti. Si tratta, sostanzialmente, della questione del divieto di frazionamento dei mezzi di impugnazione, divieto in base al quale l’impugnativa avverso un provvedimento giurisdizionale dovrebbe essere esercitata unitariamente (accludendo tutti i motivi di gravame) e non essere frazionata in diversi atti, pur se tutti tempestivi rispetto al termine decadenziale per l’impugnazione[20].
Col quarto quesito, infine, si pone l’interrogativo su quale sia la corretta interpretazione da dare al combinato disposto degli artt. 94 e 45, comma 1 c.p.a.[21]. Più precisamente, il dubbio interpretativo riguarda i limiti in cui un’impugnativa, notificata una prima volta, possa essere oggetto di ulteriori notifiche, ovviamente entro i termini decadenziali per la proposizione dell’azione e prima di una pronuncia di irricevibilità o di improcedibilità della stessa. Ci si domanda, cioè, se una successiva notificazione possa essere effettuata solo per emendare vizi dell’atto, della sua notifica o del suo deposito, ovvero se, al contrario, sia possibile per la medesima parte rinnovare la notificazione per altri motivi, prescindendo dalla suddetta emenda.
I primi tre quesiti, come anticipato, riguardano propriamente il perimetro applicativo del principio di consumazione e del collegato divieto di frazionamento dell’impugnativa. Il quarto motivo, invece, riguarda la rilevante tematica del corretto perfezionamento dell’iter notificatorio nel processo amministrativo e rappresenta una questione preliminare all’applicazione di detto principio al caso di specie.
Quindi, si può affermare che il principio di consumazione del potere di impugnazione costituisce il “perno” su cui ruota l’intera ordinanza di rimessione, ma rappresenta anche l’occasione per il deferimento all’Adunanza Plenaria di questioni processuali ulteriori, strettamente collegate a tale principio, le quali attengono alla corretta instaurazione del processo amministrativo e ai limiti temporali entro i quali essa debba perfezionarsi[22].
7. I limiti temporali della consumazione del potere di impugnazione: il discrimen del deposito.
Analizzati i quesiti formulati dalla Sezione rimettente, pare opportuno tornare a soffermarsi sulla vicenda dalla quale essi originano, al fine di enucleare una distinzione preliminare. La Sezione, nel trattare la consumazione del potere di impugnazione, si riferisce genericamente alle impugnazioni “proposte” quando in verità, nel caso di specie, l’impugnazione “compiutamente proposta” (ossia quella notificata e depositata) è soltanto una (la seconda).
Nel processo amministrativo, infatti, la sola notificazione del ricorso non basta a radicare la pendenza del giudizio amministrativo[23]. Si dubita, pertanto, di poter parlare di vera e propria consumazione di un potere di impugnazione quando detto potere non sia stato compiutamente esercitato, non essendosi ancora instaurato un vero e proprio giudizio.
La Sezione rimettente, pur dimostrando di tenere in considerazione la circostanza che «nel caso all’esame la prima impugnazione difetta del deposito dell’atto» e il fatto che «l’iter notificatorio si intende completato con il deposito nella segreteria del giudice del ricorso e degli atti soggetti a preventiva notificazione», non enuclea compiutamente la differenza tra la consumazione del potere di impugnazione compiutamente esercitato attraverso un atto notificato e depositato (che si potrebbe definire come “consumazione propria”), dalla preclusione del potere di (ri)notificare un atto per il sol fatto di averne già notificato un altro in precedenza (che si potrebbe definire come “consumazione impropria”).
La tematica, che costituisce l’oggetto del quarto quesito, consiste nello stabilire se sia (o meno) legittimo anticipare una sorta di effetto consumativo del potere di impugnazione già al momento della notifica dell’atto, ossia, se sia possibile considerare una prima notifica ostativa ad una seconda (successiva ma) nel rispetto del termine decadenziale.
Nell’ordinanza viene attribuita alla reiterazione della notifica un possibile effetto elusivo nei confronti del termine decadenziale previsto per il deposito dell’atto. Ma a ben vedere pare quantomeno dubbio il configurarsi di tale effetto elusivo: se la legge consente alla parte di esperire un’impugnazione entro dei termini decadenziali, un’eventuale elusione dovrebbe comportare l’aggiramento (rectius il superamento) di detti termini che, nel caso di specie, non sussiste[24].
Quindi, pare opportuno distinguere due diverse situazioni: la concorrenza di due impugnazioni ritualmente presentate (notificate e depositate) e la concorrenza di due atti di notifica di una medesima impugnazione che risulti depositata una sola volta. Sarebbe auspicabile che l’Adunanza Plenaria distinguesse le due ipotesi nell’interrogarsi sui limiti di applicazione del principio di consumazione, verificando se possa parlarsi di consumazione anche solo con riferimento alla notifica di un ricorso (la c.d. consumazione impropria) o se, per esserci consumazione del potere di impugnazione, ci voglia per forza anche il deposito dello stesso (c.d. consumazione propria).
8. Alcuni spunti di riflessione in attesa della pronuncia dell’Adunanza Plenaria.
È fuori di dubbio che l’applicazione del principio di consumazione del potere di impugnazione nel processo amministrativo sia un argomento denso di problematiche applicative. Accanto alla vexata quaestio relativa ai presupposti in presenza dei quali opera il c.d. effetto consumativo, si aggiunge anche l’ulteriore problematica connessa alla possibile reiterazione della notifica dell’atto, di particolare rilevanza nel processo amministrativo in cui la pendenza del rapporto processuale si radica con la c.d. vocatio judicis e, quindi, con il deposito del ricorso[25].
Sull’interpretazione dei limiti applicativi del principio di consumazione si concorda con le riflessioni della Sezione rimettente, le quali sembrano suggerire un ripensamento della sua precedente interpretazione estensiva del principio di consumazione. Comprimere la libertà di presentare un’impugnazione entro un limite temporale antecedente a quello imposto dalla legge, oltre a porsi in contrasto con la disciplina positiva dei termini decadenziali, costituisce un possibile vulnus all’art. 24 cost., prevedente la garanzia di ciascuno di poter agire in giudizio per la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive.
Sarà compito dell’Adunanza Plenaria, nel caso in cui decidesse di accogliere tale impostazione maggiormente garantista del diritto all’azione, specificare se tale possibilità di reiterazione debba spingersi sino ad ammettere anche la proposizione di nuovi motivi di gravame, comportando in tal modo pure un ripensamento in merito al divieto di frazionamento delle impugnazioni. Sul punto un chiarimento dell’Adunanza Plenaria sarà quantomai opportuno, visto che la giurisprudenza amministrativa ha spesso fatto proprio anche questo divieto[26].
Ammettere la possibilità di frazionare le impugnazioni, inoltre, potrebbe destare qualche incertezza sul calcolo del termine per la proposizione dell’appello incidentale. Visto il tenore letterale dell’art. 96, comma 3 c.p.a., pare prudenzialmente opportuno far decorrere il termine per proporre l’appello incidentale dalla “prima notificazione” tra quelle ricevute, anche se dette notifiche provengano dallo stesso soggetto appellante[27].
Con riferimento alla questione della notifica dell’atto di appello non depositato, invece, non si ritiene che si possa parlare di consumazione vera e propria. La consumazione del potere di impugnazione in senso proprio, infatti, si realizza quando il mezzo di gravame viene depositato, perché la litispendenza nel processo amministrativo si realizza solo al momento del deposito (telematico) dell’atto notificato presso la Segreteria del Giudice adito. Ciò non toglie che sarà l’Adunanza Plenaria, investita dello specifico quesito, a fugare i dubbi sollevati sia sul possibile effetto elusivo di una doppia notifica ai fini di ottenere uno spostamento in avanti del termine per il deposito del ricorso, sia sulla possibile configurazione di una sorta di effetto consumativo anticipato antecedentemente alla formale instaurazione di un giudizio di impugnazione.
Quindi, non resta che attendere il pronunciamento dell’Adunanza Plenaria per definire con maggiore precisione il perimetro applicativo del principio di consumazione del potere di impugnazione, anche con riguardo ad una possibile anticipazione di effetti lato sensu consumativi già al momento della notificazione dell’atto; pronunciamento che, auspicabilmente, fornirà pure alcuni opportuni chiarimenti nell’identificare le regole di corretta instaurazione del giudizio di impugnazione e del regolare svolgimento dell’iter notificatorio del suo atto introduttivo.
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[1] Cons. St., Sez. IV, ordinanza, 25 ottobre 2021, n. 7138, riportata in calce alla nota .
[2] La sentenza impugnata è T.A.R. Lazio (Roma), Sez. II, 24 luglio 2020, n. 8693, in www.giustizia-amministrativa.it.
[3] Giova precisare che la seconda notifica dell’atto di appello (19 gennaio) è stata effettuata tempestivamente rispetto al termine per l’impugnativa della sentenza di primo grado e che il deposito (29 gennaio) è avvenuto tempestivamente rispetto alla seconda notifica (19 gennaio), ma non rispetto alla prima (23 dicembre). Inoltre, si consideri che la seconda notifica (19 gennaio), proposta mentre ancora pendeva il termine per impugnare, è stata effettuata in data anteriore rispetto al termine per il deposito dell’appello calcolato in base della prima notifica (22 gennaio 2021).
[4] Sul principio di consumazione delle impugnazioni vedasi il lavoro monografico di S. CAPORUSSO, La “consumazione” del potere di impugnazione, Napoli, 2011, a cui si rinvia per un approfondimento del tema e per i riferimenti bibliografici in esso contenuti.
[5] Si riporta il testo delle due citate disposizioni: art. 358 c.p.c. (Non riproponibilità di appello dichiarato inammissibile o improcedibile) «L’appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge»; art. 387 c.p.c. (Non riproponibilità del ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile) «Il ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è scaduto il termine fissato dalla legge».
[6] Per i riferimenti giurisprudenziali si rinvia al paragrafo n. 13 dell’ordinanza in commento (Cons. St., Sez. IV, 25 ottobre 2021, n. 7138, cit.), ove viene citata copiosa giurisprudenza della Corte di cassazione a supporto di questa impostazione interpretativa.
[7] S. CAPORUSSO, La “consumazione” del potere di impugnazione, cit. p. 9. In tal senso vedasi pure G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, Bari, 2010, II, p. 323. Tra le sentenze della Corte di cassazione secondo le quali non sarebbe possibile presentare motivi aggiunti che integrino o modifichino quelli originariamente proposti né, a maggior ragione, proporre una nuova impugnazione che possa sostituirsi alla prima validamente proposta, si segnalano ex multis: Cass. civ., Sez. I, 16 maggio 2016, n. 9993, in Guida al diritto, 2016, 36, p. 79 ss.; Cass. civ., Sez. lav., 31 maggio 2010, n. 13257, in Giust. civ. Mass., 2010, 5; Cass. civ., SS. UU., 10 marzo 2005, n. 5207, in Giust. civ. Mass., 2005, 3.
[8] Tra le più coeve sentenze citate vedasi Cons. St., Sez. V, 19 aprile 1991, n. 606, in Foro Amm., 1991, p. 1134. Tra le sentenze del corrente anno, invece, vengono citate Cons. St., Sez. IV, 3 giugno 2021, n. 4266 e C.G.A.R.S., 8 luglio 2021, n. 654, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it, tra le quali la Sezione rimettente rileva il contrasto da cui origina l’ordinanza di rimessione in commento.
[9] Cons. St., Sez. IV, 14 settembre 2004, n. 5915, in www.giustizia-amministrativa.it.
[10] Cons. St., Sez. V, 2 aprile 2014, n. 1570, in www.giustizia-amministrativa.it.
[11] L’art. 10 c.p.a. prevede la regola generale del divieto di nuovi motivi e di nuovi mezzi di prova in appello, temperato dalla facoltà per la parte di proporre motivi aggiunti nel caso in cui vi sia una sopravvenienza documentale da cui si evincano vizi relativi agli atti impugnati. Sulla tematica dei motivi aggiunti in appello si segnalano: G. MIGNONE, Motivi aggiunti nel processo amministrativo, Padova, 1984; M.P. VIPIANA, Motivi aggiunti e doppio grado nel processo amministrativo in una recente decisione dell’Adunanza Plenaria, in Dir. proc. amm., 1998, p. 91 ss.; S. PERONGINI, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Milano, 2011, p. 259 ss.
[12] Sul punto si rinvia a S. CAPORUSSO, La “consumazione” del potere di impugnazione, cit., in particolare a p. 311 e seguenti dove vengono condensate le considerazioni critiche sull’applicazione di detto principio che non pare condivisibile «nella misura in cui ammette soltanto la proposizione di una seconda impugnazione in sostituzione della prima, allo scopo di emendare, ove possibile, i vizi da cui quest’ultima sia affetta. È evidente che questa lettura non solo penalizza l’impugnante che ha validamente esercitato il proprio potere, ma, per di più, non tiene in debito conto il fatto che il vizio che inficia l’impugnazione possa essere successivo alla sua proposizione, come accade nel caso di improcedibilità, e che quindi non riguardi l’esercizio (in sé perfettamente valido) del potere di impugnazione».
[13] Oltre al caso oggetto dell’ordinanza di rimessione in commento, viene anche citato un altro precedente conforme della stessa Sezione, costituito dalla sentenza Cons. St., Sez. IV, 3 giugno 2021, n. 4266, cit.
[14] C.G.A.R.S., Sez. giur., 8 luglio 2021, n. 654, in www.giustizia-amministrativa.it.
[15] Per usare le parole del Collegio (paragrafo n. 17 dell’ordinanza Cons. St., Sez. IV, 25 ottobre 2021, n. 7138, cit.) «la ratio – che giustificherebbe (pendente il termine per l’appello e in assenza di una declaratoria giudiziale di irricevibilità o improcedibilità) la possibilità per la medesima parte di riproporre la stessa impugnazione – sarebbe quella di emendare un vizio, sostituendo un atto valido ad uno invalido».
[16] Il Collegio evidenzia che «Il Consiglio di giustizia amministrativa non ha dichiarato sic et simpliciter inammissibile la seconda impugnazione, sebbene identica e ripetitiva rispetto alla prima, e senza la benché minima efficacia sanante o sostitutiva di vizi della prima» (paragrafo 22 dell’ordinanza Cons. St., Sez. IV, 25 ottobre 2021, n. 7138, cit.).
[17] In tal senso pare andare anche Cons. St., Sez. VI, 24 luglio 2017, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo la quale «Va, di poi, evidenziato che la giurisprudenza della Sezione (Cons. Stato;VI, 6-12-2013, n. 5861) ha chiarito che la consumazione del potere di impugnare, giusta l’art. 358 del codice di procedura civile, applicabile al procedimento amministrativo, presuppone necessariamente l’intervenuta declaratoria di inammissibilità o improcedibilità del primo gravame, potendo altrimenti essere proposto un secondo atto di appello».
[18] Prescindendo dalla disciplina delle impugnazioni incidentali, per quel che interessa in tal sede, si rammenta che l’art. 96, comma 1 c.p.a. prevede che «Tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza devono essere riunite in un solo processo», mentre il comma 6 della medesima disposizione stabilisce che «In caso di mancata riunione di più impugnazioni ritualmente proposte contro la stessa sentenza, la decisione di una delle impugnazioni non determina l'improcedibilità delle altre».
[19] I quattro quesiti vengono elencati alle lettere a), b), c), d) del paragrafo 24 dell’ordinanza in commento (Cons. St., Sez. IV, 25 ottobre 2021, n. 7138, cit.).
[20] Ovviamente, in entrambe le succitate ipotesi di cui al secondo e al terzo quesito, la conditio sine qua non è costituita dal fatto che sia ancora pendente il termine per impugnare e che, medio tempore, non sia intervenuta una pronuncia di irricevibilità o di improcedibilità dell’impugnazione.
[21] Secondo l’art. 45, comma 1 c.p.a. «Il ricorso e gli altri atti processuali soggetti a preventiva notificazione sono depositati nella segreteria del giudice nel termine perentorio di trenta giorni, decorrente dal momento in cui l’ultima notificazione dell'atto stesso si è perfezionata anche per il destinatario...».
[22] A tal proposito si richiama il paragrafo n. 12 dell’ordinanza in commento (Cons. St., Sez. IV, 25 ottobre 2021, n. 7138, cit.), ove viene precisato che «La Sezione ritiene di dovere deferire all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la questione relativa alla corretta interpretazione delle disposizioni e dei principi che regolano le impugnazioni, tra cui quello della cd. consumazione del relativo potere», a comprova del fatto che la questione relativa al potere di consumazione è solo una delle problematiche su cui l’Adunanza Plenaria dovrà fornire i propri chiarimenti.
[23] Cons. St., Ad. Plen., 28 luglio 1980, n. 35, in Foro it., 1980, III, p. 532 ss. In senso conforme vedasi anche Cons. St., Sez. IV, 19 dicembre 2016, n. 5363, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo la quale «nel processo amministrativo i due momenti della notificazione e del deposito del ricorso hanno caratteristiche e fini diversi: il primo rivela soltanto la volontà di agire in giudizio e costituisce il preliminare atto dell’introduzione del processo; il secondo invece concretamente realizza la presa di contatto tra il ricorrente e l’organo di giurisdizione che deve pronunciare sul processo e postula la partecipazione pure delle controparti al giudizio. Pertanto i suoi effetti, correlati alla consegna dell’originale del ricorso notificato alla segreteria del Giudice adito, non possono retroagire alla fase precedente, che è stata meramente introduttiva e prodromica all’istaurazione del processo. Quindi, nel processo amministrativo, l’instaurazione del rapporto processuale si verifica all’atto della costituzione in giudizio del ricorrente, mediante il deposito del ricorso giurisdizionale (con la prova delle avvenute notifiche) presso la segreteria del TAR».
[24] Infatti, la parte che potendo legittimamente attendere fino all’ultimo giorno per provvedere alla notifica vi provveda anticipatamente e poi, per qualsiasi altro motivo ulteriore all’emenda di eventuali vizi, decida di ripetere la notifica “riprendendosi” la facoltà di effettuarla sino al termine previsto dalla legge (e, conseguentemente, di effettuare il deposito entro il termine collegato alla notifica), non pare francamente commettere alcuna violazione o elusione della disciplina dei termini.
[25] Cons. St., Sez. IV, 19 dicembre 2016, n. 5363, cit., ci ricorda che «nel processo amministrativo, l’instaurazione del rapporto processuale si verifica all’atto della costituzione in giudizio del ricorrente, mediante il deposito del ricorso giurisdizionale (con la prova delle avvenute notifiche) presso la segreteria del TAR. L’individuazione della pendenza del rapporto processuale, in altri termini, mentre nei giudizi che iniziano con citazione va fissata nel momento della notificazione di essa (vocatio in jus), in quelli, come nel caso in esame, introdotti con ricorso si ha nel momento del relativo deposito (vocatio judicis, cfr. Cons. St., VI, 25 maggio 2006 n. 3129; id., IV, 8 gennaio 2013 n. 40)».
[26] Cons. St., Sez. V, 2 aprile 2014, n. 1570, cit., prevede che «il divieto di frazionamento dei mezzi di impugnazione, sotteso al principio di consumazione delle impugnazioni sancito dagli artt. 358 e 387 c.p.c. (che connota qualsiasi processo retto, come anche quello amministrativo, dal principio della domanda e da quello dispositivo), impedisce alla parte che abbia proposto un primo gravame di proporne un secondo, pur quando siano ancora pendenti i relativi termini».
[27] L’art. 96, comma 3 c.p.a. prevede che «L’impugnazione incidentale di cui all’articolo 333 del codice di procedura civile può essere rivolta contro qualsiasi capo di sentenza e deve essere proposta dalla parte entro sessanta giorni dalla notificazione della sentenza o, se anteriore, entro sessanta giorni dalla prima notificazione nei suoi confronti di altra impugnazione».