Giudizio cautelare e principio di sinteticità degli atti processuali (nota a CGARS ord.36/2021 e decr. 31/2021)
di Fortunato Gambardella
Sommario: 1. Due decisioni cautelari sul principio di sinteticità- 2. Introduzione al principio di sinteticità degli atti del processo amministrativo- 3. L’ordinanza 15 gennaio 2021, n. 36 di C.G.A.R.S.: l’inutilizzabilità delle note di udienza prolisse- 4. L’autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali nel decreto presidenziale n. 31/2021 del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana.
1. Due decisioni cautelari sul principio di sinteticità.
Due recenti decisioni cautelari del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana stimolano la riflessione intorno ad estensione e portata del principio di sinteticità degli atti del processo amministrativo, oggetto di attenzione normativa ed ermeneutica crescente a partire dalla sua considerazione nel Codice del processo amministrativo.
L’ordinanza cautelare n. 36 del 2021 del giudice siciliano mette infatti in risalto, quantomeno a prima vista, il tema dell’estensione dell’ambito di applicazione del principio, che arriva a coinvolgere le cd. note di udienza, depositate dalla parte avvalendosi della facoltà concessa dall’articolo 4 del decreto legge n. 28 del 2020. La stessa, al contempo, sembra però parlarci anche della portata del principio di sinteticità, laddove approfondisce il tema delle conseguenze giuridiche della violazione del canone, affermando l’inammissibilità e conseguente inutilizzabilità delle note eccezionalmente prolisse.
Sotto altro ma connesso profilo, il decreto presidenziale n. 31 del 2021 stimola l’attenzione intorno agli strumenti predisposti dall’ordinamento a garanzia dell’effettività del principio di sinteticità, specie laddove respinge l’istanza di autorizzazione al superamento di limiti dimensionali avanzata dalla parte appellata in relazione ad una memoria di costituzione e risposta depositata per la fase cautelare del giudizio, in quanto atto inidoneo ad ospitare la riproposizione di motivi non esaminati dall’ordinanza cautelare appellata che ha accolto la domanda di sospensione in primo grado.
2. Introduzione al principio di sinteticità degli atti del processo amministrativo
Il canone di sinteticità degli atti caratterizza il processo amministrativo a partire dal decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53 (“Attuazione della direttiva 2007/66/CE che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto riguarda il miglioramento dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia d’aggiudicazione degli appalti pubblici”). Il testo, nel definire un regime speciale per le controversie in tema di appalti pubblici, prevedeva infatti (articolo 2-undecies) che “tutti gli atti di parte devono essere sintetici e la sentenza che decide il ricorso è redatta ordinariamente in forma semplificata”.
Da regola peculiare del contenzioso sull’evidenza pubblica, la vocazione alla sintesi, nel breve volgere di qualche mese, è assurta tuttavia al “rango di vero e proprio principio generale del processo amministrativo”[1]. Esplicita, in questo senso, la previsione del secondo comma dell’articolo 3 del Codice del processo amministrativo[2], a tenore della quale: “il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica”. Rispetto alla disposizione del diritto processuale delle commesse pubbliche, la norma di generalizzazione peraltro evidenziava un salto di qualità, accompagnando al canone della sinteticità quello della chiarezza degli atti, nell’ambito di un processo di emersione di un complessivo modo di essere dell’intera produzione documentale processuale, che oggi vede i due principi sovente quanto atecnicamente intesi quasi in termini di endiadi.
La vocazione alla sintesi degli atti di causa, nel nostro ordinamento processuale amministrativo, è rimasta nondimeno affermazione generale, di evidente rilevanza simbolica ed ermeneutica, ma sprovvista di strumenti sanzionatori all’uopo dedicati fino al 2012, allorché il secondo correttivo al Codice del processo amministrativo (d.lgs. 14 settembre 2012, n. 160), non ha modificato l’art. 26 del testo, inserendo (al comma 1) un ultimo periodo inteso a stabilire che la decisione sulle spese di giudizio debba tener conto anche della accertata violazione dei principi di chiarezza e sinteticità di cui dall’art. 3, comma 2, dello stesso Codice. In questi termini, la previsione, recepiva l’orientamento che la giurisprudenza era venuta maturando successivamente all’entrata in vigore del Codice e proiettato verso la necessaria non sottovalutazione dei precetti di chiarezza e sinteticità degli atti processuali ai fini della costruzione di un efficace ed efficiente sistema di giustizia[3].
Restava sul tavolo, in ogni caso, il problema della definizione dei parametri dimensionali degli atti processuali rispettosi del canone della sintesi, compito che il legislatore, con due successivi interventi normativi[4], ha affidato ad uno specifico decreto del Presidente del Consiglio di Stato. Attualmente in vigore è pertanto il Decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 22 dicembre 2016[5], il quale definisce i criteri di redazione degli atti processuali di parte e i relativi limiti dimensionali, restituendo al canone di sinteticità strumenti di misurazione che pure corrono sul filo della possibile confusione dell’istanza della sintesi con la diversa regola della brevità[6].
Il decreto, peraltro, completa il sistema disciplinando l’istituto dell’autorizzazione del Presidente dell’organo giurisdizionale adito (Consiglio di Stato o Tribunale amministrativo regionale) al superamento dei limiti dimensionali fissati nel decreto, da richiedersi con apposita istanza.
Il quadro normativo che si è venuto strutturando nello scorso decennio ha restituito dunque al principio di sinteticità una duplice dimensione: di affermazione generale e di effettività. Come principio generale del processo amministrativo, la sinteticità è dalla giurisprudenza connessa strumentalmente all’istanza della ragionevole durata del processo, a sua volta corollario del canone costituzionale del giusto processo[7]. Sul piano dell’effettività, la garanzia del principio passa invece per l’enunciazione delle regole dimensionali definite dal richiamato decreto del Consiglio di Stato e, in chiave sanzionatoria, per l’operatività della previsione dell’articolo 26 del Codice del processo amministrativo, che rende la violazione dei canoni di sinteticità e chiarezza degli atti di causa parametro ulteriore cui possa attingere il giudice ai fini della determinazione sulle spese di giudizio[8].
Ma vi è di più, perché ulteriore presidio dell’effettività del principio di sinteticità è sicuramente rintracciabile nella previsione contenuta nel comma 5 dell’art. 13-ter dell’allegato 2 del c.p.a, laddove delimita lo spazio della cognizione per così dire “obbligatoria” del giudice amministrativo a “tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti” nei limiti dimensionali definiti nel decreto del Presidente del Consiglio di Stato e, al contempo, chiarisce che “l'omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione”. Una traccia che la giurisprudenza sviluppa comunemente nel senso del ritenere il superamento dei limiti dimensionali del ricorso circostanza che determini “il degradare della parte eccedentaria a contenuto che il giudice ha la mera facoltà di esaminare”[9].
Fin qui i dati espressi dalla normazione, rispetto ai quali tuttavia alcuni settori della giurisprudenza da tempo sembrano evidenziare altresì indirizzi tesi a ricavare dal principio di sinteticità conseguenze giuridiche non codificate ma più stringenti. Sono percorsi ermeneutici che alcuni giudici coltivano sin dalla prima applicazione del Codice del processo amministrativo e nell’ambito dei quali, pur con accenti e sfumature diversi[10], sembra fare eco l’ipotesi di una declaratoria di inammissibilità dei ricorsi prolissi, ovvero eccedenti i riferiti limiti dimensionali.
Si tratta, a dire il vero, di indirizzi nei quali il valore della sinteticità non sembra mai isolatamente considerato nella sua portata escludente la cognizione del giudice amministrativo. Lo stesso è piuttosto evocato in combinazione con il canone della chiarezza, richiamato nel medesimo contesto normativo di cui all’articolo 3, comma 2, c.p.a., esponendo ad esempio l’appellante alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già come conseguenza dell’irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto rischia di pregiudicare l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata[11].
Su di un piano generale, a rendere dunque inammissibile il ricorso non è il difetto di sinteticità che lo stesso reca, quanto piuttosto il difetto di intellegibilità che possa caratterizzarlo, eventualmente come mera scaturigine della mancanza di sintesi. In quest’ottica, il vulnus nei confronti del canone della sinteticità, in termini di travalicamento dei confini dimensionali normativamente imposti all’atto, può rappresentare tuttalpiù una spia della sua capacità di determinare una condizione di incertezza della domanda, lungi pertanto dal configurare l’onere di sintesi “un requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto processuale”[12], tale da assurgere ad autonoma rilevanza nella prospettiva della declaratoria di inammissibilità del ricorso.
3. L’ordinanza 15 gennaio 2021, n. 36 di C.G.A.R.S.: l’inutilizzabilità delle note di udienza prolisse
In questo quadro si colloca, con elementi di singolarità, la decisione maturata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la regione Sicilia che, con l’ordinanza 15 gennaio 2021, n. 36, come anticipato in apertura, ha dichiarato l’inammissibilità e conseguente inutilizzabilità delle cd. note di udienza, depositate dalla parte avvalendosi della facoltà concessa dall’articolo 4 del decreto legge n. 28 del 2020, quando le stesse non rispettino il principio di sinteticità espressamente enunciato al comma 2 dell’articolo 3 del c.p.a. laddove sottolinea che “il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica”.
Il decreto legge 30 aprile 2020 n. 28, come è noto, ha dettato tra l’altro una serie di norme in materia di organizzazione ed erogazione del servizio di giustizia amministrativa nell’attuale contesto pandemico-emergenziale e l’articolo 4 dello stesso, nel testo modificato dalla legge di conversione (n. 70 del 2020), riconosce la facoltà delle parti di chiedere la discussione orale in modalità di videoconferenza, ovvero, in alternativa, l’opportunità di depositare note di udienza fino alle ore 12 del giorno antecedente ovvero richiesta di passaggio in decisione, precisando che il difensore che deposita tale richiesta è “considerato presente a ogni effetto in udienza”.
Le note di udienza intervengono dunque a ridosso dell’udienza e, insieme all’atto introduttivo del giudizio e alle memorie, completano il ventaglio dei documenti concessi alla parte per l’esercizio giudiziale del diritto di difesa. Di esse si occupano, in particolare, Linee guida del Presidente del Consiglio di Stato sull’applicazione dell’art. 4 D.L. 28/2020 e sulla discussione da remoto (del 25 maggio 2020), che le descrive come “un’ulteriore chance di trattazione cartolare, anche al fine di disincentivare radicali opposizioni alla discussione orale destinate a “scaricarsi” sulla economicità e celerità del processo”. Il documento ospita peraltro alcune indicazioni minime contenutistico-dimensionali, stabilendo “che le note: a) debbano essere “brevi”, ponendosi quale facoltà succedanea all’esposizione orale; b) debbono auspicabilmente essere depositate con anticipo rispetto al giorno dell’udienza, in modo da consentire alle controparti una replica informata; c) a mezzo di esse possano essere svolte tutte le considerazioni generalmente ammesse in udienza (ad esempio, dedurre un profilo in rito non soggetto a termini perché rilevabile d’ufficio)”.
Il tratto della brevità sembra dunque precipuamente caratterizzare l’istituto. Pur nel difetto di un’espressa presa di posizione del legislatore in ordine a contenuto e dimensioni delle note, è stato autorevolmente e opportunamente osservato che, ponendo l’attenzione “sulla collocazione delle note, è evidente che alle medesime va attribuito il significato non di nuovi scritti difensivi ma, invece, di trascrizione di quanto altrimenti la parte avrebbe dedotto in udienza”[13]. La tesi, in particolare, fa perno sul carattere “articolato”[14] del contraddittorio scritto per come disciplinato dal Codice del processo amministrativo e che si sostanzia nella dialettica tra memorie e repliche, con le ultime che “debbono contenere soltanto la risposta alle argomentazioni sviluppate da controparte nella memoria e non possono introdurre elementi nuovi”[15]. Si tratta di uno schema nel quale, dunque, le note di udienza possono accogliere una “estrema sintesi degli argomenti già dibattuti oppure una contestazione di quanto controparte abbia illustrato in modo non corretto nella replica”[16].
Se questo è lo spazio vitale che l’interpretazione sistematica delle norme del processo amministrativo sembra riservare alle note di udienza, non sorprende allora la soluzione adottata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Sicilia con l’ordinanza in commento, laddove rileva l’inammissibilità e la conseguente inutilizzabilità delle c.d. “note di udienza” di parte appellante, depositate, avvalendosi della facoltà concessa alla parte dall’art. 4 del d.l. n. 28 del 2020 “perché estese 42 pagine” e sull’assunto che le stesse non possano “assolvere alla funzione sostanziale della memoriacon una elusione del termine di deposito di quest’ultima, pena la violazione del contraddittorio e un vulnus quanto all’approfondimento collegiale della causa”.
Né sorprende che il giudice ritenga che le note, per quanto non utilizzabili in punto di contenuti, assumano rilevanza “come istanza di passaggio della causa in decisione al fine della fictio iuris della presenza del difensore in udienza”. Il modello che la normativa emergenziale descrive passa, infatti, per il riconoscimento di tre opzioni che danno accesso alla fase decisoria del giudizio: la discussione in videoconferenza; il deposito delle note di udienza; oppure, in alternativa a quest’ultima modalità, la presentazione di una richiesta di passaggio in decisione. Come spiegano le già richiamate Linee guida del Presidente del Consiglio di Stato sull’applicazione dell’art. 4 del d.l. 28/2020, la norma che contempla la richiesta di passaggio in decisione “rispecchia, com’è ragionevole che sia, la dinamica delle ordinarie udienze “in presenza”, in cui le parti si accordano, in via preliminare, per non discutere la causa non ravvisando profili che rendano utile o opportuna l’ulteriore trattazione orale, rispetto a quanto già dedotto e argomentato negli scritti. Trattasi di una facoltà (quello di richiedere senz’altro il passaggio in decisione) che dunque permane anche nel nuovo regime della fase emergenziale, ma che a differenza del regime ordinario può essere manifestata anche per iscritto”. In questo quadro, la considerazione delle note prolisse in termini di istanza di passaggio in decisione serve ad attribuire alle stesse una valenza funzionale minima, coerente con l’impianto descritto, che consente il passaggio della causa in decisione e, allo stesso tempo, la garantistica considerazione del difensore come “presente a ogni effetto in udienza” (articolo 4, decreto legge n. 28/2020).
Se dunque il dispositivo dell’ordinanza non sembra destare perplessità, qualche dubbio è lecito semmai insinuare proprio laddove il giudice connette la declaratoria di inammissibilità delle note di udienza all’asserita violazione del principio di sinteticità degli atti processuali. Quel principio, per quanto chiarito nel paragrafo precedente, ha ormai guadagnato una connotazione strutturata, che lo qualifica in termini di affermazione generale ma anche in punto di effettività. La dimensione di effettività, in particolare, come visto, passa per l’operatività dei limiti dimensionali di cui al riferito Decreto del Presidente del Consiglio di Stato e approda alle già evidenziate conseguenze giuridiche codificate: considerazione della violazione del canone della sintesi ai fini della decisione sulle spese di giudizio; facoltà per il giudice di omettere di pronunciarsi sulla parte del ricorso eccedente i citati limiti di dimensione.
Lo spazio per una rilevanza autonoma della violazione della regola della sintesi ai fini della dichiarazione di inammissibilità di specifici atti processuali, allo stato della legislazione, non sembra esserci e, peraltro, con specifico riguardo alla vicenda processuale evocata dall’ordinanza che ci occupa, anche volendo forzatamente spingersi oltre i riferiti dati normativi, non residuerebbe in ogni caso neppure lo spazio per la verifica della supposta condizione operativa che, in certo qual modo, certifichi la violazione del principio di sinteticità: il superamento dei limiti dimensionali. Per ovvie ragioni di successione cronologica, infatti, il decreto del Presidente del Consiglio di Stato che fissa quei limiti non contempla il recente istituto delle note di udienza, non consentendo l’individuazione di una misura che, rispetto alle stesse, possa eventualmente permettere di circostanziare una concreta lesione del canone della sintesi.
4. L’autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali nel decreto n. 31/2021 del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana
Il consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, con il decreto presidenziale n. 31 del 2021 ha respinto l’istanza di autorizzazione al superamento di limiti dimensionali avanzata dalla parte appellata in relazione ad una memoria di costituzione e risposta depositata per la fase cautelare del giudizio.
In questo caso, il principio di sinteticità non è evocato in modo esplicito dalla decisione del giudice che, tuttavia, impatta sul funzionamento di un istituto (l’autorizzazione al superamento di limiti dimensionali) che abbiamo descritto quale strumento inteso a garantire l’effettività del canone medesimo.
La disciplina dell’istituto emerge dal combinato disposto degli articoli 5 e 6 del cd. decreto sinteticità (decreto del presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 2016, per come modificato dal decreto n. 127 del 2017), il primo dei quali individua le deroghe ammissibili rispetto ai limiti dimensionali ivi sanciti, laddove il secondo descrive il funzionamento del relativo procedimento autorizzatorio.
L’autorizzazione, in particolare, interviene con decreto del Presidente del tribunale o di un magistrato delegato, il quale valuta in ordine alla sussistenza dei presupposti di deroga di cui all’articolo 5 del richiamato decreto sinteticità. A tal fine, è previsto che il ricorrente, principale o incidentale, formuli un’istanza motivata, allegando, ove possibile, lo schema del ricorso e sulla quale l’organo competente si pronunci entro i successivi tre giorni. Le modalità di presentazione dell’istanza sono diverse da quelle previste dalla formulazione originaria della norma, secondo la quale l’istanza motivata dovesse essere presentata in calce al ricorso. Peraltro, tale previgente modalità resta valida, nel nuovo regime, esclusivamente per l’ipotesi di istanza formulata da una parte diversa dal ricorrente principale e limitatamente alla memoria di costituzione.
Nel caso di specie, in sede di appello proposto dal Ministero dell’interno avverso un’ordinanza cautelare di accoglimento della domanda di sospensione in primo grado relativa ad una interdittiva antimafia, il decreto presidenziale in commento ha respinto l’istanza di autorizzazione al superamento di limiti dimensionali depositata dalla parte appellata in relazione alla memoria di costituzione e risposta.
La decisione muove dal considerare “già di per sé molto ampi” i limiti dimensionali ordinari[17], tali da consentire “una difesa estesa e articolata” e giunge a ritenere che la memoria di costituzione della parte appellata per la fase cautelare, in caso di appello su ordinanza, possa limitarsi ad un sintetico richiamo del ricorso di primo grado. Infatti, la valutazione compiuta dal giudice dell’appello su ordinanza cautelare “è necessariamente sintetica e complessiva e, da un lato, non esige l’esame puntuale di tutti i motivi del ricorso di primo grado, mentre, dall’altro lato, va compiuta esaminando direttamente il fumus boni iuris e il periculum in mora in relazione al ricorso di primo grado valutato sinteticamente e complessivamente … a prescindere da una analitica riproposizione di tutti i motivi mediante memoria ai sensi dell’art. 101 comma 2 c.p.a”.
Nel ragionamento del giudice siciliano, l’ultimo aspetto è peraltro decisivo ai fini della reiezione dell’istanza di superamento dei limiti dimensionali, essendo la stessa per l’appunto motivata dall’asserita necessità di riproporre motivi non esaminati dall’ordinanza cautelare. Eppure, come chiarisce il decreto, “l’onere di riproposizione espressa di domande ed eccezioni di primo grado, da parte dell’appellato vittorioso in primo grado, ai sensi dell’art. 101 comma 2 c.p.a. riguarda il solo caso di appello su sentenza e non si estende al caso di appello su ordinanza cautelare, dove, proseguendo il giudizio in primo grado, nessuna decadenza consegue alla omessa riproposizione in appello con memoria di tutti i motivi del primo grado”.
La motivazione addotta nella decisione consente peraltro di inquadrare il potere di valutazione in concreto esercitato, in questa vicenda processuale, nel solco descritto dal più volte richiamato decreto sinteticità. Dalla lettura del testo emerge infatti un sistema di autorizzazione che fa perno sull’ampio potere del decisore “chiamato sia a valutare la sussistenza dei presupposti derogatori, sia a quantificare lo spazio aggiuntivo che può essere concesso per l’estrinsecazione dell’attività difensiva”[18].
Tale ambito di valutazione incontra nell’articolo 5 del decreto un vasto catalogo di parametri cui il giudice possa attingere ai fini della scelta autorizzatoria[19]. Un catalogo la cui valenza è espressamente definita come esemplificativa e nel quale, in ogni caso, si colloca quel riferimento alla “esigenza di riproposizione di motivi dichiarati assorbiti ovvero di domande od eccezioni non esaminate” che trova eco nella decisione in commento e che offre prova del margine di responsabilità sotteso alle decisioni assunte nell’ambito dei riferiti procedimenti di autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali, nei quali il canone di sinteticità postula evidentemente la continua e costante ricerca di un punto di equilibrio con le prioritarie esigenze del diritto di difesa[20].
***
[1] F. Francario, Principio di sinteticità e processo amministrativo. Il superamento dei limiti dimensionali dell’atto di parte, in Diritto processuale amministrativo, 2018, 1, 133.
[2] Allegato 1 al d.lgs. 2 luglio 2012 n. 104.
[3] G. Ferrari, Sinteticità degli atti nel giudizio amministrativo, in Libro dell’anno del Diritto www.treccani.it, 2013, che rinvia a C.G.A.R.S. 19 aprile 2012, n. 395 e Cass., S.U., 11 aprile 2012, n. 5698.
[4] Dapprima l’art. 40, comma 1, lett. A), del d.l. 24 giugno 2014, n. 90 a modifica dell’art. 120, comma 6 del c.p.a.; successivamente l’articolo 7-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168 (convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), che ha abrogato il riferito comma 6 dell’art. 120 del c.p.a, introducendo a sua volta l’art. 13-ter nell’allegato 2 del c.p.a.. Tale ultima disposizione stabilisce quanto segue: 1. Al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con i princìpi di sinteticità e chiarezza di cui all'articolo 3, comma 2, del codice, le parti redigono il ricorso e gli altri atti difensivi secondo i criteri e nei limiti dimensionali stabiliti con decreto del presidente del Consiglio di Stato, da adottare entro il 31 dicembre 2016, sentiti il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il Consiglio nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato, nonché le associazioni di categoria degli avvocati amministrativisti. 2. Nella fissazione dei limiti dimensionali del ricorso e degli atti difensivi si tiene conto del valore effettivo della controversia, della sua natura tecnica e del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. Dai suddetti limiti sono escluse le intestazioni e le altre indicazioni formali dell'atto. 3. Con il decreto di cui al comma 1 sono stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, può essere consentito superare i relativi limiti. 4. Il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, anche mediante audizione degli organi e delle associazioni di cui al comma 1, effettua un monitoraggio annuale al fine di verificare l'impatto e lo stato di attuazione del decreto di cui al comma 1 e di formulare eventuali proposte di modifica. Il decreto è soggetto ad aggiornamento con cadenza almeno biennale, con il medesimo procedimento di cui al comma 1. 5. Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L'omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione”.
[5] modificato dal decreto n. 127 del 16 ottobre 2017. La fonte attualmente in vigore, a sua volta, ha sostituito il previo decreto n. 40 del 25 maggio 2015, adottato in attuazione dell’articolo 120 del c.p.a., per come formulato anteriormente alla riferita riforma del 2016.
[6] Come sottolinea F. Francario, Principio di sinteticità e processo amministrativo, cit., 161: “Ciò che si deve evitare è di contrabbandare la regola della brevità come una declinazione necessaria del principio di sinteticità; il quale … non può ridursi al mero rispetto di un limite numerico di pagine, spazi e battute, ma fa necessariamente riferimento alla (giusta) proporzione tra questioni da trattare e le argomentazioni selezionate a tal fine”.
[7] Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2013, n. 6002, in Giurisprudenza italiana, 2014, 148, con nota di A. Giusti, Principio di sinteticità e abuso del processo amministrativo.
[8] T.A.R. Lombardia – Milano, sez. II, 4 giugno 2019, n.1279: “il dovere di sinteticità sancito dall’art. 3, comma 2, c.p.a., strumentalmente connesso al principio della ragionevole durata del processo, è a sua volta corollario del giusto processo, ed assume esso una valenza peculiare nel giudizio amministrativo caratterizzato dal rilievo dell’interesse pubblico in occasione del controllo sull’esercizio della funzione pubblica; tale impostazione è conforme alla considerazione della giurisdizione come risorsa a disposizione della collettività, che proprio per tale ragione deve essere impiegata in misura razionale, sì da preservare la possibilità di consentirne l’utilizzo anche alle parti nelle altre cause pendenti e agli utenti che in futuro indirizzeranno le loro controversie alla cognizione del giudice statale. La violazione di tale dovere, se, da un lato, non si traduce in inammissibilità del ricorso, dall’altro, incide, certamente, sulla regolazione delle spese di giudizio”.
[9] T.A.R. Calabria - Catanzaro, sez. II, 8 luglio 2020, n. 1249, in Il Foro Amministrativo, 2020, 7-8, 1564.
[10] Singolare in questi termini la posizione di C.G.A.R.S, 15 settembre 2014, n. 536: “in presenza di un atto d’appello di centoventisette pagine (con circa ventotto/trenta righi per pagina), palesemente non proporzionato al livello di complessità della causa e con evidente abuso della funzione c.d. “copia e incolla”, alla luce del principio di chiarezza e sinteticità degli atti sancito dagli art. 3 e 26 c. proc. amm., l’appellante dovrà depositare, almeno quaranta giorni prima dell’udienza fissata per la decisione del merito della causa, una memoria riepilogativa orientativamente di non oltre venti pagine per un massimo di venticinque righi per pagina, su formato A4, facilmente leggibile e redatta solo su una faccia della pagina (recto e non recto verso), con testo scritto in caratteri di tipo corrente con interlinee e margini adeguati”.
[11] Cons. Stato, sez. IV, 1 dicembre 2020, n.7622.
[12] F. Francario, Principio di sinteticità e processo amministrativo, cit., 163.
[13] C.E. Gallo, La discussione scritta della causa nel processo amministrativo, in www.giustiziainsieme.it, 2020.
[14] C.E. Gallo, La discussione scritta, cit.
[15] C.E. Gallo, La discussione scritta, cit.
[16] C.E. Gallo, La discussione scritta, cit.
[17] 70.000 caratteri con esclusione di epigrafe, conclusioni e sintesi dei motivi, come chiarisce il decreto.
[18] M. Nunziata, La sinteticità degli atti processuali di parte nel processo amministrativo: fra valore retorico e regola processuale, in Diritto processuale amministrativo, 2015, 1327.
[19] Si legge nell’articolo 5: “con il decreto di cui all’art. 6 possono essere autorizzati limiti dimensionali non superiori, nel massimo, a caratteri 50.000 (corrispondenti a circa 25 pagine nel formato di cui all’art. 8), e 100.000 (corrispondenti a circa 50 pagine nel formato di cui all’art. 8), per gli atti indicati all’art. 3, comma 1, e rispettivamente nei riti di cui all’art. 3, comma 1, lettere a) e b) e a caratteri 16.000 (corrispondenti a circa 8 pagine nel formato di cui all’art. 8) e 30.000 (corrispondenti a circa 15 pagine nel formato di cui all’art. 8), per gli atti indicati all’art. 3, commi 2 e 3, e rispettivamente nei riti di cui all’art. 3, comma 1, lettere a) e b), qualora la controversia presenti questioni tecniche, giuridiche o di fatto particolarmente complesse ovvero attenga ad interessi sostanziali perseguiti di particolare rilievo anche economico, politico e sociale, o alla tutela di diritti civili, sociali e politici; a tal fine vengono valutati, esemplificativamente, il valore della causa, ove comunque non inferiore a 50 milioni di euro nel rito appalti, determinato secondo i criteri relativi al contributo unificato; il numero e l'ampiezza degli atti e provvedimenti effettivamente impugnati, la dimensione della sentenza gravata, l'esigenza di riproposizione di motivi dichiarati assorbiti ovvero di domande od eccezioni non esaminate, la necessità di dedurre distintamente motivi rescindenti e motivi rescissori, l'avvenuto riconoscimento della presenza dei presupposti di cui al presente articolo nel precedente grado del giudizio, la rilevanza della controversia in relazione allo stato economico dell'impresa; l'attinenza della causa, nel rito appalti, a taluna delle opere di cui all'art. 125 del codice del processo amministrativo”.
[20] A. Cassatella, L’inammissibilità dell’appello manifestamente prolisso, in Giornale di diritto amministrativo, 2017, 2, 241, sottolinea “un’intima contraddizione fra il riconoscimento costituzionale del diritto di difesa ed il contingentamento degli atti difensivi”. Analoghi accenti critici anche in E. Barbieri, L’abuso del “copia ed incolla” nel ricorso giurisdizionale amministrativo, in Rivista di diritto processuale, 2016, 1570.