Giurisdizione e acquisizione sanante: l’ennesima sciarada (nota a Cass., sez. I, ord. n. 29625/20)
di Giuseppe Tropea
Sommario: 1. Premessa. – 2. La questione rimessa alle Sezioni unite. 3. I diversi orientamenti giurisprudenziali sulla questione della giurisdizione in tema di indennizzo da acquisizione sanante. - 4. Le questioni aperte dopo l’assestamento del 2015. – 5. Provvisorie conclusioni … in attesa delle Sezioni unite
1. Premessa
L’ordinanza che si annota conferma l’idea, già espressa qualche anno fa, secondo cui «la tematica dell’acquisizione sanante si pone sempre più come questione di diritto processuale, ma al contempo continua a non rimanere avulsa da scenari più generali, posto che oggi il rispetto dei principi sanciti prima dalla Corte EDU, poi dalla Consulta, a garanzia del proprietario rispetto ad una espropriazione indiretta, passano soprattutto, a seconda dei casi, per la rigorosa applicazione e/o per l’affinamento di svariati istituti di matrice processuale»[1].
Si pensi al tema delicato del giudicato restitutorio e ai poteri del commissario ad acta. Secondo il Consiglio di Stato[2]la preclusione del giudicato restitutorio sussiste come regola generale, con alcune eccezioni individuate in modo più o meno netto[3]. La medesima sentenza, inoltre, ammette l’usucapione entro ristretti limiti[4] allo scopo di evitare che sotto mentite spoglie (i.e. alleviare gli oneri finanziari altrimenti gravanti sull'Amministrazione responsabile), si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta, in violazione dell'art. 1 del primo protocollo addizionale della Cedu.
Ancor più recentemente si è esclusa la configurabilità nel nostro ordinamento della rinuncia abdicativa quale atto implicito nella proposizione, da parte di un privato illegittimamente espropriato, della domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario derivante dall’illecito permanente costituito dall’occupazione di un suolo da parte della p.a., a fronte dell’irreversibile trasformazione del fondo[5]. Le ragioni a sostegno di tale opinione sono molto significative[6]. In particolare, si è osservato che la figura non è provvista di base legale in un ambito, quello dell’espropriazione, dove il rispetto del principio di legalità è richiamato con forza sia a livello costituzionale (art. 42 Cost.), sia a livello di diritto europeo. Si è ricordato, sotto questo profilo, che in materia di espropriazione indiretta occorre evitare di ricorrere a istituti che in qualche modo si pongano sulla falsariga della cd. occupazione acquisitiva, cui la giurisprudenza fece ricorso negli anni Ottanta del secolo scorso per risolvere le situazioni connesse a una espropriazione illegittima di un terreno che avesse tuttavia subìto una irreversibile trasformazione in forza della costruzione di un’opera pubblica.
Si prospetta, quindi, un coacervo di questioni generali strettamente avvinte, i cui nodi irrisolti determinano persistenti incertezze: non solo i rapporti fra diritto sostanziale e diritto processuale, né solo i rapporti fra diversi ordinamenti (nazionale ed europeo) in tema di proprietà[7], ma anche gli incerti confini tra diritto pubblico e diritto privato, anche in questa materia[8]. Si è detto dello spinoso tema dell’usucapione “sanante” e della rinuncia abdicativa. Ma il capo delle tempeste, vero e proprio crocevia di tutti questi rivoli d’indagine e problematicità, non poteva che essere il tema della giurisdizione. In questo caso i profili di ordine sostanziale ad essere chiamati in causa sono da un lato la natura dell’istituto dell’acquisizione sanante, dall’altro il rapporto tra indennizzi e risarcimenti contemplati all’art. 42 bis T.U. espropriazioni.
E così, la questione della giurisdizione si indirizza segnatamente proprio sugli indennizzi e i risarcimenti previsti all’art. 42 bis, che per il principio di concentrazione ed effettività della tutela (art. 7 c.p.a.) forse dovrebbero ricadere nella cognizione, ormai sempre più estesa (anche alla luce dell’abbandono della tesi della carenza di potere in concreto), del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva. E tuttavia sul punto si è andata formando una giurisprudenza che, sulla scia della fondamentale sentenza della Corte cost. n. 71/2015, ritiene che l’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001 preveda un autonomo, speciale ed eccezionale procedimento espropriativo, con la conseguenza che, ove detto procedimento sia stato legittimamente promosso, attuato e concluso, il corrispettivo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale liquidato con il provvedimento acquisitivo ha natura non già risarcitoria ma indennitaria, con l’ulteriore corollario che le controversie relative alla determinazione o alla corresponsione di esso sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario[9].
Anche in questo caso appare evidente il legame tra questione processuale e intima natura sostanziale dell’istituto dell’acquisizione sanante. È da tali premesse che è necessario partire per cogliere il parziale cambio di rotta suggerito dell’ordinanza interlocutoria che si annota, con la quale la Sez. I della Cassazione chiede alle Sezioni unite di rivedere l’orientamento consolidato per quanto attiene la fattispecie relativa alla quantificazione della somma di danaro da corrispondersi «a titolo risarcitorio» al proprietario in ragione dell’ablazione dell’area occupata (art. 42 bis, comma 3).
2. La questione rimessa alle Sezioni unite
La Sez. I, fermo restando che la giurisdizione sugli indennizzi spetta al g.o., contesta tale appartenenza nel caso del risarcimento per il danno nel periodo di occupazione senza titolo. L’indennizzo, come noto, riguarda il pregiudizio patrimoniale e quello non patrimoniale, determinato quest’ultimo nella misura del dieci per cento del valore venale del bene, sofferti dal proprietario destinatario del provvedimento di acquisizione. Senonché l’art. 42 bis, coma 3, stabilisce anche: «per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma».
Nell’orientamento giurisprudenziale precedente maturato si è ritenuto che anche questa posta rientrasse nella competenza funzionale della Corte di appello, sul presupposto che l’utilizzo della locuzione «a titolo di risarcimento del danno» fosse frutto di una «mera imprecisione lessicale che non altera la natura della corrispondente voce dell’indennizzo, il quale essendo unitario non può che avere natura unitaria»[10].
La Sez. I non condivide: la precedente interpretazione delle Sezioni unite, infatti, forzerebbe il dato letterale della norma, che parla di risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima[11]. Non rispetterebbe neanche la sistematica del risarcimento del danno in materia espropriativa, in quanto, per porsi in linea di continuità con la riconosciuta legittimità costituzionale dell’acquisizione sanante, finisce per concepire quest’ultima come una sorta di ombrello che tramuta – sotto la comune copertura indennitaria – in lecito ciò che precedentemente era illecito.
Con una serie di distonie sul piano processuale, come quella relativa alla legittimazione passiva, giocoforza limitata alla sola p.a. che ha adottato il provvedimento di acquisizione sanante accedendo alla tesi indennitaria, ovvero quella relativa all’onere della prova, di fatto sovvertito nella misura in cui l’assorbimento nella fattispecie pan-indennitaria finisce per elidere tale onere, da un lato in base alla giurisprudenza consolidata in tema di poteri giudiziali di determinazione dell’indennità di espropriazione[12], dall’altro enfatizzando la forfettizzazione presuntiva del danno.
Anche sul piano sostanziale vengono individuati degli importanti presupposti teorici che sottendono la tesi avversata: la «definizione di una sanzione della condotta della p.a. sostenuta da una lettura della funzione sociale della proprietà ex art. 42 Cost. che oblitera gli effetti redistributivi che si accompagnano al danno, quale costo da ripartirsi tra tutta la collettività, nella sola affermata necessità di salvaguardare il principio costituzionale di concentrazione della tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti ablatori».
Al fondo, quindi, si afferma l’estraneità della fase risarcitoria al procedimento espropriativo propriamente detto, e si prospetta una prevalenza di tale dato sostanziale rispetto ai principi di ragionevole durata e concentrazione delle tutele. Che, peraltro, come diremo non è detto che siano effettivamente meglio rispettati aderendo alla tesi sinora invalsa in giurisprudenza.
3. I diversi orientamenti giurisprudenziali sulla questione della giurisdizione in tema di indennizzo da acquisizione sanante
Invero la questione non è sempre stata pacifica, e ha dato luogo ad un contrasto di giurisprudenza, o, meglio, ad uno svolgimento in tre fasi[13].
In una prima fase si ritiene devoluto alla cognizione del g.o., ai sensi dell’art. 133, lett. g, c.p.a., l’indennizzo in parola. Si noti che sostiene tale esegesi anche la giurisprudenza amministrativa[14].
In seguito si segnalano pronunce in cui viene affermata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo[15]. Si argomenta, fra l’altro, nel senso della natura rimediale dell’indennizzo rispetto alla pregressa illegittimità: in tal senso esso apparirebbe non già proiettato al futuro in vista dell’ablazione del bene, ma ripiegato sull’illecito pregresso. A maggior ragione ciò varrebbe con riguardo al pregiudizio non patrimoniale, non collegabile ad un atto lecito[16]. Si aggiunge, sotto il profilo strettamente processuale, che nel caso dell’acquisizione sanante, a differenza di quello “fisiologico” dell’ordinario procedimento di esproprio, spesso il contenzioso avente ad oggetto il provvedimento adottato ai sensi dell’art. 42 bis coinvolge contestualmente an e quantum, sicché in questi casi i principi di ragionevole durata del processo e concentrazione delle tutela militerebbero a favore della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e non già della Corte d’appello, tanto più a fronte della riluttanza delle amministrazioni ad adottare il provvedimento di acquisizione sanante, dovuta all’insufficienza dei bilanci e al connesso obbligo di comunicazione alla Corte dei conti[17], che determina la contestuale valutazione di an e quantum in sede di ottemperanza, ove la giurisdizione esclusiva e di merito ne consentono il congiunto radicamento.
Dopo la sentenza della Corte cost. n. 71/2015 si afferma di nuovo, come si è già accennato, l’indirizzo favorevole alla giurisdizione del g.o., poiché l’acquisizione sanante è ormai da considerare, in modo costituzionalmente e convenzionalmente orientato, quale «procedimento espropriativo semplificato». Sicché oggetto della controversia non è l’operato illegittimo della p.a., bensì il legittimo provvedimento di acquisizione sanante, da cui il carattere indennitario del relativo ristoro. Peraltro si osserva che gli ulteriori argomenti posti a fondamento della "teoria risarcitoria" - cioè l'uso, da parte del legislatore, del termine “indennizzo” anzichè di quello “indennità”, e la previsione di tale indennizzo per il ristoro anche del “pregiudizio non patrimoniale” - appaiono intrinsecamente deboli: il primo, perchè presuppone una permanente, appropriata e precisa utilizzazione del lessico giuridico da parte del legislatore che, invece ad esempio, nello stesso art. 42 bis, comma 3, richiamando il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 (che reca la rubrica “Determinazione dell'indennità nel caso di esproprio di un'area edificabile”) per la determinazione dell'indennizzo in caso di provvedimento di acquisizione di aree edificabili, mostra evidentemente di utilizzare i due termini come sinonimi; il secondo perchè il ristoro del pregiudizio non patrimoniale, automatico e predeterminato nel quantum in una percentuale del valore venale del bene, è misura accessoria inidonea ad incidere, di per se sola, sul riparto di giurisdizione[18]. Anche in questo caso la giurisprudenza amministrativa si è tendenzialmente uniformata alle prese di posizione delle Sezioni unite successive al 2015[19].
4. Le questioni aperte dopo l’assestamento del 2015
Come conferma l’ordinanza qui commentata, tuttora sono rimaste aperte alcune delicate questioni.
Prima di tutto quella relativa a quale giudice, nell’ambito della giurisdizione ordinaria, sia competente per le controversie relative alla misura dell’indennità prevista in un provvedimento di acquisizione sanante. Sul punto si è ritenuto che il carattere eccezionale della previsione della competenza in unico grado della Corte d’appello non rappresenti nel caso di specie un vulnus alla regola generale della competenza del tribunale o del doppio grado di giurisdizione di merito, poiché nello specifico settore delle espropriazioni per pubblica utilità la legge espressamente prevede varie ipotesi di competenza in unico grado della Corte d’appello, oltre a quella della opposizione alla stima ai sensi dell’art. 54 T.U. espropriazioni, sicché tale competenza è da considerarsi quale regola generale per la determinazione giudiziale delle indennità dovute nell’ambito del procedimento espropriativo[20].
Vi sono poi alcune questioni più strettamente processuali, riguardanti le specificità trattate nell’ordinanza qui commentata, che si sofferma sulla somma a titolo risarcitoria individuata al comma 3 dell’art. 42 bis.
Innanzi tutto il tema dell’onere probatorio, nel caso di pregressa occupazione illegittima (rispetto alla giurisprudenza consolidata sui poteri officiosi del giudice nel caso di indennizzo). L’opportunità di differenziare le due ipotesi di indennizzo previste ai commi 1 e 3 dell’art. 42 bis dalla somma a titolo risarcitorio prevista dal comma 3, secondo alinea, della medesima disposizione, a ben guardare si intravede già nel fatto che, una volta superata la tesi risarcitoria, anche in quest’ultimo caso dovrebbe applicarsi l’orientamento della Cassazione secondo cui il giudice procede autonomamente alla determinazione dell'indennità di espropriazione, senza essere vincolato dalle prospettazioni delle parti, qualificate anche come «indicazioni», o meri «punti di vista»[21].
Appare però non agevole applicare questa peculiare impostazione nel caso di pregiudizio per occupazione illegittima diverso da quello forfettizzato dalla legge in un ventesimo per anno dal valore venale del bene; qui, infatti, sembra più in linea coi principi generali che sia la parte interessata a dover prima dedurre e poi provare i fatti a sostegno della propria domanda. Non stupisce, quindi, che proprio nell’ordinanza qui annotata i giudici si pongano questo problema evidenziando che la forfettizzazione presuntiva del danno non può escludere modifiche sia in melius sia in peius nello scrutinio della posizione del privato.
Vi è poi il tema del principio di ragionevole durata e concentrazione delle tutele. Senza qui indugiare su come negli anni la ragionevole durata abbia ispirato nei giudici di legittimità interpretazioni spesso discutibili, fondate su una valorizzazione eccessiva del principio a scapito di regole processuali precise e del principio di legalità in materia processuale[22], il punto è che nel nostro caso non sembra neanche così scontato che la piena realizzazione di tale principio passi per la giurisdizione del g.o. e la competenza della Corte d’appello.
Invero la Cassazione nell’annotata ordinanza sembra continuare a crederlo, nella misura in cui però subordina tale principio alla coerenza con l’assetto sostanziale della materia, valorizzando l’estraneità della fase risarcitoria rispetto al procedimento espropriativo propriamente detto, che nella specie si estrinseca tramite acquisizione sanante.
E, tuttavia, non sempre è così. La giurisprudenza amministrativa appare particolarmente sensibile a questo problema, e ha finito per individuare talune “zone franche” che residuano nella giurisdizione esclusiva, anche accedendo alla tesi pan-indennitaria. Si tratta dei casi di interferenza con il giudicato, qualora il provvedimento ex art. 42 bis si innesti su una precedente decisione del giudice amministrativo che abbia specificamente dettato, ad esempio, i criteri specifici per valutare il valore venale del fondo. Secondo tale orientamento laddove si lamenti che l’amministrazione, nell’emettere il provvedimento ex art. 42 bis, si sia discostata dalla specifica indicazione valoriale scolpita nella decisione giudiziale, effettivamente si potrebbe sostenere che la successiva vicenda processuale concerna il doveroso controllo in sede di ottemperanza di decisioni nell’ambito delle quali erano state indicate dal giudice della cognizione le coordinate cui l’amministrazione intimata avrebbe dovuto attenersi anche laddove avesse ritenuto di emettere il provvedimento ex art. 42 bis[23].
Tale impostazione vanta una sana dose di realismo sulle modalità operative dell’istituto di cui all’art. 42 bis, e sulla centralità che rispetto ad asso hanno assunto in sede contenziosa i riti speciali del silenzio e dell’ottemperanza dinanzi al g.a. Senonché, a darle rigorosa coerenza di sviluppo, essa porterebbe a un possibile recupero dell’impostazione “rimediale”, che come si è detto ha già evidenziato la frequente compresenza nel contenzioso sull’acquisizione sanante di questioni indennitarie, e la notevole ricorrenza delle ipotesi di ottemperanza in materia, sicché si potrebbe dire, al contrario di quanto sostiene la Cassazione anche nell’ordinanza qui commentata, che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nell’intero arco di rimedi patrimoniali e non apprestati dall’art. 42 bis, eviterebbe la necessità di adire due giurisdizioni, e la sospensione del giudizio sull’indennizzo per pregiudizialità[24].
5. Provvisorie conclusioni … in attesa delle Sezioni unite
La soluzione prospettata dalla Cassazione, in questo senso, appare condivisibile, ma per ragioni forse opposte rispetto a quelle addotte.
A leggere l’ordinanza ci si chiede, infatti, se il diritto sostanziale debba prevalere sul principio di concentrazione delle tutele, con una propensione dei giudici per tale soluzione.
Al contrario, si potrebbe concludere a favore della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle poste risarcitorie muovendo più dal dato processuale che dal dato sostanziale.
Di fatti, appare ormai superata l’equiparazione fra attività illecita e risarcimento, come dimostrano i sempre più numerosi casi problematici di indennizzi da attività illecita, di cui alcuni argomentano con una certa ragione le finalità sanzionatorie[25], dalle quali viceversa l’annotata ordinanza vuole discostarsi.
D’altra parte, pure a voler parlare di indennizzo e non di risarcimento, come nella lettera della legge, si pone comunque il problema fondamentale della distinzione e dell’autonomia col procedimento espropriativo “semplificato” rappresentato dall’acquisizione sanante. Distinzione prospettata ancora dalla Sez. I della Cassazione, che peraltro ne evidenzia una natura riparatoria e non sanzionatoria, ma in effetti distonica rispetto alla non agevole operazione di “salvataggio” compiuta da Corte cost. n. 71/2015, allorquando la fattispecie venne inquadrata in modo unitario come «procedimento espropriativo semplificato».
Da un punto di vista processuale, invece, sembrano convincenti i rilievi della Sez. I circa la legittimazione passiva e la prova del danno, in quanto maggiormente in linea con il principio della domanda. Peraltro, il principio di concentrazione non è detto abbia a risentirne, perché la giurisdizione del g.a., salvo il caso di occupazione usurpativa, sarebbe legata alla giurisdizione del g.a. sul provvedimento di acquisizione sanante[26]. D’altra parte, se si accoglie tale impostazione, si ripropone il problema di un’effettiva concentrazione, e sarebbe forse corretto ritornare all’esegesi integralista del 2014 sposata per un breve periodo dal Consiglio di Stato, che ha offerto solide ragioni per una integrale concentrazione delle poste individuate dall’art. 42 bis in capo al g.a.
Viene prima il diritto sostanziale o quello processuale?[27] Ecco l’ennesima sciarada offerta dall’enigmatico istituto dell’acquisizione sanante.
Attendiamo con interesse le Sezioni unite per un’autorevole risposta.
[1] G. Tropea, Le persistenti “valvole di sicurezza del sistema”: l’acquisizione sanante come questione di stretto diritto processuale)?, in Dir. proc. amm., 2016, 636. Per una chiara esposizione sulle origini dell’istituto v. M. Conticelli, L’acquisizione sanante, in Dig. disc. pubbl., Agg. VII, 2017, Torino, 1 ss.
Sulle più recenti questioni in tema si v. anche l’intervista di R. Conti a R. Caranta, F. Goisis, G. Tropea, Cedu e cultura giuridica italiana 9. La Cedu e il diritto amministrativo, in questa Rivista, 5 marzo 2020.
[2] Cons. Stato, Ad. plen., 9 febbraio 2016, n. 2.
[3] i) Quando il privato non ha interesse reale ed attuale alla tutela reipersecutoria, e non propone quindi una rituale domanda di condanna dell’amministrazione alla restituzione previa riduzione in pristino; ii) quando il proprietario ha interesse alla restituzione ma il giudice non si pronuncia sulla relativa domanda o si pronuncia «in modo insoddisfacente»; iii) quando il giudice amministrativo, ferma restando l’impossibilità di condannare direttamente in sede di cognizione l’amministrazione a emanare tout court il provvedimento in questione, imponga all’amministrazione, eventualmente anche nel rito sul silenzio, di decidere — ad esito libero, ma una volta e per sempre, e nel rispetto delle garanzie sostanziali e procedurali — se intraprendere la via dell’acquisizione ex art. 42 bis ovvero abbandonarla in favore di altre soluzioni (restituzione del fondo, accordo transattivo, etc.).
[4] A condizione che: i) sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta; ii) si possa individuare il momento esatto della interversio possesionis; iii) si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del t.u. perché solo l'art. 43 del medesimo t.u. aveva sancito il superamento dell'istituto dell'occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Prima della pronuncia, buona parte della dottrina si era espressa in toni critici. Cfr. R. Pardolesi, Occupazione appropriativa, acquisizione sanante, usucapione e valvole di sicurezza, nota a Cons. Stato, sez. IV, 3 luglio 2014, n. 3346, in Foro it., 2014, III, 590 ss.
[5] Cons. Stato, Ad. plen., 20 gennaio 2020, n. 2.
[6] La figura della rinuncia abdicativa, oltre a quanto osservato supra nel testo: i) non spiega esaurientemente la vicenda traslativa in capo all’Autorità espropriante; ii) viene ricostruita quale atto implicito, secondo la nota dogmatica degli atti impliciti, senza averne le caratteristiche essenziali.
[7] Cfr. F. Manganaro, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il diritto di proprietà, in Dir. amm., 2008, 379 ss.
[8] Cfr. V. Cerulli Irelli, Amministrazione pubblica e diritto privato, Torino, 2012.
[9] «L’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale per la perdita del diritto di proprietà all'esito — nell'ambito di un apposito procedimento espropriativo, del tutto autonomo rispetto alla precedente attività della stessa amministrazione — del peculiare provvedimento di acquisizione ivi previsto, non ha natura risarcitoria ma indennitaria, con l'ulteriore corollario che le controversie aventi ad oggetto la domanda di determinazione o di corresponsione dell'indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario». Così Cass., Sez. un., 25 luglio 2016 n. 15283, che ha affermato la competenza in unico grado della Corte d'Appello; Id., 29 ottobre 2015 n. 22096. In particolare, la Cassazione nella citata sentenza delle Sez. un., 29 ottobre 2015 n. 22096, ha sottolineato la natura espropriativa del nuovo istituto dell'acquisizione sanante, «innestato su un precedente procedimento espropriativo irrimediabilmente viziato (commi 1 e 2, primo periodo) o, comunque, fondato su titolo astrattamente annullabile sub judice (comma 2, secondo periodo)»; ha precisato che, «quanto alla disciplina del riparto di giurisdizione tra Giudice ordinario e Giudice amministrativo ... tale natura determina la piena riconducibilità dell'istituto alle ... disposizioni di cui all'art. 133, comma 1, lett. g), c.p.a., ed all'art. 53 del d.p.r. n. 327 del 2001» e che l'art. 42 bis consente di prefigurare quantomeno due grandi categorie di controversie, a seconda che il loro oggetto sia costituito dalla denuncia di illegittimità del provvedimento di acquisizione e dalla eventuale consequenziale richiesta di risarcimento del danno, oppure dalla domanda di determinazione o di corresponsione dell'indennità, rientranti nella giurisdizione, rispettivamente, del giudice amministrativo e di quello ordinario. La Cassazione ha affrontato la preliminare questione della natura indennitaria o risarcitoria dell'indennizzo, aderendo alla prima ricostruzione sulla base dei chiarimenti forniti dalla Corte costituzionale nella sentenza 30 aprile 2015 n. 71. La Consulta — nel respingere le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione agli artt. 3, 24, 42, 97, 111, 113 Cost. — ha infatti qualificato, in discontinuità con il passato, il nuovo istituto come una «sorta di procedimento espropriativo semplificato, che assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, e quindi sintetizza uno actu lo svolgimento dell'intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma». Pertanto, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia proposta dal privato proprietario di un fondo per l'annullamento della delibera con la quale la p.a., che lo aveva illegittimamente occupato, ne ha disposto l'acquisizione sanante, ove la controversia attenga esclusivamente alla quantificazione dell'importo dovuto in applicazione di detto articolo, non venendo in contestazione l'utilizzo, da parte dell'Amministrazione, di tale strumento né la legittimità dello stesso in relazione alla sussistenza dei presupposti normativamente previsti per la emanazione di un provvedimento di acquisizione sanante: Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2015 n. 5530; Id., Sez. IV, 15 settembre 2016 n. 3878; Id., Sez. IV, 1 marzo 2017 n. 941.
[10] Cass., Sez. un., 25 luglio 2016 n. 15283.
[11] In tal senso, in dottrina, v. già R. Conti, Diritto di proprietà e Cedu. Itinerari giurisprudenziali europei. Viaggio fra carte e corti alla ricerca di un nuovo statuto proprietario, Roma, 2012, 180, il quale evidenzia la distonia fra l’espressione “indennizzo” e l’espressione “risarcimento”, arrivando peraltro a ritenere che lo stesso uso del termine “indennizzo” vada letto alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale volta a parificare dal punto di vista sostanziale l’indennità espropriativa al risarcimento del danno da occupazione appropriativa.
[12] Nella giurisprudenza della Cassazione è consolidato l'indirizzo secondo il quale il giudice procede autonomamente alla determinazione dell’indennità di espropriazione, senza essere vincolato dalle prospettazioni delle parti, qualificate anche come «indicazioni», o meri «punti di vista». Si v. Cass. 9 ottobre 2019, n. 25381, Id., 6 giugno 2018, n. 14632.
[13] Cfr. R. Artaia, La giurisdizione in materia di indennizzo da acquisizione sanante, in Urb. app., 2016, 398 ss.
[14] Cons. Stato, sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4445; Id., 29 agosto 2013, n. 4318; Id., 25 giugno 2013, n. 3455.
[15] Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 2014, n. 993.
[16] Sul tema, da ultimo, v. A. Scarpa, Lesione della proprietà e risarcimento del danno non patrimoniale, in Giust. Civ., 2019, 353 ss.
[17] Aspetto che, a sua volta, è causa di frequenti delicate questioni giuridiche, come i poteri in materia del giudice del silenzio e quelli del commissario ad acta. Si v. M. Mazzamuto, Il fantasma dell’occupazione appropriativa tormenta i giudici amministrativi, nota a Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2012, n. 1514, in Giur. it., 2012, 2668 ss.
[18] Cass., Sez. un., 29 ottobre 2015, n. 22096.
[19] Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2015, n. 5530; TAR Sardegna, sez. II, 12 gennaio 2016, n. 13; Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 7 febbraio 2017, n. 151.
[20] Cass., Sez. un., 29 ottobre 2015, n. 22096.
[21] Cass., sez. I, ord. 25 giugno 2020, n. 12619: «Nei giudizi per la determinazione dell'indennità di esproprio, il giudice ha il potere-dovere di individuare il criterio legale applicabile alla procedura ablatoria sulla base delle caratteristiche del fondo espropriato, senza essere vincolato dalle prospettazioni delle parti, né alla quantificazione, neppure necessaria, della somma eventualmente contenuta nell'atto introduttivo del giudizio, dovendo questa essere liquidata in riferimento a detti criteri, con conseguente accoglimento o rigetto della domanda a seconda che venga accertata come dovuta un'indennità maggiore o minore di quella censurata».
[22] Si v., per tutti, G. Verde, Il processo sotto l’incubo della ragionevole durata, in Riv. dir. proc., 2011, 505 ss.; R. Villata, La giurisdizione amministrativa e il suo processo sopravviveranno ai «Cavalieri dell’apocalisse»?, in Riv. dir. proc., 2017, 106 ss.
[23] Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2016, n. 1910; TAR Marche, sez. I, 24 luglio 2019, n. 508.
[24] Così, infatti, Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 2014, n. 993.
[25] Cfr. A. Giannelli, Indennizzi da attività illecita delle pubbliche amministrazioni: una nuova “rete di contenimento”?, in Dir. soc., 2020, 509.
[26] Si è visto come in alcuni casi la giurisprudenza ha ritenuto sussistente la giurisdizione esclusiva del g.a., in caso di ottemperanza.
[27] Sul punto sono sempre meritevoli d’estrema attenzione le recenti osservazioni, favorevoli alla prima prospettiva, di R. Villata, Processo amministrativo, pluralità delle azioni, effettività della tutela, in corso di pubblicazione negli Scritti in onore di F.G. Scoca, che il chiaro Autore mi ha cortesemente consentito di leggere in anteprima.