Scuola, regioni e COVID-19. Sviluppi giurisprudenziali.
di Clara Napolitano
Sommario: 1. Gli interventi del Giudice amministrativo territoriale. – 2. Il caso Piemonte. – 3. Il caso Calabria. – 4. Spunti conclusivi.
1. Gli interventi del Giudice amministrativo territoriale.
Il tema del contrasto tra salute e istruzione e del complesso bilanciamento dei diritti fondamentali aventi per oggetto questi due beni continua a essere oggetto di pronunce giurisdizionali.
Il rapporto tra le istanze tese alla riapertura delle scuole e quelle che, invece, sono a questa contrarie in ragione di esigenze di tutela della salute di chi vi studia e vi lavora, nonché delle loro famiglie, è variamente composto dalle ordinanze regionali che regolano lo spazio loro concesso dai d.p.c.m. e dai decreti-legge che ne costituiscono la fonte primaria.
Il fondamento giuridico del potere generale dei vertici degli enti territoriali – regionale o comunale – di disporre in materia di igiene e sanità pubblica è sito nell’art. 32, l. 23 dicembre 1978, n. 833, che consente ai presidenti della giunta regionale e ai sindaci di emanare ordinanze contingibili e urgenti, «con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale».
A ciò si aggiunge il potere loro specificamente attribuito di derogare alle norme di fonte statale in materia di Covid-19: inizialmente profilato in maniera estremamente limitata, per cui nelle more dell’adozione dei d.p.c.m., e con efficacia limitata fino a quel momento, le Regioni potevano introdurre misure restrittive ma soltanto «in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso» ed «esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale»[1]; poi ampliato «per garantire lo svolgimento in condizioni di sicurezza delle attività economiche, produttive e sociali», sicché le Regioni possono, sulla base di monitoraggi quotidiani delle curve epidemiologiche che interessano il loro ambito territoriale, «introdurre misure derogatorie restrittive» rispetto a quelle statali, «ovvero anche ampliative»[2].
Il quadro normativo tenta dunque di operare un inquadramento dei poteri regionali – anche nella materia sanitaria, di competenza concorrente – impedendo a questi enti di disporre in modo confliggente con la fonte statale ma conferendo loro poteri derogatori in relazione alle specifiche realtà territoriali, purché teleologicamente orientati a consentire lo svolgimento in sicurezza delle attività (dunque, non a impedirle) e solo ove strettamente necessari, implicando così un peculiare onere motivazionale dei provvedimenti delle Regioni.
La materia della scuola costituisce un punto nevralgico e sensibile: se non altro per il comune sentire, che parrebbe tollerare un rallentamento – o anche una sospensione – delle attività economiche, ma non di quelle didattiche e formative, evidentemente ritenute “più fondamentali” delle altre, e dunque incomprimibili. Diverso però è l’orientamento delle Amministrazioni territoriali regionali, le quali fanno un uso del principio di precauzione abbastanza marcato e dunque – in ragione della tutela della salute e della sicurezza pubblica – dispongono misure più restrittive di quelle statali in materia scolastica: mentre i d.p.c.m. non impongono la chiusura delle scuole, ma tentano di contemperare la prosecuzione delle attività didattiche con le esigenze di tutela della salute tramite apertura degli istituti scaglionata e limiti percentuali alle ore di formazione erogate anche a distanza, le ordinanze regionali sono più radicali e provvedono – almeno per le fasce d’età più giovani – alla chiusura degli istituti scolastici e alla predisposizione di piattaforme per la cosiddetta DaD.
Un equilibrio, è evidente, di difficile composizione: che conduce a un fiorente contenzioso giurisdizionale e che ha visto pronunciarsi sul punto diversi Giudici amministrativi territoriali[3], i quali offrono un quadro complessivo che può compendiarsi come segue.
Anzitutto, sotto il profilo processuale, la peculiarità delle situazioni giuridiche tutelate consentirebbe un utilizzo dei mezzi del processo inusuale, ampliando i casi di ammissibilità di domande cautelari (anche in secondo grado) di tipo monocraticoex art. 56 c.p.a.: un criterio, questo, che sembra suggerire che vi siano diritti “più fondamentali di altri”.
Sotto il profilo sostanziale, lo scrutinio dei Giudici territoriali – quello leccese ne costituisce un fulgido esempio – si avvicina moltissimo al merito del bilanciamento operato dalle Regioni, pur senza sostituirsi a esse. Più in generale, l’ingresso nelle valutazioni amministrative è effettuato tramite l’utilizzo del principio di precauzione e di proporzionalità, nonché – da un angolo visuale più squisitamente tecnico – tramite l’esame della motivazione delle ordinanze, che fa rinvio ai dati epidemiologici monitorati per brevi finestre temporali. L’impressione che se ne ricava è che la sospensione della didattica in presenza nelle scuole è un provvedimento talmente forte che la sua motivazione dev’essere tecnicamente affidabile, approfondita e conoscibile a tutti, nonché sempre aggiornata. Altrimenti le ordinanze sono illegittime per vizio motivazionale e per violazione del principio di proporzionalità.
Ma – come detto in apertura – il percorso giurisprudenziale prosegue. Due gli ultimi interventi: quello del Giudice amministrativo piemontese e quello del Tribunale calabrese, esaminati in quest’ordine per criterio puramente cronologico.
2. Il caso Piemonte.
Con sentenza semplificata il Tar Piemonte[4] si è pronunciato sull’impugnazione di un decreto, il n. 132 del 28 novembre 2020, con il quale il Governatore della Regione ha ordinato la sospensione dell’attività didattica in presenza per le classi seconde e terze delle scuole secondarie di primo grado (rectius, scuole medie), sostituendola con quella a distanza fino al 23 dicembre 2020.
Secondo i ricorrenti, se quelle misure – in un primo momento – erano in linea con le disposizioni di fonte statale[5] in ragione della collocazione del Piemonte nella c.d. zona rossa, la successiva “declassificazione” della medesima Regione da rossa ad arancione[6] avrebbe richiesto la ripresa della didattica in presenza e, dunque, misure regionali meno rigide.
Il Tribunale motiva la reiezione del ricorso sulla base di un iter logico che guarda prima all’an e poi al quomodo del potere regionale in materia di igiene e pubblica sicurezza.
Il Giudice amministrativo ribadisce, anzitutto, che il sistema delle fonti nella gestione dell’emergenza consente espressamente un potere derogatorio in pieus da parte delle Regioni rispetto alle disposizioni statali: non v’è, dunque, una unilateralità del sistema per cui il livello statale prevale su tutti i livelli di governo inferiore. Anzi, al contrario, le Regioni hanno un pieno potere di deroga, tanto in pejus quanto in melius[7]. Addirittura, mentre il potere di deroga in senso restrittivo è generalizzato, richiedendo solo la previa comunicazione delle misure peggiorative al Ministero della Salute, quello in senso migliorativo è limitato a ipotesi tassative e prevede anche un iter procedimentale aggravato, richiedendo la previa intesa con il Ministero medesimo. Ciò «a riprova del fatto che la ratio immanente al sistema emergenziale delle fonti privilegia le misure più contenitive, mentre irreggimenta in un fitto reticolo di cautele l’eventuale allentamento dei regimi ad iniziativa delle Regioni».
Dal quadro normativo statale emerge che i presupposti della legislazione emergenziale cui viene subordinato l’esercizio del potere regionale in senso più restrittivo sono invariabilmente ricollegati all’evoluzione del quadro epidemiologico: oltretutto, ex art. 1, comma 16, d.l. n. 33/2020, i poteri derogatori sono declinati, sul versante temporale, in termini di cedevolezza rispetto al successivo intervento di decretazione a livello nazionale del Presidente del Consiglio dei ministri. Il sistema regolatorio è multi-livello e ha una «efficacia interinale la cui regìa generale resta intestata all’autorità statale che decide, volta per volta, il nuovo regime di default su cui possono giustapporsi le autorità regionali secondo il regime di derogabilità differenziato» a seconda delle curve epidemiologiche.
Nell’ottica del Giudice amministrativo, quindi, la Regione Piemonte ha esercitato un potere derogatorio in pejus del quale dispone, in applicazione del sistema delle fonti profilato nell’emergenza, e lo ha esercitato in conformità ai limiti previsti dal combinato disposto dei dd.ll. n. 19 e 33 del 2020, avendo anche ampiamento motivato le misure restrittive con riferimento all’andamento della situazione epidemiologica nel territorio piemontese («un indicatore Rt puntuale pari a 0,89 con classificazione complessiva di rischio moderata con probabilità alta di progressione a rischio alto»).
Quanto, poi, al quomodo del potere derogatorio. Qui il punto nevralgico sta nell’analisi della correlazione tra didattica a distanza e decremento dei contagi (o, viceversa, tra didattica in presenza e incremento dei contagi). Su questo il Giudice è da subito molto chiaro: nessuna parte può utilmente argomentare circa la correlazione tra i due fattori, per il semplice fatto che non esiste una copertura scientifica che ne provi l’esistenza nemmeno in via probabilistica o statistica.
In difetto, dunque, di una evidenza scientifica consolidata, il fulcro argomentativo del Tribunale sta nell’esame della discrezionalità amministrativa esercitata dalla Regione in ossequio al principio di precauzione.
Dopo una qualificazione ermeneutica del principio, che ne ripercorre le origini comunitarie nella materia dell’ambiente e ne traccia la potenzialità espansiva anche in altri ambiti regolativi, il Giudice piemontese fa proprio il consolidato orientamento giurisprudenziale ai sensi del quale «l’attuazione del principio di precauzione comporta […] che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche»[8]. Il principio, insomma, obbliga le pp.AA. a evitare e prevenire per quanto possibile il rischio (non il pericolo, già più probabile e verificato scientificamente) individuato a seguito di una «preliminare valutazione scientifica obiettiva».
Questa valutazione consiste in un «ragguardevole novero» di pareri proveniente da esperti dell’ambito sanitario-amministrativo per i quali l’incremento della frequenza in presenza avrebbe potuto indurre un aumento dei contagi: non una circostanza verificata, ma un pericolo plausibile.
La scelta della Regione, pertanto, appare logica laddove motiva che – per assicurare un alto livello di protezione in ossequio al principio di precauzione – l’attenuazione del rischio di diffusione del virus si possa attuare mantenendo il ricorso alla didattica digitale integrata. Il punto di sintesi raggiunto dalla Regione corrisponde a una scelta indubbiamente discrezionale, non vincolata dalla legge né necessitata dalle condizioni di contesto, tanto che non sarebbe stata doppiata in altre contesti regionali, senonché non può bollarsi come irragionevole o illogica, visto il solido ancoraggio logico-epistemologico al principio di precauzione e il grado di corroborazione fornita dai pareri scientifico-sanitari su cui si è basata.
Il Giudice piemontese affonda ancor di più nell’analisi, operando un – pur inespresso – test di proporzionalità delle misure restrittive della Regione: queste non sono assolute, prevedono deroghe per specifiche categorie di studenti, prevedono modalità compensative di erogazione della didattica; sono accompagnate da misure economiche che sostengono le famiglie nell’acquisto di devices in modo da compensare il c.d. digital divide; sono soltanto alcune tra la panoplia di misure restrittive che – per il rischio di contagio – non colpiscono solo il settore scolastico, ma in genere tutte le attività che interferiscono con la protezione della salute.
Ciò ne sancisce definitivamente la legittimità. Nondimeno, il Giudice si premura di rimarcare che l’eventuale futura declassificazione del livello di rischio della Regione – nel passaggio a c.d. zona gialle – comporterà un onere motivazionale aggravato per il mantenimento di misure derogatorie in pejus, specie in materia di didattica scolastica.
3. Il caso Calabria.
Ben diverso l’esito di una controversia analoga instaurata dinanzi al Giudice calabrese[9], il quale – con ampia e motivata sentenza – ha accolto il ricorso avverso l’ordinanza della Regione Calabria n. 87 del 14 novembre 2020, nella parte in cui ordina sull’intero territorio regionale, dal 16 novembre 2020 a tutto il 28 novembre 2020, la sospensione in presenza di tutte le attività scolastiche di ogni ordine e grado, con ricorso alla didattica a distanza, rimettendo in capo alle autorità scolastiche la rimodulazione delle stesse.
Anche in questo caso i gangli argomentativi concernono il fondamento e i limiti del potere di ordinanza introduttiva di misure derogatorie in pejus da parte delle Regioni; l’applicazione del principio di precauzione; la proporzionalità delle misure medesime. Come detto, l’analisi di questi tre aspetti conduce a un esito accoglitivo del ricorso.
La disamina sull’an, prima di tutto, s’inserisce in una cornice che limita il potere di ordinanza contingibile e urgente ai soli casi tassativi di pericolo di un danno grave e irreparabile. Limitare la portata del potere di ordinanza ne costituisce la condizione di esercizio legittimo in ossequio al principio di legalità in senso sostanziale.
Il Giudice calabrese individua il pericolo di un potere di ordinanza sostanzialmente “in bianco”, retto da disposizioni normative che ne definiscono solo il profilo teleologico; per far ciò, opera un utile richiamo alla nota sentenza della Consulta, n. 115/2011, la quale – in relazione al potere di ordinanza sindacale ex art. 54, comma 4, T.U.E.L. – tentò di scongiurare il pericolo di un utilizzo di quel potere senza una efficace copertura legislativa: «[Q]uesta Corte ha affermato, in più occasioni, l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente “l’assoluta indeterminatezza” del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l’effetto di attribuire, in pratica, una “totale libertà” al soggetto od organo investito della funzione […]. Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa». La disposizione costituzionale di riferimento era costituita dall’art. 23 Cost., il quale istituisce una riserva di legge per le attività amministrative che limitano la libertà dei cittadini: «[I]l carattere relativo della riserva de qua non relega tuttavia la legge sullo sfondo, né può costituire giustificazione sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto al mero richiamo formale ad un prescrizione normativa “in bianco”, genericamente orientata ad un principio-valore, senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell’azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini»[10].
Sicché la legge deve determinare contenuto e modalità del potere e degli atti per evitare l’assoluta indeterminatezza di quanto attribuito all’autorità amministrativa, nelle ipotesi “emergenziali”, in deroga al principio di legalità sostanziale.
Ciò esclude, pertanto, che le ordinanze contingibili e urgenti, di per sé dotate di portata derogatoria del principio di legalità, possano essere emanate al di fuori degli stretti presupposti di emergenza, e dunque in situazioni permanenti o, ormai, prevedibili: l’intervento con ordinanza deve rivelarsi indispensabile, suffragato da adeguata istruttoria e approfondita motivazione circa lo stato di pericolo effettivo che intende affrontare.
Il Giudice, dunque, puntualizza la necessità di una situazione di stretta indispensabilità per derogare alle disposizioni dell’ordinamento statale e al principio di legalità da parte di enti territoriali sub governativi: i quali, specifica ancora, non hanno potere provvedimentale extra ordinem in ambiti di competenza che esulino dalla ripartizione di cui agli artt. 117 e 118 Cost., a meno di una norma che espressamente li autorizzi in via del tutto eccezionale.
In relazione alle ordinanze regionali in materia sanitaria nell’ambito di emergenza Covid-19, l’analisi si diffonde sul quadro normativo in continua evoluzione[11], il quale restituisce un potere delle Regioni di provvedere in senso più restrittivo rispetto agli standard statali nell’ambito di limiti ben precisi: solo cioè in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio e con limitazione di efficacia temporale di tali interventi sino alla adozione del successivo d.p.c.m.
Lo conferma la disposizione applicabile ratione temporis: il d.p.c.m. 3 novembre 2020 prevede infatti l’ordinaria erogazione dell’attività didattica ed educativa per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione (articolato come noto nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado); mentre, in relazione alle aree del territorio nazionale caratterizzate da uno scenario di massima gravità e da un livello di rischio alto (c.d. zone rosse) come la Calabria, per effetto dell’Ordinanza del Ministro della Salute del 4 novembre 2020, prevede in via più restrittiva «lo svolgimento in presenza della scuola dell’infanzia, della scuola primaria, dei servizi educativi per l’infanzia di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65 e del [solo] primo anno di frequenza della scuola secondaria di primo grado».
Quanto alla fattispecie sottoposta al suo vaglio, il Giudice amministrativo della Calabria individua profili di spiccata illegittimità nel provvedimento impugnato per carenza motivazionale: i dati in esso richiamati, infatti, non trovano alcun riferimento in verbali, pareri o altri atti conosciuti. La stessa Amministrazione – rileva il Tribunale – non ha prodotto in giudizio i documenti che giustificherebbero la sospensione su tutto il territorio regionale di tutte le attività scolastiche di ogni ordine e grado.
Sotto il profilo del deficit motivazionale, poi, il provvedimento regionale non dà specificamente conto di quelle precipue specifiche situazioni sopravvenute rispetto al d.p.c.m. del 3 novembre 2020 di aggravamento del rischio sanitario nel territorio regionale che da un lato legittimano l’intervento in termini più restrittivi del quadro statale e che dall’altro ne condizionano l’esercizio.
La carenza istruttoria – che si riflette poi sul piano della motivazione di quell’ordinanza – rivela l’esiguità dell’attenzione sul dato medico-scientifico della asserita correlazione tra frequenza scolastica e aumento dei contagi: un dato – come rilevato anche dal Tar Piemonte – non provato né suffragato da evidenze certe. La Regione ha pertanto errato nel non tenere– e nel non dare – conto della situazione territoriale, stante la già attuata misura statale di contenimento della frequenza nelle scuole medie e superiori (comunemente le più esposte al contagio) e il passaggio stagionale dall’estate all’autunno quale momento di maggior circolazione del virus: una situazione che, incoerentemente nel testo della stessa ordinanza, consente di rilevare un basso tasso d’incidenza del Covid-19 sulla popolazione regionale.
Resta, dunque, scoperto da qualsivoglia istruttoria il provvedimento sospensivo adottato nei confronti della popolazione scolastica delle scuole primarie: la quale è, pertanto, sacrificata da un atto sproporzionato nel suo contenuto dispositivo e non sorretto da adeguata motivazione, bensì solo da un generico riferimento alla possibile problematicità delle scuole dell’infanzia e primarie quali luoghi di aggregazione nei quali «il rispetto del distanziamento interpersonale è complicato e la possibilità di trasmissione del contagio di origine domiciliare è amplificata». Un assunto, questo, non sorretto da evidenze scientifiche, che rivela una pura valutazione precauzionale dell’Asp e che va a sovrapporsi a quelle già compiute dalla Autorità statale cui, secondo l’impianto normativo dei dd.ll. e dei d.p.c.m., è riservata la competenza, anche in ragione della possidenza di plurime e più attrezzate competenze.
Il principio di precauzione è stato qui utilizzato in modo sbilanciato; «oltre ogni limite», dice il Tribunale: porta, dunque, al blocco delle attività. Senza tener conto – come rileva il Giudice – che nel caso di specie le scuole si erano già tutte attrezzate per contenere eventuali focolai.
Il provvedimento rivela poi l’incoerenza dell’Ente regionale, il quale aveva pure impugnato l’ordinanza ministeriale che includeva la Calabria tra le zone rosse.
Ancora, il provvedimento difetta d’istruttoria laddove non tiene conto della difformità tra i diversi territori della regione, specie tra piccoli e grandi centri, circa l’utilizzo dei mezzi pubblici da parte dei più piccoli e del grave deficit di digitalizzazione che rende praticamente impossibile usufruire della didattica a distanza.
Quanto, poi, alla violazione del principio di proporzionalità, l’analisi giurisdizionale si sofferma sul diritto alla salute e sul suo “peso” rispetto agli altri diritti costituzionalmente tutelati. A questo proposito il Giudice si allinea alle note statuizioni della Consulta nel caso ILVA[12]: il diritto alla salute ha un valore primario poiché la sua tutela costituisce il presupposto essenziale perché i cittadini possano esercitare anche gli altri diritti sanciti in Costituzione; questo, tuttavia, non ne decreta un ruolo necessariamente preponderante – o “tiranno” – ma obbliga pur sempre la Repubblica a cercare una mediazione, a bilanciarlo con gli altri diritti, quali – per esempio – quello al lavoro o all’istruzione.
Questo deve spingere le pubbliche Autorità a cercare sempre, o almeno in prima battuta, un punto d’equilibrio tra le esigenze di protezione della salute e quelle di garanzia dell’istruzione, le quali peraltro vengono “poco dietro” alle prime. Tutelare la salute non può significare – secondo il Giudice amministrativo – chiudere sic et simpliciter le scuole. Non in un territorio come quello calabrese, caratterizzato da un forte digital divide che rischia di estraniare i giovanissimi da un circuito anche elementare d’istruzione e socializzazione.
Qui non è sufficiente un generico rischio di contagio per provvedere in modo più restrittivo rispetto alle misure statali, già di per sé ben prudenziali e precauzionali per evitare la diffusione del virus nelle scuole.
Il principio di precauzione, insomma, dev’essere bilanciato dal criterio di proporzionalità: questo, nell’ordinanza regionale gravata, non è accaduto. Il che la rende illegittima e meritevole di annullamento.
4. Spunti conclusivi.
Le due sentenze, emanate a pochissimi giorni di distanza l’una dall’altra, sono esempio di un dialogo incessante tra i Giudici in una materia che, se non altro per la sua estensione cronologica, rischia di dettare nuove regole che resteranno anche una volta terminato lo stato d’eccezione.
Anche se gli esiti processuali sono opposti – di reiezione del ricorso quello piemontese, di accoglimento quello calabrese – non può non notarsi una certa simmetria argomentativa tra le due pronunce.
L’esigenza manifesta è quella di provare a mettere ordine nel fitto quadro normativo per identificare i presupposti del potere regionale di ordinanza e di deroga rispetto alle misure statali, nonché per segnarne i limiti per l’esercizio legittimo.
Mentre il Tribunale piemontese accoglie una lettura più generale del potere di deroga in pejus, il Giudice calabrese par assumere una posizione nettamente più sorvegliata sul punto. Questo sulla base dell’equiparazione del potere di ordinanza contingibile e urgente del Sindaco a quello dei Presidenti delle Regioni in materia di sanità: il rischio è che la norma, solo teleologicamente orientata alla tutela di specifici interessi pubblici, consegni in mano alle Autorità sub statali un potere “in bianco”. Vero è che, sotto altro profilo, le disposizioni settoriali in tema di Covid-19, in realtà, esprimono limiti abbastanza definiti di questo potere: ancorandone l’esercizio al monitoraggio dei dati epidemiologici e alle sopravvenute situazioni di aggravamento sanitario.
Se le disposizioni statali favoriscono la deroga in peius – come segnalato dal Tar Piemonte – è altresì vero che questo potere derogatorio dev’essere esercitato con una rigorosa istruttoria e con una convincente motivazione, suffragata da pareri e dati scientifici che mostrino l’andamento del contagio e giustifichino, dunque, l’assunzione di misure più restrittive rispetto a quelle statali da parte dei governatori delle Regioni.
Su questo punto i due Giudici sono allineati: l’approfondito scrutinio motivazionale consente di valutare se i provvedimenti impugnati costituiscano esercizio illegittimo del potere derogatorio o meno.
L’ordinanza regionale piemontese si rivela ben strutturata e assistita da un’istruttoria approfondita e da dati scientifici precisi; viceversa, l’ordinanza calabrese mostra un profilo motivazionale troppo debole e generico.
Questi aspetti, peraltro, sono qui cautamente valutati dai Giudici perché le misure regionali toccano un diritto fondamentale quale quello all’istruzione: il provvedimento piemontese presta ossequio sia al principio di precauzione sia a quello di proporzionalità; viceversa, quello calabrese è sbilanciato solo sul primo, con un effetto di sostanziale alienazione degli alunni dal circuito scolastico.
Ne deriva un quadro estremamente complesso, nel quale il Giudice amministrativo ricopre ancora un ruolo-chiave, esercitato con pronunce sempre più approfonditamente motivate, le quali costituiscono volta per volta lo standard sul quale le Amministrazioni regionali possono compiere future valutazioni.
Ma risalta fulgido anche il ritratto di un Giudice particolarmente attento al proprio territorio: Calabria e Piemonte sono realtà diverse, sicché mentre nella prima il digital divide è strutturale, ampio e le peculiarità territoriali e sociali rendono molto più necessaria la presenza della scuola (e, per converso, una forte rigorosità motivazionale della sospensione di quella presenza), viceversa in Piemonte questi problemi sembrano meno spinosi, consentendo l’adozione di misure di sospensione delle attività didattiche in presenza che possono essere ben compensate da un puntuale aiuto per la digitalizzazione per le famiglie in difficoltà.
Le sensibilità di chi si pronuncia sui provvedimenti in materia scolastica tengono conto di questa diversità, con grande attenzione a che le Amministrazioni territoriali regionali garantiscano – assieme al diritto alla salute – l’assolvimento di quei doveri inderogabili di solidarietà che la Repubblica assume su di sé perché gli individui – di oggi e di domani – possano avere una formazione (anche) sociale il più completa possibile.
La Repubblica – anche attraverso l’intervento del potere giurisdizionale – rimuove così ostacoli e disuguaglianze, nell’attuazione sinergica degli artt. 2 e 3, comma 2, Cost.
[1] Così, art. 3, comma 1, d.l. 25 marzo 2020, n. 19, conv. con l. 22 maggio 2020, n. 35. Queste disposizioni si applicano anche in materia di sanità.
[2] Così, art. 1, comma 16, d.l. 16 maggio 2020, n. 33, conv. con l. 14 luglio 2020, n. 74. Le deroghe devono essere previamente comunicate al Ministero della Salute ove peggiorative delle disposizioni statali; sono invece sottoposte a previa intesa con il medesimo Ministero nel caso di deroga in melius.
[3] Sia consentito un veloce rinvio a C. Napolitano, Regioni, scuola e COVID-19: il Giudice Amministrativo tra diritto allo studio e tutela della salute (Nota Cons. Stato 6453/2020), in www.giustiziainsieme.it, 18 dicembre 2020.
[4] Tar Piemonte, I, 12 dicembre 2020, n. 834.
[5] Ordinanza del Ministro della Salute del 4 novembre 2020 in applicazione dell’art. 3, d.p.c.m. 3 novembre 2020.
[6] Ordinanza del Ministro della Salute del 27 novembre 2020.
[7] Art. 1, comma 16, d.l. n. 33/2020, conv. con l. n. 74/2020, cit.
[8] Cons. Stato, III, 3 ottobre 2019, n. 6655.
[9] Tar Calabria, I, 18 dicembre 2020, n. 2075.
[10] Cfr. Corte cost., 13 aprile 2011, n. 115, punto 5 in diritto.
[11] D.l. 25 marzo 2020 n. 19 convertito, con modificazioni, dalla l. n. 35/2020 e seguito dai successivi interventi dei d.l. 16 maggio 2020, n. 33 convertito con modificazioni dalla l. n. 74/2020, d.l. 30 luglio 2020, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. n. 159/2020 e da ultimo dal d.l. 2 dicembre 2020, n. 158, non ancora convertito (decreto questo non applicabile alla fattispecie in quanto sopravvenuto al provvedimento impugnato).
[12] Corte. Cost., n. 85/2013.