L’imparzialità del “maestro” nei concorsi universitari e la comunità scientifica (nota a Cons. St., sez. VI, 24 settembre 2020 n. 5610).
di Alessandro Cioffi.
Il caso è molto particolare: in un concorso interno per la chiamata di professore ordinario (art. 24, comma 6, della legge n. 240 del 2010), il membro designato dal dipartimento è il “maestro” delle due concorrenti, entrambe sue allieve. In un caso come questo, afferma il Consiglio di Stato, occorre evitare che un membro della commissione sia così vicino alle parti e bisogna attingere ad altri professori del settore scientifico-disciplinare.
In particolare, il Consiglio di Stato considera che oggi la comunità scientifica è molto più estesa che in passato: prima – si legge nella motivazione della sentenza - la comunità scientifica di un certo settore disciplinare aveva “carattere ristretto” e questo giustificava la “deroga alle norme di astensione che presiedono a qualsiasi procedura concorsuale”; oggi invece, dice la sentenza, vi è una “ampia diffusione numerica sul territorio”. Quindi, “il giudice della legittimità deve poter valutare se quel carattere di ristrettezza degli appartenenti al determinato settore scientifico in questione sussista ancora”. Rileva la sentenza che sono “145 i professori ordinari” di quel settore scientifico, secondo il sito del ministero, consultato nel momento del passaggio in decisione dell’appello. Secondo la sentenza, in conclusione: “questo numero” - 145 ordinari del settore- “non può più giustificare quella deroga” e quindi il professore in questione aveva “l’obbligo di astenersi”, in quanto “Maestro” di entrambi i concorrenti. Dunque la Sezione accoglie il ricorso e annulla tutti gli atti successivi al bando.
Il caso solleva molte domande: quando una comunità scientifica può dirsi ristretta e quando può dirsi estesa? Cosa si intende per “maestro”? E infine: è l’estensione di una comunità che segna la distanza e garantisce l’imparzialità?
Più semplicemente, nel concreto, la regola pratica che la sentenza offre è estratta da un caso che riguarda una fattispecie molto particolare, quasi unica: il maestro di due concorrenti, membro interno, in una procedura riservata. Ed è vero, sempre nel concreto, che un particolare in più viene dalle circostanze del fatto stesso – vi era stata una segnalazione preventiva all’ANAC e l’Autorità aveva risposto che in effetti vi è il “sospetto che la valutazione della candidata non sia stata oggettiva e genuina”; ed è, questo, un rilievo che la motivazione della sentenza coglie e menziona, citando il passo della delibera ANAC, nel momento della decisione. Infine, si deve osservare che nel caso di specie non esiste una norma ad hoc. E’ quindi naturale che il Consiglio di Stato abbia dato un segnale. Per questi caratteri del caso, sembra che la sentenza porga la soluzione di un caso raro e particolare, ma non la dettatura di un principio.
Quanto al principio, è bene ricordarne la formulazione classica, nella massima corrente elaborata dalla giurisprudenza: il rapporto maestro-allievo non altera di per sé l’imparzialità del concorso, perché l’interesse che può violare l’imparzialità è solo quello finanziario ed economico, fonte di rapporti patrimoniali e professionali[1].
Questa massima tradizionale, va precisato, è resa sul terreno degli interessi e sembra dire che la vicinanza scientifica non è un interesse pericoloso. Non dovrebbe alterare l’imparzialità di chi giudica, almeno in teoria. Nella sua realtà effettuale, però, questo caso così particolare fa intravedere qualcosa di più. Considerando la comunità di un settore scientifico, la relazione maestro allievo può essere pericolosa per l’imparzialità; così, quando la comunità scientifica è estesa, la relazione si può e di deve evitare, scegliendo un membro diverso.
Se questa è la regola pratica che è estraibile dalla sentenza, il sottinteso può essere questo: è l’estensione della comunità scientifica, ovvero la distanza, che garantisce l’imparzialità.
E’, questa, una visione che porge una questione più ampia, che supera l’imparzialità e riguarda la scienza stessa. E’ destinata ad altre sedi e qui si possono anticipare solo alcuni cenni. Siamo davanti ad una valutazione che riguarda la “scienza come professione”, ovvero la morale di una comunità scientifica, la sua latitudine e l’effettività dei rapporti che si intessono nello scientiam facere. Quindi nei concorsi. Da qui sorge un interrogativo di fondo: la scienza ha ancora un’etica della responsabilità?
E nel caso specifico: questa responsabilità si soddisfa con l’astensione del “maestro” o, invece, può entrare in una sfera di vicinanza, la valutazione dell’allievo, conservando quel carattere disinteressato che è proprio della scienza?
E infine: la regolazione giuridica di questa responsabilità dovrebbe essere materia dell’autonomia universitaria (art. 33 Cost. e codice di autoregolazione) o materia della legge?
Dovrebbe assumere la forma della responsabilità scientifica o quella del dovere giuridico?
Nel vuoto attuale, il Consiglio di Stato ha dettato la regola del caso concreto, aprendo la discussione al riguardo.
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[1] Cons. Stato, Sez. V, n. 4782/2011; T.A.R. Lazio n. 6945/2013; Cons. Stato., sez. VI, n. 3366/2014; Cons. Stato, sez. VI, n. 4105/2017.