Le regole sperimentali tecnico-organizzative del processo amministrativo. Note a prima lettura del decreto Pres. Cons. Stato 22 maggio 2020, n. 134
di Pier Luigi Portaluri
Sommario: 1. I presupposti del decreto Pres. Cons. Stato 22 maggio 2020, n. 134. - 2. Il problema del contraddittorio virtuale o eventuale nel periodo dell’emergenza. - 3. I margini di manovra del decreto Pres. Cons. Stato n. 134/’20: a) le comunicazioni. - 4. (segue) b) l’istanza di trattazione. - 5.(segue) c) la pubblicità dell’udienza. - 6.(segue) d) i tempi della discussione.7. Gli allegati al decr. Pres. Cons. Stato n. 134/’20. - 8. Qualche considerazione conclusiva.
1. I presupposti del decreto Pres. Cons. Stato 22 maggio 2020, n. 134.
A seguito dell’infelice esperienza di normazione contenuta nel d.l. 30 aprile 2020, n. 28 gli spazi per riportare a un livello accettabile la garanzia del contraddittorio orale nel processo amministrativo emergenziale si sono, almeno allo stato, non poco ridotti. Per cui è risultato abbastanza ristretto l’ambito di manovra a disposizione del Pres. Patroni Griffi per disciplinare – come poi avvenuto col recentissimo suo decreto 22 maggio 2020, n. 134 – le regole sperimentali tecnico-operative di aggiornamento del PAT.
La base di diritto legislativo su cui fonda l’appena ricordato decreto presidenziale n. 134/’20 (con i suoi tre allegati, contenenti norme prevalentemente tecniche) è racchiusa nell’art. 4, comma 2, d.l. n. 28/’20, cit.: norma che non è direttamente ed esplicitamente collegata con la regolazione emergenziale del nostro processo, per cui può ritenersi quale regolazione “a regime”.
Per comodità di lettura, eccone il contenuto: «Il comma 1 dell'articolo 13 dell'allegato 2 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante le norme di attuazione al codice del processo amministrativo, è sostituito dal seguente: “1. Con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri competente in materia di trasformazione digitale e gli altri soggetti indicati dalla legge, che si esprimono nel termine perentorio di trenta giorni dalla trasmissione dello schema di decreto, sono stabilite, nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, le regole tecnico-operative per la sperimentazione e la graduale applicazione degli aggiornamenti del processo amministrativo telematico, anche relativamente ai procedimenti connessi attualmente non informatizzati, ivi incluso il procedimento per ricorso straordinario. Il decreto si applica a partire dalla data nello stesso indicata, comunque non anteriore al quinto giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana”».
A sua volta, il comma 1 dell’art. 4, d.l. n. 28/’20 regola il funzionamento dell’udienza virtuale durante questo periodo di sperimentazione, che si sovrappone, allo stato, alla gestione emergenziale del processo amministrativo.
2. Il problema del contraddittorio virtuale o eventuale nel periodo dell’emergenza.
Ricordiamo rapidamente i punti salienti della disciplina del contraddittorio nel processo amministrativo emergenziale previsti nel d.l. n. 28/’20.
Da sabato 30 maggio a venerdì 31 luglio si avrà un periodo di contradditorio orale (soltanto) virtuale e (soltanto) eventuale.
Soltanto virtuale perché non sono previste udienze reali, in praesentia: cioè con l’intervento “fisico” di avvocati, magistrati, personale di udienza, etc. L’emergenza virus non lo consentirebbe ancora.
Soltanto eventuale, inoltre. Al difensore (o al collegio difensivo, inteso sempre uti singulus) non è infatti riconosciuto un diritto soggettivo processuale di (chiedere e per ciò solo) ottenere la discussione orale. La quale potrebbe invece discendere:
- o da una decisione motu proprio del presidente del collegio giudicante,
- o ancora da una istanza congiunta di tutte le parti costituite,
- o infine dall’accoglimento presidenziale (anche alla “luce” di eventuali opposizioni delle parti dissenzienti) dell’istanza non congiuntamente formulata dalle parti.
Il d.l. n. 28/’20 stabilisce poi i termini per depositare l’istanza di discussione orale: entro i termini per la replica, per le udienze pubbliche; entro 5 giorni liberi, per le udienze camerali.
In caso di discussione orale, la segreteria comunica ora e modalità di collegamento «almeno un giorno prima della trattazione». Stando alla lettera, non sembra esser questo un termine libero, né è indicato l’orario ultimo di comunicazione del decreto: per cui i difensori potrebbero trovarsi nella non piacevole situazione di dover preparare l’udienza ad horas.
Andiamo avanti.
Il penultimo periodo del comma 1 in esame parrebbe attribuire qui un diritto soggettivo processuale. Un diritto espressamente qualificato come alternativo al diritto di chiedere (cui non segue necessariamente l’ottenimento: lo ripeto) la discussione orale, e che ha come oggetto:
- il deposito di note di udienza fino alle ore 9 del giorno dell'udienza stessa, ovvero (in sub-alternativa al deposito)
- la richiesta di passaggio in decisione della controversia.
Parliamo del deposito di queste singolari note mattutine.
Se una tal possibilità è stata pensata allo scopo rafforzare l’effettività complessiva del contraddittorio in fase emergenziale, a me pare che il risultato sia quello opposto.
Non essendo stato previsto un limite dimensionale (a mezzo d’un sia pur vago connotato di brevità o sinteticità), queste note potrebbero facilmente dilungarsi sino a divenire, in realtà, un’intera partitura. Si tratta, in concreto, di un’arma micidiale della quale potrebbe farsi un uso tanto formalmente irreprensibile, quanto sostanzialmente scorretto: penso all’introduzione all’ultimo momento di questioni, difese, etc. mai articolate prima dal difensore. Per imbastire una replica orale controparte potrebbe trovarsi in tali casi ad avere addirittura pochi minuti (in caso di udienza camerale incipiente) o forse poco più (in caso di udienza pubblica).
In casi siffatti, la garanzia del contraddittorio è assicurata forse dalla ragionevole speranza che note troppo lunghe e prodotte in extremis restino placidamente non scrutinate dal collegio…
Resta poi non chiarito, se non m’inganno, il rapporto fra queste note del primo mattino e le “brevi note” di cui all’art. 84, comma 5, d.l. n. 18/’20: le quali ultime – come ha puntualmente osservato M.A. Sandulli[1] – sono ancora a disposizione delle parti, almeno sino al 31 luglio prossimo. Le (anche lunghissime) note ex d.l. n. 18/’20 sarebbero la sede di una eventuale replica alle “brevi note” appena ricordate? Se così fosse, il sistema non brillerebbe per nitore concettuale e funzionale.
3. I margini di manovra del decreto Pres. Cons. Stato n. 134/’20: a) le comunicazioni.
Vediamo adesso gli interventi che su questo discutibile modello ha potuto fare il decreto presidenziale n. 134/’20.
Anzitutto, la regolazione della fase successiva all’istanza non congiunta di discussione.
Sul punto il decreto prevede che «la segreteria trasmette alle parti diverse dall’istante, anche ai fini della formulazione di eventuali opposizioni, l’avviso di avvenuto deposito dell’istanza».
Il decreto non specifica il termine di trasmissione dell’avviso di avvenuto deposito, né quello di proposizione dell’opposizione. Così come non indica il termine di adozione del decreto presidenziale accoglitivo o reiettivo dell’istanza di discussione.
Stabilisce solo – ma è un calco obbligato del d.l. n. 28/’20 – che «la segreteria comunica agli avvocati […] almeno un giorno libero prima della trattazione, l’avviso del giorno e dell’ora del collegamento da remoto in videoconferenza […]». Aggiungendo – con previsione improntata a un senso di apprezzabilissima “civiltà della conversazione” – che la segreteria «ha cura di predisporre le convocazioni distribuendole in un congruo arco temporale, in modo da contenere, quanto più possibile e compatibilmente con il numero di discussioni richieste, il tempo di attesa degli avvocati prima di essere ammessi alla discussione». Il decreto introduce insomma le auspicate fasce orarie (ne ante quas), giustamente chiarendo, di conseguenza, che «L’orario indicato nell’avviso è soggetto a variazioni [solo: n.d.r.] in aumento».
Una prima osservazione riguarda forse una “eccedenza” regolativa. Atteso che le parti sono ovviamente già a conoscenza del giorno d’udienza, non è chiaro il motivo per cui l’avviso della segreteria deve indicare non solo l’ora, ma anche il giorno della discussione. Il quale infatti non è previsto dall’art. 4 del presupposto d.l. n. 28/’20. Potrebbe ben trattarsi, tuttavia, di una garbata cortesia riservata dal decreto presidenziale al foro. Gli avvocati riceverebbero in tal modo un avviso “completo”, in quanto comprensivo sia della data, sia dell’ora d’udienza.
Meno chiare sono le ragioni della mancata giuridicizzazione relativa, come s’è detto, alla fase successiva all’istanza di trattazione e anteriore alla comunicazione del decreto accoglitivo.
Il sistema disegnato dal d.l. n. 28/’20 non mi sembra infatti rispettoso delle esigenze dei difensori: i quali, come detto, potrebbero venire a conoscenza della decisione presidenziale ammissiva della discussione addirittura poche ore prima dello svolgimento dell’udienza.
Qui uno spazio di intervento della fonte subprimaria – nella migliore (e antica) tradizione della Ordnung processuale – mi pare esserci. Azzardo allora qualche ipotesi di possibile, ulteriore integrazione presidenziale della disciplina sperimentale-emergenziale recata dal d.l. n. 28/’20, che è lacunosa e insoddisfacente.
Al fine di garantire le insopprimibili esigenze connesse alla garanzia di effettività del contradditorio orale, non seguirei la strada di infittire questo segmento del nostro rito con la previsione di una selva di termini; tranne due: quello per proporre l’opposizione e quello per la replica. Termini brevi per le udienze pubbliche (per esempio, tre giorni per opposizione e replica, decorrenti dall’avviso di segreteria); brevissimi per quelle camerali (un giorno).
4. (segue) b) l’istanza di trattazione.
Un'altra possibile integrazione dell’attuale decreto n. 134/’20 potrebbe concernere l’indicazione delle ragioni – di non facile individuazione, peraltro – su cui possa fondarsi (e quindi possa esser delibata) l’opposizione all’istanza trattativa.
Escluderei la “pregiudiziale tecnica”. Nel XXI secolo non solo il difensore, ma anche la parte che intenda (quando consentito) difendersi in proprio, devono poter assicurare la disponibilità di un minimum info-telematico. Un generale principio di esigibilità in questo senso mi pare davvero vigente.
Così come mi sfugge l’argomento secondo cui l’opposizione è stata di necessità prevista onde evitare che l’istanza di trattazione costringa le altre parti a partecipare – pur nolenti – all’udienza. Al contrario, a fronte di quell’istanza, i difensori avversari possono, come nell’udienza reale, liberamente decidere sia di partecipare alla discussione, sia di non intervenire in udienza o di procedere a delega.
Poiché, come s’è visto, nell’attuale regime emergenziale il difensore non ha un diritto processuale alla discussione, si deve allo stesso modo evitare che questa sia, all’opposto, l’oggetto di una concessione più o meno graziosa del presidente del collegio, da lui “ottriata” caso per caso sulla base di criteri che potrebbero restare imperscrutabili: poiché sul punto il d.l. n. 20/’18 tace, il decreto che decide sull’istanza può infatti non esser motivato. È comunque da auspicare e anzi presumibile un netto orientamento giurisdizionale favorevole alla trattazione, come ha pochissimi giorni fa condivisibilmente dichiarato il Pres. Castriota Scanderbeg – anzitutto a titolo personale – nel corso di un webinar organizzato dalla Camera amministrativa salentina.
Ove si ritenesse poi che elaborare una griglia – anche se a maglie larghe – di motivi di opposizione sia sforzo eccessivo e dunque esorbitante rispetto all’oggetto della decisione da assumere, un’ipotesi subordinata potrebbe essere quella di circoscrivere i motivi di opposizione all’indicazione di motivi gravi ed eccezionali (non disgiunta – in ogni caso – dall’obbligatorietà della motivazione reiettiva). Una siffatta clausola generale esprimerebbe con chiarezza il favor nei confronti della trattazione, relegando nella marginalità le evenienze denegative.
Ancora. Mi pare possibile e opportuno intervenire sul termine ante quem relativo alla comunicazione di avviso del decreto accoglitivo dell’istanza di trattazione, previsto dal d.l. n. 28/’20 troppo a ridosso dell’udienza (“almeno un giorno prima”). Poiché la norma primaria stabilisce solo il termine ultimo, non è preclusa alla fonte secondaria – che non si esprime sul punto – disporre un congruo e ragionevole aumento dello spatium temporis che deve esserci fra i due eventi processuali in esame.
5.(segue) c) la pubblicità dell’udienza.
Proseguendo nell’esame solo orografico del decreto n. 134/’20, mi sembra degna di nota la disposizione del comma 8, circa il divieto di vedere o ascoltare gli accadimenti di udienza stabilito nei confronti dei «soggetti non ammessi ad assistere alla udienza o alla camera di consiglio»: che mi sembra da leggere in senso restrittivo, nel senso di consentire cioè la libera visione e l’ascolto con riferimento all’udienza pubblica, quantomeno limitatamente alle parti sostanziali. Così come di rilievo è la norma che vieta la registrazione di qualunque udienza, camerale o pubblica che sia.
6.(segue) d) i tempi della discussione.
Ben diverso risalto va dato al comma 12, che circoscrive in appena sette e dieci minuti il tempo della discussione consentita a tutti i difensori di ogni parte, uno o più che essi siano, rispettivamente per le udienze camerali e per quelle pubbliche. Resta fermo il potere del presidente del collegio di concedere un “minutaggio” superiore, come pure quello di segno opposto. L’assenza di un diritto soggettivo a una durata minima della discussione (una sorta di Livello Essenziale di Udienza…) induce ad auspicare vivamente un ripensamento di questo aspetto. Altrimenti l’accelerazione del ritmo di esplicitazione dei concetti (come nella parte finale degli spot pubblicitari di prodotti medicinali) pregiudicherebbe la comprensione stessa delle tesi difensive: ne uscirebbe vanificata la funzione della discussione.
7. Gli allegati al decr. Pres. Cons. Stato n. 134/’20.
Per il loro contenuto eminentemente tecnico ritengo di poter prescindere, almeno in questa sede, dall’esame degli allegati al decreto n. 134/’20. Mi limito solo a qualche assai sparsa osservazione.
Intorno all’art. 9, comma 3, dell’all. 1, anzitutto: il quale riconosce il diritto soggettivo alla rimessione in termini nel caso in cui, dopo il deposito di un atto processuale, al mittente pervenga il messaggio di mancata consegna della PEC di deposito (sempre se la mancata consegna sia dipesa da cause non imputabili al mittente).
Giova, ancora, sottolineare l’indicazione del successivo art. 14, circa la facoltatività delle notificazioni per via telematica.
Una riflessione, poi, di natura linguistica.
L’art. 3, comma 4, dell’all. 3 prevede che anche gli avvocati, al pari delle «parti in proprio, i verificatori, i consulenti tecnici, i commissari ad acta e, in generale, tutti coloro che vengono ammessi a partecipare a un collegamento da remoto in videoconferenza» si autentichino come «ospite/guest». Mi domando se la piattaforma telematica in uso disponga di un thesaurus lemmatico che eviti di considerare l’avvocato alla stregua di un frequentatore occasionale del mondo della Giustizia amministrativa. Il dubbio è ispessito dal periodo finale del medesimo comma 4, secondo cui «La Giustizia amministrativa non fornisce alcuna assistenza tecnica ai soggetti ad essa estranei che partecipano alle udienze»: fra i quali anche gli avvocati?
Sono certo di no. Immagino infatti che non sia solo la categoria forense a considerare il pur nobilissimo concetto di filoxenia come meglio riferibile a una grande e antica cultura.
8. Qualche considerazione conclusiva.
Nel processo amministrativo si deve necessariamente maneggiare una sostanza preziosa: l’interesse pubblico. Oltre un secolo di esperienza ha portato il giudice amministrativo a saperne cogliere l’essenza, accanto al contrapposto interesse del cittadino.
Qui la funzione di intermediazione tecnica dell’avvocatura è imprescindibile, anche e soprattutto nella rappresentazione dialettica delle mille nuances che gli interessi portati alla cognizione del Giudice di volta in volta rivelano.
Ne derivano, a mio avviso, due conseguenze: la necessità di assicurare sempre l’effettività del contradditorio[2] e – a regime – la presenza fisica in udienza.
Quanto al primo profilo, le pronunce del giudice amministrativo sono incoraggianti, avendo interpretato la normazione emergenziale in senso costituzionalmente orientato: dunque garantendo la dialettica fra le parti[3].
Quanto alla necessità dell’udienza reale (rispetto alla quale l’udienza telematica può avere un utile ruolo ancillare, mai sostitutivo), sono persuaso che nessun atto scritto, per quanto redatto in modo magistrale; come pure nessuna webcam, per quanto ad altissima risoluzione, possano sostituire l’effetto di significato che la viva e non virtuale discussione assicura al Giudice nella comprensione di ogni aspetto della singola, concreta vicenda. Penso, solo per fare un esempio, all’illustrazione di una complessa planimetria di uno strumento urbanistico.
Si sentono proposte circa il mantenimento, anche a regime, delle sole udienze virtuali. Non la ritengo una soluzione valida. La complessità delle questioni che la giustizia amministrativa affronta richiede il dialogo e il confronto “in praesentia” fra giudici e avvocati. Non per improbabili virtù taumaturgiche o eufoniche del difensore, ma per la necessità che la decisione finale sia assunta dopo che ogni elemento della controversia, se necessario, sia stato portato alla cognizione del giudice. Che – lo ripeto in ogni occasione – si occupa anche di interessi pubblici. Cioè di tutti noi, del nostro “territorio”. Per tutelare il quale val bene il saggio ammonimento militare anglosassone circa la necessità di esser sempre personalmente presenti e con i piedi ben saldi sul suolo che si ha il dovere di presidiare e difendere: “boots always on the land”.
[1] M.A. Sandulli, Covid-19, fase 2. Pregi e difetti del diritto dell’emergenza per il processo amministrativo, in questa rivista. Della stessa A. v. anche Un brutto risveglio? L’oralità “condizionata” del processo amministrativo, in L’amministrativista.it. Tra i primi commenti sulla scomparsa o sull’eccesivo condizionamento del contradditorio nel diritto dell’emergenza v., ex multis, C. Zucchelli, Sulla udienza telematica, in Federalismi.it, Osservatorio emergenza Covid-19, n. 1; S. Tarullo, Contraddittorio orale e bilanciamento presidenziale. Prime osservazioni sull’art. 4 del D.L. n. 28 del 2020, ivi; F. Saitta, Da Palazzo Spada un ragionevole no al 'contraddittorio cartolare coatto' in sede cautelare, ivi; A. D’Urbano, R. Santi, L’abolizione (temporanea?) della fase orale nel processo amministrativo per l’emergenza sanitaria. Il Consiglio di Stato (ordinanze nn. 2358 e 2539 del 2020) riapre alla possibilità di discussione, ivi.
[2] Di «una strisciante ma costante riduzione delle garanzie tipiche di un processo giurisdizionale che tende a ricondurlo nei limiti originari di una procedura paragiurisdizionale» parla F. Francario, Diritto dell’emergenza e giustizia nell’amministrazione. No a false semplificazioni e a false riforme, in Federalismi.it, 2020.
[3] Cfr., dopo le ormai celebri ordinanze gemelle sul “c.c.c.”, il vieto “contraddittorio cartolare coatto” (Cons. St., sez. VI, 21 aprile 2020, nn. 2538 e 2539), anche Cons. Stato, sez. III, 8 maggio 2020, nn. 2918 e 2919 e la coeva TAR Lecce, sez. II, 8 maggio 2020, n. 525.
Ecco una delle curiose contraddizioni della storia. Nei suoi studi sulla procedura civile nel Regno d’Italia il compianto Franco Cipriani evoca con le stesse tre “C” di cui sopra il leggendario, sommo trio di processualisti italiani che animarono – pur non sempre in accordo fra loro – la gloriosa Rivista di diritto processuale. Chiovenda, Calamandrei, Carnelutti: mentori, soprattutto il primo, della Mündlichkeit, dell’oralità…