[...resto convinta che il lavoro in Cassazione sia il più bello che un magistrato possa svolgere. La funzione nomofilattica che la legge assegna alla Corte, e che la Corte cerca con affanno di espletare, affida al giudice di legittimità con sempre maggiore frequenza la ricerca di nuove frontiere interpretative, imponendogli di misurarsi con i profondi cambiamenti nella società e nel sentire collettivo, con i progressi della ricerca scientifica, con le sfide della globalizzazione.
M.G.Luccioli, Diario di una giudice. I miei cinquant’anni in magistratura, Udine 2016, 66]
Sommario
1. Cos’è e cosa fa, oggi, la Corte di Cassazione. 2. Il volto della Cassazione visto dal giudice non di legittimità. 3. Alla ricerca di una simbiosi fra giudici di merito e Corte di Cassazione.
1. Cos’è e cosa fa, oggi, la Corte di Cassazione.
Mi è stata sollecitata un riflessione sulla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, con particolare riferimento al settore civile.
Non mi sento affatto legittimato ad offrire punti di riferimento validi in senso oggettivo rispetto al tema appartenendo, peraltro, ad una generazione di magistrati che è approdata in Corte da un tempo non particolarmente lungo, anche se dopo avere svolto, ininterrottamente, le funzioni di merito per vent’anni.
Esperienza che si è misurata con una progressiva apertura della Corte di Cassazione verso sempre più pressanti occasioni di confronto, non sempre indolori, con altre Corti, nazionali e sovranazionali, capaci di cambiarne il volto a legge invariata, visto che essa è pur sempre tenuta ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, insieme all’unità del diritto oggettivo nazionale – così recita testualmente l’art.65 del R.D.30.1.1941, n. 12 sull’ordinamento giudiziario – ma anche il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni – ed a tutti gli altri compiti affidati dallo stesso art.65 e dalla legge.
Giudice di ultima istanza chiamato, dunque, a dovere curare e gestire i rapporti con il suo ordinario interlocutore, il giudice di merito appunto, ma che è sempre più assillato dal trovarsi all’interno di quel circuito di Corti nelle quali ‘inventa’ il diritto vivente, per dirla con Paolo Grossi[1].
Cassazione che, proprio per l’esistenza di sistemi normativi che si affiancano a quello interno è posta, addirittura, in una posizione tale da potere essere bypassata o sconfessata dal giudice di merito, divenendo essa stessa ‘controllata’ da quel giudice di merito che, soggetto anch’egli soltanto alla legge (art.101 Cost.), reputa, addirittura anche in sede di rinvio ed al cospetto del principio di diritto fissato dalla Corte (art.384 c.2 c.p.c.) di non doversi allo stesso conformare, magari attingendo alle giurisprudenze sovranazionali che a tanto sembrerebbero abilitarlo, per disapplicare la legge contrastante con il diritto UE[2] o per rivolgersi alla Corte di giustizia al fine di sollecitare un’interpretazione ‘contro’ il principio fissato dalla Cassazione in sede di rinvio. È, d’altra parte, noto che non vige il principio del precedente vincolante, sicché qualunque giudice di merito può motivatamente discostarsi dall’orientamento espresso dalla Carte di legittimità, contribuendo a quel dinamismo interpretativo ed a quei mutamenti giurisprudenziali che, purché frutto di consapevole e ragionato dissenso, costituiscono sempre e comunque linfa vitale del nostro sistema[3]
Dunque una Cassazione civile per certi versi vulnerabile e, per altri, vocata al dialogo[4] interno –“blindato” fra singole Sezioni e le Sezioni Unite per effetto dell’art.374 c.p.c. – ed esterno con la Corte costituzionale e la Corte di Giustizia – obbligata per come è al rinvio pregiudiziale ex art.267 TFUE in assenza dell’atto chiaro – e presto legittimata a richiedere pareri non vincolanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo – appena sarà reso esecutivo in Italia il Protocollo n.16 annesso alla CEDU, già operativo in dieci Paesi del Consiglio d’Europa –[5].
Il mutare delle coordinate rappresentato dall’avvento del diritto di matrice sovranazionale – diritto UE, CEDU, trattati internazionali che riconoscono diritti fondamentali, in relazione a quanto previsto dall’art.117, 1^ comma, Cost. – rende così viepiù evidente il cambio di prospettiva della funzione nomofilattica e, in definitiva la mutazione genetica della Corte di Cassazione, ormai "giuridicamente obbligata" a garantire – anche – l’uniforme interpretazione della legge come reinterpretata alla luce della CEDU e delle altre Carta dei diritti fondamentali.
In questa prospettiva abbiamo già proposto alcune riflessioni sui temi della metamorfosi della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione e della c.d. nomofilachia europea alle quali qui è sufficiente rinviare[6].
Una Corte di legittimità, per altro verso, capace anche di essere contromaggioritaria quando fronteggia, con le sue poliedriche professionalità, le più spinose questioni biogiuridiche, sull’immigrazione e sulle persone, compone i contrasti fra i diversi sistemi normativi in materia commerciale e sanzionatoria, alimenta e aggiorna il sistema della responsabilità civile, tenta di governare il magmatico subcontinente del diritto tributario con gli enormi flussi di denaro che ivi scorrono – non paragonabili a nessun’altro contenzioso pendente innanzi al giudice di legittimità – e contribuisce a fissare periodicamente il catalogo dei diritti e dei doveri nel complesso e cangiante mondo del lavoro. Una Corte che, spesso, anticipa le linee della futura legislazione, essendo chiamata a risolvere casi non solo prima inesplorati, ma anche gravidi di sempre nuove istanze dei cittadini. Non è, dunque, un caso che l’ordinanza n.207/2018 della Corte costituzionale non manchi di sottolineare apertamente il processo di normativizzazione della giurisprudenza resa dalla Cassazione sul caso Englaro che ha condotto all’adozione della legge 22 dicembre 2017, n. 219.
Tutto ciò essa fa al servizio di plurime funzioni che ne atteggiano il tratto, al contempo, di giudice controllore rispetto al merito – ma non sempre, per quanto detto appena sopra – e giudice controllato rispetto alle altre giurisdizioni nazionali – Corte costituzionale – e sovranazionali – Corte europea dei diritti dell’uomo e, per con tratti diversi, ma non troppo, Corte di Giustizia dell’UE–[7].
Una Corte di Cassazione a Sezioni Unite che, ancora, può svegliarsi, una mattina, ed apprendere dal giudice costituzionale che essa ha errato nell’individuazione del concetto di giurisdizione dinamica tratteggiato, negli anni, per garantire la massima e piena tutela dei diritti, al punto da originare un’interpretazione della Costituzione contra constitutionem – Corte cost.n.6/2018 –.
A quella stessa Corte di legittimità può anche accadere di scoprire, improvvisamente, un innovativo indirizzo interpretativo della Corte costituzionale che, a distanza di dieci anni dalla piena vincolatività della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ha mostrato di non gradire la disapplicazione da parte del giudice comune – di merito e di legittimità – della norma interna contrastante con la Carta – in quanto sovrapponibile alla Costituzione– dovendosi prediligere il controllo accentrato della Corte costituzionale, piaccia o non piaccia alla Corte di giustizia, come sembra suggerire, in modo non tanto felpato, l’obiter – in attesa di ulteriori precisazioni – espresso da Corte cost.n.269/2017.
Una Corte di Cassazione che, dunque, fronteggia diverse criticità, alle quali si aggiungono quelle che la vedono come gradino ultimo, oltrepassato il quale si aprono, a favore di chi assume di avere subito un torto dall’istanza giudiziaria, le porte della giurisdizione di Strasburgo. Ciò che determinerà, in caso di condanna della Stato italiano per una violazione convenzionale, il compito di affrontare complessi problemi, chiamando la Corte di legittimità, in fase di ritorno, a verificare quali effetti potrebbero o dovrebbero prodursi in esito alla condanna pronunziata a Strasburgo sul giudicato nazionale ‘corrotto’, per effetto della pronunzia della Corte edu[8].
Ambiti vissuti per lunghi anni dalla stessa Corte con atteggiamenti a volte di indolenza e indifferenza, altre di più o meno manifestato svilimento delle istanze giurisdizionali sovranazionali, ritenute non adeguate a fronteggiare il diritto interno e la ‘grandezza’ della Corte di Cassazione e, altre ancora, con atteggiamenti di supina osservanza o ‘deificazione’ – secondo taluni – delle stesse istanze giudiziarie sovranazionali.
Non meno delicato il fronte aperto sul ruolo della Cassazione rispetto al tema dell’interpretazione del diritto.
Ancora, una Corte che, a volte, sembra supplire all’inerzia del legislatore richiamandosi al principialismo[9] ed alla duttilità strutturale dei suoi canoni, visti da taluni come attività di vera e propria usurpazione di poteri camuffata da interpretazioni ardite che mascherano vere e proprie attività di produzione legislativa e, da altri, come fulgida espressione di una giurisdizione dinamica, indirizzata ad un’opera di ‘creazione’ rivolta ad attuare in modo pieno la Costituzione e le Carte dei diritti internazionali con i diritti che lì vengono riconosciuti e protesa verso un ideale di massimizzazione delle tutele.
Insomma, una Corte di Cassazione vista, in questa prospettiva, come giudice “garante di diritti a protezione multilivello”[10] ed ultimo avamposto della giurisdizione interna, capace di assumersi le responsabilità che, per funzione, ad essa competono rispetto alla tutela dei diritti.
Una Corte di legittimità che, benché ciò sfugga spesso all’analisi corrente che si fa attorno alla giurisdizione di legittimità, come qualunque altro giudice, è chiamata a misurarsi con i temi dell’arretrato, dei flussi, della produttività, del poco gestibile numero di sentenze e del loro parimenti complesso modo di atteggiarsi quali ‘precedenti vincolanti’. Cassazione alla quale sono chiesti standard lavorativi costantemente in crescita che fanno impallidire – e forse inorridire – qualunque altra Corte suprema occidentale e che, è ormai comune opinione di molti, rendono meno autorevole il ruolo del giudice di ultima istanza – se si vuole continuare a chiamarlo così, pur con le precisazioni appena svolte – appannando la funzione nomofilattica stessa che ad esso appartiene.
2. Il volto della Cassazione visto dal giudice non di legittimità.
Queste dunque, elencate sicuramente per difetto e con una certa approssimazione, appaiono essere alcune delle peculiarità del mestiere del giudice di legittimità[11], per effetto delle quali chi vi opera, almeno i più coscienziosi, ha ormai perso completamente la velleità di sentirsi “organo supremo della giustizia” come pure ancora recita l’art.65 cit. invece maturando, progressivamente, un habitus di vero e proprio crocevia di pulsioni centrifughe e centripete assai difficili da gestire e controllare.
Vi è, almeno a mia personale opinione, un’idea sempre più diffusa, anche se a volte non esternata o altre volte ancora palesata in modo scomposto, che la Corte di Cassazione finisca spesso col porsi in stridente contrasto con chi opera quale giudice del merito compromettendone, a volte con superficialità, l’operato, mandando in fumo processi condotti con fatica e abnegazione, con decisioni ammantate di formalismo e poco persuasive. Un giudice, in definitiva, distante da chi si sporca le mani e maneggia le pulsioni che nel merito si vivono in presa diretta, in vivo, e non in vitro.
Tensioni che si sono materializzate, di recente, con la richiesta di modificare il sistema di accesso alla Corte proposta dai consiglieri di Area sulla base di un’indicazione contenuta nel programma presentato all’atto delle elezioni dei nuovi membri del CSM, quasi a volere individuare un diretto collegamento fra le qualità degli ultimi arrivati – a giudizio di taluni non adeguatamente ponderate o comunque frutto di meccanismi capaci di ipervalorizzare elementi (produzione scientifica, esperienze extragiudiziarie di vario tipo) a scapito di chi ha lavorato con fatica nella giurisdizione – e i risultati non sempre commendevoli espressi dal giudice di legittimità.
Un convincimento che, d’altra parte, sembra innervato dall’idea che l’attuale assetto del reclutamento, troppo incline al correntismo e malamente mascherato da istanze meritocratiche, finisca col favorire nell’accesso i giudici di primo grado, non invogliandoli affatto a svolgere un’esperienza in grado di appello per la quale non viene, ad oggi, riconosciuto alcun vantaggio – in termini di accesso alla Corte – e che invece, andrebbe considerata come fisiologicamente necessaria per svolgere al meglio le funzioni di legittimità – e perciò stesso in qualche modo premiata –, proprio per essere le Corti di appello il fisiologico interlocutore del giudice di ultima istanza.
3. Alla ricerca di una simbiosi fra giudici di merito e Corte di Cassazione
A mia opinione l’attivismo che ha caratterizzato il mondo giudiziario e la Corte di legittimità, sia pure in maniera zigzagante, nel corso degli ultimi anni, al netto di possibili esasperazioni che pure potranno esserci state, spesso dipese dal recepimento di input provenienti dalle Corti sovranazionali di Lussemburgo e Strasburgo e da innegabili vuoti normativi, ben lungi dall’essere espressione di arretramento culturale, contribuisce ad inverare le democrazie occidentali dei nostri tempi, al contempo individuando alcuni canoni fondativi imprescindibili, per l’appunto rappresentati dal rispetto della dignità umana, nella sua proteiforme dimensione, e dei diritti fondamentali della persona. Un percorso che non solo non può essere interrotto, ma che deve essere continuamente implementato ed arricchito.
Come che sia, si fa in ogni caso strada la consapevolezza che l’idea del giudice nazionale di vertice come portatore e dispensatore di “certezze cristallizzate” risulta inadeguata.
Si delinea infatti, con tratti marcati, un’immagine della giurisdizione nazionale di ultima istanza costantemente in progress proprio perché chiamata, fuori da una dimensione museale, a misurarsi e prim’ancora a dialogare, in un ciclo continuo e mai conchiuso, con le altre Corti – nazionali e sovranazionali-[12], contribuendo ad un’evoluzione sempre più incessante dei diritti, i quali tendono costantemente e continuamente a favorire nuove forme di bilanciamento fra diritto vigente e diritto vivente.
Facile, a questo punto, fermarsi alla critica che intravede in questa Corte una fucina di incertezze, a fronte del perseguimento della certezza del diritto classicamente intesa.
Ma altrettanto agevole è rispondere ad essa riflettendo sul fatto che la certezza, se calibrata sull’appiattimento del diritto visto in dimensione formalistica e statica, finisce con l’essere certezza del nulla, come ha finemente riconosciuto Lipari[13].
Ora, non è qui il caso di fermarsi sui singoli problemi, né sul nodo del reclutamento in Corte – rispetto al quale non mi riconosco affatto, per quel nulla che vale e per ragioni che qui non occorre esporre, nell’idea di attribuire un punteggio aggiuntivo a chi ha esercitato funzioni di appello, semmai ritenendo che la valorizzazione ed il rafforzamento della Commissione tecnica potrebbe essere l’unico antidoto alle carriere comandate –.
Preme, invece, sottolineare che quelle tensioni, quelle pulsioni, quelle contraddizioni, quei nodi irrisolti che si è cercato di rappresentate qui sinteticamente altro non sono – recte, devono essere – che le ansie di qualunque giudice, di merito o di legittimità.
Un giudice che, per dirla ancora con Lipari, dovrebbe essere sempre e comunque animato da un sentire che si tinteggia con espressioni che egli usa come trincea, coraggio, paura, complesso, delicato.
Si tratta di uno scenario rispetto al quale il giudice – soprattutto di merito –, si trova per l’un verso tutto a contatto con i fatti che, nella loro innata diversità e nella loro carnalità – per usare un’espressione cara a Paolo Grossi[14]– vengono portati al suo cospetto e, per l’altro, viene chiamato a maneggiare Costituzioni, Carte sovranazionali, pronunzie delle Corti (nazionali e non), fonti, giuridiche e non – soft law –.
Stento, quindi, a trovare su questi temi delle diversità di sostanza fra la posizione del giudice, sia esso di legittimità o di merito.
Entrambi sono quotidianamente posti di fronte a numerosi interrogativi. Farsi interprete rigoroso della lettera della legge senza tralasciare l’intenzione del legislatore e dunque muoversi negli angusti spazi dell’art.12 delle preleggi ovvero ricercare il senso complessivo che dalla stessa disposizione promana? Dare prioritario ed assoluto respiro, nell’interpretazione della legge, al canone costituzionale che tutto sovrasta ovvero modularne il significato alla luce delle spinte provenienti dalle Corti sovranazionali e/o dalle Corti straniere che in esso si posizionano giocando alla pari con la Costituzione? Essere artefice e difensore di una legalità legale o garante di una legalità giusta o giudiziale[15] e, per ciò stesso, orientata alla piena tutela dei diritti fondamentali anche quando in apparenza il legislatore è silente o, peggio legifera travolgendo i diritti magari delle persone più vulnerabili? Parametrare, fuori dalle lusinghe offerte dall’essere arbitro di una controversia destinata a produrre ripercussioni che vanno ben oltre la specificità del caso, la tutela a quel livello che la maggioranza del corpo sociale avverte comunemente come giusta o comunque identitaria, ovvero garantire, comunque e sempre, protezione ad una minoranza portatrice di diritti ancora non uniformemente riconosciuti, ma non per questo non meritevoli di protezione e, anzi, per questo stesso motivo bisognosi di quelle tutele rafforzate che meritano i più vulnerabili? Accostarsi, ancora, ad un esercizio della giurisdizione che riporti i principi – siano essi di matrice costituzionale e sovranazionale – nel campo dei comandi espressi dalla legge ovvero porre l’asticella sulla valenza generale del principio, capace per la sua naturale elasticità di porre sotto il suo ombrello ipotesi che non risultano magari espressamente contemplate dal quadro giuridico espresso dal legislatore?
Sfido qualunque giudice preparato ed intellettualmente onesto a mettere in discussione l’idea che i temi testé enunciati si pongano soltanto per i consiglieri della Corte di legittimità e non per i giudici di merito.
Si tratta, del resto, di nodi problematici sui quali le opinioni e le prospettive sono fortemente contrastanti anche all’interno della giurisdizione[16] e che alimentano, pertanto, modi di esercitare le funzioni giudiziarie profondamente diversi, tanto nel merito che in sede di legittimità.
A mia opinione, allora, non è tanto importante dare o trovare una soluzione fissa e preconfezionata alle questioni, quanto favorire l’idea che tutti i giudici, in tutte le loro articolazioni, partecipino attivamente, senza scale gerarchiche e senza gradini, ad un’idea di giurisdizione al servizio dei diritti, rispetto alla quale è vitale recuperare un’unità di intenti fra merito e legittimità, favorendo le occasioni di reciproca conoscenza e confronto, alimentando le occasioni di formazione comune, allentando le tensioni che un deficit di conoscenza delle dinamiche interne alla Corte può in qualche modo favorire, ponendo, infine, a beneficio di tutti i giudici strumenti di conoscenza e iniziative che possano andare a beneficio dell’intera giurisdizione.
Cosa, però, può davvero minare la prospettiva che si è qui accennata.
A mio giudizio si tratta di due fattori, incidenti tanto sulla giurisdizione di legittimità che su quella di merito.
Per un verso, la produzione elefantiaca della giurisprudenza di legittimità reca inevitabilmente un decadimento delle motivazioni del giudice di legittimità, minandone la credibilità.
In dottrina, Davide Galliani ha di recente iniziato una riflessione approfondita sul ruolo della motivazione che si attaglia in modo particolare alla figura del giudice di legittimità[17]. Analisi approfondita e complessa che, condivisibile o meno che sia, coglie la crisi in cui versa il principale strumento operativo nelle mani del giudice e, dunque, l’aspetto più qualificante della sua funzione sulla quale, come piace dire ai più colti, si costruisce tanto lo ius litigatoris ma anche lo ius constitutionis. Di guisa che la necessità di motivazioni adeguate alla causa trattata non è esigenza che riguarda tanto e solo il giudice di legittimità, ma a, monte, l’intero sistema giudiziario, potendosi agevolmente preconizzare che ad una crescente richiesta di maggiore produttività non potrà che seguire uno scadimento ulteriore del prodotto e dunque della giustizia.
Per altro verso, il peso del contenzioso ed i numeri che spesso aggravano i giudici di merito costituiscono la migliore giustificazione per ritenere che quello della Cassazione sia, spesso, un ‘volare alto’ che poco consideri, appunto, il lavoro sporco e quotidiano del giudice di merito e, a volte, l’impossibilità oggettiva, in relazione al fattore tempo, di misurarsi, magari pur volendolo, con ciò che si avverte essere mera speculazione astratta, sulla quale prevale il peso delle carte, dei ruoli, dei capi che stringono sui tempi di deposito, che assillano con il pericolo dei ritardi e dei conseguenti procedimenti disciplinari e della incombente Legge Pinto.
Insomma, un pensare alto che allontana quasi ineluttabilmente il merito dalla legittimità e si scontra con una realtà bassa, nella quale il bilanciamento che ciascuno deve operare, per tentare almeno la sopravvivenza, tende ad orientarsi verso l’esercizio di una giurisdizione meno cervellotica e più celere, senza porsi grandi problemi.
Sono convinto che i capi degli Uffici – e non solo quelli che operano nella giurisdizione di merito – hanno spesso dovuto prediligere una logica diversa da quella che qui si è prefigurata alimentando, magari sulla spinta di pressioni provenienti da diversi ambienti, una ‘cultura’ che non è in sintonia con quanto si è qui provato a rappresentare.
Sarebbe dunque illusorio pensare che il “volare alto” della Corte di Cassazione, nel senso in verità problematico che si è qui cercato di rappresentare, possa o debba rimanere nel compartimento stagno di quel giudice che, per posizione, è chiamato a controllare l’operato del giudice di merito ed a fornire la risposta (quasi) definitiva al processo.
Potrebbe dunque essere utile e fecondo ispirarsi ad un’idea di giurisdizione capace di favorire il massimo travaso di esperienze tra merito e legittimità, muovendo da dinamiche scevre da logiche di sovraordinazione ed invece orientate ad affermare, all’interno di una comune cultura dei diritti fondamentali, la centralità della persona, cittadino e non e con essa, della funzione giudiziaria per la democrazia del Paese.
In questa prospettiva, la creazione di più stringenti canali di collegamento fra legittimità e merito, magari valorizzando al meglio le strutture che in atto già esistono in Corte, come anche il travaso diretto delle esperienze lavorative, realizzato anche attraverso i meccanismi già previsti a livello ordinamentale – ricorso nell’interesse della legge del Procuratore generale, affermazione del principio di diritto nei ricorsi inammissibili (art.373 c.p.c.) – potrebbero favorire quella “contaminazione tra i gradi della giurisdizione” di cui ha parlato, con la sua consueta profondità e finezza, Guido Cataldi poco tempo addietro[18], tutta indirizzata ad allontanare da sé il vizio peggiore del giurista, la pigrizia[19].
Ciò consentirebbe di fare conoscere più in profondità le dinamiche del lavoro del consigliere di Corte e di fare emergere meglio le criticità evidenziate dai giudici di merito rispetto alle decisioni della Cassazione[20] o anche l’autoreferenzialità che viene avvertita come dato non rispondente a ciò che serve al giudice di merito[21], così venendo incontro all’esigenza del merito di avere fissati dei punti saldi da parte del giudice di legittimità in materie particolarmente delicate[22] e, al contempo, allentare il peso dell’arretrato.
Una Corte, quella di Cassazione, che non va, in definitiva, in cerca di salvacondotti ma alla quale, nemmeno, può essere negato il ruolo – che essa non intende in alcun modo abdicare – di crocevia del diritto nazionale e sovranazionale, giocato in modo relazionale con le altre giurisdizioni superiori e purché essa riesca a mettersi al servizio dei suoi destinatari e dell’intera giurisdizione nazionale in modo efficace e lineare, pur nella complessità dei tempi moderni.
[1] P. Grossi, L’invenzione del diritto, Bari-Roma 2017, 82 e 115.
[2] V. Corte Giust. 5 ottobre 2010, causa C–173/09, Elchinov, secondo la quale il diritto dell’Unione osta a che un organo giurisdizionale nazionale, al quale spetti decidere a seguito di un rinvio ad esso fatto da un organo giurisdizionale di grado superiore adito in sede d’impugnazione, sia vincolato, conformemente al diritto nazionale di procedura, da valutazioni formulate in diritto dall’istanza superiore qualora esso ritenga, alla luce dell’interpretazione da esso richiesta alla Corte, che dette valutazioni non siano conformi al diritto dell’Unione. In altre parole, secondo la Corte di Lussemburgo, il giudice nazionale che abbia esercitato la facoltà ad esso attribuita dall’art. 267, secondo comma, TFUE è vincolato, ai fini della soluzione della controversia principale, dall’interpretazione delle disposizioni in questione fornita dalla Corte e deve eventualmente discostarsi dalle valutazioni dell’organo giurisdizionale di grado superiore qualora esso ritenga, in considerazione di detta interpretazione, che queste ultime non siano conformi al diritto dell’Unione, potendo all’occorrenza disapplicare, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale. V. altresì, Corte giust. 15 gennaio 2013, causa C–416/10, Križan, ove si è addirittura ritenuto che il giudice del rinvio al quale sia stato rimessa dal giudice di ultima istanza la decisione sulla base di un principio di diritto confliggente con il diritto UE, non è vincolato a detto principio, ma è a sua volta legittimato a prospettare un nuovo rinvio pregiudiziale per avere l’interpretazione del diritto UE sul quale esistono sei dubbi.
[3] Cfr. R. Conti, Il mutamento del ruolo della Corte di cassazione fra unità della giurisdizione e unità delle interpretazioni, in http://www.giurcost.org/studi/conti5.pdf.
[4] V., sulla centralità del dialogo per il giudice federale americano, ma in una prospettiva che non è molto diversa da quella del giudice di ultima istanza nazionale, G. Calabresi, Il mestiere di giudice. Pensieri di un accademico americano, Bologna 2014, 66 e ss. Anche l’ordinanza n.207/2018 della Corte costituzionale, appena pubblicata, sulla vicenda “Cappato” è sintomatica di quanto le Corti superiori tendano quasi naturalmente a favorire soluzioni che presuppongono un dialogo con il legislatore o le altre Corti. Dialogo cercato addirittura forzando prassi secolari ed attingendo ad esperienze oltreoceaniche pur se proprie di sistemi giuridici che la tradizione giuridica colloca in ambiti diversi da quelli nostrani.
[5] V., ancora, R. Conti, La richiesta di “parere consultivo” alla Corte europea delle Alte Corti introdotto dal Protocollo n. 16 annesso alla CEDU e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE. Prove d’orchestra per una nomofilachia europea, in http://www.giurcost.org/studi/conti2.pdf.
[6] V., volendo, R. Conti R., Il rinvio pregiudiziale alla Corte UE: risorsa, problema e principio fondamentale di cooperazione al servizio di una nomofilachia europea, Relazione al Convegno sul tema "Le questioni ancora aperte nei rapporti tra le Corti Supreme Nazionali e le Corti di Strasburgo e di Lussemburgo" – 23 e 29 ottobre 2014–, organizzato presso la Corte di Cassazione dalle Strutture territoriali di formazione decentrata della Corte di Cassazione e della Corte d’Appello di Roma, in www.cortedicassazione.it.; Id., La giurisdizione del giudice ordinario e il diritto Ue, in www.questionegiustizia.com.; A. Barone, The european « nomofilachia » network, in Riv. It. Dir. Pubb. Com., fasc.2, 2013, pag. 351.
[7] I tratti, a volte accidentati, di questo cammino della Corte di Cassazione sono stati esteriorizzati in maniera brillante da A. Cosentino, Il dialogo fra le Corti e le sorti (sembra non magnifiche, né progressive) dell’integrazione europea; in www.questionegiustizia.com.
[8] Questione, quella accennata nel testo, che evoca il tema, diverso rispetto alla c.d. efficacia di cosa giudicata della sentenza di Strasburgo, teso a comprendere in che misura un precedente della Corte edu possa determinare un revirement rispetto a precedenti indirizzi interpretativi interni – c.d. efficacia di cosa interpretata delle sentenze della Corte edu –.
[9] Sui tormentati rapporti fra giudice e legislatore v., per tutti, R. Rordorf, Giudizio di cassazione. Nomofilachia e motivazione, in Libro dell’anno del diritto 2012, spec. par.2.1, in www.treccani.it. e in più scritti, A. Ruggeri, «Non gli è lecito separarmi da ciò che è mio»: riflessioni sulla maternità surrogata alla luce della rivendicazione di Antigone, in “itinerari” di una ricerca, sul sistema delle fonti, XXI, Torino 2018, 101 ss.
V., volendo, R. Conti, Leggendo l’ultimo Lipari, in www.questionegiustizia.com
[10] M. G. Luccioli, I miei cinquant’anni in magistratura, Udine 2016,139.
[11] Per un’analisi approfondita del ruolo del giudice di legittimità, v., di recente, L. Tria, La funzione di nomofilachia della Corte di cassazione alla luce dei principi del giusto processo di derivazione europea nonché del principio costituzionale di razionalità-equità, in www.europeanrights.eu. V., altresì, A. Valitutti, Il valore vincolante del precedente di legittimità. La Corte di Cassazione tra nomofilachia e nomopoietica, in http://www.lanuovaproceduracivile.com/valitutti-il-valore-vincolante-del-precedente-di-legittimita-la-corte-di-cassazione-tra-nomofilachia-e-nomopoietica/
[12] La nostra Corte di Cassazione è stata la seconda in Europa a stilare un protocollo di dialogo con la Corte edu che si è rivelato assai fruttuoso, coinvolgendo tutte le sezioni, civili e penali, all’interno del Gruppo di attuazione appositamente creato per favorire sia la diffusione della giurisprudenza sovranazionale, che la conoscenza delle tecniche di decisione della Corte edu e delle pronunzie interne che alla stessa fanno riferimento. V., sul punto, A. Di Stasi, Corte di Cassazione e Corti europee, in I processi civili in Cassazione, a cura di A. Didone e F. De Santis, Milano 2018, 248 ss.
[13] N. Lipari, Il diritto civile tra legge e giudizio, cit., 184.
[14] P. Grossi, Il diritto civile italiano alle soglie del terzo millennio(una pos–fazione), in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 2010, 473; id., Un impegno per il giurista di oggi: ripensare le fonti del diritto, Napoli, 2007, p.73.
[15] V., in modo più ampio su tale dicotomia (apparente), A. Ruggeri, Rapporti interordinamentali e conflitti tra identità costituzionali (traendo spunto dal caso Taricco), in www.penalecontemporaneo.it, 14. Per un ulteriore completamento delle riflessioni espresse nel testo sia consentito il rinvio a R. Conti, Alla ricerca degli anelli di una catena, in http://www.dirittoequestionipubbliche.org/page/2015n15–1/0000DQsommario.pdf
[16] E che sul tema vi siano diversità di vedute marcate anche nel mondo giudiziario pare dimostrato dall’esistenza di voci fortemente dissonanti sui temi qui in discussione. V., ad es., G. Cricenti, I giudici e la bioetica. Casi e questioni, 16 ss. che si colloca lontano dal principialismo, come anche L. Cavallaro, La memoria e il desiderio, in www.questionegiustizia.it. e, dello stesso Autore, Il diritto civile tra legge e giudizio. Note in margine a un libro di Nicolò Lipari, in www.giustiziaonline.com, 30 aprile 2018. Invece, favorevoli ad una visione più aperta del diritto mediante operazioni di bilanciamento che coinvolgono i diritti fondamentali e della loro influenza sul processo di interpretazione E. Scoditti, Scoprire o creare il diritto? A proposito di un recente libro, in www.questionegiustizia.com, e M. Fresa, I diritti civili e i doveri del giudice, 3 settembre 2014, La Repubblica.
[17] D. Galliani, Il senso dell’obbligo costituzionale di motivazione, anche rinforzata, nel paper gentilmente concesso in visione dall’Autore, in corso di pubblicazione.
[18] G. Cataldi, Ruolo e funzione della Corte di cassazione: il punto di vista del giudice d’appello, in www.questionegiustizia.com, f.n.3/2017.
[19] P. Grossi, L’invenzione del diritto, cit., 103.
[20] L. de Ruggiero, Cosa si aspettano i giudici di merito dalla Cassazione: i “precedenti” e il controllo della motivazione, in www.questionegiustizia.com, f.n.3/2017.
[21]B. Rizzardi, Il giudice di merito e la Corte di cassazione: alla ricerca della nomofilachia perduta, in www.questionegiustizia.com., f.n.3/2017.
[22] Sulla solitudine del giudice di merito in relazione a materie sensibili insiste, opportunamente, M. G. Luccioli, I miei cinquant’anni in magistratura, cit., 67.