Il mare dei diritti umani. Relazioni introduttive
(atti del Convegno di Milano 4 ottobre 2019)
Il 4 ottobre 2019 la Commissione per i diritti umani del Consiglio dell'ordine degli Avvocati di Milano ha organizzato il convegno Il mare dei diritti umani. Uno sguardo tecnico-giuridico sulle vicende del Mediterraneo.
Una giornata di studi di straordinario interesse che ha visto la partecipazione di personalità del mondo forense ed accademico, tutte rivolte a testimoniare il ruolo svolto nella protezione dei diritti che ruotano attorno al “mare”. Testimonianze, esperienze e riflessioni che Giustizia insieme ha considerato di grande rilevanza, tanto da farsi promotrice della pubblicazione dei lavori dell’incontro. L’Avvocata Paola Regina ha con caparbietà reso possibile questa spes, che finalmente si realizza raccogliendo la gran parte degli interventi da destinare ai lettori della Rivista che saranno pubblicati i prossimi lunedì, sulla Rivista.
La sensazione che emerge dalla lettura dei singoli interventi è quella di un nocciolo duro di professionisti forensi votati alla tutela dei diritti fondamentali delle persone più vulnerabili. Anche nelle relazioni introduttive che saranno pubblicate in apertura emerge in modo marcato la centralità della figura dell’Avvocato come garante dei diritti della persona. Un ruolo propulsivo rispetto ai diritti protetti dalle Costituzioni e dalle Carte dei diritti fondamentali che rende il professionista legale artefice e garante dei diritti da reclamare e fare valere dinanzi al giudice, insieme al quale coltiva il desiderio di rendere effettivi, reali e concreti quei diritti “non di carta”.
Gli interventi del Prof. Tullio Scovazzi, ordinario di diritto internazionale presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca, dell’Avvocata Tani, professore in "International Law of the Sea" presso l'Università di Milano-Bicocca, del professore Yasha Maccanico, rappresentate di STATEWATCH, ricercatore presso l'Università di Bristol (UK), cofondatore dell’Osservatorio solidarietà della Carta di Milano, di Daniela Padoan, scrittrice, componente dell'associazione Laudato, dell' avv. Rosa Lo Faro, avvocata di Open Arms e di Sea Eye, unitamente alla Comunicazione inviata al Procuratore della Corte penale internazionale da Omar Schatz, avvocato specializzato in controversie internazionali, contenente elementi di prova relativi ai crimini contro l’umanità commessi da pubblici ufficiali della Unione Europea e degli Stati Membri come parte di un progetto premeditato finalizzato a contenere il flusso migratorio dall’Africa sulla rotta del Mediterraneo centrale danno il senso e la misura di quanto sia stato profondo l’impegno profuso da NGO, difensori delle NGO e dei migranti nella protezione di diritti spesso considerati non diritti.
Oggi vengono pubblicate le relazioni introduttive di Paola Regina, Ileana Alesso e Simona Giannetti.
La Direzione scientifica
IL MARE DEI DIRITTI UMANI
Paola Regina, avvocato internazionalista, componente della Commissione diritti umani del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano, difensore della vittime di violazioni di diritti umani nell’ambito del sistema giuridico internazionale, rappresentante dell’Unione forense per i diritti umani e dell’Osservatorio solidarietà - Carta di Milano.
Ileana Alesso, avvocato amministrativista, componente della Commissione diritti umani del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano, impegnata nei processi a tutela dei Diritti Civili e Politici, già Consigliera di Fiducia dell’Università di Milano-Bicocca e Consigliera Ordine Avvocati Milano, Fondatrice e Presidente di FronteVerso Network.
Simona Giannetti, avvocato penalista, componente della Commissione diritti umani, difensore dei Diritti Fondamentali, membro del Direttivo di Nessuno tocchi Caino, Presidente dell’associazione Sixweeks per il Diritto alla Conoscenza.
Relazione introduttiva di Paola Regina
Da tempo assistiamo alla distorsione degli istituti giuridici nazionali ed internazionali e delle verità processuali relative ad ogni questione giuridica insorgente nell’area del mare Mediterraneo. L’idea di organizzare un convegno scientifico, promosso dalla Commissione diritti umani del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Milano, sorge dall’esigenza di ribadire il ruolo del diritto nell’ambito della società civile, chiarendo istituti giuridici e verità processuali. Riteniamo che i giuristi abbiano il dovere di assicurare quello standard minimo di garanzie relative all’esercizio da parte di ogni persona dei propri diritti e delle libertà, a presidio dello Stato di Diritto e della Democrazia.
SOMMARIO: 1. Diritto Internazionale del mare. 2. Ambito di applicazione nello spazio dei trattati a tutela dei diritti umani - nozione di giurisdizione in conformità della giurisprudenza CEDU. 3. Principi cardine del diritto internazionale nella recente giurisprudenza. 4. Conclusioni.
1. Diritto Internazionale del mare.
Il mare Mediterraneo, culla antichissima di cultura e civiltà, per via della sua posizione geografica, è al centro, da molto tempo, di un dibattito dilaniante, che ha stravolto, nel linguaggio collettivo, le categorie fondamentali del diritto internazionale.
Il diritto internazionale del mare, infatti, riveste da sempre enorme importanza, non solo per la specifica disciplina degli spazi marini nazionali ed internazionali, ma perché costituisce, da sempre, l’esempio principe di applicazione del diritto internazionale consuetudinario e pattizio. Com’è noto, il diritto internazionale entra nella sfera giuridica nazionale attraverso l’art. 10 e l’art. 117 della Costituzione italiana. Dunque, mentre la norma internazionale consuetudinaria, al momento dell’immissione nell’ordinamento interno assume rango costituzionale, la norma internazionale pattizia assume il rango della norma d’immissione nell’ordinamento italiano. Gli ultimi dati raccolti dalla Organizzazione Internazionale per le Migrazioni mostrano che il numero dei morti nel Mediterraneo, nell’arco del 2019, corrisponde alla metà dei migranti morti in tutto il mondo[1].
Al fine d’inquadrare in modo tecnico e scientifico le tematiche oggetto del presente convegno, è necessario tracciare un quadro sintetico ed esaustivo della normativa vigente nell’ambito del diritto internazionale del mare.
Lo strumento normativo di riferimento è la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS)[2], adottata a Montego Bay il 10 dicembre 1982 ed entrata in vigore sul piano internazionale il 16 novembre 1994, ratificata dall’Italia con Legge 2 dicembre 1994, n. 689.
Com’è noto, la Convenzione di Montego Bay:
1) delimita l’estensione della sovranità territoriale dello Stato sino a 12 miglia dalla costa, chiarendo il regime giuridico applicabile. In particolare, l’art. 2 prescrive letteralmente che “la sovranità dello Stato costiero si estende, al di là del suo territorio e delle sue acque interne e, nel caso di uno Stato-arcipelago, delle sue acque arcipelagiche, a una fascia adiacente di mare, denominata mare territoriale. Tale sovranità si estende allo spazio aereo soprastante il mare territoriale come pure al relativo fondo marino e al suo sottosuolo. La sovranità sul mare territoriale si esercita alle condizioni della presente Convenzione e delle altre norme del diritto internazionale; mentre l’art. 3 delimita l’estensione del mare territoriale, riconoscendo il diritto di ogni Stato di fissare la larghezza del proprio mare territoriale fino a un limite massimo di 12 miglia marine, misurate a partire dalle linee di base determinate conformemente alla presente Convenzione.
2) definisce la c.d. “zona contigua” all’art. 33, disponendo che “in una zona contigua al suo mare territoriale, denominata "zona contigua", lo Stato costiero può esercitare il controllo necessario al fine di: a) prevenire le violazioni delle proprie leggi e regolamenti doganali, fiscali, sanitari e di immigrazione entro il suo territorio o mare territoriale; b) punire le violazioni delle leggi e regolamenti di cui sopra, commesse nel proprio territorio o mare territoriale. La zona contigua non può estendersi oltre 24 miglia marine dalla linea di base da cui si misura la larghezza del mare territoriale.
3) regolamenta il passaggio inoffensivo delle navi all’art. 19, chiarendo che “il passaggio è inoffensivo fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero. Tale passaggio deve essere eseguito conformemente alla presente Convenzione e alle altre norme del diritto internazionale. Il passaggio di una nave straniera è considerato pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero se, nel mare territoriale, la nave è impegnata in una qualsiasi delle seguenti attività: a) minaccia o impiego della forza contro la sovranità, l'integrità territoriale o l'indipendenza politica dello Stato costiero, o contro qualsiasi altro principio del diritto internazionale enunciato nella Carta delle Nazioni Unite; b) ogni esercitazione o manovra con armi di qualunque tipo; c) ogni atto inteso alla raccolta di informazioni a danno della difesa o della sicurezza dello Stato costiero”. Tale disposizione è venuta in rilievo nel recente caso, noto alla cronaca, relativo al passaggio della nave Sea Watch 3, al fine di valutare il carattere “inoffensivo” del passaggio di una nave che trasporta persone soccorse in mare in adempimento degli obblighi internazionali[3].
4) infine, all’art. 98, la Convenzione di Montego Bay statuisce l’obbligo di soccorso in mare, così recitando: “ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa; c) presti soccorso, in caso di abbordo, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa e immatricolata, e qual è il porto più vicino presso cui farà scalo.” Il secondo comma dell’art. 98 della Convezione di Montego Bay continua, sancendo per ogni Stato costiero l’obbligo di promuovere la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali.
L’obbligo di soccorso in mare è sancito altresì dalla Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS)[4], richiede agli Stati parte “…di garantire che vengano presi gli accordi necessari per le comunicazioni di pericolo e per il coordinamento nella propria area di responsabilità e per il soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste”. Tali accordi dovranno comprendere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di tali strutture di ricerca e soccorso, quando esse vengano ritenute praticabili e necessarie”. Infine, la Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979 (Convenzione SAR)[5] prescrive l’obbligo di “…garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare… senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata” ed a “[…] fornirle le prime cure mediche o di altro genere ed a trasferirla in un luogo sicuro”.
Nell’ambito di questo sintetico quadro giuridico, è necessario inserire il divieto di respingimento sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra[6], nonché i divieti d’espulsione collettiva, sanciti dall’art. 4 del Quarto Protocollo annesso alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo[7] e dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che recita letteralmente: “nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene inumane e degradanti”[8].
La Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale[9] ricorda la superiorità gerarchica delle norme di diritto internazionale a protezione dei diritti fondamentali, prescrivendo, all’art. 19, par. 1, che “nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica gli altri diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e degli individui derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto umanitario e il diritto internazionale relativo ai diritti dell’uomo, in particolare, laddove applicabili, la Convenzione del 1951e il Protocollo del 1967relativo allo status dei rifugiati e i principio di non respingimento ivi enunciato”.
All’esito di questo sintetico quadro normativo, è utile ricordare che, sulla base dell’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati[10], titolato «Trattati in contrasto con una norma imperativa del diritto internazionale generale (jus cogens)», è nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale, dove, per norma imperativa di diritto internazionale generale si intende una norma che sia stata accettata e riconosciuta dalla Comunità internazionale degli Stati nel suo insieme in quanto norma alla quale non è permessa alcuna deroga e che non può essere modificata che da una nuova norma di diritto internazionale generale avente lo stesso carattere. Dunque, non vi è dubbio sul fatto il quadro normativo esposto assuma il carattere di norma imperativa inderogabile nell’ambito del sistema giuridico internazionale.
Nella primavera 2018, all’indomani del sequestro della motonave nave della ONG spagnola Proactiva Open Arms, 29 accademici europei hanno sottoscritto un documento scientifico, ponendo in evidenza le violazioni di diritto internazionale che si stavano perpetuando nell’area del Mediterraneo e suggerendo, al contempo, i rimedi internazionalistici da adottare[11].
Si ricorda, altresì, la lettera aperta pubblicata dal gruppo d’interesse di diritto internazionale del mare in data 12 giugno 2018, ove la società scientifica italiana, partendo dai fondamenti giuridici del diritto internazionale del mare e di diritto europeo, si esprime, fornendo un parere tecnico sulle questioni di maggiore interesse, che coinvolgono l’area del Mediterraneo ed il nostro Paese.[12]
2.Ambito di applicazione nello spazio dei trattati a tutela dei diritti umani - nozione di giurisdizione in conformità della giurisprudenza CEDU.
In conformità dell'articolo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, gli Stati contraenti riconoscono (in inglese “garantiscono") a tutte le persone che ricadano sotto la propria "giurisdizione" i diritti e le libertà elencati nella presente convenzione. Gli Stati contraenti sono obbligati a riconoscere o garantire diritti già propri, già insiti in ogni essere umano, in ogni persona (non in ogni cittadino e quindi a prescindere dallo status della persona). Il requisito della "giurisdizione", in conformità dell'articolo 1, è dunque una condizione sine qua non affinché possa dirsi applicabile la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
In mare, è pacifica l’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nelle acque territoriali, ove lo Stato contraente esercita la propria sovranità. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto sussistente la giurisdizione di uno Stato anche nell’ipotesi in cui la nave voglia entrare nelle acque territoriali. Nel caso Women on Waves a altri c. Portogallo[13], la Corte ha ritenuto sussistente la giurisdizione del Portogallo e quindi ha potuto esaminare il caso solo perché il Portogallo aveva impedito, tramite il blocco al limite esterno al mare territoriale, l’esercizio di diritti garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Cosa accade in alto mare, nelle acque internazionali? sulla base di quali criteri si può ritenere applicabile la Convenzione europea dei diritti dell’uomo? Non vi sono dubbi circa la sussistenza della giurisdizione qualora i fatti avvengano su una nave battente bandiera di uno Stato, che ha ratificato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Infatti, nel caso Bakanova c. Lithuania[14], la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto sussistente la giurisdizione lituana per fatti avvenuti su una nave battente bandiera lituana. Data la complessità del tema, si rende necessaria una breve premessa sulla nozione di giurisdizione, alla luce della giurisprudenza della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La nozione di giurisdizione, in conformità della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, deve essere intesa, in senso anglosassone ovvero in senso più ampio, con una valutazione caso per caso[15]. Ciò si comprende agevolmente dalla nota pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo Loizidou c. Turchia, ove la Turchia è stata ritenuta responsabile per gli atti commessi nell’area di Cipro del nord in forza dell’effettivo controllo che esercitava in quella zona[16]. Si tratta, dunque, di un effettivo controllo de iure e de facto, esercitato in un’area geografica al momento della commissione delle violazioni dei diritti fondamentali, sanciti nella CEDU.
A tal proposito, si ricorda il noto Xhavara e altri c. Italia e Albania[17], che aveva ad oggetto un incidente in acque internazionali, in cui la nave italiana ha costretto una nave albanese, carica di persone ad una manovra che l’ha poi portata a ribaltarsi. La condizione di esercizio di effettivo controllo da parte dell’Italia, ha condotto la Corte a ritenere sussistente la giurisdizione ed a ritenere sussistente una responsabilità da parte dell’Italia.
Nel noto caso Medvedyev e altri c. Francia[18], una imbarcazione francese si era impossessata del controllo di una nave per motivi di sicurezza nazionale in acque internazionali, conducendola sino a Brest. In questo caso, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha concluso per la sussistenza della giurisdizione francese, poiché i francesi erano saliti a bordo ed avevano preso il controllo della nave.
A seguito di tale percorso giurisprudenziale, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ampliato lo spazio di applicazione della tutela delle più gravi violazioni dei diritti umani, attuando la cosiddetta “protection par ricochet”, protezione “di riflesso” dei diritti fondamentali. Basti ricordare la sentenza storica Soering c. Regno Unito[19], mediante la quale è stato impedita l’estradizione verso gli Stati Uniti del Sig. Soering, poiché sarebbe andato incontro alla detenzione nel braccio della morte in Virginia, subendo dunque una clamorosa violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il Regno Unito, dunque, consegnando il Sig. Soering agli Stati Uniti avrebbe compiuto una violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che vieta i trattamenti inumani e degradanti.
Nel caso Saadi c. Italia[20], un cittadino tunisino era stato colpito da provvedimento di espulsione da parte delle autorità italiane, poiché sospettato di affiliazione ad organizzazioni terroristiche, nonostante quest’ultimo fosse esposto al rischio di trattamenti inumani e degradanti in Tunisia, in violazione dell’art. 3 CEDU. La Corte ritenne che il rischio di subire trattamenti inumani e degradanti fosse fondato ed attuale, tenendo conto, peraltro, che la Tunisia non aveva fornito garanzie all’Italia in senso contrario. Si ritenne che il provvedimento di espulsione avesse, dunque violato l’art. 3 CEDU.
In questa sede è doveroso ricordare che, mediante la nota sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia del 23 febbraio 2012[21], la Corte europea dei dritti dell’uomo ha condannato all’unanimità l’Italia per la violazione del divieto di sottoporre a tortura e trattamenti disumani e degradanti (art. 3 CEDU), per l’impossibilità di ricorso (art.13 CEDU) e per il divieto di espulsioni collettive (art. 4 IV Protocollo aggiuntivo CEDU). Si tratta del noto caso in cui sulla base degli allora vigenti accordi Italia-Libia, la marina italiana intervenne, riportando le persone in Libia. Secondo la Corte, a partire dal momento in cui sono saliti sulla nave italiana sono stati sottoposti al controllo interrotto de iure e de facto delle autorità italiane che hanno violato il divieto di respingimento in alto mare. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che, sulla base dei Report dei più accreditati Enti internazionali a tutela dei diritti umani (Human rights watch, Amnesty international, Comitato di prevenzione della tortura), le persone riportate in Libia sarebbero state sottoposte a trattamenti inumani e degradanti, in violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
In mare, dunque, la Convenzione europea dei diritti umani si applica ogniqualvolta la vittima si trovi in uno spazio nel quale lo Stato eserciti, di fatto, diritti sovrani, rilevanti ai fini della CEDU, in conformità del diritto internazionale del mare. Da questa breve disamina della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla sussistenza della giurisdizione degli Stati firmatari della CEDU, si evince in modo molto chiaro uno dei principi cardine della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, consistente nell’obbligo per gli Stati di garantire UNA EFFETTIVA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI, senza utilizzare lo spazio internazionale, come luogo dove cercare di eludere l’obbligo di rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione.
3. Principi cardine del diritto internazionale nella recente giurisprudenza.
In questa sede, appare doveroso ricordare il noto caso Cap Anamure, mediante il quale il Tribunale di Agrigento, con sentenza n. 954 del 7 ottobre 2009, ha assolto alcuni pescatori tunisini dall’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, in applicazione delle norme imperative di soccorso in mare[22]. Le motivazioni della sentenza sono fondate sul divieto respingimento e sull’obbligo di condurre i naufraghi in un “place of safety”, in un luogo sicuro, non nel porto più vicino, sulla base della Convezione SAR. la Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979 (Convenzione SAR).
Si rinviene l’applicazione degli stessi principi di diritto internazionale in diverse recenti pronunce ed in particolare, si ricorda il noto Decreto di rigetto di richiesta di sequestro preventivo della nave Proattiva Open Arms emesso dal Tribunale di Ragusa il 16 aprile 2018[23]. In quella sede, il giudice per le indagini preliminari aveva ricordato che le operazioni di soccorso non si esauriscono con il recupero in mare dei migranti, ma devono completarsi e concludersi con lo sbarco in un luogo SICURO. Per luogo sicuro deve intendersi un luogo dove la vita delle persone non è più minacciata e dove è possibile fare fronte ai bisogni ai loro bisogni fondamentali come acqua, cibo, riparo e cure sanitarie. Il Tribunale di Ragusa continua osservando che a fronte delle informazioni disponibili, la Libia NON è un luogo sicuro in quanto avvengono gravi violazioni dei diritti umani su persone trattenute in centri di detenzione, sottoposte a maltrattamenti, stupri o a lavori forzati. L’esercizio del diritto, in conformità dell’articolo 51 c.p. appare, dunque, di frequente scriminare le ipotesi accusatorie nei confronti delle ONG. Infatti, com’è noto, la disumana realtà dei numerosi centri di raccolta migranti in Libia è stata molto ben descritta dal Report on human rights situation of migrants and refugees in Lybia “Desperate and Dangerous”[24], pubblicato lo scorso 18 dicembre 2018 dall’Alto Commissariato per i diritti umani con il supporto della missione ONU in Libia.Gli orrori dei centri di raccolta e transito dei migranti in Libia sono stati oggetto della nota sentenza della Corte d’Assise del Tribunale di Milano del 10 ottobre 2017, mediante la quale, è stato condannato un torturatore di nazionalità somala, operante nei campi di detenzione libici, riconosciuto da alcune parti offese e consegnato all’autorità giudiziaria italiana. L’imputato, di soli ventiquattro anni, è risultato essere membro di un’organizzazione criminale dedita al traffico di migranti avente carattere transnazionale, tra il 2015 e il 2016 avrebbe concorso a gestire almeno due “campi di transito” situati in Libia, in cui i migranti (in questo caso tutti cittadini somali) venivano imprigionati, torturati e minacciati in attesa del pagamento del prezzo richiesto per raggiungere l’Europa. Il processo si è concluso con la condanna all’ergastolo, con tre anni di isolamento diurno, oltre che alle pene accessorie e al risarcimento dei danni nei confronti delle undici parti civili costituitesi nel giudizio. I gravi delitti che si assumono commessi in danno di centinaia di vittime dal giovane imputato sono: sequestro di persona a scopo d’estorsione aggravato dalla morte di alcuni sequestrati, violenza sessuale e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La sentenza emessa in primo grado è attualmente oggetto d’impugnazione in sede d’appello. Tuttavia, la ben documentata condizione dei campi di detenzione libici appare delineata e definita ormai in modo molto chiaro ed inequivocabile dagli atti processuali. Si ricorda che, in data 3 giugno 2019, è stata presentata una comunicazione alla Corte Penale Interazionale, attestante crimini contro l’umanità commessi dal 2014 al 2019 nell’area del Mediterraneo. In particolare, si deduce la responsabilità penale diretta e indiretta in capo ad alcuni Stati Europei e ad alcuni funzionari o agenti dell’Unione Europea per: 1)Morte per annegamento di oltre 19.000 civili, richiedenti asilo, in fuga da un conflitto armato, 2) Respingimento di 50.000 civili in fuga da zone di conflitto armato, 3) Responsabilità concorsuale per crimini contro l’umanità ed in particolare per deportazione, omicidio, reclusione forzata, riduzione in schiavitù, tortura, stupro, persecuzione di massa[25].
Da ultimo, la recente sentenza del Tribunale di Trapani, resa il 23 maggio 2019 e depositata il 3 giugno 2019 attesta il divieto di respingimenti collettivi e l’inefficacia degli accordi con la Libia in quanto contrari a norme imperative[26]. In particolare, l’attenzione del Tribunale si è concentrata, in particolare, sulla compatibilità con il diritto internazionale del mare, ed in particolare con la Convenzione di Amburgo, del memorandum d’intesa tra Italia e Libia del febbraio 2017. La sentenza fornisce un’ampia ricostruzione del fondamento nel diritto internazionale (consuetudinario e pattizio) del principio di non refoulement e del divieto di tortura, concludendo che “il memorandum Italia-Libia risulta essere privo di validità, in conformità dell’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, poiché in contrasto con norme imperative di diritto internazionale.
4. Conclusioni
L’esame di parte della giurisprudenza evidenzia una crescente criminalizzazione delle condotte di solidarietà, condotte che, in realtà sarebbero prescritte come obbligatorie sia dal diritto internazionale, che da quello europeo. Infatti, i procedimenti giudiziari avviati nei confronti di associazioni o singole persone solidali, si sono conclusi con l’assoluzione degli stessi, poiché la condotta incriminata risulta sempre scriminata dall’esercizio del diritto. La solidarietà, prevista dall’art. 2 della Costituzione italiana, assume il carattere di principio fondamentale dell’Unione europea, codificato all’art. 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea[27]. In Francia si è giunti persino a codificare le delit de solidarieté, figura giuridica che è stata di recente oggetto di una pronuncia riformatrice del Conseil Costitutionel[28]. La crescente compressione dei diritti fondamentali in Europa è davvero allarmante. La Commissione diritti umani del Consiglio dell’ordine di Milano si è assunta l’onere di sottolineare e sostenere il potere/dovere di denuncia delle violazioni dei diritti fondamentali da parte dell’avvocatura innanzi alle Corti competenti. A seguito dello studio del fenomeno crescente di criminalizzazione della solidarietà, a Milano è stato creato un Osservatorio sulla criminalizzazione degli atti di solidarietà[29]. Infine, colgo l’occasione per ribadire, in questa sede, l’importanza fondamentale dell’educazione scolastica ed universitaria. Mai come in questo momento storico posso mai smettere di ringraziare la scuola e l’Università, non solo perché mi ha fornito gli strumenti per comprendere la realtà e lavorare, ma soprattutto perché mi consentito di sopravvivere all’orrore davanti alle torture, agli stupri, ai naufragi, alle violenze sui bambini, alla riduzione in schiavitù, senza sentire la necessità di voltarmi dall’altra parte.
Relazione introduttiva di Ileana Alesso
Poche preliminari considerazioni sul senso del convegno a cui molto teniamo come Commissione diritti umani dell’Ordine degli Avvocati di Milano.
Il nostro intento è di rendere un servizio alla verità processuale e storica, in adempimento della funzione sociale della Avvocatura. Non esistono solo avamposti geografici, ci sono anche avamposti professionali. Lo è il nostro, a cui vogliamo fare onore poiché noi non facciamo gli avvocati, siamo avvocati e la frontiera dei diritti passa anche da noi, dal nostro impegno, dalla nostra responsabilità.
Ed è con riferimento alle risultanze processuali, all’accertamento dei fatti e alla responsabilità degli stessi, che preme ricordare una sentenza molto importante, pronunciata dalla Corte di Assise di Milano, Prima Sezione, Presidente dott.ssa Giovanna Ichino. Si tratta della sentenza n. 10, depositata nel dicembre del 2017, che ha svelato attraverso un puntuale accertamento dei fatti, l’orrore della realtà libica dei campi di detenzione e ha portato la stessa magistratura, a paragonarli ai noti lager scoperti con orrore alla fine della seconda guerra mondiale.
“Abbiamo una Auschwitz a 120 miglia dalle coste italiane” ha dichiarato, in una intervista a Rai News 24 lo scorso agosto, il dott. Massimo Del Bene, chirurgo che opera nel reparto chiamato “chirurgia della tortura” dell’Ospedale San Gerardo di Monza dove cercano di porre rimedio agli effetti permanenti della efferatezza subita dai migranti affinché qualcuno di loro possa, forse, recuperare l’uso degli arti. “Noi siamo l’oggettività, noi siamo dei tecnici, non facciamo politica, questi ragazzi devono avere voce, li torturano per anni … E quando si dice ‘li riportiamo indietro’”, conclude il medico, “è come se uno che scappa da Auschwitz tu lo prendi e lo riporti indietro”
E se nel corso della seconda guerra mondiale pochi sapevano dei lager, ora, grazie a questa sentenza recentemente confermata dalla Corte di Assise d’Appello, noi sappiamo, possiamo far sapere, dobbiamo far sapere.
Già abbiamo detto e scritto che ci siamo sempre chiesti come si potessero non notare tutti quei treni che finivano ad Auschwitz, macinando chilometri e chilometri attraverso tutti quei ciechi e laboriosi villaggi. Se oggi ci si vergogna delle leggi razziali –qui nel Palazzo di Giustizia di Milano su lodevole iniziativa del nostro Ordine è stata messa una targa a ricordo dei 106 colleghi ebrei espulsi dalla professione – e oggi (oltre al 27 gennaio di ogni anno che ricorda ciò che è accaduto e che non si può cambiare), abbiamo sentenze come quelle fin qui citate e siamo, quindi, in un’altra situazione.
Noi non siamo a “dopo”, siamo “durante” e quindi anche “prima” dei prossimi imminenti orrori, ed è anche partendo da questa sentenza, e dal libro “L’attualità del male” (*) che ad essa è dedicato, che in questo convegno ci interroghiamo sulla dinamiche a 360° che “attraversano” il Mediterraneo e che debbono interessare la applicazione corretta delle norme nazionali e internazionali secondo quel noto paradigma giuridico che, come giuristi, abbiamo appreso fin dalla primi anni di Università: il principio della gerarchia delle fonti, richiamato fortemente dai giudici di merito in occasione dei noti fatti della scorsa estate “calda”.
Una battuta finale sul senso del convegno, attingendo a quelle norme che fanno parte costitutiva della nostra professione e del nostro essere nel mondo. Mi riferisco alla Dichiarazione universale dei diritti umani non solo nel suo, importante, articolato normativo bensì, al suo meno valorizzato preambolo: laddove, in relazione al “riconoscimento della dignità” degli esseri umani specifica trattarsi “della dignità inerente tutti i membri della famiglia umana”.
Quel riferimento alla “famiglia umana” continua a colpirci e a rincuorarci per l’orizzonte e la limpidezza del pensiero che l’accompagna e che consente di porlo al vertice delle norme, di diritto positivo, nella gerarchia delle fonti.
* Libro collettaneo a cura di Maurizio Veglio, ASGI -Associazione per gli studi giuridici sulla immigrazione- EdizioniSEB27
Relazione introduttiva di Simona Giannetti
Il contributo, passando attraverso la Costituzione come Carta dei Diritti Fondamentali e dunque viva nello Stato di Diritto, entra nel tema del ruolo del difensore dei Diritti Umani come riconosciuto dalle Nazioni anche nella Carta dei Diritti Umani del 9 dicembre 1998, quella che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato per consensu,“Dichiarazione sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi delle società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti”. Nel dare spazio al singolo come difensore dei Diritti Umani, si affronta la figura del Relatore Speciale che l’ONU ha istituito: è di questa figura e dell’attenzione che ha dato alle donne che si occupano della difesa dei diritti umani, che si tratta anche con riguardo alle categorie e ai rischi che sono certamente maggiori di quelli corsi dagli uomini per diverse ragion. E a partire dal singolo, che si fa protettore dei diritti fondamentali, si giunge a discutere ed a riconoscere quanto la figura dell’avvocato non possa abdicare da questo ruolo, almeno perché ne ha gli strumenti e le occasioni.
Il Convegno di oggi parla di Costituzione. Quando si parla di Costituzione occorre anche ricordarsi che qualcuno, della nostra Costituzione, dovrà pure occuparsi: perché, la nostra Costituzione non è solo la “Costituzione di carta”, la Costituzione vive e lo fa nei Diritti e nelle garanzie degli individui. E questo poi altro non è che l’espressione dello Stato di Diritto. Se vogliamo essere uno Stato di Diritto, dobbiamo fare in modo che questo sia effettivo. A questo proposito mi è venuta in mente una risoluzione del 9 dicembre 1998, che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato per consensu. Si intitola : “Dichiarazione sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi delle società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti”; è anche detta la Carta dei Diritti Umani. Quello che ci dice questa Carta è che ognuno di noi, in quanto individuo e parte dello Stato di Diritto, ha la responsabilità di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani. E allora mi sorge una domanda: ma forse l’avvocato non ha una responsabilità maggiore nella protezione dei diritti fondamentali, nel momento in cui è colui che ha a disposizione gli strumenti, ma anche ha l’occasione di poter esercitare questa protezione? L’occasione è proprio quella, in cui noi avvocati ci presentiamo dinnanzi alle giurisdizioni: è quella in cui possiamo non fare, ma essere un avvocato, se vogliamo essere i difensori dei diritti fondamentali della nostra Costituzione, e ancora prima della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Le Nazioni Unite tengono cosi tanto a questo aspetto, di riconoscere coloro che si fanno parte attiva come individui singoli o come gruppi nella società civile per la protezione dei diritti umani, che hanno previsto un Relatore Speciale. Si tratta di un membro a sé, indipendente ed esperto su un tema, che lavora in gruppo su procedure speciali dietro mandato del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite: ha il compito di occuparsi di coloro che hanno agito nella difesa dei Diritti Umani, con un mandato “ per indagare, monitorare e riferire su questioni relative a diritti umani”. Nel marzo 2019, in occasione della quarantesima sessione del Consiglio Diritti Umani della Nazioni Unite, lo Special Rapporteur sulla situazione dei difensori dei diritti umani, allora Michael Forst, ha presentato il suo rapporto annuale dedicandolo alle donne difensori dei diritti umani: il Relatore Speciale, analizzando il periodo successivo al 2011 – dopo l’ultimo rapporto – si è concentrato sui rischi e gli ostacoli di genere che le donne difensori dei diritti umani affrontano in più rispetto agli uomini, anche considerando l’impatto che hanno con le ideologie, i fondamentalismi, la militarizzazione. Ha segnalato il Relatore speciale che, tra le altre, ci sono avvocatesse per i diritti umani che rappresentano le vittime in tribunale, giornaliste che espongono questioni di interesse pubblico, donne nelle organizzazioni senza scopo di lucro o in quelle intergovernative : tutte sono molto più esposte degli uomini e le prime ad essere generalmente attaccate. E allora come non ricordare, in questa Aula Magna a proposito di donne impegnate nella difesa dei diritti umani, l’avvocata Nasrin Sotoudeh, oggi incarcerata e condannata alla pena di 38 anni di carcere e 148 frustate in Iran per aver difeso il diritto al dissenso. Io vorrei concludere con questo auspicio per tutti, qui oggi avvocati: che ogni di noi voglia essere guardiano dei Diritti, voglia essere uno di quei singoli individui che, secondo la Carta dei Diritti Umani si occupa di proteggerli, perché questo è un compito da cui non possiamo abdicare, avendone gli strumenti e le occasioni. Del resto se non avessimo adito le giurisdizioni nazionali e sovranazionali non avremmo mai avuto l’introduzione di reati come la tortura in Italia o non avremmo ottenuto sentenze della Cedu, che solo grazie all’intervento di singoli avvocati, tutori dei diritti fondamentali, sono approdate con le questioni rilevanti davanti alla giurisdizioni superiori, che hanno potuto proteggere le nostre garanzie costituzionali. E oggi allora parliamo di alcuni di questi Diritti Umani, che sono quelli che coinvolgono le persone nel mare. E anche di chi li protegge e se ne occupa.
[1] https://missingmigrants.iom.int
[2] https://www.un.org/depts/los/convention_agreements/texts/unclos/UNCLOS-TOC.htm
[3] http://www.sidiblog.org/2019/06/26/tutela-della-sicurezza-o-violazione-del-diritto-del-mare/
[4] http://www.imo.org/en/About/conventions/listofconventions/pages/international-convention-for-the-safety-of-life-at-sea-(solas),-1974.aspx
[5] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2001/05/25/001A5029/sg
[6] https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2016/01/Convenzione_Ginevra_1951.pdf
[7] https://www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf
[8] https://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf
[9] https://www.unodc.org/pdf/crime/a_res_55/res5525e.pdf
[10] http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=20041101120858
[11] https://rwi.lu.se/app/uploads/2018/03/Open-Arms-statement-def.pdf
[12] https://sidigimare.wordpress.com
[13] Women on Waves c. Portogallo (ric. n. 31276/05 – sentenza del 3 febbraio 2009); http://www.sidi-isil.org/wp-content/uploads/2010/02/DUDI-1.2010-Papanicolopulu.pdf
[14] Bakanova v. Lithuania (ric. n 11167/12 – sentenza del 31 maggio 2016), http://en.efhr.eu/2017/01/18/case-bakanova-v-lithuania-no-1116712-2016/.
[15] Cfr. De Sena - La nozione di giurisdizione statale nei trattati sui diritti dell’uomo, G. Giappichelli Editore -Torino.
[16] Loizidou c. Turchia (questioni preliminari) (ric. n. 15318/89)
[17] Xhavara e altri c. Italia e Albania (ric. n. 39473/98)
[18] Medvedyev e a. c. Francia ([GC], ric. n. 3394/03);
http://www.sidi-isil.org/wp-content/uploads/2010/02/DUDI-1_2009-Trevisanut.pdf
[19] Soering c. Regno Unito (sentenza resa il 7 luglio 1989)
[20] Saadi c. Italia [GC], ric. n. 37201/06
[21]https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.wp?facetNode_1=0_8_1_60&previsiousPage=mg_1_20&contentId=SDU743291
[22] Vassallo Paleologo, Il caso Cap Anamour, assolto l’intervento umanitario e oggi? in https://www.a-dif.org/2018/03/19/il-caso-cap-anamur-assolto-lintervento-umanitario-e-oggi/
[23] http://questionegiustizia.it/articolo/dissequestrata-la-nave-open-arms-soccorrere-i-migranti-non-e-reato_19-04-2018.php
[24] https://www.ohchr.org/Documents/Countries/LY/LibyaMigrationReport.pdf
[25] https://www.statewatch.org/news/2019/jun/eu-icc-case-EU-Migration-Policies.pdf
[26] https://www.penalecontemporaneo.it/d/6754-la-legittima-difesa-dei-migranti-e-lillegittimita-dei-respingimenti-verso-la-libia-caso-vos-thalassa
[27] http://www.europarl.europa.eu/thinktank/it/document.html?reference=IPOL-LIBE_ET%282011%29453167
[28] http://www.questionegiustizia.it/articolo/il-conseil-constitutionnel-cancella-il-delit-de-so_07-09-2018.php
[29] https://www.amnesty.it/nasce-losservatorio-carta-milano-la-solidarieta-non-reato/