È partita dal porto di Barcellona, al Moll de la Fusta, la Global Sumud Flotilla, la più grande missione civile internazionale mai organizzata per tentare di rompere il blocco navale di Gaza e portare aiuti umanitari alla popolazione palestinese.
Le navi partite dalla città catalana, insieme a quelle salpate da Genova con a bordo più 300 tonnellate di aiuti, sono state le prime a prendere il largo. Il 4 settembre altre imbarcazioni partiranno da Tunisia, Grecia e Sicilia: tutte si incontreranno in acque internazionali per proseguire insieme verso le coste della Striscia, con arrivo previsto a metà settembre. La flottiglia conta tra le 40 e le 50 imbarcazioni, con delegazioni provenienti da 44 Paesi e circa 500 partecipanti tra attivisti, politici e volontari. Delle oltre 30.000 persone che avevano fatto richiesta di partecipare via mare e via terra, solo chi rispondeva a criteri severi è stato selezionato: buona salute, capacità di navigare e disponibilità ad affrontare il rischio di detenzione, con la possibile conseguente sospensione delle cure mediche. Sono stati inoltre esclusi i profili impulsivi o potenzialmente aggressivi, poiché la missione vuole mantenere un carattere rigorosamente pacifico.
L’iniziativa, concepita come un atto di resistenza civile e non violenta, nasce come risposta collettiva alla drammatica condizione di isolamento e carestia che colpisce la Striscia di Gaza a causa del blocco imposto da Israele. Il progetto mira a rompere l’assedio marittimo e a richiamare l’attenzione internazionale sulla necessità di porvi fine. Alla sua base c’è la convergenza di numerosi movimenti già formati: la Freedom Flotilla Coalition, il Global Movement to Gaza, la Maghreb Sumud Flotilla e la Sumud Nusantara, espressione di diverse aree del mondo unite dallo stesso obiettivo.

"Questa sarà la più grande missione di solidarietà della storia, con più persone e più imbarcazioni di tutti i tentativi precedenti messi insieme", ha dichiarato Thiago Ávila, sociologo e attivista brasiliano, militante nei movimenti sociali del Brasile e legato al Partido Socialismo e Liberdade (PSOL) e parte della Flotilla Steering Committee. Non è la prima volta che civili si organizzano per navigare verso Israele con la stessa speranza di rompere sia l’assedio imposto ad una popolazione stremata, ed il silenzio dei governi d’Europa: “l’assedio dura da 18 anni come parte di un decennio di genocidio e pulizia etnica che si è strutturato in uno stato coloniale di apartheid, guidato non da una religione ma da un’ideologia razzista e suprematista chiamata sionismo. La prima missione, organizzata dal Free Gaza Movement, risale al 2008, quando una barca riuscì ad attraccare a Gaza per la prima volta dopo quarant’anni, dal 1967, data dell’occupazione militare dell’intera Palestina storica. Da allora 37 imbarcazioni hanno tentato la traversata, alcune fermate da pressioni politiche e ostacoli burocratici, altre bloccate o attaccate in mare”. Ávila ha ricordato che “molte missioni sono state sconfitte da una guerra burocratica, con governi e compagnie di navigazione costrette a impedirci la partenza, mentre altre sono state fermate con la forza e con la violenza. Per questo oggi, qui in Catalogna, siamo felici che non siano riusciti a bloccarci.” A luglio, un’altra barca, l’Handala, con 21 attivisti provenienti da dieci Paesi è stata intercettata in mare; e se si guarda indietro, la lista di incidenti è lunga: nel 2008 il tentativo di speronamento, nel 2010 l’assalto che causò dieci morti, negli anni successivi pressioni sui governi, arresti, espulsioni, fino al bombardamento con droni, nel maggio 2025, di un’imbarcazione in navigazione tra Malta e l’Italia.

Post dalla pagina instagram Voceebraicaperlapace, 1 Settembre 2025: https://www.instagram.com/p/DOB3P77CPIh/?utm_source=ig_web_copy_link&igsh=MzRlODBiNWFlZA%3D%3D
Alla conferenza stampa, Greta Thunberg - attivista svedese indipendente, fondatrice del movimento Fridays for Future - ha risposto a chi chiedeva perché affrontare un rischio simile: “La questione non è perché stiamo salpando. La storia non riguarda affatto la missione che stiamo per intraprendere. La vera storia riguarda la Palestina: come un popolo venga deliberatamente privato dei mezzi più basilari per sopravvivere. La storia riguarda il silenzio del mondo e il tradimento di chi è al potere, che in ogni modo possibile sta fallendo i palestinesi e tutti i popoli oppressi del mondo. Stanno tradendo il diritto internazionale e i loro doveri più elementari: prevenire un genocidio, interrompere la complicità e il sostegno a uno stato di apartheid. Ecco perché stiamo mobilitando persone da tutto il mondo, tornando ancora più forti con decine di barche. Perché semplicemente non c’è alternativa. Sappiamo cosa è in gioco e ciò che stiamo facendo è usare il nostro estremo privilegio di vivere in un mondo libero per ascoltare e agire sulla base degli appelli dei palestinesi, che ci chiedono di fare la nostra parte per porre fine alla complicità”. Insomma, il concetto ribadito da tutti i presenti era semplice: “Vogliamo vivere, ed è per questo che ci prepariamo. E vogliamo che ogni persona nel mondo abbia lo stesso diritto alla vita”.
Dal 7 Ottobre 2023 la popolazione palestinese è stata stravolta da bombardamenti, carestia, collasso sanitario e distruzione delle infrastrutture, un conflitto di natura genocidaria che ha già provocato circa 60.000 morti e milioni di feriti e sfollati. All’inizio del 2025 Israele ha accusato l’UNRWA e altre agenzie ONU di collusione con Hamas, le ha delegittimate e ha imposto un nuovo sistema di aiuti sotto il proprio controllo e quello degli Stati Uniti. Il modello civile di distribuzione basato su organizzazioni internazionali e comunità locali è stato così smantellato e sostituito da un meccanismo militarizzato gestito dalla Gaza Humanitarian Foundation e dai lanci aerei. Un’indagine di Forensic Architecture pubblicata a marzo 2025 ha rivelato come questo sistema sia insufficiente, pericoloso e tutt’altro che umanitario. La ricerca, accompagnata da una mappa interattiva e da un report di 150 pagine, mostra come gli aiuti non riescano a sostenere la vita civile, costringano la popolazione a spostamenti forzati, rendano mortale il semplice tentativo di accedere al cibo e contribuiscano al collasso dell’ordine sociale a Gaza. La ripetizione di questi episodi in tempi e luoghi diversi indica un disegno deliberato, non eventi casuali. [1] Anche Medici Senza Frontiere[2], Al Jazeera ed altri hanno pubblicato evidenza ed inchieste che denunciano la farsa della distribuzione degli aiuti.

Post dalla Pagina Facebook Al Jazeera English, 7 Agosto 2025: https://www.facebook.com/watch/?v=1927215381155615
“Non si tratta di noi che siamo qui, ma del perché siamo qui oggi. Impongono un assedio illegale a Gaza da 18 anni, dal 2007. Senza alcuna ragione hanno deciso che questa parte di terra dovesse essere chiusa, senza accesso. La prima misura presa 22 mesi fa è stata bloccare acqua, medicine, elettricità e cibo. La fame che vediamo è intenzionale, è creata dall’uomo. Questa è una missione nonviolenta che mira ad aprire un corridoio umanitario, ma per una ragione politica: ciò che accade non è un disastro naturale. Non possiamo ignorare che i palestinesi vengono fatti morire di fame da un governo che li affama deliberatamente. (…) Non siamo qui per servire i palestinesi né per insegnare loro la nonviolenza o dire quale resistenza scegliere. Qualsiasi popolo sotto occupazione ha il diritto di decidere come resistere. Noi, come movimento, abbiamo preso la decisione strategica di scegliere la nonviolenza per mobilitarci, per lavorare insieme e sostenere la resistenza attraverso la solidarietà. Questa non è una missione per noi, ma la costruzione di un movimento di solidarietà che si opponga all’oppressione ovunque si manifesti. Portiamo il Sud globale verso il Nord globale: lavoriamo insieme passo dopo passo, perché loro sono uniti nei loro crimini e noi siamo uniti nella nostra solidarietà”. L’intervento di Saif Abukeshek, attivista spagnolo-palestinese e militante di Alternativa de Catalunya, anche lui nella Steering Committee, è stato applaudito dalla folla di circa 5000 persone emozionate e radunate sotto il sole caldo di fine estate a Barcellona.
Nel corso della giornata il pubblico ha seguito gli interventi degli attivisti sul palco, si è dipinto il volto con bandiere e fiori, ha condiviso chiacchiere, lacrime e sorrisi, nell’attesa della partenza delle barche fissata per le 15. L’entusiasmo è esploso in cori e slogan che hanno scandito l’atmosfera: “¡Sí se puede!”, “Free Free Palestine”, “israel no es un país es una occupation”, accompagnati da bande ed orchestre che scandivano le ore prima della partenza.

Nonostante le azioni della Flotilla siano completamente conformi al diritto internazionale, al salpaggio, Benjamin Netanyahu ha dichiarato apertamente che le barche saranno attaccate e che le persone a bordo saranno trattate come terroristi e trasferite in carceri di massima sicurezza, nel silenzio dei governi europei. La sua posizione viola il diritto internazionale sul sequestro in acque internazionali e si inserisce in un contesto di forti tensioni tra esercito e governo israeliano. Durante una riunione ad agosto, il generale Eyal Zamir ha dichiarato che l’esercito non intende assumere il ruolo di governo militare della Striscia, neppure in caso di occupazione di Gaza City e dei campi profughi centrali. Il generale ha accusato Netanyahu di trascinare le forze armate senza considerare le conseguenze, mettendo a rischio gli ostaggi e imponendo la gestione di due milioni di palestinesi in condizioni umanitarie critiche. La Ministra delle Colonie e Missioni Nazionali Orit Malka Strook gli avrebbe risposto leggendo un versetto del Deuteronomio insinuando che il generale sia un codardo, al che Zamir avrebbe alzato la voce verso Netanyahu: “Io ho solo due missioni: evitare un attacco nucleare iraniano e distruggere Hamas. Se vuoi cieca disciplina chiama qualcun altro”.[3]
Quel giorno il gabinetto di sicurezza israeliano ha approvato la chiamata di 60.000 riservisti per proseguire l’assedio a Gaza City, con un piano che prevede l’evacuazione forzata dei civili palestinesi entro il 7 ottobre e un assedio finale ai militanti di Hamas. In parallelo, Donald Trump continua a promuovere l’idea della “Gaza Riviera”, presentata come un progetto di riqualificazione tecnologica e turistica dopo la distruzione in corso.[4]
Secondo Lucio Caracciolo, direttore di Limes, ciò che impedisce all’Italia di promuovere una coalizione di volontari per esfiltrare via mare chi è condannato a morte atroce è innanzitutto la mancanza di volontà politica. Ogni Stato dell’Unione Europea potrebbe salvare vite senza grandi sacrifici: se ogni cittadino europeo salvasse un gaziano ogni diecimila abitanti, si ridurrebbero di 45.000 le morti sulla nostra coscienza. L’appello è anche un monito agli israeliani che, resistendo all’imbarbarimento, rischiano di diventare strumenti involontari dell’odio antiebraico globale. La soluzione finale non è inevitabile.[5]
In questo contesto, la Global Sumud Flotilla rappresenta un esempio concreto di solidarietà. La più grande forza di questa operazione è di dimostrare che né eroi né santi, ma cittadini comuni si sono organizzati, hanno comprato barche civili, e scelto di salpare. Alla partenza da Barcellona, tra tamburi, canti, sorrisi e lacrime, il messaggio era chiaro: “Restare in silenzio significa essere complici. Il silenzio uccide quanto le bombe. L’Europa, che ha giurato tante volte ‘mai più’, ancora una volta volge lo sguardo altrove. Gaza è uno specchio che ci riflette tutti”, ha dichiarato l’attore e altro membro della Steering Committee, Eduard Fernández.
Che la Flotilla riesca o meno a raggiungere Gaza, la sua esistenza è già una vittoria: rompe il blocco, spezza l’indifferenza e denuncia l’ipocrisia dei governi che finanziano le guerre. Dimostra che la solidarietà può tradursi in azione concreta, e che portare aiuti sarebbe solo il primo passo di una serie di interventi necessari.

Sumud, in arabo, significa resilienza, perseveranza, fermezza, ma per i palestinesi rappresenta soprattutto il diritto a vivere nella propria terra. Nelle parole dell’attivista malesiano della Steering Committee Flotilla, Muhammad Nadir Al-Nuri “Nel nostro Paese esiste una parola simile a “Sumud” che indica le formiche, e questo è il modo in cui ci muoviamo oggi: come una piccola colonia di formiche, fiere, che lavorano insieme e avanzano insieme”.
Supportare la Flotilla significa, quindi, condividere quell’atto collettivo: essere idealmente presenti su quelle barche e assumere delle responsabilità politiche, sia storiche che contemporanee.

Per seguire le barche:
Global Sumud Flotila: https://www.instagram.com/GlobalSumudFlotilla/
Global Sumud Flotila Italia: https://www.instagram.com/globalmovementtogazaitalia/
Thiago Ávila: https://www.instagram.com/thiagoavilabrasil/
Greta Thunberg: https://www.instagram.com/gretathunberg/
Muhammad Nadir Al-Nuri: https://www.instagram.com/nadiralnuri/
Tony La Piccirella: https://www.instagram.com/tonylapiccirella_/
Ada Colau: https://www.instagram.com/adacolau/
Yusuf Omar: https://www.instagram.com/yusufomar?utm_source=ig_web_button_share_sheet&igsh=ZDNlZDc0MzIxNw==
Lucia Munoz: https://www.instagram.com/luciadalda/
Ed altrx…
Per seguire dalla terra:
https://www.emergency.it/blog/dai-progetti/la-situazione-a-gaza-gli-aggiornamenti-di-emergency/
[1] The Architecture of genocidal Starvation, July 2025: https://forensic-architecture.org/investigation/aid-in-gaza
[2] This is not aid. This is orchestrated killing, August 2025: https://www.doctorswithoutborders.org/sites/default/files/documents/MSF-Gaza-ThisIsNotAid-FINAL.pdf
[3] Francesco Battistini su “Ostaggi ed invasione: Netanyahu ignora l'altolà dei generali: «Concludete il lavoro»”: https://www.corriere.it/esteri/25_settembre_02/ostaggi-e-invasione-netanyahu-ignora-l-altola-dei-generali-concludete-il-lavoro-f7c41ccc-fca9-424c-bfa4-58b41b0e6xlk.shtml
[4] https://www.washingtonpost.com/national-security/2025/08/31/trump-gaza-plan-riviera-relocation/
[5] https://www.limesonline.com/rubriche/il-punto/gaza-palestinesi-palestina-israele-ebrei-hamas-israeliani-19738202/