Sommario: 1. La disciplina e l’applicazione del c.d. “visto umanitario” – 2. Il caso di specie: la situazione nella Striscia di Gaza. – 3. Il diritto di asilo costituzionale: l'ingresso nel territorio italiano – 4. Valutazioni conclusive: quale effettività per le vie di ingresso legali?
1. La disciplina e l’applicazione del c.d. “visto umanitario”
Tra agosto e settembre 2025 il Tribunale di Roma ha ordinato il rilascio di varie tipologie di visti di ingresso a favore di cittadini palestinesi che si trovano nella Striscia di Gaza[1].
Precisamente, con due provvedimenti del 9 e 10 settembre, i giudici romani hanno ordinato al MAECI e all’Ambasciata d’Italia in Israele-Gerusalemme il rilascio del visto d’ingresso per ricongiungimento familiare.
I due provvedimenti di settembre seguono, in parte, le orme dei cinque provvedimenti emessi sempre dal Tribunale di Roma tra il 6 e il 13 agosto[2], con cui si ordinava, al MAECI e alle autorità diplomatico-consolari, il rilascio di visti di ingresso in Italia per motivi umanitari a favore di cittadini palestinesi che vivono della Striscia di Gaza. L’autorizzazione all’ingressso è stata prevista ai sensi dell’art. 25 del Regolamento UE n. 810/2009, dell’art. 10, co. 3 Cost. e dell’art. 19 T.U.I.
Questi ordini di rilascio sono stati riportati da molte testate giornalistiche[3] sia per l’importanza dei provvedimenti in sé ma, anche e soprattutto, per il mancato seguito all’ordine del Tribunale, in quanto i cittadini palestinesi in questione si ritrovano ad oggi ancora bloccati nella Striscia di Gaza.
Prima di procedere ad analizzare il caso di specie, si ritiene necessario effettuare una brevissima introduzione sullo strumento normativo dei visti umanitari e sulla sua applicazione in Italia.
Il visto umanitario è uno strumento di ingresso legale che permette ai cittadini stranieri di richiedere un visto presso le rappresentanze diplomatiche degli Stati membri situate nel Paese terzo in cui si trovano e, una volta ottenuto, di recarsi legalmente nello Stato di destinazione. Lo strumento trova la sua disciplina nel Regolamento CE n. 810/2009 (c.d. Codice Visti), che all’art. 25 prevede la possibilità di rilasciare visti per ragioni umanitarie.
Più precisamente, l’art. 25 prevede un visto con validità territoriale limitata (VTL), valido solo per il territorio dello Stato membro di rilascio del visto, sempre per un massimo di 90 giorni. È proprio dalla disciplina del visto VTL che è possibile dedurre lo strumento del visto umanitario. L’articolo 25 stabilisce infatti che gli Stati membri, qualora lo ritengano necessario, possono rilasciare eccezionalmente visti con validità territoriale limitata in presenza di motivi umanitari, di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali. Una volta riconosciuta una di queste circostanze, è possibile derogare ai requisiti generali previsti per il rilascio del visto uniforme Schengen, quali ad esempio il possesso di un documento di viaggio valido o mezzi di sussistenza sufficienti per il soggiorno[4].
A conferma della possibilità di dedurre la disciplina dello strumento del visto umanitario, a partire dalle disposizioni del Codice dei visti vi è anche l’art. 33 par. 1, che prevede la possibilità di prorogare il periodo di validità del visto in presenza di ragioni umanitarie che impediscono al cittadino del paese terzo di lasciare il territorio degli Stati membri.
Nonostante la disciplina dell’art. 25 del Codice Visti sia particolarmente chiara nel prevedere la possibilità degli stati di rilasciare tale tipologia di visto, la stessa è ad ogni modo stata toccata da un ampio dibattito, riguardante la vincolatività della normativa in questione. Appare opportuno riportare, almeno in parte, tale dibattito e le conclusioni tratte in Italia.
La discussione attorno al tema nasce a partire dalla nota sentenza X e X c. Belgio (sentenza del 7.03.2017, causa C-638/16)[5] della Corte di Giustizia, nella quale la Corte ha evidenziato come dal diritto dell’UE non deriva alcun obbligo in capo agli Stati membri di rilasciare il visto umanitario[6]. In seguito, anche la Corte di Strasburgo si è pronunciata su un caso analogo con la sentenza M.N. e altri c. Belgio (sentenza del 05.05.2020, ric. n. 3599/18), senza tuttavia entrare nel merito e limitandosi a dichiarare la domanda irricevibile[7].
A seguito di queste pronunce in Italia si sono delineati differenti orientamenti interpretativi[8]. Secondo il primo, pienamente aderente alla posizione della Corte di giustizia, la scelta di applicare l’articolo 25 del Codice Visti rientra nella totale discrezionalità dello Stato, che non è tenuto a concedere il visto umanitario.
Un secondo indirizzo, di segno opposto, ritiene invece che l’obbligo di rilascio non dipenda dallo Stato interpellato ma dal carattere eccezionale della situazione sui cui si fonda la richiesta, sicché il motivo umanitario stesso impone il rilascio.
Tra queste due posizioni si colloca un orientamento intermedio, consolidatosi in giurisprudenza[9], secondo il quale la competenza dello Stato a rilasciare il visto sorge quando esista, da un lato, una “relazione qualificata” preesistente tra il richiedente e lo Stato e, dall’altro, vi sia una situazione di pericolo tale da richiedere un intervento immediato[10].
La mancata vincolatività nell’applicazione dell’art. 25 del Codice Visti è tuttavia rimasta al centro del dibattito, tant’è che a seguito dell’intervento della Corte di Giustizia sono state avanzate alcune proposte di emendamento, volte a modificare l’art. 25 del Codice Visti, che è rimasto tuttavia invariato[11].
Sul punto c’è stato anche un intervento del Parlamento europeo che si è rivolto direttamente alla Commissione chiedendo di istituire un visto umanitario europeo[12]. La Commissione ha in tale sede evidenziato la necessità di prioritizzare l'approvazione dello strumento del reinsediamento, relegando lo strumento del visto per motivi umanitari a un ruolo secondario, a cui, difatti, non si fa menzione nel nuovo Patto europeo[13].
Ad oggi, dunque, in assenza di una riforma europea sui visti umanitari, gli Stati possono rilasciare visti ai sensi dell'art. 25 del Codice dei Visti secondo il proprio diritto interno. Si tratta di una pratica che rimane limitata e prevalentemente confinata a programmi di reinsediamento o ammissione umanitaria[14].
In Italia lo strumento dei visti umanitari è stato utilizzato negli scorsi anni in forma prevalentemente collettiva per i c.d. corridoi umanitari e per i programmi di reinsediamenti ed evacuazioni umanitarie gestite dal Ministero dell’Interno[15].
Questa limitata applicazione solleva non solo interrogativi circa la reale esistenza e la concreta praticabilità delle vie legali di ingresso, ma impone anche di leggere tale disposizione in stretta connessione con l’articolo 10 della Costituzione, così da valutarne la portata alla luce del diritto costituzionale d’asilo.
Proprio in considerazione del diritto di asilo costituzionale, nel riconoscimento dei visti umanitari a favore dei cittadini palestinesi nella Striscia di Gaza, c’è stata un’evoluzione rispetto alla giurisprudenza precedente. I giudici romani hanno infatti interpretato l’art. 25 del Codice Visti in maniera maggiormente estensiva, riconoscendo il diritto all’ingresso in Italia per il solo motivo umanitario, su cui si fonda la richiesta. La condizione determinante ai fini del rilascio è dunque l’estrema situazione di pericolo e di necessità umanitaria, non assumendo invece rilevanza la “relazione qualificata” tra richiedente e il territorio italiano.
Tale lettura in chiave costituzionale della fattispecie si impone, poiché – come riconosciuto dagli stessi recenti provvedimenti – se è vero che lo Stato dispone di un margine di discrezionalità nel definire modalità e condizioni per il rilascio del visto umanitario, è altrettanto vero che tale potere deve esercitarsi nel rispetto dei principi costituzionali e degli obblighi internazionali.
2. Il caso di specie: la situazione nella Striscia di Gaza
I provvedimenti di riconoscimento dei visti umanitari e dei visti per motivi familiari aprono un’importante discussione sull’effettività delle vie di ingresso legali e della tutela dei soggetti vulnerabili.
Nel caso di specie, difatti, si può da subito evidenziare come i provvedimenti di riconoscimento dei visti umanitari siano rimasti privi di seguito e i ricorrenti si trovano ancora a Gaza, in attesa dell’intervento delle autorità amministrative e consolari. La problematica, nel caso di specie, sembra risiedere nella possibilità per i cittadini palestinesi di raggiungere le autorità consolari competenti ad emettere i visti.
Nonostante nei provvedimenti si legga l’ordine di provvedere al rilascio dei visti immediatamente o entro sette giorni, più di un mese dopo la situazione rimane invariata.
È evidente che il contesto presenti una complessità straordinaria e che le difficoltà nel rilascio dei visti sono aggravate sia dalle restrizioni e dagli ostacoli posti dalle autorità israeliane, sia dalla prosecuzione dei bombardamenti e delle operazioni militari in atto. Tuttavia, i legali dei ricorrenti, evidenziano come non vi sia stata alcuna motivazione nel ritardo da parte della Farnesina e neppure vi sono state comunicazioni da parte dell’Italia su eventuali attività svolte per dare seguito agli ordini del Tribunale[16].
Una situazione in parte analoga si ha con riferimento a diversi studenti palestinesi che hanno ottenuto delle borse di studio italiane ma, nonostante ciò, si trovano impossibilitati ad uscire dalla Striscia di Gaza ed entrare in Italia[17]. Anche in questo caso, emerge una marcata dissonanza tra il riconoscimento formale del diritto e la sua effettiva fruibilità.
Difatti, la Conferenza dei rettori delle Università italiane (Crui) ha promosso un bando in collaborazione con il Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministero dell’Università e della ricerca e il Consolato generale d’Italia a Gerusalemme. Si tratta di un bando che riserva delle borse di studio per immatricolarsi in Italia a studenti e studentesse palestinesi[18]. Al bando hanno partecipato circa 35 Università italiane, le quali hanno stilato la lista degli studenti vincitori per ogni università e degli idonei non vincitori, in attesa di un eventuale scorrimento di graduatoria.
Nonostante l’importante iniziativa, la situazione appare analoga a quella del rilascio dei visti umanitari. Difatti, gli studenti vincitori sono di fatto bloccati in attesa del rilascio della documentazione necessaria per entrare in Italia, nel caso di specie impossibile da ottenere.
Anche in questo caso vi è un’inefficienza del Governo italiano che, pur consapevole del paradosso in atto, non si è adoperato per garantire l’attivazione di procedure di emergenza in grado di garantire l’ingresso in Italia.
La gravità dell’inerzia statale è rafforzata dalla ben nota situazione in cui si trovano i palestinesi nella Striscia di Gaza. La forte criticità del quadro viene descritta anche nei provvedimenti stessi, i quali sono molto chiari nel delineare la situazione attuale a Gaza ed evidenziano con precisione l’urgenza di garantire ai ricorrenti la fuoriuscita dalla Striscia.
Nel provvedimento del 9 agosto il Tribunale di Roma delinea la sussistenza del fumus bonis iuris e periculum in mora ed evidenzia come, data la situazione fattuale ampiamente documentata, si configura «una catastrofe umanitaria tale da rendere ogni ritardo potenzialmente fatale e causa di un pregiudizio irreparabile»[19].
Inoltre, il 16 settembre 2025 una Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha concluso che le operazioni militari israeliane condotte a Gaza integrano un vero e proprio genocidio[20]. Precisamente, la Commissione ha riconosciuto come «sulla base di prove pienamente conclusive, la Commissione rileva che le dichiarazioni rese dalle autorità israeliane costituiscono una prova diretta dell’intento genocidario. Inoltre, sulla base di prove indiziarie, la Commissione ritiene che l’intento genocidario sia l’unica ragionevole inferenza che possa essere tratta dal modello di condotta delle autorità israeliane. Pertanto, la Commissione conclude che le autorità e le forze di sicurezza israeliane nutrono l’intento genocidario di distruggere, in tutto o in parte, la popolazione palestinese nella Striscia di Gaza»[21].
Tale valutazione assume rilievo sotto un duplice profilo: da un lato rafforza l’urgenza nel rilascio dei visti, incidendo sia sulla necessità di un intervento tempestivo, sia sugli esiti dell’udienza di conferma o di eventuale revoca del provvedimento emesso ex art. 700 c.p.c. emesso inaudita altera parte.
Dall’altro, l’inquadramento dell’azione militare in corso come genocidi rileva non solo ai fini della responsabilità dello Stato israeliano, ma anche rispetto agli obblighi che gravano sugli Stati terzi, come la stessa relazione delle Nazioni Unite espressamente evidenzia. Gli Stati terzi, difatti, devono «i) garantire che Israele attui tutte le ordinanze di misure provvisorie emesse dalla Corte internazionale di giustizia; (ii) cooperare per porre fine a tutte le azioni israeliane a Gaza che costituiscono una violazione della Convenzione sul genocidio; (iii) adottare misure per garantire la prevenzione di comportamenti che potrebbero costituire un atto di genocidio ai sensi della Convenzione sul genocidio, compreso il trasferimento di armi che sono utilizzate o potrebbero essere utilizzate da Israele per commettere atti di genocidio; (iv) non riconoscere come legittime le operazioni militari a Gaza che hanno portato alla violazione di norme imperative (ius cogens), compreso il genocidio; e (v) condurre indagini e adottare misure per garantire la punizione delle violazioni delle norme imperative»[22].
Sorge dunque spontaneo domandarsi in che termini lo Stato italiano sarebbe responsabile della mancata attuazione di tutti i canali necessari per far si che sia garantito l’ingresso in Italia ai cittadini palestinesi a Gaza, in particolare se nei loro confronti è stato riconosciuto il rilascio al visto di ingresso. La recente qualificazione delle Nazioni Unite conferma e rafforza quanto già evidenziato nei provvedimenti dell’agosto 2025, nei quali il Tribunale di Roma rilevava come diverse organizzazioni internazionali avessero definito la situazione di Gaza un “genocidio” [23], riconoscendo dunque che il periculum in mora si caratterizza per una gravità e un’eccezionalità fuori dal comune.
Nel provvedimento del 6 agosto 2025, il Tribunale evidenziava con chiarezza come «l’Italia è destinataria di specifici obblighi di prevenzione e repressione del genocidio, nonché di protezione delle vittime, derivanti non solo dalla Convenzione sul genocidio, ma anche dagli articoli 1 e 16 del Progetto ONU sugli illeciti internazionali degli Stati. Ne discende che, ai fini della presente controversia, lo Stato italiano non solo non può legittimamente ostacolare l’ingresso sul territorio dei ricorrenti in fuga da Gaza, ma anzi ha un obbligo rafforzato a consentirne l’accesso, quale misura di protezione minima e necessaria per prevenire la violazione irreparabile del diritto alla vita, all’incolumità personale e alla dignità umana»[24].
Proprio negli ultimi giorni è uscita la notizia che a inizio ottobre verrà presentata una denuncia innanzi alla Corte penale internazionale nei confronti del Governo Meloni, per «aver fornito sostegno materiale e politico allo Stato israeliano anche dopo che la Corte internazionale di giustizia, il 26 gennaio 2024, ha riconosciuto «plausibile» la fattispecie di genocidio, ordinando a Israele misure immediate per prevenirlo»[25].
Allo stesso modo, i legali che si sono occupati di seguire i ricorsi continuano a denunciare l’inerzia statale, evidenziando come la condotta tenuta dal Governo rivesta chiaramente le vesti
della responsabilità «politica, giuridica e morale assunta dal Governo. Ogni limite è superato ed è chiara la colpevole responsabilità dello Stato italiano, di cui si chiederà soddisfazione in ogni sede»[26].
Certamente, nell’ordinamento italiano non mancano strumenti capaci, da un lato, di offrire una tutela risarcitoria ex post in caso di violazione e, dall’altro, di esercitare forme di coercizione indiretta nei confronti dell’amministrazione inadempiente[27]; tuttavia, la mera esistenza di tali rimedi non elimina il dato di fatto che, nelle more del loro eventuale utilizzo, le persone interessate continuano a essere esposte a rischi gravissimi per la vita e l’incolumità.
3. Il diritto di asilo costituzionale: l’ingresso nel territorio italiano
Alla luce delle considerazioni svolte, è necessario soffermarsi – sia pur in sintesi – su un’eventuale responsabilità dello Stato alla luce della normativa costituzionale.
Ci si deve infatti interrogare, ancora una volta, su quanto l’articolo 10 della Costituzione trovi effettiva applicazione nella prassi e quanto, invece, rischi di restare una garanzia meramente formale, priva di reale effettività.
L’analisi dello strumento del c.d. visto umanitario non può prescindere dal diritto di asilo costituzionalmente garantito. In questo senso, lo strumento del visto umanitario è infatti un mero mezzo attraverso cui garantire e realizzare diritti fondamentali, tra cui, in primis, l’asilo costituzionale.
Sul punto, è stato già in dottrina evidenziato come le diverse forme di protezione oggetto di vari interventi normativi europei e internazionali «si riferiscono, in realtà, a figure soggettive di diversa derivazione e comunque strutturalmente incommensurabili rispetto a quella che scaturisce direttamente dalla Costituzione»[28].
Non è questa la sede per riportare l’evoluzione e l’applicazione della normativa costituzionale[29], tuttavia, al riguardo devono necessariamente essere svolte due precisazioni.
La prima, è che l’esercizio del diritto di asilo non richiede la presenza sul territorio da parte del richiedente.[30] Sul punto è nota la sentenza di merito con la quale si è riconosciuto il diritto a presentare la domanda di asilo da parte del leader curdo Abdullah Öcalan, che al momento della presentazione della domanda si trovava recluso in Turchia.
Questa prima precisazione viene svolta per evidenziare come, nel caso di specie, seppur i cittadini palestinesi si trovino al di fuori del territorio italiano, ciò non preclude la possibilità di riconoscer loro il diritto di asilo ex art. 10 Cost. Ciò viene esposto chiaramente anche nel decreto del 9 agosto 2025, nel quale si evidenzia come il diritto di asilo ex art. 10 Cost., nella sua portata soggettiva, non è condizionata alla presenza fisica sul territorio italiano e vincola l’amministrazione a garantire l’ingresso a chi si trovi all’estero, qualora ricorrano le condizioni di rischio grave e attuale[31].
In secondo luogo, il diritto di asilo sorge e si perfeziona nel momento stesso in cui si verifica la lesione delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione italiana ed implica, ancor prima del diritto alla tutela, il diritto di ingresso nel territorio nazionale.[32] Più precisamente, il diritto di asilo si realizza nel momento in cui all’individuo viene impedito nel proprio paese l’esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ed il diritto stesso «preesiste al formale riconoscimento»[33]. L’acquisizione del diritto di asilo avviene invero «in ragione dell’esistenza dell’impedimento e non del suo accertamento»[34] e da tale acquisizione, discende, da un lato, il diritto del richiedente ad accedere al territorio ai fini dell’accertamento del proprio diritto e, dall’altro, l’obbligo positivo in capo alle autorità statali di consentire l’ingresso nel territorio proprio ai fini di tale accertamento[35].
In dottrina[36] si è difatti evidenziato come il primo contenuto del diritto costituzionale ex art. 10 sia proprio quello di garantire l’accertamento dei presupposti ai fini del riconoscimento. Allo stesso modo, volendo adottare una visione ancora più garantista, la previsione costituzionale pone un vero e proprio vincolo, in capo ai poteri pubblici, ai fini di agevolare l’ingresso dello straniero cui «sia stato precedentemente riconosciuto il diritto di asilo»[37], così che possa godere di tale diritto.
Tutto ciò viene evidenziato non tanto per un’astratta disamina teorica quanto per inquadrare correttamente la condotta perpetrata quale una lesione del diritto di asilo ex art. 10 Cost.
La normativa dei c.d. visti umanitari deve difatti essere letta in una prospettiva ampia che prenda in considerazione, oltre i profili di diritto internazionale ed europeo, anche quelli di diritto costituzionale. Del resto, il riconoscimento del visto per motivi umanitari è sì uno strumento normativo previsto dal c.d. Codice Visti ma, allo stesso tempo, è semplicemente un mezzo attraverso cui si può garantire il diritto di ingresso contenuto nella previsione costituzionale[38].
La rilevanza della previsione costituzionale viene evidenziata con chiarezza nel provvedimento del 13 agosto[39], ove il Tribunale di Roma riporta come la situazione in cui si trovano i civili nella Striscia di Gaza costituisce un «fatto notorio di catastrofe umanitaria» che impedisce l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione italiana. Nel decreto si richiama la normativa costituzionale, evidenziando come il diritto di asilo ivi garantito «ha natura di diritto soggettivo perfetto e il suo nucleo incomprimibile include, per necessità logica e giuridica, il diritto di fare ingresso in Italia per poter formalizzare la richiesta di protezione»[40].
Ancora, la motivazione del decreto continua elencando le varie fonti da quale deriva l’obbligazione di agire dell’Amministrazione, evidenziando come su di essa grava non una mera facoltà ma una vera e propria obbligazione di mezzi, consistente nel «dovere di attivarsi concretamente e senza indugio, ponendo in essere ogni sforzo possibile e ragionevolmente esigibile. In quest'ottica, ciò che non è ammissibile è l'inerzia. L'Amministrazione deve quindi utilizzare ogni canale diplomatico, coordinarsi attivamente con lo Stato estero, organismi internazionali e associazioni umanitarie presenti sul territorio per superare gli ostacoli fattuali – quali la consegna materiale del visto e l'organizzazione dell'uscita in sicurezza attraverso canali umanitari – e documentare puntualmente tutta l'attività svolta»[41].
È dunque centrale che, nel valutare la condotta del Governo italiano e l’apparente inerzia statale in relazione alla situazione di cittadini palestinesi titolari – sulla carta – di un visto umanitario, si esami anche l’agire statale con riferimento al diritto di asilo costituzionale.
Difatti, l’inerzia statale innanzi ad un contesto di tale portata, e ad un ordine contenuto in un provvedimento giudiziale, genera non solo ad una responsabilità sotto i profili internazionali ma anche costituzionali, con un conseguente svuotamento della portata dell’art. 10 Cost.
4. Valutazioni conclusive: quale effettività per le vie di ingresso legali?
Gli eventi che si stanno verificando nella Striscia di Gaza sollevano inevitabilmente molteplici interrogativi e colpiscono sotto più profili, in primis quello umano. Senza addentrarsi nelle varie questioni che ne scaturiscono, appare opportuno svolgere qualche breve considerazione sulle specifiche ipotesi sin qui richiamate e, in particolare, sul tema dell’effettività dei diritti.
Difatti, sia nel caso dei cittadini palestinesi a cui è stato riconosciuto il visto di ingresso per via giudiziaria, sia nell’ipotesi degli studenti che sono risultati titolari di una borsa di studio in Italia, c’è una chiara discordanza tra un diritto garantito sulla carta e la sua applicazione effettiva.
Con riguardo ai visti umanitari, la discrepanza tra la disciplina astratta e la prassi applicativa non è certo nuova. La giurisprudenza europea, e poi quella nazionale, ha infatti favorito in Italia un utilizzo dello strumento quasi esclusivamente in chiave collettiva, piuttosto che per singoli richiedenti. Eppure, il rilascio del visto umanitario al singolo individuo consentirebbe, in senso opposto, di dare effettiva attuazione al diritto di asilo sancito dall’articolo 10 della Costituzione, attraverso una valutazione individuale dei presupposti soggettivi che ne giustificano il riconoscimento.
L’uso prevalente dello strumento in chiave esclusivamente collettiva – come avviene nei corridoi umanitari o nei programmi di reinsediamento – finisce invece per circoscrivere l’accesso alla protezione a gruppi selezionati e ad un numero limitato di beneficiari, comprimendo la possibilità di un vero riconoscimento del diritto di asilo su base individuale.
Certamente programmi come i corridoi umanitari costituiscono esperienze virtuose che meritano di essere rafforzate e replicate. Resta tuttavia paradossale che, mentre da un lato aumenta sempre di più la paura e la diffidenza verso gli ingressi irregolari, dall’altro, non si registri un parallelo potenziamento dei canali di ingresso legale, che rappresenterebbero proprio l’alternativa più efficace alle migrazioni clandestine[42].
Tale contraddizione risalta ancor di più se si considerano gli strumenti normativi già previsti per assicurare un ingresso legale, che in genere impongono criteri particolarmente stringenti: basti pensare agli stessi visti umanitari, il cui rilascio in Italia finora ha richiesto non solo la dimostrazione di una situazione di pericolo, ma anche l’esistenza di una relazione qualificata preesistente con lo Stato.
Appare dunque paradossale che, persino quando i requisiti per accedere a queste vie formali di ingresso risultano accertati, l’effettiva possibilità di ingresso non venga poi concretamente garantita. Tanto più se, come nel caso di specie, è presente un provvedimento giudiziario che ordina alle autorità competenti di rilasciare immediatamente i visti e che impone espressamente di adottare tutte le misure necessarie a garantire l’ingresso dei ricorrenti nel territorio italiano.
Certamente la situazione attuale nella Striscia di Gaza costituisce un caso eccezionale e di particolare complessità; tuttavia, proprio per la sua eccezionalità e gravità, si impone una valutazione complessiva che non si limiti ad un mero riconoscimento formale del diritto, ma ne assicuri anche un’effettiva attuazione.
Accade infatti di frequente che, nel trattare il diritto di asilo – e, più in generale, le tematiche migratorie – si finisca per perdere di vista la dimensione umana del fenomeno, limitandosi a un riconoscimento puramente cartolare di diritti che poi, a causa di ostacoli amministrativi e burocratici, risultano di fatto difficili da esercitare.
Nel caso di specie, appare necessario considerare l’art. 10 della Costituzione per ciò che è: un diritto soggettivo perfetto, inviolabile e che, oltre a riconoscere protezione a chi si vede limitato delle proprie libertà democratiche, impone anche determinati obblighi, tra cui quello di offrire una tutela effettiva garantendo e favorendo la possibilità di ingresso nel territorio italiano.
Si tratta, è vero, di un’obbligazione di mezzi e non di risultato; nondimeno è imprescindibile un’attivazione istituzionale volta a creare, con la massima tempestività, canali reali di accesso per i cittadini palestinesi per cui è stata riconosciuta la necessità di lasciare la Striscia di Gaza nel più breve tempo possibile.
A breve si terranno le udienze di conferma o di eventuale revoca dei provvedimenti emessi ex art. 700 c.p.c. inaudita altera parte: l’auspicio è che, in caso di conferma, la decisione giudiziaria trovi concreta attuazione e non resti priva di effetti.
[1] Tribunale ordinario di Roma, XVII sezione civile, ordinanza n. 37790 del 09 settembre 2025; Tribunale ordinario di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione, r.g. 3811/2025, decreto cautelare del 10 settembre 2025.
[2] Tribunale ordinario di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione civile, r.g. 35381/2025, decreto cautelare del 6 agosto 2025; Tribunale ordinario di Roma, XVII sezione civile, r.g. 34419/2025, decreto cautelare del 09 agosto 2025; Tribunale ordinario di Roma, XVII sezione civile, r.g. 36206/2025, decreto cautelare del 12 agosto 2025; Tribunale ordinario di Roma, XVII sezione civile, r.g. 36569/2025, decreto cautelare dell’11 agosto 2025; Tribunale ordinario di Roma, XVII sezione civile, r.g. 36723/2025, decreto cautelare del 13 agosto 2025.
[3] Si v., tra i vari, A. Camilli, Visti bloccati per i palestinesi di Gaza, in Internazionale, 11.09.2025; G.Merli, Famiglie bloccate a Gaza: la Farnesina non rilascia i visti, in Il Manifesto, 24.08.2025; A. Ziniti, Gaza, tribunale di Roma ordina il ricongiungimento in Italia di una famiglia ma manca il visto, in Repubblica, 18.09.2025;
[4] Sul funzionamento del sistema dei visti si v. P. Bonetti, I diritti dei non cittadini nelle politiche dell’immigrazione e dell’asilo dell’Unione Europea, in Metamorfosi della cittadinanza e diritti degli stranieri, a cura di C.Panzera, A.Rauti, C. Salazar, A. Spadaro, Editoriale Scientifica, Napoli, 2016, 152 ss.
[5] A. Del Guercio, La sentenza X e X della Corte di Giustizia sul rilascio del visto umanitario: analisi critica di un’occasione persa, in European Papers, 2/2017; F. Gatta, Il rispetto dei diritti umani impone allo Stato membro l’obbligo di rilasciare un visto umanitario al richiedente asilo esposto a rischi per la propria vita e incolumità. – Le conclusioni dell’Avvocato Generale nella Causa X e X c. Belgio, C-638/16 PPU, in Eurojust, 20.02.2017; G.Raimondo, Visti umanitari: il caso X e X contro Belgio , C-638/16 PPU, in SIDIBlog, 01.05.2017.
[6] C. Siccardi, I diritti costituzionali dei migranti in viaggio. Sulle rotte del mediterraneo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2021, 57 ss.
[7] F. Camplone, La sentenza M.N e al c. Belgio alla luce di X e X: la conferma della prudenza delle Corti o un impulso allo sviluppo di canali di ingresso legali europei?, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 3/2020.
[8] P. Morozzo Della Rocca e M. Sossai, Chiedere asilo da lontano, in Questione Giustizia, 12.09.2022.
[9] Si specifica che il Tribunale di Roma è l’unico unico tribunale italiano ad essersi pronunciato sui visti umanitari. Si v. Tribunale ordinario di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione civile, decreto del 22.11.2023, r.g. 52019/2023; Tribunale ordinario di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione, ordinanza del 21.12.2021, r.g. 62652/2021; Tribunale ordinario di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione, ordinanza del 08.06.2023, r.g. 17732/2023.
[10] P. Morozzo Della Rocca e M. Sossai, Chiedere asilo da lontano, in Questione Giustizia, 12.09.2022.
[11] A. Pasquero, M. Micheletti, E. Riffaldi, Anche la Cedu chiude ai visti umanitari, in Questione Giustizia, 09.07.2020.
[12] Parlamento Europeo, Plenaria 2018, Relazione d'iniziativa legislativa: 2017/2270(COD), Commissione competente per il merito: LIBE; Relatore: Juan Fernando López Aguilar (S&D), Spagna.
[13] C. Siccardi, Quali vie di ingresso legale per i richiedenti protezione in Europa? Contesto europeo e costituzionale, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2/2022.
[14] F.L. Gatta, I visti umanitari tra l’immobilismo dell’Unione europea, l’attesa per Strasburgo e l’esempio (da replicare) dell’Italia, in Rivista Diritti Comparati, 2/2020.
[15] D. Belluccio, Lo «spettro di un ingorgo di fronte a un flusso incontrollabile di domande di visti umanitari»: genesi, derive e approdi della giurisprudenza di merito, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 1/2024.
[16] Comunicato stampa ASGI, La colpevole inerzia del Governo italiano al rilascio dei visti per palestinesi di Gaza ordinati dal Tribunale di Roma, 16.09.2025.
[17] In questo caso la difficoltà risiede non solo nel raggiungimento delle autorità consolari ma anche nell’ottenimento della documentazione necessaria per la richiesta di visto.
[18] Si v. la pagina del Consolato Generale d’Italia a Gerusalemme, in cui è stato pubblicato il bando delle borse di studio delle università italiane per studenti palestinesi (Progetto IUPALS – Italian Universities for Palestinian Students). Per consultare la pagina: https://bit.ly/3KDO9HN.
[19] Tribunale ordinario di Roma, XVII sezione civile, r.g. 34419/2025, decreto cautelare del 09 agosto 2025.
[20] Human Rights Council Sixtieth session, Legal analysis of the conduct of Israel in Gaza pursuant to the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide Conference room paper of the Independent International Commission of Inquiry on the Occupied Palestinian Territory, including East Jerusalem, and Israel, 16.09.2025.
[21] Ibidem. Il testo originario recita: «on the basis of fully conclusive evidence, the Commission finds that statements made by Israeli authorities are direct evidence of genocidal intent. Additionally, on the basis of circumstantial evidence, the Commission finds that genocidal intent was the only reasonable inference that could be drawn based on the pattern of conduct of the Israeli authorities. Thus, the Commission concludes that the Israeli authorities and Israeli security forces have the genocidal intent to destroy, in whole or in part, the Palestinians in the Gaza Strip».
[22] Ibidem. Il testo originario recita:«(i) ensure that Israel implements all orders for provisional measures issued by the International Court of Justice; (ii) cooperate to bring to an end all Israeli actions in Gaza that amount to a violation of the Genocide Convention; (iii) take steps to ensure the prevention of conduct that may amount to an act of genocide under the Genocide Convention, including the transfer of weapons that are used or likely to be used by Israel to commit genocidal acts; (iv) not recognise as lawful the military operations in Gaza that led to the violations of peremptory norms (jus cogens), including genocide; and (v) conduct investigations and take steps to ensure the punishment of violations of peremptory norms».
[23] L.Parsi, Analisi giuridica della condotta di Israele a Gaza ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la punizione del reato di genocidio, in Sistema Penale, 19.09.2025.
[24]Tribunale ordinario di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione civile, r.g. 35381/2025, decreto cautelare del 6 agosto 2025.
[25] A. D’Amato, «Governo italiano complice di Israele»: la denuncia alla Cpi per il «genocidio» a Gaza, in Open.online, 18.09.2025.
[26] Redazione Meltingpot, Visti negati, diritti calpestati: l’inerzia del Governo nei confronti dei palestinesi di Gaza, in Meltingpot, 18.09.2025.
[27] Uno strumento di tutela in tal senso si ritrova nell’art. 614 bis c.p.c.
[28] M. Benvenuti, Il diritto di asilo nell’ordinamento costituzionale italiano. Un’introduzione, CEDAM, Padova 2007, 10.
[29] Sul punto si v. M. Benvenuti, la forma dell’acqua. Il diritto di asilo costituzionale tra attuazione, applicazione e attualità, in Questione Giustizia, 2/2018.
[30] Sul punto si v. anche L.Minniti, Il nucleo e l’orbitale del diritto costituzionale d’asilo, 304. Il contributo è disponibile al seguente link: bit.ly/4nRvQNY. L’Autore evidenzia con molta chiarezza come: «in sintesi, il nesso tra la presenza del richiedente nel territorio dello Stato destinatario e la titolarità ed azionabilità del diritto di asilo non ha un connotato di necessarietà. Si potrebbe dire con altre parole che la presenza nello spazio interno non è un limite implicito, o naturale del diritto di asilo. Certamente non è un limite positivo secondo la configurazione del diritto di asilo contenuta nell’art. 10, 3° comma, Cost., che non può risentire delle limitazioni derivanti da altri istituti di matrice internazionale, i quali contengono standard minimi, condivisi con altri soggetti o Stati, ma non interferiscono con le forme di tutela più ampie apprestate eventualmente dal nostro o da altri ordinamenti».
[31] Tribunale ordinario di Roma, XVII sezione civile, r.g. 34419/2025, decreto cautelare del 09 agosto 2025.
[32] Sul punto si v. anche L.Minniti, Il nucleo e l’orbitale del diritto costituzionale d’asilo, 304. Il contributo è disponibile al seguente link: bit.ly/4nRvQNY. L’Autore evidenzia il nesso tra la sfera di azione del principio di non respingimento internazionale e quella del diritto di asilo costituzionalmente garantito. Precisamente, evidenzia come la norma costituzionale non si esaurisca nel contenuto negativo di non respingimento ma preveda altresì «un contenuto ulteriore. Allo straniero che lo Stato non possa respingere in adempimento dell’obbligo di non-refoulement la nostra Costituzione attribuisce più di quanto non faccia il diritto internazionale, ossia il diritto a veder esaminata ed eventualmente accolta la domanda di asilo. Ciò comporta in termini di apertura delle frontiere e di accoglienza che, ogni qualvolta lo Stato non possa respingere, in osservanza dell’obbligo internazionale, le persone che manifestano l’intenzione di chiedere asilo perché gravemente minacciate nei Paesi di origine, sorga in capo al nostro Stato anche l’obbligo di accoglierle sul territorio nazionale per consentir loro di presentare e coltivare la domanda di protezione internazionale».
[33] D. Belluccio, Lo «spettro di un ingorgo di fronte a un flusso incontrollabile di domande di visti umanitari»: genesi, derive e approdi della giurisprudenza di merito, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 1/2024.
[34] C.Panzera, Il diritto all’asilo. Profili costituzionali, Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, 126.
[35] Si v. Cass. civ. Sez. Un. sent.n. 04674 del 12 dicembre 1996. La Corte evidenzia come la normativa costituzionale abbia un carattere precettivo, con una conseguente immediata operatività, e tale carattere si riconduce alla circostanza per cui la norma «delinea con sufficiente chiarezza e precisione la fattispecie che fa sorgere in capo allo straniero il diritto di asilo, individuando nell’impedimento all’esercizio delle libertà democratiche la causa di giustificazione del diritto ed indicando l’effettività quale criterio di accertamento della situazione ipotizzata».
[36] C.Panzera, Il diritto all’asilo. Profili costituzionali, Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, 126.
[37] M. Benvenuti, Il diritto di asilo nell’ordinamento costituzionale italiano. Un’introduzione, CEDAM, Padova 2007, 127.
[38] Si v. Tribunale di Roma, prima sezione civile, sent. 22917/2019, r.g. 5615/2016: «Accertato il diritto degli attori di accedere nel territorio italiano allo scopo di presentare domanda di riconoscimento della protezione internazionale ovvero di protezione speciale, le conseguenti determinazioni circa modalità per consentire l’ingresso e per determinare la procedura di riconoscimento della protezione internazionale sono rimesse all’autorità competente, che potrà individuare, nell’esercizio della propria discrezionalità, gli strumenti più idonei a tutelare le ragioni degli odierni attori (tra i quali la concessione del visto di cui all’art. 25 del regolamento CE 810/2009 c.d. codice visti, non essendo di ostacolo la mancanza di documenti validi stante l’individuazione degli attori operata all’esito del presente giudizio, ovvero la concessione della protezione speciale di cui all’art. 32, comma 3, d.lgs. 25/2008».
[39] Tribunale ordinario di Roma, XVII sezione civile, r.g. 36723/2025, decreto cautelare del 13 agosto 2025.
[40] Ibidem.
[41] Ibidem.
[42] Sull’inefficacia delle attuali vie di ingresso legali si v. C.L. Cecchini, G. Crescini, S. Fachile, L’inefficacia delle politiche umanitarie di rimozione degli “effetti collaterali” nell’ambito dell’esternalizzazione con particolare attenzione al resettelment. La necessità di vie legali effettive e vincolanti, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2/2018.
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