Siglato a Trento un protocollo di intesa contro la tratta di esseri umani
18 ottobre 2024 diciottesima Giornata Europea contro la tratta di esseri umani, istituita dalla Commissione Europea nel 2006
di Luca Perilli
L’iniziativa del Tribunale di Trento per la formazione di un protocollo per l’identificazione delle vittime di tratta e altre forme di grave sfruttamento e l’avvio a procedure di referral è sorta da una necessità che è il frutto di una consapevolezza. Quando, con i collaboratori della sezione specializzata per l’immigrazione del Tribunale di Trento, addetti all’ufficio per il processo e ricercatrice dell’Agenzia dell’Unione Europea per l’Asilo, abbiamo impostato la programmazione della sezione per far fronte a una consistente mole di lavoro, abbiamo concentrato la nostra attenzione su richiedenti asilo vulnerabili al fine di dare priorità alla trattazione dei loro casi. Tra le centinaia di storie di vite restituite dai fascicoli, abbiamo individuato decine di persone, per lo più donne, che hanno consegnato alle Commissioni territoriali delle storie - ritenute dalle Commissioni amministrative non credibili - contrassegnate da indicatori di tratta e sfruttamento. Si parla di indicatori, perché le persone, pur non dichiarando una vicenda di sfruttamento e raccontando invece una storia di persecuzione diversa, spesso segnata dalla violenza grave, hanno disseminato il racconto con frammenti di vita che, considerati nel loro insieme, restituiscono una situazione di tratta.
Nei procedimenti di protezione internazionale, a differenza dei processi civili, le dichiarazioni della parte possono integrare la prova dei fatti e del rischio di persecuzione che quei fatti rivelano, purché le dichiarazioni presentino determinate caratteristiche di credibilità stabilite dalla legge: una descrizione completa degli avvenimenti, la coerenza interna del racconto, la concordanza con le fonti sul Paese di provenienza. La valutazione della credibilità della storia, essendo ancorata a parametri legali basati su regole di esperienza, non è valutazione della sincerità del richiedente; essa implica invece la capacità del decisore di calarsi nelle vicende individuali della persona e di leggerle in controluce, cercando informazioni sul Paese, sulla società, comunità, cultura in cui quelle storie sono maturate. Questo sforzo presuppone innanzitutto che il giudice provi a liberarsi dal pregiudizio che lo invita a considerare quelle vicende secondo le massime di esperienza che egli ha maturato nella propria società e secondo criteri di plausibilità delle dichiarazioni che, quasi sempre, non corrispondono a quelli della cultura di provenienza del richiedente asilo.
La difficoltà dell’esame delle dichiarazioni si amplifica nei casi in cui i richiedenti protezione siano persone vulnerabili. I soggetti vulnerabili sono così qualificati da numerose fonti giuridiche, soprattutto internazionali e di soft law (come ad esempio: le Linee Guida dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Le vittime di tratta sono persone altamente vulnerabili. Le norme dell’Unione europea impongono al giudice di assicurare speciali garanzie nelle procedure di esame delle persone vulnerabili. Questo significa, in estrema sintesi, assicurare che persone svantaggiate possano accedere alla giustizia e ottenere protezione alle stesse condizioni delle persone che non sono portatrici di vulnerabilità. Si tratta dunque di assicurare il principio di uguaglianza sostanziale (articolo 3.2 della Costituzione italiana), altrimenti definito come principio di non discriminazione. Le vittime di tratta sono ad altissima vulnerabilità perché per ragioni diverse, legate all’umiliazione che sovente degrada in schiavitù e al trauma patito, vanno incontro a fenomeni di dissociazione o di rimozione dei fatti, che non consentono loro di raccontare gli eventi dolorosi nella loro interezza. Talvolta la menzogna, se così si può definire la parte del racconto diversa rispetto agli accadimenti, è determinata dalla condizione di attuale sottomissione agli sfruttatori, alla violenza o alla minaccia in atto.
Per questa ragione, i giudici, gli avvocati, gli operatori degli enti anti-tratta e tutti coloro che entrano in contatto con persone portatrici di indicatori di tratta, non possono arrendersi di fronte all’apparenza di un racconto che non regge. Devono, invece, utilizzare i segnali che il racconto non riesce a celare, gli indicatori dello sfruttamento appunto, per accertare una storia diversa che chiama un intervento di protezione. Nei casi riguardanti le persone vulnerabili, i concetti legali principali dei procedimenti di protezione internazionale assumono un carattere relativo: essi devono essere piegati alle esigenze individuali della persona. In tal modo, si relativizzano i concetti di allegazione completa, di prova, di atto persecutorio, di agente di persecuzione, di rischio di persecuzione.
La valutazione di credibilità supera dunque l’apparenza della menzogna, per concentrarsi su aspetti del racconto che inducono a concludere che la persona non è in grado di raccontare ciò che gli indicatori, spesso in modo inequivocabile, restituiscono. Il paradosso è che la persona è sincera anche se mente, perché non può dire la verità ma non può nasconderla.
Il giurista in tal modo rende il procedimento giusto (fair).
Il giurista non trova però nella legge, pur piegandola alle esigenze individuali, la soluzione a ciò che le norme sulla protezione internazionale da sole non possono offrire: una protezione effettiva alle vittime di sfruttamento attuale.
Il riconoscimento dello status di rifugiato assicura alla persona che non sarà espulsa; le restituisce un’identità; ma non le assicura quella dignità che la persona può riconquistare solo uscendo dallo sfruttamento e cominciando a ricostruire una vita sulle proprie risorse personali, con il sostegno dello Stato.
Di qui la necessità, di cui si è detto nell’incipit, che nasce dalla consapevolezza che la soluzione giuridica, di per sé sola, potrebbe non restituire la dignità alla persona. Questo ci conduce alle finalità del protocollo.
L’articolo 24 della Direttiva europea “Procedure” conferisce allo Stato due compiti principali: quello dell'identificazione dei richiedenti asilo vulnerabili e quello di offrire a queste persone un supporto (support). Il giudice deve così cambiare il suo abito o la sua toga: non si tratta solo di ascoltare, nel contraddittorio, per poi decidere; si tratta invece di offrire un supporto. Supportare non implica la perdita di imparzialità, che significa distanza dagli interessi delle parti nella decisione; implica invece il rendersi parte attiva e l’agire insieme alle forze della società civile e alle Istituzioni al fine di assicurare una protezione effettiva alla vittima.
Il protocollo, dunque, guida innanzitutto all’identificazione delle vittime di tratta, utilizzando gli indicatori: mira, in altre parole, a costruire consapevolezza circa il fenomeno della tratta e le sue caratteristiche in tutti coloro, avvocati, magistrati, operatori della società civile, istituzioni che si imbattono in potenziali vittime di tratta. Il protocollo, anche grazie alla presenza dell’Università di Trento, delle scuole forensi e delle principali organizzazioni internazionali che si occupano di tratta – Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Agenzia dell’Unione Europea per l’Asilo, Organizzazione Mondiale per le Migrazioni delle Nazioni Unite -mira anche a una formazione comune finalizzata alla comune consapevolezza.
La seconda parte è quella del supporto e il supporto non è possibile senza la creazione di una rete con la con la società civile, le associazioni e le istituzioni che si occupano della tratta, ma anche con i Tribunali e le Procure per i minorenni, perché spesso le vittime di tratta hanno figli, le persone più vulnerabili tra i vulnerabili. Il protocollo propone un approccio comune e condiviso al supporto, con lo scambio di informazioni e di assistenza, e, nel perseguire questo obbiettivo, è incentrato sulla persona della vittima.
Il fatto che il protocollo abbia accolto un’adesione così ampia da parte delle associazioni della società civile, delle istituzioni provinciali, degli uffici giudiziari e degli ordini degli Avvocati del Trentino – Alto Adige e dell’Università di Trento è una grande dimostrazione dell’attenzione che questo territorio dedica alla tutela dei diritti fondamentali delle persone.