Recensione al libro "Il mio territorio finisce qui" di Maria Teresa Spagnoletti
di Paola Manfredonia
Questo libro è importante perchè non è soltanto una raccolta di storie vere di giovani autori di reato narrate da un magistrato che le ha conosciute in prima persona e che ha applicato le alternative al carcere che la legge appronta nella fase esecutiva della pena.
Questo libro è un omaggio al valore della educazione come principio portante della vita di ogni essere umano, che non deve mai essere smarrito specie per quei giovani che, per i più vari motivi, hanno commesso gravi errori che li hanno privati della libertà e che li hanno allontanati o sviati dal proprio percorso di crescita.
Attraverso l’educazione, offerta all’interno di un contesto penale e giudiziario, il giovane può recuperare la costruzione della propria dignità nei confronti di sé stesso e della società, consapevole che dal proprio errore, può risollevarsi e ricominciare, o, talvolta, cominciare per la prima volta.
Maria Teresa Spagnoletti consegna, con questo libro, la propria esperienza professionale e umana, senza retorica, pietismi e/o paternalismi verso i ragazzi e le ragazze che ha incontrato, veicolando in ogni pagina l’importanza della costruzione della relazione tra le istituzioni e il minore, che non si esaurisce con l’applicazione automatica della norma, ma si attua attraverso un percorso, spesso lungo e non facile per entrambe le parti, fatto di rispetto della storia di vita, di dialogo, di elaborazione di un progetto educativo, di rigore applicativo della legge, necessario per rafforzare il significato di serietà del percorso educativo in atto e delle conseguenze che possono scaturire qualora non vi sia adesione al progetto stesso.
“Il mio territorio finisce qui” sottolinea il significato del ruolo strumentale del giudice e delle istituzioni, il senso di accompagnamento del giovane in quel luogo che è il percorso esecutivo che si situa tra la commissione del reato e l’esecuzione della pena e il senso dello sforzo teso ad evitare che quel luogo si esaurisca con il carcere.
E’ importante questo libro perché può essere letto e compreso anche dai non addetti ai lavori, in particolare da chi è convinto che il problema della c.d. devianza minorile si debba affrontare e risolvere esclusivamente con l’utilizzo della repressione carceraria.
Ma anche per gli operatori esperti di diritto minorile può costituire un utile strumento di riflessione sullo spessore e sulla complessità del proprio lavoro e sulla necessità di non cessare mai di porsi in ascolto, neutrale e senza pregiudizi, delle difficoltà dell’altro, anche nei casi più complessi, coniugando le competenze tecnico-giuridiche con quelle umane e di empatia.