Diritti umani e sistemi di protezione sovranazionali: considerazioni a margine di un recente volume di Pasquale Gianniti e Claudio Sartea.
di Luigi Salvato
1. «L’idea che ogni persona, in qualsiasi parte del mondo, indipendentemente dalla nazionalità, dal luogo di residenza, dalla razza, dal censo, dalla casta o dalla comunità di appartenenza, abbia alcuni diritti fondamentali che gli altri sono tenuti a rispettare ha in sé qualcosa di estremamente affascinante» (Amartya Sen, L’idea di giustizia, Milano 2010, 361). Eppure, tale idea – ha altresì osservato Amartya Sen – pressoché universalmente condivisa, almeno apparentemente, nonostante il suo fascino «è considerata da molti critici priva di qualsiasi fondamento razionale», al punto che «riaffiorano così insistentemente questi interrogativi: esistono diritti umani ? E quale ne sarebbe la fonte ?» e, «benché negli affari del mondo il ricorso alla nozione di diritti umani sia una costante, sono molti coloro che la considerano solo una formula gridata sulla carta» (op. cit., 361).
Ad onta di un diffuso convincimento della centralità ed essenzialità dei diritti dell'uomo e del fatto che sono trascorsi oltre settanta anni dall’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani (il testo che ha segnato una svolta nella comunità internazionale in questa materia), deve dunque constatarsi, purtroppo, il permanere di dubbi finanche in ordine a profili preliminari, concernenti l’an, oltre che il quomodo, dei diritti umani; soprattutto, che in non pochi angoli del mondo ancora si assiste a violazioni dei più basilari diritti sanciti nel corso della storia, talora pure in quegli stati che si suole ritenere tra i più avanzati e democratici. Anzi, molteplici e nuove nubi sembrano addensarsi minacciose sul sistema dei diritti umani, anche in conseguenza dell’impatto della profonda crisi che, prevalentemente nell’ultimo decennio, ha investito il mondo intero, non soltanto economica, ma anche etica, psicologica, politica. Si tratta di una complessiva e generale crisi di fiducia e di sicurezza, di solidarietà e sociale, particolarmente pericolosa, in quanto può minare le radici stesse della convivenza civile e del sistema democratico, alimentare la perniciosa tendenza secondo cui i diritti umani potrebbero essere talvolta lasciati da un lato, poiché costituirebbero un lusso che non ci si può permettere in tempi di crisi, e porre a rischio la tenuta di risultati che pure sembravano pacificamente acquisiti.
Tali pericoli rendono certe la perdurante attualità delle tematiche relative ai diritti dell'uomo e l’esigenza di una fertilizzazione costante e continua del relativo dibattito, imprescindibile allo scopo di garantire che non vadano vanificati gli obiettivi acquisiti e che prosegua il lungo, complesso e faticoso, percorso verso il pieno riconoscimento e l’effettiva tutela dei diritti umani.
2. Quest’ultima considerazione è sufficiente, da sola, a dare ragione dell’opportunità della rinnovata riflessione svolta da Pasquale Gianniti e Claudio Sartea nella monografia “Diritti umani e sistemi di protezione sovranazionali” (edita per i tipi dell’Aracne). Il volume affronta la questione dei diritti umani muovendo da una sintesi del percorso che ha condotto alla progressiva affermazione dei diritti umani, che illustra con efficacia la radice della loro teorizzazione (rinvenuta nella filosofia classica e nel pensiero religioso) ed il momento dell’emersione della loro rilevanza sul piano giuridico, allorché la codificazione degli stessi dà «inizio al moderno linguaggio dei diritti» (pg. 19). Al fine di evidenziare che la questione dei diritti umani e taluni dei principali caratteri che la connotano sono risalenti nel tempo, può ricordarsi che Louis Godart, muovendo dalla premessa che la legge scritta e codificata costituisce l'unico mezzo in grado di tutelare i diritti dell'uomo, ha indicato (La libertà fragile. L'eterna lotta per i diritti umani, Milano, 2012) nel primo codice di leggi della storia (il c.d. codice di Ur-Nammu, sovrano sumerico, fondatore della terza dinastia di UR verso il 2110 a.c., riprodotto su una tavoletta di argilla conservata al museo di Istanbul) la più antica testimonianza della transizione (o, meglio, del tentativo di transizione), realizzata da una fonte normativa, dalla giustizia ferrea dell’occhio per occhio e del dente per dente ad una giurisdizione più «umana» e dell’affermazione della tutela dei diritti dei deboli (l’orfano, la vedova, il povero). Si tratta di una considerazione particolarmente significativa, in quanto pone in luce con sintesi ed efficacia sia che il tema dei diritti umani è sorto e si è imposto contestualmente all’inizio della civilizzazione – e che, dunque, la storia dei diritti umani è la storia stessa della civiltà e della progressiva attuazione della democrazia –, sia che il riconoscimento e la garanzia degli stessi dipende dalla loro consacrazione in una fonte normativa e dalla tutela assicurata mediante la giurisdizione.
Il primo di detti profili, di recente, è stato significativamente evidenziato, tra l’altro, allorché si è sottolineato, con riguardo ai diritti enunciati nella CEDU, che questi sono distinti dalla Corte di Strasburgo in due categorie: la prima, costituita dai diritti fondanti la democrazia europea; la seconda dai diritti di «importanza capitale» indirettamente costitutivi la democrazia (F.Sudre, citato da D.Tega, I diritti in crisi, Milano 2013, 6).
Tale profilo, tra le molte suggestioni offerte dalla lettura della monografia - condizionate, come è ovvio, dai convincimenti dei lettori, ciascuno dei quali sceglie la propria chiave di interpretazione – costituisce, a mio avviso, una delle idee centrali della riflessione, affrontata incisivamente dagli Autori ed opportunamente ed adeguatamente messa in rilievo, soprattutto in un momento storico quale quello attuale. La preliminare considerazione dalla quale muovono - che «i diritti umani hanno il loro fondamento nella stessa natura e dignità della persona umana» (pg. 1) - è, infatti, in seguito ulteriormente approfondita, evidenziando che «fin dai tempi dell’antichità greco-romana era chiaro che la democrazia può esistere come tale soltanto se la maggioranza rispetta certe premesse basilari dell’ordinamento sociale, tra cui i diritti inviolabili dell’uomo» (pg. 15). Tanto significa che la connotazione individualistica che caratterizza i diritti umani, in quanto rinvengono la loro matrice «nella dignità che appartiene ad ogni essere umano», comunque neppure va enfatizzata fino al punto di «contraddire la nostra natura sociale» (pg. 29), dimenticando il carattere di «alterità» che li connota, in quanto «riconosciuti, difesi, in favore di altri soggetti umani, non di se stessi» (pg. 30). In ogni caso, non esaurisce la complessiva dimensione nella quale gli stessi si collocano, in quanto devono essere calati in una vicenda che non è non può essere soltanto individuale, ma è collettiva, costituendo la fonte ed il parametro di verifica del sistema democratico. E’ stata infatti la diffusione della cultura e del rispetto dei diritti umani che ha influito sulla conformazione interna degli stati; in essi si è radicato il superamento della dimensione dell’assolutezza del potere dello stato nei confronti di quanti vivono all’interno dei confini del medesimo; grazie ad essi, attraverso un processo sviluppatosi soprattutto a partire dalla metà dello scorso secolo, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, è stata realizzata, non solo in Italia, la transizione dallo stato di diritto allo stato costituzionale, mediante le Costituzioni ‘rigide’ ed in quanto eminentemente indirizzate alla difesa dei diritti fondamentali dei cittadini, miranti quindi a garantire ognuno dallo strapotere delle maggioranze parlamentari.
La circostanza che «i diritti fondamentali nascono come diritti naturali, si sviluppano come diritti costituzionali e si dirigono verso la meta dei diritti universali» (N. Bobbio, L’Età dei diritti, Torino, 1992, XII) ha poi fatto sì che detta funzione del sistema dei diritti umani, eccedente la dimensione meramente individualistica, si è esplicata altresì oltre i confini dei singoli stati, trovando consacrazione con la firma, il 26 giugno 1945, dello Statuto delle Nazioni Unite che «individua infatti tra i fini dell’organizzazione la promozione del rispetto e dell’osservanza dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» (pg. 22). Ed è ancora grazie ai diritti umani che è maturato il mutamento della concezione della sovranità dello stato, in conseguenza della trasformazione del diritto internazionale, divenuto per essi il diritto degli individui, con l’istituzione di corti internazionali cui gli individui possono rivolgersi direttamente per conseguire forme di tutela dei loro diritti fondamentali (A. Pizzorusso, E’ possibile parlare ancora di un sistema delle fonti ?, in Foro it., 2009, V, 215), ed ha subito un’accelerazione anche il processo di integrazione europea, a seguito dello sfaldamento del «rapporto biunivoco ritenuto fondamentale dalla scienza giuridica moderna, e cioè quello tra stato e diritto, emblema della sovranità statale» (A. Di Martino, Il territorio: dallo Stato-Nazione alla globalizzazione (sfide e prospettive dello Stato costituzionale aperto), Milano, 2010, 4).
Gli Autori colgono e pongono in luce con efficacia questa essenziale funzione regolatrice dei rapporti tra stati svolta dal sistema dei diritti umani, evidenziando come, appunto per questo, l’affermarsi di un nuovo ordine globale costituisca effetto del riconoscimento degli stessi «non solo “dentro” gli Stati ed in conformità alla loro azione, ma anche, ove fosse il caso, “contro” gli Stati, in base ad un sempre più riconosciuto principio di antecedenza delle persone sull’istituzione» (pg. 23); ciò vuol dire che la dimensione individuale influisce appunto su quella collettiva e sul modo di essere del potere, poiché costituisce ragione e misura dello stesso. Attraverso un’approfondita analisi viene dunque messo in chiaro quello che potrebbe essere definito il volto buono della globalizzazione, che non è soltanto quella economica, finanziaria e dei mercati, ma è altresì quella che ha realizzato la «inarrestabile affermazione di un nuovo modello del potere», sovranazionale ed incentrato sulla tutela dei diritti e delle libertà fondamentali (pg. 24). Alla globalizzazione della produzione e dei mercati fa riscontro - come osservava Francesco Galgano e ricordano gli Autori - «un’altra, nobile, forma di globalizzazione […] che possiamo definire come la globalizzazione dei diritti dell’uomo» (pg. 27).
Pasquale Gianniti e Claudio Sartea approfondiscono questa radice “buona” della globalizzazione, perché frutto dell'affermazione dell'universalità dei diritti umani, prima ancora che di spinte dell'economia. La sfida che occorre affrontare e vincere è, dunque, quella che passa attraverso la riscoperta di questo valore positivo della globalizzazione, anche con riguardo alla storia dell'UE, come gli Autori non mancano di approfondire. Occorre infatti non dimenticare che, come essi ricordano, l’UE, nata come Comunità economica, con matrice appunto essenzialmente economica e sistema nel quale «l’individuo non era tutelato come essere umano, ma in quanto centro di imputazione di interessi economici» (pg. 162), grazie alla meritoria opera della Corte di giustizia, influenzata anche dalle Corti costituzionali italiana e tedesca (in particolare, sentenza della Corte costituzionale 27 dicembre 1973, n. 183; sentenza del Bundesverfassungsgericht del 29 maggio 1974) e che sin dal 1969 ha svolto un ruolo “strutturale” incidente sullo stesso modo di essere dell’ordinamento comunitario (A. Tizzano, Qualche riflessione sul contributo della corte di giustizia allo sviluppo del sistema comunitario, in Dir.un.eur., 2009, 141), si è sviluppata con più ampio respiro, proprio ed anche a seguito dell’affermazione che «i diritti fondamentali della persona […] fanno parte dei principi generali del diritto comunitario, di cui la Corte garantisce l’osservanza» (sentenza 12 novembre 1969, C-29/69, Stauder), sia pure «entro l’ambito della struttura e delle finalità della Comunità» (sentenza 17 dicembre 1970, C-11/70, Internationale Handegesellshaft mbH).
La riflessione svolta nel volume meritoriamente rafforza il convincimento che il sistema dei diritti umani ha permesso una «progressiva affermazione di un nuovo modello del potere sovranazionale» (pg. 24, oltre che, come detto, di quello ‘interno’) e costituisce la ragione di una serie di conseguenze positive di fondamentale importanza, eccedenti la dimensione meramente individuale; tra queste, l’essere diventata la persona umana, grazie ad essi, soggetto del diritto internazionale, che non è più soltanto il diritto degli stati e delle organizzazioni internazionali, in virtù di una positiva «carica eversiva» (pg. 32), che li ha resi scudo in grado di arginare le deviazioni burocratiche ed il formalismo, divenendo fonte delle giurisdizioni internazionali, attraverso il richiamo alle priorità della persona e della dignità umana (pg. 33).
3. Il condivisibile convincimento al quale è stato sopra fatto cenno - che la positivizzazione dei diritti umani, mediante il loro riconoscimento in fonti normative, e l’apprestamento di rimedi giurisdizionali congrui ed efficaci costituiscono condizioni imprescindibili per garantirne la tutela - rende di particolare interesse la parte del volume dedicata alla ricognizione di dette fonti e strumenti di garanzia.
La dimensione internazionale dei diritti umani è all’origine delle complesse problematiche poste dal c.d. ordinamento multilivello, frutto anche (forse, soprattutto) dello sviluppo del sistema dei diritti fondamentali, che tuttavia, secondo alcuni, ha in sé insito il «pericolo di una “Babele” dei diritti (e delle loro tutele)» (C. Panzera, Il bello dell’essere diversi. Corte costituzionale e Corti europee ad una svolta, in Riv. trim.dir.pubb., 2009, 1), dovuta alla pluralità delle fonti, alla difficoltà, per alcune, di stabilirne il rango, alla concorrenza di competenze delle Corti nazionali, sovranazionali ed internazionali, alla facoltà dei singoli di rivolgersi, in taluni casi, direttamente ad esse per conseguirne la tutela ed alla differente conformazione offerta di tali diritti da dette Corti. Si tratta di difficoltà che non vanno sottovalutate, ma neppure enfatizzate (ciò grazie anche al progressivo componimento dei taluni dissidi reso possibile da un sempre più intenso dialogo tra le Corti); comunque, rendono di sicuro interesse l’attenta ricognizione operata dagli Autori dei molteplici sistemi internazionali e sovranazionali di tutela dei diritti umani. Questa ricognizione permette infatti di avere un panorama completo di detti sistemi e precisa conoscenza dei diritti umani tutelati da fonti diverse da quelle interne, della configurazione dalle stesse offertane e del se (come e quando), siano applicabili in vicende giudiziarie di diritto interno.
In disparte i profili del rapporto tra Corte costituzionale e Corte di Strasburgo (di più immediato interesse in relazione al tema dei diritti umani), sviluppatosi intorno ai principi secondo cui «il risultato complessivo dell’integrazione delle garanzie dell’ordinamento» deve essere sempre di segno positivo (per tutte, Corte costituzionale, 4 dicembre 2009, n. 317) ed occorre avere riguardo alla giurisprudenza consolidata della seconda (Corte costituzionale, sentenza 26 marzo 2015, n. 49), la ricognizione svolta nel volume appare particolarmente utile.
La doverosa attenzione alle fonti diverse da quelle interne non solleva infatti dall’onere di un’attenta verifica dell’efficacia nel nostro ordinamento di quelle ‘esterne’. Quando queste ultime risultino applicabili alla fattispecie oggetto del giudizio, il giudice comune è infatti tenuto ad improntare il rapporto con le Corti sovranazionali ed internazionali ad un principio fondamentale di collaborazione, che non è lasciato alla sua sensibilità, ma costituisce oggetto di un vero e proprio obbligo previsto dall’ordinamento sovranazionale, ovvero da un accordo internazionale e, quindi, ad esso va data attuazione nei modi e nei termini espressamente stabiliti da dette fonti. Al riguardo, può anche parlarsi di “dialogo”, purchè si abbia la consapevolezza che questo termine non sempre è sufficiente per decodificare il fenomeno degli scambi degli indirizzi giurisprudenziali; a volte è criticabile per difetto, altre volte lo è per eccesso (tenuto conto dei molti significati del termine “dialogo”, G. De Vergottini, Oltre il dialogo tra le Corti. Giudici, diritto straniero, comparazione, Bologna, 2010, 1). Il riferimento alle sentenze di organi giurisdizionali stranieri, ulteriori e diversi rispetto a quelli inseriti in uno stesso ordinamento sovranazionale, va inoltre operato avendo ben chiara la diversità tra il caso in cui il diritto straniero applicato da una Corte non italiana costituisce, eventualmente, una fonte applicabile anche nel nostro ordinamento ed il caso in cui il riferimento rileva esclusivamente come un dato fattuale, non diversamente da quanto accade quando si cita un fatto storico o un’opinione dottrinale. Inoltre, occorre considerare che in un ordinamento a diritto costituzionale aperto, qual è il nostro, il fine del richiamo e del rilievo delle giurisprudenze straniere «è pur sempre quello di intendere il proprio diritto costituzionale», al punto che è quasi «come ricorrere, per risolvere un problema difficile, a “un amico ricco di esperienza”» (G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia, Bologna, 2008, 405). Ed è dunque evidente l’immediato interesse di una ricognizione completa e chiara dei molteplici sistemi di tutela dei diritti umani previsti da strumenti internazionali e sovranazionali e da ordinamenti di stati diversi dal nostro.
4. L’ultima parte del volume è dedicata ad una «riflessione conclusiva», con cui gli Autori considerano i diritti umani «in chiave filosofico-critica», allo scopo di verificare se «sia possibile reperirne un ragionevole fondamento» e «per verificarne l’eventuale abuso» (pg. 231). A loro avviso, «tutte le nuove domande di giustizia tendono a riversarsi direttamente nelle aule giudiziarie […] nella forma dei diritti fondamentali» (pg. 232), esponendoli in tal modo «alla mercé delle preferenze soggettive non solo di ciascun cittadino, ma anche di ogni singolo giudice» (pg. 232), con il possibile pericolo di una loro «incontrollata e problematica proliferazione». Il rimedio a tali rischi è individuato nella valorizzazione della «dimensione relazionale» dei diritti umani e nella adeguata considerazione delle circostanze che «sono stati riconosciuti ed affermati per proteggere la persona umana dall’arbitrio e dagli abusi dei potenti» e che «trasformare ogni desiderio in diritto implica riconoscere un’enorme quantità di obblighi a carico di altri» (pg. 236).
Pregnante rilevanza assume dunque il criterio del bilanciamento, da realizzare applicando il principio di ragionevolezza, che tuttavia, osservano gli Autori, «pone in crisi il giuspositivismo e fa riemergere istanze tipiche del diritto naturale, proprie dei giusnaturalismi» (pg. 241). La loro proposta è di volgere lo sguardo al concetto della dignità dell’uomo, che riveste la «portata di principio fondamentale», «valore super costituzionale» (pg. 258), «fondante degli stessi diritti dell’individuo» (pg. 260), più volte applicato dalle Corti nazionali e sovranazionali (della cui giurisprudenza è offerto un panorama). Nondimeno, l’indeterminatezza della nozione di dignità esigerebbe che la sua traduzione in termini giuridici resti riservata «innanzitutto alla responsabilità del legislatore» e che «il necessario bilanciamento tra valori costituzionali» sia effettuato in sede legislativa ed affidato soltanto «a posteriori alla responsabilità degli interpreti e, in particolare, alla responsabilità delle Corti supreme, nazionali e sovranazionali» (pg. 270). In ogni caso, il bilanciamento va operato tenendo conto che la dignità umana: è «principio che innerva le costituzioni personaliste delle democrazie liberali contemporanee»; «si sottrae al bilanciamento e ne è anzi lo scopo»; «impone a tutti, a partire dalle autorità pubbliche, il rispetto delle singole persone» (pg. 279-280).
Una pur rapida, necessariamente incompleta, sintesi delle considerazioni svolte in quest’ultima parte della monografia rende palese che le suggestioni offerte dalla lettura del volume sono tante e così complesse da sollecitare riflessioni che eccedono questa sede, destinata esclusivamente ad ospitare brevi considerazioni a margine della stessa.
La preoccupazione della quale si fanno interpreti gli Autori non è nuova ed è stata variamente evidenziata, pur muovendo da approcci diversi, segnalando, tra l’altro, l’esigenza della rigorosa attenzione al dato di diritto positivo, onde evitare di «consegnare i diritti fondamentali alla mercé del consenso» e di alimentare la cd. juristocracy, termine utilizzato «per sottolineare la tendenza un po’ aristocratica di individuare nelle aule giudiziarie le sedi più appropriate per le decisioni sui diritti fondamentali» (M. Cartabia, La Costituzione italiana 60 anni dopo: i diritti fondamentali, 15 e 23, in Atti del Convegno dell’Accademia dei Lincei su “La Costituzione ieri e oggi”, Roma, 9-10 gennaio 2008), con il rischio (evidenziato dall’analisi di C.Salvi, Capitalismo e diritto civile. Itinerari giuridici dal Code civil ai Trattati europei, Bologna, 2015) che la preminenza assoluta della libertà personale possa scivolare in una logica mercantile, dando luogo, secondo alcuni Autori, a soluzioni «arbitrarie», appunto per questo, scarsamente tolleranti (F. Gazzoni, Cognome del figlio naturale, femminismo, lotta alla camorra e obiter dicta, in Dir. famiglia, 2006, 4, 1661).
In disparte il tema della ipotizzata crisi del giuspositivismo e della riemersione di istanze proprie del giusnaturalismo - di complessità tale da rendere impossibile farvi pur solo cenno (per una recente, efficace, sintesi dei problemi emersi proprio con riguardo al profilo del ricorso alla tecnica del bilanciamento, cfr. il dibattito svoltosi tra R. Guastini, Sostiene Baldassare, in Giur.cost., 2007, 1373, e A.Baldassarre, Una risposta a Guastini, ivi, 2007, 3251) -, la preoccupazione è meritevole di considerazione, ma esige di essere apprezzata nel quadro dell’attuale contesto storico, politico e sociale. Deve infatti darsi come dato pacifico che «la complessità della società comincia a impressionare di sé la dimensione giuridica, la quale non può che abdicare a una semplicità, suadente sì nella limpidità dei suoi contorni ma assolutamente artificiosa, senza concrete radici nella effettività storica» (P.Grossi, Introduzione al novecento giuridico, Bari, 2012, 107).
Uno dei tratti caratterizzanti la società postmoderna è quindi l’emersione di nuovi diritti, quale «conseguenza delle “pacifiche rivoluzioni del Novecento, delle donne, degli ecologisti, della scienza e della tecnica”» che hanno determinato «la più intensa esplosione di richieste di riconoscimento di diritti che mai sia stata conosciuta», che ha condotto a parlare di «“diritti riproduttivi” e di “diritto a non nascere”, di “diritto a morire” e di “diritto ad ammalarsi”, ma anche del “diritto dell’embrione” e del “diritto a non essere perfetto”» (S.Rodotà, I nuovi diritti che hanno cambiato il mondo, in La Repubblica, 26 ottobre 2004). Tali diritti sono spesso rimasti del tutto privi di disciplina in sede normativa, o l’hanno ricevuta con rilevante ritardo e non di rado in modo incompleto; il loro riconoscimento, in base alle norme della Costituzione ed alle fonti esterne, grazie alla prima applicabili nel nostro ordinamento, ha finito dunque con il rimanere affidata (quasi) esclusivamente al giudice. L’opera di ricostruzione-creazione in sede giurisprudenziale è stata dunque indispensabile e, tuttavia, incontra un preciso limite, in quanto «il potere interpretativo dei giudici […] non può spingersi oltre il confine che gli è connaturato, neppure quando ciò accade al fine di orientare l’ordinamento verso i principi costituzionali, perché di fronte a un insuperabile ostacolo che viene dalla lettera della legge, ovvero dal contesto logico-giuridico nel quale essa si inserisce compete solo alla Corte [costituzionale] intervenire» (G.Lattanzi, Relazione, Riunione straordinaria della Corte costituzionale del 21 marzo 2019, 17), risultando altresì l’operazione di bilanciamento possibile alla Corte costituzionale diversa da quella consentita al giudice comune.
Nondimeno, non sembra controvertibile la complessità dei problemi derivante dal fatto che «è difficile affrontare» questi temi «in modo astratto: forse la via di soluzioni accettabili va trovata attraverso l’elaborazione giurisprudenziale, che può tenere conto dei molteplici aspetti dei casi concreti e contemperare i diversi principi in gioco» (E.Paciotti, Diritti umani, diritti fondamentali, nuovi diritti in Europa, www.italianieuropei.it, 3/2008, richiamando S.Rodotà). La circostanza che il riconoscimento in favore di una persona di un diritto (anche di un diritto umano) richiede la ponderazione di complesse esigenze, riservata all’apprezzamento della discrezionalità del legislatore ordinario, ed implica obblighi per altre persone, deve tenere conto del fatto che la riconducibilità di date esigenze a valori essenziali della persona dipende, in larga parte dei casi, dalle circostanze della fattispecie, e così anche l’eventuale incidenza del loro soddisfacimento sui valori di altri soggetti. Tanto è sufficiente a rendere palese che l’auspicabile, precisa e completa, regolamentazione in sede legislativa resta spesso irrealizzabile; anzi può talora risultare inidonea ad assicurare la tutela di diritti fondamentali o, comunque, il corretto bilanciamento di tutti i valori in gioco.
L’obiettivo che si impone di conseguire è dunque di realizzare un ragionevole bilanciamento, spesso possibile soltanto mediante la regola del caso per caso. Tale regola non sfocia in arbitrio, come bene sottolineano gli Autori, se applicata nell’osservanza del criterio del rispetto e della realizzazione della dignità umana, correttamente identificata nel suo contenuto, in primo luogo, attraverso l’esegesi di tutte le fonti materialmente costituzionali, nel significato alla stessa attribuito dalla Corte costituzionale e dalle Corti sovranazionali. In secondo luogo, procedendo a tale operazione ermeneutica secondo una prospettiva non soltanto soggettivistica ma anche relazionale, in virtù di quell’approccio evidenziato nella prima parte della monografia, che impone di riferirla alla persona umana anche in quanto soggetto della società in cui vive, in una dimensione che eccede quella meramente individualistica.
La difficoltà - antica, ma che certo in modo peculiare connota l’attuale fase storica e l’odierna società - va affrontata, da un canto, ribadendo l’esigenza di una regolamentazione dei diritti da parte del legislatore; dall’altro, tenendo conto che - come di recente convincentemente ha dimostrato Roberto Conti (nel volume Scelte di vita o di morte: il giudice è garante della dignità umana? Aracne, 2019), - «la normazione si configura […] non come un atto circoscritto alla sola formazione del testo di legge, inteso come prodotto finito, ma come un procedimento che si completa nel momento dell’interpretazione, quale passaggio ineliminabile per il concretarsi della positività della norma», attraverso «un processo di concretizzazione in vivo dei diritti, che esige la valorizzazione non solo dei testi, ma dei contesti e che intercetta la giuridicità oltre la norma, ponendo la società e il contesto come referenti della giuridicità». Siffatto processo garantisce, inoltre, le esigenze di certezza, poiché deve muoversi all’interno dei «solidi punti di riferimento [rinvenibili] nella Carta fondamentale, nelle Carte sovranazionali e nella giurisprudenza delle Corti» (è questa l’efficace sintesi del pensiero di R.Conti tratteggiata da G.Luccioli, Postfazione, in questa Rivista, 2019 https://www.giustiziainsieme.it/it/attualita-2/654-scelte-di-vita-o-di-morte-il-giudice-e-garante-della-dignita-umana). L’applicazione di detti principi scongiura il possibile rischio che i giudici assurgano a «padroni del diritto», in quanto essi sono e restano «i garanti della complessità strutturale del diritto nello Stato costituzionale, cioè della necessaria, mite coesistenza di legge, diritti e giustizia» (G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino 1992, 213), coesistenza che è imprescindibile allo scopo di assicurare il pieno riconoscimento e l’effettiva tutela dei diritti umani.