Recensione a “Uno come tanti” di Ennio Tomaselli
di Costantino De Robbio
Mi aspettavo che fosse il solito romanzo scritto da un magistrato, come ce ne sono ormai diversi: siamo una categoria che si diletta a scrivere, forse perché vive di parole, e le parole le sa usare.
Così, quando dobbiamo cercare un hobby, spesso finiamo con lo scegliere di usare quella tecnica o quel talento: manovrare le parole.
Rivendichiamo la nostra libertà rispetto al lavoro in questo modo: scegliendo noi cosa scrivere e di che, anziché parlare di abusi edilizi o legati in conto di legittima… ma finiamo, il più delle volte, fatalmente con usare questa libertà che ci siamo presi per romanzare ciò che abbiamo conosciuto: il lavoro di magistrati, la nostra vita, il perché abbiamo fatto questo strano mestiere e quanto sia, come spesso ci diciamo tra noi, "il mestiere più bello del mondo".
E invece Ennio Tomaselli è riuscito a prendermi in contropiede, partendo da un punto di vista che più originale non poteva essere: la magistratura non come ideale di vita ma come maledizione, qualcosa che ti capita quasi senza che tu lo voglia e che puó stravolgere la vita tua e di tutti quelli che ti stanno attorno, come una specie di malattia.
Sin dalle prime righe l'autore ci accompagna in questo strano mondo alla rovescia, dove il protagonista è un giovane che sta preparando il concorso in magistratura a dispetto della madre, che sembra odiarlo per questo.
Lo stesso Fabrizio, il protagonista, sembra consapevole di essersi incamminato per una via maledetta, lasciando la strada tracciata per lui (ereditare lo studio legale dei genitori, o meglio di quelli che crede essere i suoi genitori) per arrampicarsi su un sentiero impervio e tutto sommato incomprensibile… ma, come presto scopriremo, è il richiamo del sangue a guidarlo, anche se inconsapevole.
Non a caso, la prova di ingresso in questo mondo - i tre giorni degli scritti del concorso - coincide con la scoperta che il suo vero padre non era quello con cui aveva vissuto fino a quel momento ma un magistrato, scomparso misteriosamente prima che lui nascesse e vittima della maledizione di quel mondo che aveva scelto.
Il giovane inizierà così una ricerca delle tracce del padre, nel tentativo di capire le ragioni della sua scomparsa, imbattendosi non di rado in personaggi (la zia Nilde) che continuano a ripetergli che il mondo in cui sta per entrare è una malattia, non un lavoro.
Man mano che il romanzo prosegue disvelando il mistero del magistrato scomparso e della sua vita, l’autore porta il suo giovane protagonista– attraverso non pochi colpi di scena che qui non si sveleranno – alla consapevolezza che il passaggio alla vita adulta è simile al biblico albero della conoscenza: sta a ciascuno di noi, ci suggerisce Tomaselli, scegliere se ignorarlo o mangiarne i frutti, sapendo che, se si sceglie questa alternativa, la conoscenza comporta perdita di innocenza, dolorosa consapevolezza.
È questa, in fondo, la maledizione: ci sono persone che non possono fare a meno di allungare la mano e cogliere questo frutto… per curiosità intellettuale, idealismo, voglia di capire e dare un senso a tutto.
E per questo tipo di persone, ci avverte l’autore, entrare in magistratura (ma forse vale per qualsiasi universo che si vive da adulto) può diventare insopportabile, perché la verità è troppo dura da digerire per un idealista: o si sceglie di ignorare il frutto dell’albero della conoscenza, o si alza la testa, e se ne paga tutto il salato prezzo
Nel romanzo abbiamo dunque un amaro e disilluso spaccato della magistratura e dei suoi componenti, che sembrano divenire sempre più opachi e lasciarsi andare a calcolo e mediocrità man mano che avanzano in età (e carriera).
Al protagonista, guidato da alcuni “Virgilio” di cui non è opportuno qui svelare l’identità, Tomaselli assegna il compito “eroico” di vedere in anticipo come potrebbe o non potrebbe diventare, l'alternativa tra mantenersi puri (e il suo prezzo) e cedere alla disillusione. Il padre per mantenersi puro ha abbandonato la partita e la magistratura… riuscirà il figlio nel compito sovrumano di rimanere in campo senza rinnegare i propri ideali?
Riuscirà a vivere il proprio mestiere in modo “utile alla gente”, che vuol dire, secondo le parole con cui l’autore consegna il romanzo ai suoi lettori, essere scomodi, farsi domande, non essere burocrati ma non cedere alle ambizioni personali, consapevoli di essere parte di un gioco in cui deve prevalere la logica del collettivo, orgogliosi dunque di essere “uno come tanti”?
Ennio Tomaselli, "Uno come tanti", Manni, 2024.