La sabbia che Pape - un venditore ambulante senegalese in Italia per pagare gli studi alla facoltà di medicina alla sorella Binette - fa scivolare con abilità dalla ciabatta. La sabbia che lo trattiene e lo sorregge a ogni passo. La sabbia sulla quale si stende Binette con il suo segreto, nella solitudine del suo tradimento.
La sabbia che si scrolla di dosso Lu, Enrica Lucia - studentessa italiana di origine Vietnamita - consumata tra il disperato desiderio di conoscere la sue origini e il disperato desiderio di non conoscerle.
La sabbia umida sulla quale si siede la coppia vietnamita dopo l’abbandono della bambina neonata, che non può permettersi di veder crescere. La sabbia dove la mamma adottiva di Lu si siede a riflettere nella percezione del bilico della figlia tra la realtà e la finzione.
La sabbia è la simbolica scenografia nella quale Giovanni Caria inserisce sapientemente i protagonisti del suo terzo romanzo, ciascuno confinato nel proprio mondo esclusivo, come il “dente di una ruota in moto perpetuo”, ciascuno unico ma, al tempo stesso, simile a tanti altri incastonati nella ruota della vita.
Giovanni Caria descrive con abilità i protagonisti, i comprimari e le comparse del suo romanzo che inizia in una giornata assolata davanti alla Torre spagnola di Punta Erice.
Con il sorgere del sole ha inizio la giornata di Pape, e con essa un intreccio incessante di pensieri e ricordi che riesce a portare il lettore in Senegal, al primo ricordo di Pape: Pape bambino stretto al seno della madre. Ma la felicità è effimera e il senso di protezione e appartenenza lascerà presto il posto all’individualità solipsitica.
Dalla spiaggia affollata di Erice Gianni Caria porta il lettore in Vietnam, dove il danno di una guerra insensata, il non senso comune a ogni guerra è entrato nel dna della popolazione per tramandare il suo segno, la mutazione genetica causata dall’agente arancio e dal napaln.
Veleni che penetrati nei terreni agricoli continuano a produrre frutti tossici. Da qui il dramma degli abbandoni e la ricerca delle origini di chi, strappato dal seno materno, è incapace di riconoscere come propria la nuova famiglia, come se l’originario strappo si perpetuasse nel racconto delle origini o meglio nell’intempestività o inesattezza del racconto.
Pape e Lu, i protagonisti del romanzo, due dei tanti denti della ruota, entrambi stranieri, soli e traditi sono destinati a incrociarsi senza incontrarsi, nell’affollata spiaggia sarda.
“Il tradimento è tante cose, che si verificano ogni volta che la moneta tirata in aria cade dalla parte sbagliata, coprendo la faccia buona e illuminata della fiducia. E’ violare le aspettative; sostituirsi all’altro nel prendere una decisione: pretendere di fare il bene dell’altro, pretendere di essere il bene dell’altro: far credere all’altro di essere un obiettivo o un desiderio; confondere i lineamenti del desiderio con quelli dell’interesse; affermare che esistono intenzioni buone a prescindere da ciò che lastricano”. E’ qui il senso del danno.
Pape è stato tradito dalla sorella, Lu è stata tradita dai genitori adottivi.
Giovanni Caria senza tanti preamboli riesce a far immedesimare il lettore nei personaggi del suo romanzo, a inserirlo nelle sue scelte, nelle sue recriminazioni, nella sua rassegnazione, nel suo autoassolversi e infine nel suo isolarsi pacato dal resto del mondo.
Con la nascita si entra nel meccanismo in moto perpetuo che procede inesorabile verso la fine, pur passando per tappe rituali. Bene lo percepisce Pape, tanto che, quando vede per la prima volta la piccola Binette, desidera per lei una vita diversa da quella delle due madri. Vuole cambiare i rituali e per questo sacrifica la sua vita. O forse segue solo il suo destino, come Binette seguirà il suo.
Aspettative, obiettivi, pretese. Ogni essere umano ha i suoi, più o meno “essenziali”, più o meno “vitali”.
Il vero male è l’incapacità di comunicare, l’assenza di empatia e questo Gianni Caria ben lo rappresenta nella scena finale quando tre mondi, con aspettative e pretese completamente diverse, si incrociano nell’ultima immagine.
In quest’ultima immagine la sabbia è il chiaro simbolo dello scorrere della clessidra, il segno della caducità.
E’ così, esattamente come nella poesia di Salvatore Quasimodo “Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera”.