La Stranezza. Recensione di Dino Petralia
In questo film della maturità Roberto Andò, non a caso regista pure di opere musicali e di teatro, realizza un prodotto che, per cast e trama prescelti, potrebbe dirsi all’apparenza ardito, ma che poi a luci spente si sostanzia nettamente come artificio vincente per spiegare con abile alchimia scenica il senso e l’efficacia del teatro.
E così, chiamando in campo uno dei geni della drammaturgia moderna, Luigi Pirandello, alle prese con l’ispirazione dei Sei personaggi in cerca d’autore, e affidando la trama al connubio recitativo composto dalla nota coppia comica Ficarra e Picone e dalla tempra interpretativa ugualmente nota di Toni Servillo, quest’ultimo nei panni del Maestro agrigentino, prende forma un accattivante mosaico narrativo, esso stesso a carattere teatrale, in cui il dominio degli eventi scenografici, a cavallo tra commedia degli equivoci e reality show, risiede tutto nel contrasto tra umorismo e tragicità.
Ed infatti, è proprio tra l’istintiva vis comica di Salvatore Ficarra e Valentino Picone - rispettivamente nel film Onofrio Principato e Sebastiano Vella - e l’elegante e meditabondo profilo scenico di Servillo (Pirandello) che prende vita un mix indistinto capace di illuminare di divertente ironia la severità di un tema così caro e irrisolto, l’ispirazione vitale dello scrittore, quella ricerca interiore che nei panni di un ormai maturo Pirandello, gravato nella vita familiare dalla condizione di squilibrio mentale della moglie Antonietta, aveva assunto i termini di una vera estenuante ossessione.
E il migliore spunto giunge al Maestro proprio dall’incontro con i due becchini - Sebastiano e Nofrio della ditta girgentana Vella & Principato - per via di un servizio funebre loro affidato in occasione della morte della sua vecchia balia. Il paradosso - che è poi la bizzarra e geniale trovata del film, ben potendo essa stessa fondare la stranezza propria del titolo - si compie nel dialogo a tre sul tema del teatro e nell’enfasi con cui i due comici, teatranti per diletto e animatori a loro volta del pittoresco contesto paesano, garbatamente arringano l’ignoto e (ai loro occhi) sprovveduto cliente, accusandolo con altrettanta ironica bonomia e cordiale presunzione di saperne davvero poco di teatro.
Paradosso che raggiunge infine il suo culmine quando Pirandello, invitato ad assistere alla scalcagnata e sostanzialmente fallita esibizione dell’altrettanto raffazzonata compagnia paesana, personalmente coinvolta in sala in uno scambio di accuse/difese col pubblico, conquista invece l’illuminazione che cercava e che darà vita al capolavoro dei Sei personaggi; un’ispirazione suscitata dall’ormai compiuta consapevolezza che il vero teatro è quello che vive nella coscienza della sua finzione, frantumando l’immaginaria quarta parete che lo separa dal pubblico e interagendo con questo in una realistica e suggestiva combinazione scenica.
Da inconsapevoli suggeritori di quel prodotto di visionaria drammaturgia, Nofrio e Sebastiano, invitati a spese di Pirandello alla prima romana al teatro Valle, non sapranno mai che la “fantasia” che aveva sollecitato il Maestro, e alla quale questi darà poi veste burlesca di “servetta” nella straordinaria prefazione che anni dopo premetterà al testo per renderne più agevole la comprensione, si agitava già nei palchi del rudimentale teatro paesano e che proprio il loro goffo insuccesso era stata occasione e ragione di una rivoluzionaria stranezza dello scrittore, fonte di un capolavoro in grado di condizionare l’intera poetica letteraria e teatrale del novecento.
Ritornati in sala a fine commedia per sfuggire alla turbolenta calca di un pubblico inferocito per ciò che era apparsa come un’insulsa e cervellotica messinscena, i due becchini si ritrovano da soli in teatro al cospetto di un palcoscenico ormai spoglio. Ed è lì che con sottile ironia si consuma la terza e ultima stranezza del film: quella scalcinata coppia non esiste né è mai esistita e lo stupefatto e perplesso Pirandello - in un Servillo al culmine della sua magistrale espressività - ne prende atto facendo consultare invano la lista degli invitati.
Erano anch’essi personaggi in cerca d’autore, fantasmi vaganti nella tormenta creativa dello scrittore che, all’unisono col vero Pirandello - cosi ne scrive nella sua fenomenale prefazione - “posso soltanto dire che, senza sapere d’averli punto cercati, mi trovai davanti, vivi da poterli toccare, vivi da poterne udire perfino il respiro…”.
Un film colto, dallo spunto geniale, sapientemente intrecciato nella sua stessa iperbole rappresentativa; un film siciliano, scritto da un siciliano e con veri siciliani, nel dialetto, nelle attraenti tortuosità e funamboliche intelligenze dei siciliani.