Un atto giuridico apparentemente tecnico – un’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale – nasconde una questione di straordinaria rilevanza politica e internazionale. Con il provvedimento del 30 ottobre 2025, la Corte d’Appello di Roma ha sospeso il procedimento a carico di Najeem Osema Almasry Habish, detto “Al-Masri”, ricercato dalla Corte Penale Internazionale (CPI) per crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella prigione libica di Mitiga (arrestato in Libia il 5 novembre 2025), e ha rimesso alla Consulta la questione di legittimità costituzionale della legge n. 237/2012, che disciplina la cooperazione dell’Italia con la CPI.
Il caso nasce dal mandato di arresto internazionale emesso dalla Corte dell’Aja il 18 gennaio 2025. Arrestato a Torino e poi liberato per mancanza di un provvedimento del Ministero della Giustizia, Almasry sarebbe stato espulso in Libia lo stesso giorno. Da quel momento, il procedimento si è trasformato in un nodo giuridico che mette in discussione la capacità dello Stato italiano di adempiere agli obblighi internazionali assunti con lo Statuto di Roma del 1998, che ha istituito la CPI.
La questione giuridica: discrezionalità politica o obbligo di cooperazione Secondo la Corte d’Appello, la legge italiana subordina la trasmissione delle richieste della CPI al Procuratore generale a una decisione discrezionale del Ministro della Giustizia. Se il ministro non trasmette gli atti, il giudice non può procedere. Questa impostazione, osservano i giudici, rischia di rendere l’Italia inadempiente agli obblighi di cooperazione internazionale, e infatti la CPI, con decisione del 17 ottobre 2025, ha già formalmente rilevato il mancato rispetto da parte del nostro Paese.
Il cuore del problema sta nella tensione tra sovranità nazionale e giustizia internazionale. Lo Statuto di Roma impone agli Stati firmatari di collaborare pienamente con la Corte, mentre la normativa interna italiana introduce un filtro politico – la decisione del Ministro – che può paralizzare la cooperazione. Per la Corte d’Appello, tale meccanismo viola gli articoli 11, 101 e 117 della Costituzione, che vincolano l’Italia al rispetto dei trattati internazionali e all’autonomia del potere giudiziario.
Un precedente delicato per l'Italia: non è solo un problema giuridico, ma anche di credibilità internazionale. L’Italia è stata tra i Paesi fondatori dello Statuto di Roma e ha sempre rivendicato un ruolo di promotrice della giustizia penale globale. Ora, il mancato rispetto di una richiesta della CPI – aggravato dall’espulsione del ricercato durante il procedimento – rischia di essere percepito come un atto di disimpegno politico. La stessa Corte Penale Internazionale ha già minacciato di segnalare l’Italia all’Assemblea degli Stati Parte per violazione dei propri obblighi.
La dimensione politica: il silenzio del Ministero. Particolarmente significativa è la parte dell’ordinanza in cui la Corte di Roma cita la decisione della Camera dei Deputati, che ha negato l’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro della Giustizia per omissione d’atti d’ufficio, ritenendo che non vi fosse alcun obbligo di trasmettere la richiesta della CPI. In tal modo, una scelta politica è diventata di fatto un vincolo al potere giudiziario, impedendo ai giudici di adempiere agli obblighi internazionali previsti dallo Statuto. È su questo punto che la Corte costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi: può il governo, per ragioni politiche, impedire ai giudici di cooperare con una corte internazionale che persegue i crimini più gravi contro l’umanità? La risposta toccherà il cuore del rapporto tra potere esecutivo e giurisdizione, ma anche tra giustizia nazionale e giustizia universale.
Una riflessione più ampia. Questo caso evidenzia il paradosso di una democrazia che proclama i diritti umani ma esita a consegnare alla giustizia internazionale chi li ha violati. Dietro le formule giuridiche si cela una domanda politica e morale: fino a che punto uno Stato può difendere la propria sovranità senza tradire il principio universale di giustizia? L’ordinanza della Corte d’Appello apre dunque un fronte di riflessione che travalica i confini del caso specifico. L’Italia, come Stato parte dello Statuto di Roma, si trova oggi a un bivio: riaffermare il proprio impegno per la giustizia internazionale o piegarsi alla logica della convenienza politica. La decisione della Corte costituzionale, attesa nei prossimi mesi, dirà se il nostro Paese intende restare fedele allo spirito di Norimberga o preferirà, ancora una volta, il silenzio della ragion di Stato.
Sul tema, si vedano anche:
Un volo di stato chiude il caso Almasri? di Lavinia Parsi
Io, Osama Elmasry “Njeem” – Prima puntata: Mitiga di Marcello Basilico
Io, Osama Elmasry “Njeem” – Seconda puntata: RADAA di Marcello Basilico
Io, Osama Elmasry “Njeem” – Terza puntata: Io sono questo di Marcello Basilico
Io, Osama Elmasry “Njeem” – Quarta puntata: Toccata e... volo in Europa di Marcello Basilico
Io, Osama Elmasry "Njeem" - Quinta puntata: Balbettare sul diritto internazionale di Marcello Basilico
La nota redazionale pubblicata il 24 ottobre 2025 Caso Almasri la Corte Penale Internazionale ricostruisce la sequela di omissioni. Entro venerdì 31 ottobre l'Italia deve fornire ulteriori informazioni
