Il dovere di chiarezza della legge nella giurisprudenza della CEDU
Sommario: 1. Introduzione – 2. Il concetto di “legge” – 3. L’evoluzione del concetto di qualità della legge.
1. Introduzione
Credo che il richiamo alla chiarezza della legge nel titolo del mio intervento si debba intendere un po’ come una sineddoche, nel senso che evocando il tema della chiarezza della legge nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo si rinvia a un contesto più ampio, che è quello della qualità della legge, contesto nel quale la dimensione della chiarezza si accompagna a quelle, altrettanto importanti, della precisione, della prevedibilità, e anche, almeno in determinati casi, a quello della inclusione di garanzie contro i possibili abusi nell’applicazione della legge.
Nell’ambito della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (la Convenzione, CEDU), il principio di legalità appare in modo particolarmente significativo in materia penale, laddove l’art. 7 della Convenzione enuncia il principio nullum crimen, nulla poena sine lege, cioè la regola per cui solo la legge – che non può essere retroattiva – può definire un reato e prevedere una pena.
Il riferimento alla “legge” (law nel testo inglese, loi in quello francese), ha un grande rilievo nell’ambito della CEDU e lo troviamo in numerose disposizioni di questo testo. Per quanto riguarda il diritto alla vita (articolo 2), la “legge” è stata individuata come fonte della protezione di questo diritto; come fonte necessaria per prevedere la pena di morte, anche se in questo caso si tratta di una norma, quella che consentiva eccezionalmente la privazione intenzionale della vita in esecuzione di un a regolare condanna, che la giurisprudenza della Corte considera implicitamente abrogata[1]; come fondamento necessario di qualsiasi privazione della vita ammessa in casi di legittima difesa proporzionale, arresto o prevenzione della fuga di persone legalmente detenute, o in casi di repressione di una rivolta o di un’insurrezione. Nell’articolo 5, la “legge” è stata indicata come fonte necessaria per la privazione del diritto alla libertà e alla sicurezza. Nell’articolo 6 (diritto a un giusto processo), si richiede che i tribunali siano istituiti dalla “legge”. Inoltre, in molte altre disposizioni della Convenzione, il fondamento nella “legge” è una delle condizioni perché misure limitative di diritti previsti dalla CEDU siano considerate compatibili con la stessa Convenzione, normalmente accanto all’esistenza di un “fine legittimo” perseguito dalla misura litigiosa e alla “necessità” della stessa misura “in una società democratica”, cioè alla sua proporzionalità. Ciò avviene nell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare); nell’articolo 9, come base giuridica per la possibile limitazione della libertà di manifestare la propria religione o le proprie convinzioni; nell'articolo 10, come fonte di possibili formalità, condizioni, restrizioni e sanzioni in materia di libertà di espressione; e, nell'articolo 11, come base legale di limiti alla libertà di riunione e di associazione. Inoltre, in alcuni Protocolli allegati alla Convenzione, la "legge" appare di nuovo nella disciplina di altri diritti fondamentali. Nel Protocollo 1, articolo 1, come base necessaria di limitazioni al diritto di proprietà; nel Protocollo 4, articolo 1, per la possibile limitazione alla libertà di circolazione; nel Protocollo 7, come garanzia procedurale nell'espulsione degli stranieri (articolo 1), come disciplina del diritto di appello in materia penale (articolo 2), come fonte di risarcimento per condanna ingiusta (art. 3).
Anche al di là di queste indicazioni specifiche nell’ambito dei singoli diritti, il principio di legalità ha una natura fondamentale come uno dei valori chiave che discendono dal concetto dello Stato di diritto, inteso come Rule of Law[2], che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo considera uno dei fondamenti di una società democratica “inerente a tutti gli articoli della Convenzione”[3].
In pratica, tutte le volte che la Corte EDU è chiamata a confrontarsi con una ingerenza nei diritti fondamentali di una persona, essa deve verificare innanzitutto se tale ingerenza abbia un’adeguata base giuridica, cioè se sia fondata sulla legge.
È bene chiarire subito un punto. L’esigenza del fondamento legale di ogni misura la cui compatibilità con la Convenzione deve essere verificata non si spinge fino a richiedere che la Corte di Strasburgo controlli la corretta applicazione del diritto nazionale da parte dei giudici domestici. Questo rimane di esclusiva competenza delle corti nazionali. La Corte europea dovrà poi appurare se la decisione dei giudici domestici sia conforme alla Convenzione oppure no. Eventuali errori dei giudici interni nell’applicazione del diritto nazionale rilevano solo in quanto si traducano in violazioni dei diritti e delle libertà protetti dalla CEDU[4], a meno che non si tratti di applicazione della legge arbitraria o manifestamente irragionevole[5].
Detto questo, si pongono essenzialmente due questioni, sulle quali vorrei oggi brevemente intrattenervi. Da una parte c’è da capire cosa si intenda per “legge” ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e dall’altra quale sia stata l’evoluzione del concetto di qualità della legge, compreso l’aspetto della chiarezza, nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
2. Il concetto di “legge”
Sulla prima questione si è notato come la giurisprudenza della Corte EDU si sia oramai consolidata nel ritenere che il concetto di “legge” presente nella Convenzione, un concetto da interpretare in modo autonomo, debba intendersi in senso sostanziale e non in senso formale.
In uno studio di qualche anno fa due costituzionalisti, i professori Lupo e Piccirilli, si sono interrogati sulla questione, partendo dalla constatazione che il concetto di “legge” come viene tradizionalmente inteso nei sistemi giuridici di tradizione anglosassone, o di common law non coincide con quello accolto dalla tradizione continentale, o di civil law.
Nella tradizione di common law si intende la “legge” come un concetto ampio, che si riferisce ad ogni regola esistente, senza riguardo al modo nel quale essa si sia formata e sia entrata in vigore, e che quindi include non solo le leggi positive, ma anche il diritto consuetudinario, e anche quello di origine giurisprudenziale. Invece, nella tradizione continentale, lo stesso concetto è associato a quello di “legislazione”, ed è quindi correlato a specifiche categorie di atti normalmente approvati dal Parlamento, cioè dal potere legislativo, o in certi casi dal potere esecutivo, come in Italia nella decretazione d’urgenza o nella legislazione delegata, ma sempre con un intervento del Parlamento, preventivo, come nella legislazione delegata, o successivo come nella decretazione d’urgenza. In altre parole nell’Europa continentale il concetto di “legge” rimanda alle leggi adottate dal Parlamento o ad altri atti dotati dello stesso rango nella gerarchia delle fonti. Ne segue che nel linguaggio dei giuristi di civil law il riferirsi alla “legge” non evoca genericamente un comando giuridico, ma è una definizione tecnica di una fonte del diritto che è scritta, posta dal legislatore e “primaria”, cioè sottoposta solo al livello costituzionale[6]. Nella tradizione continentale, quindi, i riferimenti alla “legge” che si trovano nei testi normativi di livello costituzionale sono tipicamente interpretati dalle Corti costituzionali nazionali come una riserva alla legislazione di determinate materie, una riserva che quindi vuole escludere l’intervento di fonti del diritto diverse da quelle di origine parlamentare[7].
Allo stato attuale della sua evoluzione, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo può ritenersi consolidata nel suo riferirsi a un concetto pienamente sostanziale di “legge”, avendo abbandonato ogni riferimento al rango della norma di volta in volta interessata nella gerarchia delle fonti e ogni preoccupazione sulla sua origine, parlamentare, amministrativa o anche giurisprudenziale[8].
Già nella sentenza nel caso De Wilde, Ooms and Versyp c. Belgio del 1971 la Corte europea aveva considerato come base legale idonea ai sensi dell’art. 8 CEDU un arrêté royal, cioè une fonte di rango sub-legislativo, ma senza un’approfondita motivazione.
È con la sentenza The Sunday Times c. Regno Unito che la Corte di Strasburgo precisa esplicitamente, in un caso relativo all’art. 10 CEDU, che protegge la libertà di espressione, che la parola “legge” (law) nell’espressione “prescribed by law” contenuta in questa disposizione copre non solo la legge in senso formale, ma anche la legge non scritta, incluse le prescrizioni della common law.
Nel caso di specie si trattava di un’ingiunzione di non pubblicazione di un articolo sulla tragedia del talidomide imposta ad un giornale in base alle disposizioni di common law sul c.d. contempt of court, cioè, grosso modo, ostruzione alla giustizia. Il giornale ricorrente faceva valere che il concetto di contempt of court era così vago e incerto e che i principi enunciati nella decisione nazionale in esame erano così innovativi che la restrizione imposta al giornale non si poteva considerare “prescritta dalla legge” (prescribed by law) come impone l’art. 10 CEDU.
Vediamo che la prospettazione del ricorrente in questo caso abbraccia soprattutto l’altra questione di cui ci occupiamo oggi, cioè la chiarezza della legge e, più in generale, la sua qualità, ma per il momento fermiamoci al primo aspetto, quello della definizione del concetto di “legge” ai sensi della Convenzione.
Ho già anticipato la conclusione della Corte, che ha preso nettamente posizione per una concezione sostanziale e non formale della “legge”, posizione che è oggi consolidata nella giurisprudenza. La Corte ha osservato che limitare il concetto di legge a quello di legge formale sarebbe certamente contrario all’intenzione delle Parti contraenti; ritenere che una restrizione imposta in base al common law non sia “prescritta dalla legge” solo perché non è enunciata nella legislazione scritta priverebbe gli Stati parte di tradizione anglosassone della protezione di cui al secondo comma dell’art. 10 CEDU, cioè dell’applicazione delle restrizioni alla libertà di espressione che possono essere legittimamente imposte secondo la Convenzione[9]. Si tratta di un argomento che è stato considerato di natura originalista[10]perché fa leva sull’intenzione degli autori del testo da interpretare, cioè un criterio interpretativo che dovrebbe avere solo una funzione ausiliaria, ma è storicamente vero che il Regno Unito ebbe una grandissima influenza nella redazione del testo, per cui sarebbe stato veramente inconcepibile che avesse accettato di escludere dal concetto di “legge”, che finisce per delimitare l’ampiezza delle limitazioni di sovranità implicate dalla CEDU, una parte importante del proprio ordinamento giuridico. La Corte ha anche notato che lo stesso giornale ricorrente non aveva contestato l’esistenza della base giuridica della restrizione contestata nel ricorso, ma lamentava solo la mancanza di chiarezza e di precisione del principio di common law posto a base della restrizione litigiosa[11].
Con The Sunday Times la Corte ha superato un precedente orientamento giurisprudenziale, espresso nel 1978 dalla allora Commissione europea dei diritti dell’uomo, che, in un contesto diverso, cioè quello della necessaria base legale richiesta dall’art. 6 CEDU per la costituzione degli organi giudiziari, aveva inteso che riferimento alla “legge” avesse due implicazioni. Da una parte, l’esclusione di una regolamentazione da parte del potere esecutivo e, dall’altra, in modo più specifico, la necessità che in una società democratica l’organizzazione giudiziaria deve essere regolata da leggi approvate dal Parlamento[12].
Anche una regola formatasi in sede giurisprudenziale, purché la giurisprudenza sia costante e coerente, può integrare la nozione di “legge” ai sensi della Convenzione. A partire dalla sentenza Cantoni c. Francia del 1996, nel contesto particolarmente stringente dell’art. 7 CEDU, cioè del principio di legalità in materia penale, la Corte afferma che la nozione di law (droit nel testo francese) utilizzata all’art. 7 corrisponde a quella di law (loi nel testo francese) che appare negli altri articoli della Convenzione che abbiamo visto e ingloba il diritto di origine sia legislativa sia giurisprudenziale, quello a cui ci si riferisce come judge made law[13].
3. L’evoluzione del concetto di qualità della legge
Venendo ora all’evoluzione del concetto di qualità della legge, inclusa la dimensione della chiarezza, conviene partire sempre dalla sentenza Sunday Times del 1979. Qui la Corte doveva confrontarsi con l’espressione “prescribed by law” contenuta nell’art. 10 della Convenzione, ed è giunta alla conclusione che da questa formulazione discendono due esigenze. In primo luogo che la legge deve essere adeguatamente accessibile: l’individuo deve essere messo in condizione di conoscere, con indicazioni adeguate nelle circostanze particolari del caso, quali siano le regole legali applicabili a una determinata fattispecie. In secondo luogo la legge deve essere chiara, cioè deve essere formulata con una precisione sufficiente a porre l’individuo in condizione di poter regolare la propria condotta; il destinatario delle norme deve essere in grado – se necessario con l’aiuto di appropriata consulenza – di prevedere, in una misura ragionevole nelle circostanze del caso, le conseguenze legali conseguenti ad una determinata azione od omissione. La Corte riconosce che non è possibile pretendere una prevedibilità delle conseguenze con assoluta certezza, giacché l’esperienza dimostra che questo sarebbe un obiettivo irraggiungibile. Per quanto quest’ultimo possa essere un risultato altamente desiderabile, ciò comporterebbe un’eccessiva rigidità, mentre la legge deve essere in grado di tenere il passo con una realtà in evoluzione. Di conseguenza, molte leggi sono redatte in termini che, in una misura maggiore o minore, sono vaghi, per cui la loro interpretazione e applicazione dipendono dalla pratica[14].
L’espressione “prescribed by law” utilizzata dalla Corte in The Sunday Times per costruire la dottrina della chiarezza della legge, intesa in senso ampio come dottrina della qualità della legge, si ritrova identica negli art. 9 e 11, che proteggono rispettivamente la libertà di coscienza e di religione e la libertà di associazione, ma non esattamente nell’art. 8, dedicato alla tutela della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza, nell’ambito del quale troviamo l’espressione “in accordance with the law”. Nella successiva sentenza Silver c. Regno Unito del 1983, la Corte ha chiarito che i principi enunciati per l’art. 10 CEDU in base all’espressione “prescribed by law” in The Sunday Times in relazione ai requisiti di qualità della legge valgono anche nell’ambito dell’art. 8, anche perché le due disposizioni si sovrappongono con riguardo all’esercizio della libertà di espressione attraverso la corrispondenza, per cui non attribuire la stessa interpretazione alle due espressioni potrebbe condurre a conclusioni diverse in relazione alla medesima ingerenza nel diritto[15].
La giurisprudenza successiva ha chiarito che i requisiti di qualità della legge comprendono, oltre all’accessibilità, la chiarezza, la prevedibilità e la precisione. Si tratta però di elementi relativi, che non vanno considerati in astratto, tenendo in considerazione il settore di attività che la legge in questione è chiamato a disciplinare e il numero e la condizione dei destinatari delle sue previsioni[16].
Sviluppando concetti già enunciati in The Sunday Times, la Corte ha via via chiarito, relativamente al livello di precisione della legge nazionale, prima in Kokkinakis c. Grecia e poi in Vogt c. Germania che l’impossibilità di richiedere un eccessivo livello di dettaglio nella legislazione nazionale è una conseguenza logica del suo scopo di generale applicazione, tenendo presente che il livello di precisione dev’essere valutato a un livello ragionevole nelle circostanze del caso[17].
Anche le caratteristiche di chiarezza e prevedibilità della legge non devono essere intese in senso assoluto, perché queste condizioni si devono considerare soddisfatte anche nel caso in cui si renda necessario per la persona interessata sollecitare un appropriato parere legale per valutare, in una misura ragionevole nelle circostanze del caso, le conseguenze che potrebbero derivare da una particolare azione o omissione. Nella sentenza Chauvy et al. c. Francia, la Corte ha detto che questo è particolarmente vero quando si tratti di persone impegnate in attività professionali[18].
Vorrei accennare a uno sviluppo ulteriore della dottrina della qualità della legge, in particolare nel settore della tutela della riservatezza, o privacy, protetta dall’art. 8 CEDU. Mi riferisco alla esigenza che la legge, oltre alle caratteristiche di accessibilità, chiarezza, precisione e prevedibilità che abbiamo visto, contenga anche appropriate garanzie contro possibili abusi.
Come dicevo, solo nel 1983 con la sentenza Silver, quattro anni dopo The Sunday Times, si è chiarito che il tema della qualità della legge riguarda anche i diritti protetti dall’art. 8 della Convenzione in materia di tutela della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza, ma è proprio su questo terreno che si è registrato questo sviluppo.
Alle origini di questa evoluzione della giurisprudenza c’è la sentenza Malone c. Regno Unito del 1984, resa in un caso di intercettazione telefonica nel quadro di una procedura penale[19]. Il tema riguarda infatti – almeno alle origini della dottrina, che poi ha conosciuto una certa espansione – le operazioni di sorveglianza segreta, come le intercettazioni telefoniche, ambientali o informatiche. In questi casi, nei quali normalmente la legislazione lascia ampi margini alle autorità che procedono, e le garanzie di accessibilità e prevedibilità sono applicate in modo flessibile, la Corte ha statuito che nei casi di questo tipo la legge deve provvedere ad ulteriori garanzie. In Malone la Corte ha detto che nello speciale contesto della sorveglianza segreta il concetto di prevedibilità non può corrispondere esattamente a quello abituale, e ha precisato che l’espressione “in accordance to the law” non si limita a rinviare al diritto nazionale, ma si riferisce alla qualità della legge, imponendo che essa risponda al principio dello Stato di diritto (Rule of law, prééminence du droit), che è espressamente menzionato nel Preambolo della Convenzione. Ciò implica, e questo discende dall’oggetto e dallo scopo dell’art. 8, che sono richieste misure di protezione legale nel diritto nazionale contro le interferenze arbitrarie delle pubbliche autorità con i diritti protetti dal primo comma di questa disposizione. Specialmente quando il potere delle autorità è esercitato in segreto, i rischi di arbitrio sono evidenti. Le esigenze della Convenzione nel settore della sorveglianza segreta non possono essere le stesse che sono richieste quando l’oggetto della legge è quello di porre restrizioni alla condotta degli individui; ciò specialmente con riferimento al requisito della prevedibilità. A questo proposito la Corte ha detto che il requisito della prevedibilità non si può intendere nel senso che gli individui devono essere posti in grado di prevedere quando le autorità potrebbero intercettare le loro comunicazioni in modo che essi possano regolarsi di conseguenza. In ogni caso – e qui la Corte mette l’accento sul requisito della chiarezza – la legge deve essere sufficientemente chiara nei suoi termini in modo da dare agli individui un’indicazione adeguata alle circostanze e alle condizioni nelle quali le pubbliche autorità sono autorizzate a ricorrere a questa forma segreta e potenzialmente pericolosa di interferenza nel diritto al rispetto della vita privata e della corrispondenza. Questo però non basta, perché, specialmente quando gli individui, come accade normalmente, siano all’oscuro del possibile uso da parte delle autorità del potere di intercettare segretamente le comunicazioni, vi è un onere aggiuntivo per il legislatore di fissare rigide condizioni e restrizioni (tight conditions and restrictions) a questo uso. Dice la Corte che, dato che l’esecuzione delle misure di sorveglianza segreta delle comunicazioni non è controllabile mentre si svolge dagli interessati o dal pubblico in generale, sarebbe contrario al principio dello Stato di diritto concedere alle autorità un potere incontrollato in questa materia. Ne segue che si richiede che la legge indichi con precisione l’ambito del potere di intercettare concesso alle autorità e le modalità del suo esercizio con sufficiente chiarezza, tenuto conto del fine legittimo perseguito con la misura di intercettazione, al fine di accordare all’interessato una protezione adeguata contro ingerenze arbitrarie nel suo diritto alla tutela della vita privata e della corrispondenza[20].
Questa dottrina, che aggiunge alle esigenze di qualità della legge il requisito di adeguate misure di salvaguardia contro l’uso abusivo del potere, è stata estesa dalla Corte anche al di fuori del campo della sorveglianza segreta. Il principio è stato affermato nel caso Olsson c. Svezia del 1988, relativo all’affidamento di bambini[21].
In due casi contro la Francia relativi ad intercettazioni telefoniche, Kruslin e Huvig, del 1990, la Corte si è concentrata quasi esclusivamente sull’esistenza di efficaci misure di salvaguardia contro l’abuso di potere, entrando nel dettaglio delle prescrizioni richieste alla legge[22].
La dottrina ha avuto un ulteriore sviluppo grazie a tre casi abbastanza recenti, Zakharov c. Federazione russa del 2015[23], Centrum För Rättvisa v. Svezia del 2018[24] e Big Brother Watch c. Regno Unito del 2019[25]. La particolarità di questi casi, tutti attinenti alla c.d. sorveglianza di massa, anche se con modalità diverse, è che la Corte ha accettato di entrare nel merito dei ricorsi, presentati sia da associazioni sia da persone fisiche, indipendentemente dalla dimostrazione dei ricorrenti di essere stati assoggettati a misure di sorveglianza segreta, ma solo sulla base del rischio di esservi sottoposti, quindi con una attenuazione della giurisprudenza in tema di qualità di vittima, requisito della ammissibilità del ricorso.
In tutti questi casi, nei quali era evidentemente impossibile valutare la conformità alla Convenzione di singole misure di ingerenza nella sfera individuale dei ricorrenti, per definizione non esistenti in queste procedure, la Corte si è concentrata sulle caratteristiche minime che la legge che autorizza queste forme di sorveglianza di massa in modo da prevedere adeguate misure di salvaguardia contro gli abusi. La Corte è entrata particolarmente nel dettaglio nel caso Big Brother Watch, nel quale ha individuato ben nove caratteristiche che la legge deve presentare, anche se ha precisato che il principio non va applicato con rigidità, essendo possibile che la carenza di un elemento sia compensata da uno o più altri.
Si è osservato che lo sviluppo di questa dottrina, a partire da Malone, sia stato inspirato alla Corte di Strasburgo dalla giurisprudenza delle corti costituzionali europee, che si sono tradizionalmente occupate della riduzione delle forme arbitrarie di esercizio del potere[26].
* * *
In chiusura vorrei far cenno ad una sentenza molto recente della Corte europea dei diritti dell’uomo in un caso italiano, Grande Oriente d’Italia c. Italia[27], decisione nella quale troviamo un riepilogo dei principi la cui evoluzione ho cercato di esporre. Il caso riguardava la decisione della Commissione parlamentare anti-mafia, nel 2017, di procedere ad una perquisizione della sede del Grande Oriente d’Italia e al sequestro di vari documenti cartacei e digitali, incluse le liste degli aderenti alle logge affiliate all’organizzazione ricorrente.
In questa occasione la Corte ha ricordato che, secondo la propria giurisprudenza, l'espressione "in conformità alla legge", ai sensi dell'articolo 8 § 2 della Convenzione, richiede in primo luogo che la misura impugnata abbia una qualche base nel diritto interno. In secondo luogo, vi è l’esigenza che il diritto interno debba essere accessibile alla persona interessata. In terzo luogo, occorre che la persona interessata sia in grado, se necessario con un'adeguata consulenza legale, di prevedere le conseguenze del diritto interno per sé e, in quarto luogo, bisogna che il diritto interno sia compatibile con lo stato di diritto[28], nel senso della previsione di adeguate salvaguardie contro possibili abusi. Il concetto di "legge" deve essere inteso nel suo senso "sostanziale", non in quello "formale". Essa comprende quindi tutto ciò che costituisce il diritto scritto, compresi gli atti normativi di rango inferiore alle leggi, e anche la giurisprudenza pertinente[29].
La Corte ha precisato che nel contesto di attività investigative come quella in questione, a causa della mancanza di controllo pubblico e del rischio di abuso di potere, la compatibilità con il principio dello Stato di diritto richiede che il diritto interno fornisca un'adeguata protezione contro l'interferenza arbitraria con i diritti protetti dall'articolo 8[30]. In questo caso, pur riconoscendo che le misure ordinate dalla Commissione antimafia avevano una sufficiente base legale, la Corte ha preferito esaminare la questione dell’esistenza di sufficienti garanzie contro gli abusi unitamente a quella della “necessità in una società democratica delle stesse misure”, giungendo poi ad affermare la violazione dell’art. 8.
I principi enunciati in Grande Oriente sono ormai consolidati. C’è stata certamente un’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU su questi temi. Se questo avvicini la Corte di Strasburgo alle corti costituzionali europee è una questione che lascerei aperta. Dovesse questa ipotesi consolidarsi, si tratterebbe a mio sommesso giudizio di uno sviluppo positivo. Forse la mia è una visione ottimistica, ma ho l’impressione che sempre di più la Corte di Strasburgo e le corti costituzionali europee, comprese le due più inizialmente diffidenti nei confronti delle giurisdizioni nazionali, cioè la nostra e quella tedesca, ricerchino un terreno comune nell’intento di proteggere al meglio i diritti fondamentali dell’individuo, superando antiche chiusure.
[1] CtEDU, Al.Sadoon e Mufdhi c. Regno Unito, 2 marzo 2010, § 120.
[2] M. KRYGIER, Rule of Law, in M. ROSENFELD e A. SAJÓ (eds), The Oxford Handbook of Comparative Constitutional Law, Oxford, Oxford University Press, 2012, p. 237; J. JOWELL, The Rule of Law and its underlying values, in J. JOWELL, D. OLIVER e C. O’CINNEIDE (eds), The Changing Constitution, Oxford, Oxford University Press, 2015, pp. 20-24.
[3] CtEDU, Iatridis c. Grecia (GC), n. 31107/96, 25 March 1999, § 58.
[4] CtEDU, García Ruiz c. Spagna, n. 30544/96, 21 gennaio 1999, § 28.
[5] CtEDU, Cangi c. Turchia, n. 24973/15, 29 gennaio 2019, § 42.
[6] N. LUPO e G. PICCIRILLI, European Court Of Human Rights and the Quality of Legislation: Shifting to a Substantial Concept of ‘Law’?, in Legisprudence, 2012, p. 230.
[7] Ibidem.
[8] N. LUPO e G. PICCIRILLI, European Court etc., cit., p. 237.
[9] CtEDU, The Sunday Times c. Regno Unito, n. 6538/74, 26 aprile 1979, § 47.
[10] N. LUPO e G. PICCIRILLI, European Court etc., cit., p. 234.
[11] CtEDU, The Sunday Times etc., cit., ibidem.
[12] Commissione europea dei diritti dell’uomo, Zand c. Austria (Pl.), n. 7360/76, Rapporto 12 ottobre 1978, § 69.
[13] CtEDU, Cantoni c. Francia, n. 17862/91, 15 novembre 1996, § 29; Coëme et al. c. Belgio, n. 32492/96 32547/96 32548/96 33209/96 33210/96, 22 giugno 2000, § 145; Achour c. Francia, n. 67335/01, 29 marzo 2006, § 42.
[14] CtEDU, The Sunday Times etc., cit., §49.
[15] CtEDU, Silver et al. c. Regno Unito, n. 5947/72; 6205/73; 7052/75; 7061/75; 7107/75; 7113/75; 7136/75, 25 marzo 1983, § 85.
[16] N. LUPO e G. PICCIRILLI, European Court etc., cit., p. 237.
[17] CtEDU, Kokkinakis c. Grecia, n. 14307/88, 25 maggio 1993, § 24; CtEDU, Vogt c. Germania, n. 17851/91, 26 settembre 1995, § 48.
[18] CtEDU, Chauvy et al. c. Francia, n. 64915/01, 29 giugno 2004, §§ 43-45.
[19] CtEDU, Malone c. Regno Unito, n. 8691/79, 2 agosto 1984.
[20] CtEDU, Malone etc., cit., §§ 67 e s.
[21] CtEDU, Olsson c. Svezia, n. 10465/83, 24 marzo 1988, § 62.
[22] CtEDU, Kruslin c. Francia, n. 11801/85, 24 aprile 1990, §§ 32-35; Huvig v. Francia, n. 11105/84, 24 April 1990, §§ 32-35.
[23] CtEDU, Zacharov c. Federazione russa (GC), n. 47143/06, 4 dicembre 2015.
[24] CtEDU, Centrum För Rättvisa v. Svezia, n. 35252/08, 19 giugno 2018.
[25] CtEDU, Big Brother Watch c. Regno Unito, n. 58170/13, 62322/14 e 24960/15, 13 settembre 2018.
[26]D. M. BEATTY, The ultimate rule of law, Oxford, Oxford University Press, 2004; B.v.d.SLOOT, The Quality of Law. How the European Court of Human Rights gradually became a European Constitutional Court for privacy cases, in JIPITEC, Journal of Intellectual Property, Information Technology and Electronic Commerce Law, 2020, p. 167.
[27] CtEDU, Grande Oriente d’Italia c. Italia, n. 29550/17, 19 dicembre 2024.
[28] CtEDU, Brazzi c. Italia, n. 57278/11, 27 settembre 2018, § 39; De Tommaso c. Italia (GC), n. 43395/09, 23 febbraio 2017, § 107; e Heino c. Finlandia, n. 56720/09, 15 Febbraio 2011, § 36.
[29] CtEDU, Grande Oriente d’Italia etc., cit., § 96; in questo caso la Corte non menziona esplicitamente il common law, ma la sentenza non intende certo escluderlo, dovendosi esso ritenere compreso nel riferimento alla «giurisprudenza pertinente» (relevant case-law authority); v. anche Bodalev c. Russia, n. 67200/12, 6 settembre 2022, § 66, e National Federation of Sportspersons’ Associations and Unions (FNASS) et al. c. Francia, n. 48151/11 e 77769/13, 18 gennaio 2018, § 160.
[30] CtEDU, Grande Oriente d’Italia etc., cit., § 97. V. anche Rustamkhanli c. Azerbaijan, n. 24460/16, 4 luglio 2024, § 41, 4 luglio 2024, e Erduran e Em Export Dış Tic A.Ş. c. Turchia, n. 25707/05 e 28614/06, , 20 novembre 2018, § 80.
Intervento nel Convegno su "La legge apparente". Problemi di effettività e certezza della legge tra tecnica normativa, sociologia, politica. Il dovere di chiarezza della legge tra tecnica normativa, sociologia, politica, 28 gennaio 2025.