I nuovi orizzonti dei rapporti fra Corte Costituzionale e Parlamento
di Eleonora De Gregorio
Sommario: 1. Separazione dei poteri e piena tutela dei diritti: un equilibrio difficile. 2. Osservazioni conclusive.
1. Separazione dei poteri e piena tutela dei diritti: un equilibrio difficile
La Corte costituzionale è un giudice sui generis, al cui interno convivono due “anime”, una giurisdizionale e una politica. Queste due anime non sono fra loro inconciliabili, ma compongono la fisiologica struttura – per come pensata dai Costituenti – di un Giudice che è chiamato a custodire la Costituzione, la primaria fonte dell’ordinamento, da ogni possibile minaccia o lesione.
La Corte, pur non avendo una legittimazione democratica, è riuscita, col tempo, a crearsi il proprio spazio nell’ordinamento, e oggi gode di una forte autorità. Potremmo dire, anzi, vista la sua capacità di inserirsi nei procedimenti legislativi, che essa è all’apice della sua autorità[1]. Alcuni fra i suoi più recenti interventi, legittimamente criticati, hanno portato a ritenere che, fra le sue due anime, quella politica occupi oggi uno spazio maggiore. L’organo puramente politico, e, in generale, il principio rappresentativo, risultano, invece, gravemente in crisi[2].
Così, ci si interroga sul rapporto che lega oggi due delle colonne portanti dell’ordinamento costituzionale italiano, Corte costituzionale e Parlamento: “per qualcuno siamo di fronte a un’evoluzione naturale, per altri invece a un’involuzione preoccupante, se non addirittura a una deviazione, rispetto all’originario modello disegnato nella Carta”[3].
Si registra, infatti, un iperattivismo della Corte, un suo “innaturale convertirsi” in un decisore politico, che è giustificato dall’esigenza di compensare l’immobilismo del legislatore[4], suo interlocutore naturale, con il quale dovrebbe avere un costante rapporto dialettico, di incontro o anche di “scontro” (è naturale un “antagonismo”[5] fra i due organi, in conseguenza del ruolo cui il giudice costituzionale è chiamato: giudicare e, se del caso, caducare gli atti prodotti dal Parlamento). Nel silenzio del legislatore, però, la Corte ha gradualmente assunto il ruolo di “supplente”, superando la precedente “timidezza”[6], che la portava a rigettare le questioni che “si aprivano a plurimi esiti ricostruttivi del tessuto normativo”[7], e iniziando, di fronte a questioni particolarmente delicate – e soprattutto riguardanti la materia penale – a osare sempre più[8], sino a “sconfinare” al di fuori dei limiti che tradizionalmente le sono riconosciuti[9]. Siffatto “sconfinamento”, dunque, affonda le sue radici nell’auto-emarginazione del Parlamento[10], il quale non solo non adempie al suo ruolo spontaneamente, ma neppure quando viene espressamente sollecitato. La tecnica decisoria in due tempi è stata ideata dalla Corte proprio con l’obiettivo, dichiarato, di esortare il Parlamento ad esercitare le sue prerogative: in questo senso, la Corte ha tentato di individuare uno strumento che consentisse di evitare un’ulteriore “umiliazione ed emarginazione del Parlamento e del principio rappresentativo”[11]. Infatti, “se a seguito della prima pronuncia il legislatore facesse luogo alla salvaguardia dei diritti, risvegliandosi dal suo annoso letargo, la Corte non avrebbe necessità di perfezionare l’intervento preannunziato nella sua prima decisione e portare così ad effetto la manovra già avviata”[12]. Dunque, la Corte ha pur tentato, ideando tecniche decisorie quali l’incostituzionalità prospettata o la precedente “doppia pronuncia”[13], “di metter le mani sul calendario dei lavori parlamentari”[14], così da esortare il legislatore ad affrontare determinate questioni, poiché esso rimane sempre “il soggetto «preferito» per dare risposta al problema di costituzionalità” sollevato dinanzi alla Corte medesima[15]. Il legislatore, però, è padrone di sé e non è tenuto ad intervenire solo perché il Giudice delle leggi lo sollecita[16]. Ed è allora che la Corte interviene incisivamente. Essa, infatti, si ritrova dinnanzi a ridotte alternative: o dichiara inammissibili le questioni non risolvibili “a rime obbligate” e rispetta la discrezionalità del Parlamento, ma sopporta il vulnus di costituzionalità, oppure si pronuncia “a versi sciolti”, compiendo scelte discrezionali che non le competono, ma garantendo il pieno rispetto dei diritti. La Corte interviene, insomma, per rispondere alle richieste di tutela formulate dai corpi sociali, solo dopo che il legislatore, sordo alle loro istanze, non ha accolto neppure quelle della Corte[17]. In materia di sanzioni – penali ma anche amministrative –, il Giudice delle leggi ha recentemente scelto di orientarsi in un’ottica di maggiore “attivismo”, così da “evitare la determinazione di «zone franche» del giudizio di costituzionalità e di scongiurare «insostenibili vuoti di tutela» che possano discendere da una pronuncia meramente ablativa”[18].
La crisi del Parlamento genera, quindi, dal punto di vista della Corte, un conflitto fra il principio della separazione dei poteri e la tutela dei diritti, che, a sua volta, determina uno “scivolamento” della Corte medesima verso la sua anima politica[19].
La risposta che la Corte può dare alle istanze sociali bisognose di tutela, però, è solo parziale: la visione della Corte, infatti, è “parcellizzata”, in quanto essa, per quanto cerchi di garantire la più larga tutela possibile dei diritti, è inevitabilmente condizionata dalla domanda che le viene posta da chi solleva la questione incidentale[20]. In tema di suicidio assistito, ad esempio, la Corte ha tentato, con la sent. 242 del 2019, di fare le veci del Parlamento - assumendo la veste di “legislatore positivo”[21] - dettando una disciplina generale, disciplina che, però, risulta “ritagliata” sul caso di specie, cosicché non è in grado di ricomprendere neppure situazioni ad esso analoghe, ma non completamente sovrapponibili.
Oltretutto, per quanto pregevole possa essere l’obiettivo cui la Corte aspira, cioè assicurare la piena ed effettiva tutela ai diritti fondamentali, si può dire che il fine giustifica i mezzi? La compressione del principio di separazione dei poteri rischia di ledere quegli stessi diritti in nome dei quali la Corte agisce, in quanto tale principio ha, nei loro confronti, una funzione servente[22]. La separazione dei poteri, pure nella visione temperata dell’attuale Stato costituzionale, garantisce che nessuno degli organi costituzionali possa agire in maniera incontrollata e incontrollabile, facendo qualunque cosa voglia, senza dover necessariamente rispettare i diritti dei cittadini. In quest’ottica, siffatte alterazioni dei ruoli istituzionali non ledono solo la separazione dei poteri, ma ledono conseguentemente anche l’altra “base portante” dello Stato costituzionale, cioè la difesa dei diritti[23].
Ancora, se è vero che la supplenza è determinata dall’inerzia legislativa, è anche vero che tale supplenza, qualora perpetuata, rischia di reiterare l’inerzia stessa, creando dei cortocircuiti difficili da neutralizzare[24].
La Corte, ovviamente, avverte la necessità di rispettare i ruoli istituzionali, ed è proprio per questo che è stata ideata la tecnica dell’incostituzionalità prospettata, al fine, cioè, di “accordare al legislatore la precedenza temporale nella nuova disciplina della materia”[25]. In altri casi, però, la Corte ha agito direttamente, “rompendo gli indugi” e “confermando di considerare ormai pleno iure fungibili i ruoli istituzionali”[26]. Ciò risulta chiaramente dalla sent. 41 del 2021, nella quale la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità delle disposizioni che prevedevano la partecipazione in via ordinaria ai collegi di Corte d’appello di giudici onorari (i giudici ausiliari), in quanto contrastanti con l’art. 106 Cost., secondo comma, ma ha rinviato la caducazione di tali disposizioni di ben quattro anni (sino al 31 ottobre 2025)[27]. Così, la Corte ha praticamente deciso di “sospendere” temporaneamente l’operatività dell’art. 106, secondo comma, della Costituzione, negando il “diritto ad essere giudicati da giudici idonei, forniti dei requisiti previsti dalla Costituzione”[28]. Essa, infatti, non si è limitata a consentire la sopravvivenza degli effetti prodotti in passato dalla normativa incostituzionale (in modo da evitare di travolgere giudizi già pronunciati da collegi irregolarmente composti), ma ha anche riconosciuto ai giudici onorari la possibilità di continuare, anche dopo la sentenza di incostituzionalità, a svolgere ordinariamente funzioni collegiali, in violazione – riconosciuta – del preciso divieto costituzionale[29], al fine di evitare un grave pregiudizio all’amministrazione della giustizia[30]. Tale rischio, però, poteva essere scongiurato in altri modi[31], che non avrebbero comportato l’avallo di una situazione di incostituzionalità da parte dello stesso custode della Costituzione.
Se in materia penale la Corte non ha accettato, in alcuni casi, che il dover compiere scelte discrezionali le precludesse di agire in difesa dei diritti, ed è pertanto intervenuta in luogo del legislatore (considerando il limite della discrezionalità solo quale limite “relativo”), nel caso in esame, invece, ha riconosciuto l’incostituzionalità di una specifica disciplina, l’ha dichiarata, ma ha previsto, al contempo, che la violazione della Costituzione potesse – e possa – perdurare ancora per un po’, disattendendo così “le legittime aspettative di chi aveva correttamente eccepito l’esistenza di un vulnus costituzionale”[32].
In questo senso, è stato detto che la Corte sembra trattare il limite della discrezionalità del legislatore diversamente a seconda delle circostanze: a volte viene fatto espandere, altre volte contratto[33]. Il problema, a questo punto, diventa la mancanza di un canone prestabilito – sia pure forgiato dalla stessa Corte – che consenta di prevedere in modo sufficientemente attendibile come la Corte si pronuncerà nel corso di questa o quella vicenda processuale[34].
Da ultimo, poi, con la sent. 40 del 2023, in materia di sanzioni amministrativo pecuniarie, concernenti le inadempienze delle strutture di controllo delle produzioni agroalimentari registrate con denominazione di origine o indicazione geografica protetta, la Corte ha realizzato un ulteriore intervento “sostitutivo” al legislatore. In questa sentenza, infatti, essa ha rilevato l’incostituzionalità della sanzione fissa prevista per un ampio novero di condotte illecite aventi diverso disvalore, ma, anziché limitarsi ad una pronuncia di mero accoglimento, ha statuito che la sanzione prevista dalla norma censurata debba essere “conservata” come massima, e, attraverso una pronuncia sostitutiva, ha previsto un minimo edittale, ricavandolo dalla disciplina riguardante le violazioni degli organismi di controllo sui prodotti BIO[35] (disciplina utilizzata come “punto di riferimento”, in conseguenza della “piena omogeneità finalistica”[36]).
Si è osservato che la Consulta tende a piegare e adattare “alle peculiari e pressanti esigenze di una situazione di fatto i canoni sul giudizio di costituzionalità”[37], dismettendo talvolta i panni di giudice, e indossando quelli del decisore politico, generando “un’anomala commistione dei ruoli istituzionali”: “è francamente singolare che la Corte reputi di potere scegliere di volta in volta quale vestito indossare a seconda della rappresentazione teatrale che si accinga a fare, se quello del garante ovvero l’altro del decisore”[38]. Da ciò emerge l’immagine della Corte quale organo “potente”, sia “quando decide dei contenuti, sia quando decide delle forme attraverso le quali esprimerli; sia quando «dice», inoltre, che quando «tace», come peraltro notato, già decenni orsono, da raffinata dottrina, in relazione al significato «politico» connesso al crescente utilizzo di decisioni di inammissibilità”[39].
Dunque, se da un lato la Corte ha assunto un ruolo – dichiaratamente non voluto – di “supplenza” a causa della crisi dell’organo politico, dall’altro lato non si può non notare che l’evoluzione delle tipologie decisorie ha determinato un’ampia libertà della Corte nell’adeguare la tecnica da utilizzare al singolo caso, con conseguenze negative “in termini di certezza del diritto costituzionale (e, perciò, di prevedibilità nell’uso degli strumenti processuali)”[40]. Tale evoluzione è iniziata già dalle prime sentenze del giudice costituzionale, poiché la previsione delle sole due alternative “secche” di accoglimento o rigetto è risultata sin da subito inadeguata a consentire alla Corte di esercitare a pieno le sue funzioni,dimostrando così l’ingenuità dell’idea che la Corte potesse essere mero “legislatore negativo”[41]. D’altronde, il compito della Corte non è semplice: essa deve tutelare i diritti, ma stando attenta a non compiere scelte discrezionali, che solo il legislatore può effettuare, ma che difficilmente compie; quando, poi, rinviene una situazione di illegittimità costituzionale può accoglierla, con il rischio di creare un vuoto normativo, o rigettarla esortando il Parlamento ad intervenire, ma lasciando intanto in vigore una normativa illegittima[42]. L’horror vacui, ha spinto, così, la Corte, nella consapevolezza che a una declaratoria di incostituzionalità difficilmente segue un tempestivo intervento del legislatore, a ideare degli strumenti che consentano di non aprire voragini normative[43]. In questo senso, “l’intera storia dell’arricchimento degli strumenti decisori che ha contrassegnato la parabola evolutiva del ruolo della Corte costituzionale nel nostro ordinamento”, esprime l’esigenza di “minimizzare, circoscrivere, limitare «a quanto strettamente necessario» gli effetti delle pronunce di accoglimento”, in virtù della consapevolezza “dell’estrema difficoltà del legislatore di intervenire, ove necessario, a valle della declaratoria di incostituzionalità al fine di ripianare la lacuna da questa provocata”[44].
La crisi del Parlamento – la cui origine è difficile da individuare con precisione, ma la cui sussistenza è evidente a tutti – spiega, al tempo stesso, l’espansione del potere della Corte, e la sua difficoltà nel rendere giustizia costituzionale, che la porta a ideare nuove e modellare vecchie tecniche decisorie, da adattare alle circostanze[45]. Questo modus operandidella Corte, però, genera un circolo vizioso: il Parlamento, infatti, trae vantaggio dalla supplenza, in quanto può evitare di intervenire in quei campi che rischierebbero di compromettere il consenso raggiunto dalla maggioranza in vigore in quel dato momento[46]; così, l’inerzia comporta la supplenza che accentua l’inerzia. Si parla di “malfunzionamento sistemico” che viene così a determinarsi, in quanto il Parlamento si sente “sotto tutela giurisdizionale”, e finisce per “delegare ai giudici la soluzione dei problemi di costituzionalità più delicati, scaricando su di essi la propria responsabilità”[47]. Una tale problematicità, che da tempo viene attenzionata negli Stati Uniti, risulta di particolare attualità in un sistema come quello italiano, “a fronte – cioè – di maggioranze poco coese e attraversate da ideologie all’un tempo deboli e differenziate”, che indeboliscono sempre più la legittimazione dei partiti e dei sistemi politici in genere[48]. La classe politica in crisi tende, dunque, trasferire altrove le sue responsabilità: “in simili condizioni un meccanismo particolarmente costrittivo (…) qual è quello della doppia pronuncia di nuovo tipo non solo non pare idoneo a stimolare la reattività del legislatore, ma ne sollecita l’inerzia, consentendogli un commodus discessus dalle sue responsabilità politiche”, e facendogli perdere, così, “lo stimolo alla coraggiosa assunzione del dovere di risposta politica”[49].
La “fungibilità” tra una tecnica decisoria e l’altra è ormai un fattore da tenere (sempre più) in considerazione nello studio della giurisprudenza costituzionale, che crea di continuo, con “irrefrenabile fantasia”, sempre nuove soluzioni[50]. Inoltre, “la ricca e piuttosto disordinata panoplia di strumenti e di tipologie di decisioni che la Corte italiana usa, pur essendo pressoché tutta di elaborazione giurisprudenziale, non pare favorire un lavoro organico e sistematico del Giudice delle leggi”[51].
Così, la legge 87 del 1953 non basta più come quadro normativo di riferimento del giudice costituzionale. Invero, articoli come il numero 28 (che impedisce alla Corte “ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento”) e il numero 30 terzo comma (che statuisce che “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”), potrebbero sembrare ormai superati. In realtà, ciò risulta eccessivo: a non aver “resistito” non è tanto la norma in sé, quanto più la sua assolutizzazione, la “logica del «tutto-o-niente»”, che mirava ad impedire qualsiasi manipolazione normativa e temporale[52]; tali norme, però, continuano ad avere fondamentale rilevanza, e a limitare l’azione della Corte, nella misura in cui consentono di essere - per così dire - “derogate” solo in esito ad un contemperamento con valori di pari rango[53]. D’altronde, la legge 87 è stata scritta in un’epoca in cui non si aveva alcuna esperienza della giustizia costituzionale e del suo concreto modo di operare; ciò nonostante, il suo impianto generale non è mai stato del tutto disatteso, anzi è risultato “impermeabile” a tutte le difficoltà e le esigenze che sono sorte dalla prassi del giudizio costituzionale[54]. Tuttavia, come si è detto, la prassi si è evoluta, per cui sarebbe forse giunto il momento che tale legge venisse “adeguata agli insegnamenti della pratica”[55], non essendo necessario un suo stravolgimento, quanto più, però, qualche importante modifica, che consenta di “ri-razionalizzare” il ruolo del giudice costituzionale.
Risulta insomma necessario mettere ordine. In tal senso, sembra difficile aspettarsi un intervento del legislatore, “già tradizionalmente schivo anche nel semplicemente codificare gli innovativi approdi della giurisprudenza della Corte”; appare allora ancora più essenziale il contributo della dottrina, che, con la sua opera di instancabile analisi e “razionalizzazione ex post” della giurisprudenza della Corte, “potrebbe fornire allo stesso giudice costituzionale elementi utili ad indicare i termini della nuova rotta intrapresa”[56]. La stessa Corte, poi, dovrebbe tentare di ricondurre ad un sistema le operazioni manipolative che compie, magari facendo ricorso ad una decisione “magisteriale”, ad una “sentenza-matrice caratterizzata dalla motivazione «eccedente» rispetto le esigenze del caso deciso, idonea a indicare le linee-guida e i criteri generali cui il giudice della legge intende attenersi nell’intraprendere il nuovo percorso”[57].
Una precedente sentenza che si è mossa in questa direzione, e che ha tentato, cioè, di definire i contorni di un modello decisorio, è la sent. 10 del 2015, nella cui motivazione, nell’affrontare la problematica relativa al potere della Corte di disporre degli effetti temporali delle sentenze di accoglimento, emerge l’impegno argomentativo della Corte per tentare di offrire “alla scelta compiuta un orizzonte ampio e, specialmente, per definirne ragioni e termini”[58].
In un diverso ambito – ma non per questo meno pertinente – si è inserita la sent. 36 del 1997, nella quale la Corte, decidendo sull’ammissibilità di un referendum abrogativo, ha elaborato per la prima volta gli “indici” della manipolazione ammessa mediante lo strumento ablatorio popolare[59].
Dunque, nel tempo non sono mancati sforzi del giudice costituzionale per “fornire una «bussola» ai suoi interlocutori”[60]. E una tale bussola dovrebbe essere fornita anche oggi, in quanto, “al netto delle inevitabili oscillazioni connaturate all’esercizio della giurisdizione”, si avverte l’esigenza di comprendere “le ragioni della coerente compresenza delle diverse soluzioni a disposizione del giudice costituzionale”[61].
In particolare, dovrebbero essere stabiliti dei principi e dei criteri direttivi, preferibilmente da inserire proprio all’interno delle norme integrative opportunamente modificate, e precisati poi in sede giurisprudenziale, ai quali “far capo laddove si reputi necessaria ed urgente una produzione normativa discrezionalmente forgiata per via pretoria, in vece di quella legislativa colpevolmente mancante”[62]. Tale soluzione è stata definita “di compromesso”, in quanto, se, da un lato, definendo i limiti entro i quai i ruoli istituzionali possono essere “mescolati”, determinerebbe una ulteriore breccia al principio della separazione dei poteri, dall’altro lato, consentirebbe, però, di “preservare un brandello di tipicità dei ruoli stessi”[63]. Alla Corte potrebbe, infatti, essere riconosciuta la facoltà di fare le veci del legislatore soltanto a determinate condizioni ed entro certi limiti, nei casi in cui, ad esempio, risulti acclarata la particolare gravità del vulnus di costituzionalità e impossibile tollerarne ulteriormente l’incisione[64]. In questo modo, certo, sarebbe incisa la separazione dei poteri, ma si tratterebbe, in realtà, di normare un fenomeno che nella prassi già si verifica, e si verifica senza limiti e contorni ben precisi. Avallare tale prassi, alla luce delle considerazioni effettuate, significa forse prendere consapevolezza di un assetto istituzionale che più che mutato si è evoluto, e che continua ad evolversi; l’adeguamento della disciplina alla prassi potrebbe consentire che tale evoluzione avvenga in futuro in maniera meno caotica e più comprensibile per chi osserva, perché si muoverebbe all’interno di confini ben delineati.
Per quanto giuste siano, quindi, le critiche dogmatiche agli interventi più “audaci” del giudice costituzionale, non si possono non considerare le impellenti esigenze della prassi: “questa è la differenza fra chi rimane fedele a tutti i costi a schemi teorici e chi, invece, rileva la distanza tra la pura teoria e la prassi del diritto, con la sua necessaria attenzione al complesso degli interessi in gioco”[65]. Dunque, una “razionalizzazione delle sue tecniche decisorie”, e, di conseguenza, “una loro preventiva delimitazione e definizione, potrebbe aiutare l’«organo di chiusura» del nostro ordinamento a rasserenare i rapporti con gli altri poteri dello Stato”[66].
Affinché, poi, la Corte possa svolgere al meglio le sue funzioni, “senza forzature (apparenti o reali) e nel rispetto delle regole processuali” è davvero necessaria una “rifondazione del ruolo del Parlamento”[67]. Come si è avuto modo di osservare, la supplenza della Corte sembra essere controproducente, non aiuta il legislatore a risvegliarsi dal “suo annoso letargo”, ma anzi agevola il suo rimanere inerte[68]. Ruggeri propone, allora, il seguente rimedio: “obbligare lo Stato a risarcire i danni causati dalle omissioni del legislatore” (“sempre che – beninteso – risulti provato il nesso di causalità tra le stesse e i vulnera recati alla sfera soggettiva degli agenti”)[69]; nella consapevolezza che ciò comporterebbe un appesantimento ulteriore della procedura legislativa, poiché il legislatore cercherebbe il più possibile di evitare carenze vistose che possano “spianare la via ad esborsi anche cospicui di denaro per le già sofferenti casse dello Stato”; lo stesso autore sostiene che comunque questa soluzione possa costituire il “male minore”, poiché comunque una proposta che presenti solo vantaggi e non comporti alcun costo è impossibile da individuare[70]. Tale soluzione replicherebbe il modello adottato in sede europea, dove gli Stati vengono sanzionati se non danno esecuzione alle sentenze della Corte di Giustizia, o se non adempiono agli obblighi comunitari[71]. Una soluzione in tal senso, però, potrebbe non bastare: sanzionare non basta quando vi sono profondi problemi strutturali.
2. Osservazioni conclusive
La Costituzione, in senso liberaldemocratico, è un “processo storico” e non un mero “atto” puntuale nel tempo, per cui non deve stupire “né preoccupare troppo la mutazione, nel corso dei decenni, del rapporto fra Corte e Parlamento, a vantaggio della prima”[72]. La nostra Costituzione è, infatti, giovane, così come è giovane il giudice costituzionale, a differenza del Parlamento. Secoli di storia hanno permesso di consolidare la figura dell’organo rappresentativo, di far evolvere e far radicare la consapevolezza di quali siano i suoi compiti e i suoi limiti. Certo, le funzioni e i meccanismi operativi del Parlamento continuano ad evolversi, in relazione a come cambia la società nel suo complesso. La Corte costituzionale, invece, non ha neppure un secolo di storia alle sue spalle. Quando è stata ideata, i Costituenti hanno “inventato” un organo, senza avere nessuna esperienza concreta, basandosi solo sulle teorizzazioni di eminenti studiosi, e sulle esperienze di altri ordinamenti. Ogni ordinamento, però, è differente, e, si sa, la teoria arriva fino ad un certo punto. L’evoluzione dei rapporti fra Corte costituzionale e Parlamento è, a parere di chi scrive, un fenomeno fisiologico, dovuto al consolidamento di un organo che deve ancora essere a pieno inquadrato. Lo “sconfinamento” della Corte al di fuori dei limiti pensati dai Costituenti è un superare i confini fra due organi che, quando questi sono stati tracciati, non avevano mai interagito fra di loro. Pertanto, se da un lato occorre evitare una “commistione fra ruoli istituzionali”[73], e occorre sempre difendere la separazione dei poteri, per evitare che la Corte si tramuti in una “terza camera” del Parlamento, dall’altro lato, non basta criticare la Corte perché compie scelte discrezionali che, in teoria, le sarebbero precluse. Occorre, forse, prendere atto dell’evoluzione del rapporto e riscrivere la disciplina che lo regola, in base all’esperienza che è stata acquisita in quasi settant’anni di attività del giudice costituzionale.
Viviamo oggi in un momento di crisi del principio rappresentativo e dell’organo legislativo. Tuttavia, la Corte ha, in effetti, fatto i conti con un Parlamento inerte di fronte a violazioni dei diritti, già sin dagli albori della sua attività. All’inizio, però, poiché tali violazioni erano provocate dalla legislazione fascista, la Corte poteva “supplire” al Parlamento semplicemente dichiarando l’incostituzionalità delle leggi, riuscendo così nell’opera di smantellamento di una legislazione autoritaria, che avrebbe dovuto essere abrogata direttamente dal legislatore. Oggi, invece, per garantire l’effettiva attuazione dei diritti, non basta più caducare leggi anteriori, ma occorre “riempire i vuoti” (come nel caso Cappato), o, viceversa, adoperarsi per non creare dei vuoti (come nel caso della sent. 41 del 2021). Sin da quando è nata, dunque, la Corte si è impegnata per tutelare i diritti, ma il modo in cui questa tutela è stata realizzata è inevitabilmente cambiato. Non sono mancati, comunque, periodi di attività particolarmente proficua del Parlamento, ad esempio a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, durante i quali le decisioni della Corte hanno assunto un carattere più cauto e meno dirompente. In questo senso, sembra condivisibile la ricostruzione di Giuliano Amato, che, nel descrivere i rapporti fra gli organi di garanzia – Corte costituzionale e Presidente della Repubblica - e legislatore, parla di “moto a fisarmonica”[74]: nei momenti di vuoto politico e legislativo si espandono i ruoli degli organi di garanzia, e viceversa[75].
Un’altra metafora che dipinge con chiarezza l’immagine del tema qui esaminato è fornita da Spadaro: si tratta della metafora della “barca a vela”, che “però dispone di un «motorino» per i momenti in cui il vento non spira o c’è burrasca – la nostra «barca» (forma di governo) ordinariamente naviga «a vela» (parlamentare), ma dispone anche – per i tempi di bonaccia (inanità politica) o di tempesta (emergenze) – di due «motorini» (Presidente e Corte), che le permettono comunque di proseguire il suo percorso senza gravi intoppi. Proprio grazie alla presenza dei due motorini ricordati, il singolare sistema italiano – «forma di governo parlamentare con doppia supplenza» – nonostante le sue note imperfezioni, tutto sommato «funziona»”[76].
Sembra, dunque, che gli organi di garanzia non siano solo “anticorpi” del sistema che impediscono all’organo politico di violare la Costituzione esorbitando dalla sfera dei poteri che gli sono attribuiti – come accaduto in epoca fascista -, ma impediscono anche che la Costituzione, e, segnatamente, i diritti che essa riconosce, siano violati dall’immobilismo del legislatore[77]. Così, se il legislatore viola con un atto la Costituzione, l’atto viene annullato; se il legislatore viola con un “non atto” la Costituzione, la Corte lo esorta ad intervenire, o, addirittura, detta una “disciplina provvisoria” che colmi il vulnus di costituzionalità. Ciò, nel parere forse ingenuo di chi scrive, non sembra troppo preoccupante. L’equilibrio del sistema ideato dai Costituenti, che verrebbe danneggiato dagli interventi “suppletivi” della Corte, è un equilibrio che era stato solo teoricamente pensato, ma che nella prassi non appare adeguato.
Il grande assente, come si è detto, è una normativa di riferimento che consenta di “ridefinire” il ruolo della Corte, tracciando dei confini che, non essendo più solo pensati ma essendo stati anche “testati”, siano maggiormente in grado di guidare – e limitare – in concreto l’attività della Corte, così da garantire anche il rispetto dell’irrinunciabile principio della separazione dei poteri, nell’ottica oggi privilegiata non di netta separazione, ma di proficuo dialogo e bilanciamento fra gli organi. Potrebbe essere la stessa Corte costituzionale, nell’esercizio del suo potere di autoregolamentazione, ad intervenire in tal senso[78].
“L’iperattivismo” della Corte che si registra oggi potrebbe, dunque, essere l’attuazione di quel moto a fisarmonica di cui già si parlava più di quarant’anni fa, e forse, più che una minaccia all’equilibrio di sistema, rappresenta un riassestamento dell’equilibrio medesimo, che risultava già compromesso dalla crisi politica in atto, che, fra l’altro, al momento, non sembra essere facilmente e rapidamente superabile.
[1] M. Dogliani, “La sovranità (perduta?) del Parlamento e la sovranità (usurpata?) della Corte costituzionale”, in “Ricordando Alessandro Pizzorusso. Il pendolo della Corte. Le oscillazioni della Corte costituzionale tra l’anima «politica» e quella «giurisdizionale»”, a cura di in R. Romboli, Torino, 2017, pp. 75 e ss.
[2] M. Dogliani, “La sovranità (perduta?) del Parlamento e la sovranità (usurpata?) della Corte costituzionale”, p. 84. “La crisi della rappresentanza è, soprattutto, crisi dei partiti: non è di certo un mistero, e ampia dottrina si è espressa a riguardo, che i partiti abbiano smarrito la propria funzione di anello di congiunzione tra la società civile e le istituzioni”. D. Scopelliti, “Il canale giurisdizionale per il riconoscimento dei diritti: tra crisi della rappresentanza e supplenza nei confronti della politica”, in Dirittifondamentali.it, Fascicolo 2/2022, 11 maggio 2022, pp. 28 e ss.
[3] A. Spadaro, “Involuzione – o evoluzione? – del rapporto fra Corte costituzionale e legislatore (notazioni ricostruttive)”, in Rivista AIC, Fascicolo 2/2023, 12 aprile 2023, pp. 103 e ss.
[4] A. Ruggeri, “Verso un assetto vieppiù «sregolato» dei rapporti tra Corte costituzionale e legislatore?”, in “Ricordando Alessandro Pizzorusso. Verso una nuova «stagione» nei rapporti fra Corte costituzionale e legislatore?”, a cura di E. Malfatti, V. Messerini, R. Romboli, E. Rossi, A. Sperti, Pisa, 15 dicembre 2022, pp. 24 e 25.
[5] La relazione fra Corte e legislatore è, secondo Carnevale, declinata in termini “antagonisti”, “che pure, però, per altri aspetti, ha conosciuto una declinazione opposta, di marca assimilazionista”, dovuta “essenzialmente al convergere su di un medesimo campo d’azione rappresentato del tessuto legislativo”. P. Carnevale, “Tre variazioni sul tema dei rapporti Corte costituzionale- legislatore rappresentativo”, in Nomos. Le attualità del diritto, Fascicolo 3/2023, www.nomos-leattualitaneldiritto.it , p. 3, nota n. 2.
[6] D. Manelli, “La diffamazione a mezzo stampa e il persistente dominio dell’inerzia legislativa nella tutela dei diritti. La Consulta perfeziona un nuovo caso di «incostituzionalità differita» con la sentenza n. 150 del 2021”, in Consulta online, Fascicolo 1/2022, pp. 94 e ss.
[7] A. Ruggeri, “Verso un assetto vieppiù «sregolato» dei rapporti tra Corte costituzionale e legislatore?”, cit., p. 28.
[8] D. Manelli, “La diffamazione a mezzo stampa e il persistente dominio dell’inerzia legislativa nella tutela dei diritti. La Consulta perfeziona un nuovo caso di «incostituzionalità differita» con la sentenza n. 150 del 2021”, cit., p. 102.
[9] “Il fenomeno dello «scaricabarile» istituzionale inevitabilmente arriva, alla fine, all’organo giudiziario «di chiusura» di tutto l’ordinamento: la Corte costituzionale”. A. Spadaro, “Involuzione – o evoluzione? – del rapporto fra Corte costituzionale e legislatore (notazioni ricostruttive)”, cit., p. 135.
[10] “A me sembra evidente che la causa prima dei supposti «sconfinamenti» della Corte andrebbe cercata nell’abulia del legislatore che, non solo ha consentito alla Corte di allargarsi, ma l’ha costretta a farlo, non fornendo ad essa strumenti utili per lavorare adeguatamente”. R. Bin, “Sul ruolo della Corte costituzionale. Riflessioni in margine ad un recente scritto di Andrea Morrone”, in Quad. cost., Fascicolo 4/2019 (pp. 757 ss.); testo consultabile su www.robertobin.it , p. 4.
[11] M. Dogliani, “La sovranità (perduta?) del Parlamento e la sovranità (usurpata?) della Corte costituzionale”, p. 84.
[12] A. Ruggeri, “Verso un assetto vieppiù «sregolato» dei rapporti tra Corte costituzionale e legislatore?”, cit., p. 29.
[13] La differenza, però, è che nel caso dell’incostituzionalità prospettata “il giudice costituzionale non solo intende metter mano all’agenda del legislatore immettendovi l’argomento da trattare, ma prescrive altresì il tempo di trattazione, stabilendone il termine ultimo, così da incidere sull’autonomia delle Camere, la quale – per usare le stesse parole della Corte – «si estrinseca non solo nella determinazione di cosa approvare, ma anche di quando approvare»”. P. Carnevale, “Tre variazioni sul tema dei rapporti Corte costituzionale- legislatore rappresentativo”, cit., p. 26.
[14] P. Carnevale, “Tre variazioni sul tema dei rapporti Corte costituzionale- legislatore rappresentativo”, cit., p. 25.
[15] La preferenza per un intervento del legislatore è testimoniata anche dall’ulteriore rinvio cui la Corte ha fatto ricorso con l’ordinanza 122 del 2022, per consentire ai lavori parlamentari, che avevano raggiunto uno stato abbastanza avanzato, di giungere a termine. P. Carnevale, “Tre variazioni sul tema dei rapporti Corte costituzionale- legislatore rappresentativo”, cit., p. 25.
[16] È stato osservato, ad esempio da Carnevale, che la fissazione di un termine a legiferare possa rappresentare, “piuttosto che un pungolo, un disincentivo all’intervento del legislatore”: “questi, difatti, avendo di fronte «già fissata» la data di esecuzione della condanna a morte della legge potrebbe essere fatalmente indotto ad attendere l’(ormai sicura) irrogazione della pena capitale da parte del giudice costituzionale, la cui certezza d’intervento avrebbe perciò l’effetto di deresponsabilizzarlo, invece che responsabilizzarlo”. P. Carnevale, “Tre variazioni sul tema dei rapporti Corte costituzionale- legislatore rappresentativo”, cit., pp. 26-27.
[17] D. Scopelliti, “Il canale giurisdizionale per il riconoscimento dei diritti: tra crisi della rappresentanza e supplenza nei confronti della politica”, cit., p. 29.
[18] M. Ruotolo, “Le tecniche decisorie della Corte costituzionale, a settant’anni dalla legge n. 87 del 1953”, Relazione al Convegno del Gruppo di Pisa tenutosi a Como il 26-27 maggio 2023: “I 70 anni della Legge n. 87 del 1953: l’occasione per un “bilancio” sul processo costituzionale”, consultabile in forma provvisoria sul sito del Gruppo di Pisa, www.gruppodipisa.it , p. 20.
[19] A. Mazzola, “Decide che deciderà! La Corte costituzionale torna a adoperare la tecnica inaugurata con il «caso Cappato»”, in Consulta online, Fascicolo 3/2020, pp. 545 e ss.
[20] D. Scopelliti, “Il canale giurisdizionale per il riconoscimento dei diritti: tra crisi della rappresentanza e supplenza nei confronti della politica”, cit., p. 48.
[21] M. Della Morte, “La Corte decidente negli squilibri di sistema”, in Costituzionalismo.it, Fascicolo 1/2023, pp. 112 e ss.
[22] A. Ruggeri, “Ha ancora un futuro la legge quale strumento primario di normazione e di direzione politica?”, in Osservatorio sulle fonti, Fascicolo 2/2021, pp. 568 e ss.
[23] A. Ruggeri, “Ha ancora un futuro la legge quale strumento primario di normazione e di direzione politica?”, cit., p. 595.
[24] M. Della Morte, “La Corte decidente negli squilibri di sistema”, cit., p. 126.
[25] A. Ruggeri, “Ha ancora un futuro la legge quale strumento primario di normazione e di direzione politica?”, cit., p. 581.
[26] Ibidem.
[27] V. Onida, “Modulazione degli effetti della pronuncia di incostituzionalità o “sospensione” temporanea della norma costituzionale?”, in Osservatorio costituzionale AIC, Fascicolo 2/2021, pp. 130 e ss.
[28] V. Onida, “Modulazione degli effetti della pronuncia di incostituzionalità o “sospensione” temporanea della norma costituzionale?”, cit., pp. 131-132.
[29] La sent. 41 è “una sentenza di natura additiva che non mira – contrariamente a quanto usualmente praticato – a sanare, nell’immediato, il vulnus contestualmente accertato, quanto piuttosto a renderlo «sopportabile» limitandone la durata nel tempo”. R. Pinardi, “Costituzionalità «a termine» di una disciplina resa temporanea dalla stessa Consulta (note a margine di Corte costituzionale sent. n. 41 del 2021)”, in Consulta online, Fascicolo 1/2021, pp. 288 e ss.
[30] V. Onida, “Modulazione degli effetti della pronuncia di incostituzionalità o “sospensione” temporanea della norma costituzionale?”, cit., p. 135.
[31] Tra possibili rimedi “giusti” in grado di garantire l’ordinata prosecuzione dei processi, Onida cita, ad esempio, l’innalzamento dell’età pensionabile dei giudici professionali, o iniziative anche straordinarie di reclutamento di nuovi magistrati professionali, o anche riforme semplificatrici dei procedimenti giudiziari, o altre riforme intese a ridurre la domanda di giustizia cui deve rispondere la magistratura professionale. V. Onida, “Modulazione degli effetti della pronuncia di incostituzionalità o “sospensione” temporanea della norma costituzionale?”, cit., p. 135.
[32] R. Pinardi, “Costituzionalità «a termine» di una disciplina resa temporanea dalla stessa Consulta (note a margine di Corte costituzionale sent. n. 41 del 2021)”, cit., p. 293.
[33] A. Ruggeri, “Verso un assetto vieppiù «sregolato» dei rapporti tra Corte costituzionale e legislatore?”, cit., p. 34.
[34] Ibidem.
[35] M. Ruotolo, “Le tecniche decisorie della Corte costituzionale, a settant’anni dalla legge n. 87 del 1953”, cit., p. 17.
[36] Corte cost., sent. 11 gennaio 2023, n. 40, considerato in diritto, punto 5.5.1.
[37] A. Ruggeri, “Vacatio sententiae alla Consulta, nel corso di una vicenda conclusasi con un anomalo “bilanciamento” tra un bene costituzionalmente protetto e la norma sul processo di cui all’art. 136 Cost. (nota minima alla sent. n. 41 del 2021)”, in Giustizia insieme, www.giustiziainsieme.it , 13 aprile 2021.
[38] Ibidem.
[39] M. Della Morte, “La Corte decidente negli squilibri di sistema”, cit., p. 119.
[40] A. Ruggeri, “Vacatio sententiae alla Consulta, nel corso di una vicenda conclusasi con un anomalo “bilanciamento” tra un bene costituzionalmente protetto e la norma sul processo di cui all’art. 136 Cost. (nota minima alla sent. n. 41 del 2021)”, cit.
[41] M. Ruotolo, “Le tecniche decisorie della Corte costituzionale, a settant’anni dalla legge n. 87 del 1953”, cit., p. 3.
[42] Carnevale parla, con riferimento ai casi in cui il Giudice delle leggi rinuncia ad intervenire, pur ravvisando la necessità di un suo intervento, di “sfumatura amara del velim (iudicare) sed non possum”. P. Carnevale, “Tre variazioni sul tema dei rapporti Corte costituzionale- legislatore rappresentativo”, cit., p. 7.
[43] “La Corte sembra voler cercare ogni possibile strada per evitare soluzioni che possano dirsi invasive della sfera riservata al legislatore e, nella stessa logica, tende ad evitare decisioni che possano creare vuoti nomativi o comunque esiti idonei a produrre una situazione di incostituzionalità paradossalmente maggiore rispetto a quella che si dovrebbe andare a rimuovere”. M. Ruotolo, “Le tecniche decisorie della Corte costituzionale, a settant’anni dalla legge n. 87 del 1953”, cit., p. 28.
[44] P. Carnevale, “Tre variazioni sul tema dei rapporti Corte costituzionale- legislatore rappresentativo”, cit., p. 4.
[45] G. Silvestri parla di “felix culpa” della Corte costituzionale, facendo riferimento a qualche “eccesso o disinvoltura” che in questi anni hanno caratterizzato le sue decisioni, le quali, però, al contempo, sono riuscite a realizzare una coraggiosa opera “di «bonifica» costituzionale della legislazione”. G. Silvestri, “Legge (controllo di costituzionalità)”, in Dig./pubb., IX, Torino 1994, p. 32; A. Spadaro, “Involuzione – o evoluzione? – del rapporto fra Corte costituzionale e legislatore (notazioni ricostruttive)”, cit., p. 106.
[46] M. Della Morte, “La Corte decidente negli squilibri di sistema”, cit., p. 126.
[47] M. Luciani, “Ogni cosa al suo posto”, Milano, 2023, pp. 207 e ss.
[48] Ibidem.
[49] M. Luciani, “Ogni cosa al suo posto”, cit., p. 209.
[50] R. Pinardi, “Costituzionalità «a termine» di una disciplina resa temporanea dalla stessa Consulta (note a margine di Corte costituzionale sent. n. 41 del 2021)”, cit., pp. 290-291.
[51] A. Spadaro, “Involuzione – o evoluzione? – del rapporto fra Corte costituzionale e legislatore (notazioni ricostruttive)”, cit., p. 106.
[52] M. Ruotolo, “Le tecniche decisorie della Corte costituzionale, a settant’anni dalla legge n. 87 del 1953”, cit., p. 40.
[53] In senso contrario, invece, Spadaro, che ritiene che sia avvenuta ormai “una sorta di abrogazione tacita della seconda parte dell’art. 28, l. n.87/1953”, in quanto la Corte costituzionale sembra decidere, di volta in volta, quando sussiste la discrezionalità del Parlamento, e quando invece non sussiste. A. Spadaro, “Involuzione – o evoluzione? – del rapporto fra Corte costituzionale e legislatore (notazioni ricostruttive)”, cit., pp. 133-134.
[54] R. Bin, “Sul ruolo della Corte costituzionale. Riflessioni in margine ad un recente scritto di Andrea Morrone”, cit., p. 2.
[55] Ibidem.
[56] P. Carnevale, “Tre variazioni sul tema dei rapporti Corte costituzionale- legislatore rappresentativo”, cit., pp. 17-18.
[57] Ibidem, p. 18.
[58] P. Carnevale, “Tre variazioni sul tema dei rapporti Corte costituzionale- legislatore rappresentativo”, cit., p. 18.
[59] Ibidem, p. 19.
[60] P. Carnevale, “Tre variazioni sul tema dei rapporti Corte costituzionale- legislatore rappresentativo”, cit., p. 19.
[61] P. Carnevale, “Tre variazioni sul tema dei rapporti Corte costituzionale- legislatore rappresentativo”, cit., p. 34.
[62] A. Ruggeri, “Verso un assetto vieppiù «sregolato» dei rapporti tra Corte costituzionale e legislatore?”, cit., p. 35.
[63] Ibidem, p. 36.
[64] A. Ruggeri, “Verso un assetto vieppiù «sregolato» dei rapporti tra Corte costituzionale e legislatore?”, cit., p. 36.
[65] Intervento del Giudice Prof. Gaetano Silvestri, in Aa. Vv. “Atti della giornata in ricordo del Giudice emerito della Corte Costituzionale Vezio Crisafulli”, Corte costituzionale, Roma, 2011, pp. 54 ss. (www.cortecostituzionale.it/documenti/pubblicazioni/Giornata_Crisafulli.pdf ).
[66] A. Spadaro, “Involuzione – o evoluzione? – del rapporto fra Corte costituzionale e legislatore (notazioni ricostruttive)”, cit., p. 106.
[67] M. Ruotolo, “Le tecniche decisorie della Corte costituzionale, a settant’anni dalla legge n. 87 del 1953”, cit., pp. 44-45.
[68] A. Ruggeri, “Verso un assetto vieppiù «sregolato» dei rapporti tra Corte costituzionale e legislatore?”, cit., pp. 38-39.
[69] Ibidem.
[70] A. Ruggeri, “Verso un assetto vieppiù «sregolato» dei rapporti tra Corte costituzionale e legislatore?”, cit., p. 40.
[71] Ibidem.
[72] A. Spadaro, “Involuzione – o evoluzione? – del rapporto fra Corte costituzionale e legislatore (notazioni ricostruttive)”, cit., p. 105.
[73] A. Ruggeri, “Vacatio sententiae alla Consulta, nel corso di una vicenda conclusasi con un anomalo “bilanciamento” tra un bene costituzionalmente protetto e la norma sul processo di cui all’art. 136 Cost. (nota minima alla sent. n. 41 del 2021)”, cit.
[74] G. Amato, “Dal garantismo alla democrazia governante”, in Mondoperaio, Fascicolo 6/1981, pp. 17 ss.
[75] A. Formisano, “La tendenziale convergenza della Corte costituzionale e del Presidente della Repubblica nelle situazioni di emergenza”, in Nomos. Le attualità del diritto, Fascicolo 1/2023, www.nomos-leattualitaneldiritto.it , p. 2.
[76] A. Spadaro, “Involuzione – o evoluzione? – del rapporto fra Corte costituzionale e legislatore (notazioni ricostruttive)”, cit., p. 136.
[77] “L’attuale «sistema di relazioni inter-istituzionali”» presenta alcuni rischi, ma esso può ancora essere letto, soprattutto se contestualizzato in un quadro più ampio, quale inevitabile e più generale risposta di supplenza concreta che, a ben vedere, «tutti» gli organi costituzionali di controllo (quindi anche il Presidente della Repubblica), svolgono di fronte alle costanti carenze e ripetute omissioni di «tutti» gli organi di indirizzo politico (dunque anche del Governo)”. A. Spadaro, “Involuzione – o evoluzione? – del rapporto fra Corte costituzionale e legislatore (notazioni ricostruttive)”, cit., p. 105.
[78] Spadaro, ad esempio, si augura che venga realizzata una “razionalizzazione normativa autogestita” dalla stessa Corte, in quanto, in fondo, è proprio nell’interesse di quest’ultima che si dovrebbe mettere ordine nella “quasi sconfinata panoplia di tipi e sottotipi di decisioni che usa”, invece di aspettare che sia il Parlamento ad intervenire in tal senso; quest’ultimo, infatti, potrebbe intervenire “nella forma che più gli aggrada/ rassicura – plausibilmente la legge costituzionale – e nella sostanza”, forse, “solo per contenere pro domo sua i poteri del Giudice delle leggi”. A. Spadaro, “Involuzione – o evoluzione? – del rapporto fra Corte costituzionale e legislatore (notazioni ricostruttive)”, cit., p. 140.
Foto di Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica