Questo contributo fa parte della discussione aperta da questa Rivista sul disegno di legge di riforma costituzionale n. 935, comunicato alla Presidenza del Senato il 15 novembre 2023, che prende il nome di premierato. Si veda anche Premierato sì, ma non così di Stefano Ceccanti, Trent’anni dopo. L’Ingegneria costituzionale e le Riforme di Alessandro Mangia.
Brevissime note sulla riforma costituzionale del premierato
di Giuliano Scarselli
Sommario: 1. La riforma della Costituzione detta del premierato (modifica degli artt. 59, 88, 92, 94 Cost.). 2. Dubbi sulla sua capacità di realizzare gli obiettivi pretesi, primo fra tutti quello della stabilità dei Governi. 3. Ed infatti, sintetico esame di quattro diverse impasse nel quale il primo ministro, ancorché eletto dal popolo, si può trovare con il nuovo art. 94 Cost. 4. Ulteriore esame dei limiti della riforma rispetto agli altri obiettivi dichiarati nella relazione tecnico/esplicativa. 5. Il mutato rispetto alla nostra Costituzione e l’esigenza di evitare riforme n’importe quoi.
1. La riforma della Costituzione detta del premierato (modifica degli artt. 59, 88, 92, 94 Cost.).
Si ha in discussione, in questa XIX legislatura, un disegno di legge di riforma costituzionale che prende il nome di Premierato.
Con esso si propone di modificare quattro articoli della Carta costituzionale, ed esattamente gli artt. 59, 88, 92, 94.
Il contenuto della riforma è stato illustrato da questa rivista con una nota redazionale del 17 maggio scorso, cui poi sono seguite delle pubblicazioni di commento.
Non starò quindi a dilungarmi su aspetti strettamente preliminari.
Ricordo solo che le modifiche degli artt. 59 e 88 possono essere considerate minori, mentre certamente le riforme principali sono quelle che riguardano gli artt. 92 e 94.
Sostanzialmente, le principali novità possono essere così riassunte:
a) il popolo eleggerà direttamente il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale si presenterà alle elezioni con una propria lista di candidati;
b) le votazioni per l’elezione delle due Camere e del Presidente del Consiglio dei ministri dovranno avvenire contestualmente;
c) le votazioni saranno disciplinate da una nuova legge elettorale, che dovrà attribuire alla lista più votata, seppur nel rispetto dei principi di rappresentatività e governabilità, un premio di maggioranza che garantisca ai vittoriosi il 55 per cento dei seggi in ciascuna delle due Camere;
d) Il Presidente della Repubblica conferirà necessariamente al Presidente del Consiglio dei ministri eletto dal popolo l’incarico di formare il Governo;
e) il Parlamento darà la fiducia al Governo e, ove non dovesse succedere, il Presidente della Repubblica rinnoverà l’incarico sempre al Presidente del Consiglio eletto dal popolo, il quale si ripresenterà, così, per la seconda volta, dinanzi alle Camere, e se queste nemmeno per la seconda volta dovessero dargli la fiducia, ebbene: “il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere”;
f) infine, con un’apposita clausola denominata “anti-ribaltone”, nelle ipotesi nelle quali dovesse venir meno la carica del Presidente del Consiglio eletto, il Presidente della Repubblica avrebbe comunque l’obbligo di conferire il nuovo incarico sempre al Presidente del Consiglio eletto, “o ad un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto”; e se nemmeno questi dovessero ottenere la fiducia in questo secondo mandato, allora, di nuovo: “il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere”. (nuovo art. 94 Cost.).
2. Dubbi sulla sua capacità di realizzare gli obiettivi pretesi, primo fra tutti quello della stabilità dei Governi.
Che dire di questa riforma?
Gli obiettivi sono illustrati nella relazione tecnico/esplicativa e sono chiari: si vuole evitare “l’instabilità dei Governi” nonché “garantire il rispetto del voto popolare e la continuità del mandato elettorale”.
Tuttavia a me non sembra che le nuove norme siano in grado di perseguire questi obiettivi, se non in modo molto modesto e marginale; e mi sembra che anche solo una semplice analisi del testo sia sufficiente per giungere ad una simile conclusione.
In sostanza, le differenze che introducono i nuovi artt. 92 e 94 Cost. rispetto all’esistente (e salva la valutazione della legge elettorale, che al momento, non esistendo, non può essere oggetto di commento) possono essere così indicate:
a) il Presidente della Repubblica non potrà più scegliere il primo ministro ma dovrà necessariamente nominare il leaderdel gruppo politico che ha vinto le elezioni.
Di fatto, però, nessuno può negare che sia già così, e che i Presidenti della Repubblica abbiano, per lo meno dagli anni ’90, nominato sempre il leader del gruppo vittorioso, nel rispetto della volontà popolare.
Si potrebbero fare esempi di nomine fatte ob torto collo; ma nessun Presidente della Repubblica ha mai pensato di nominare un capo di governo diverso da quello risultato vittorioso nella dialettica elettorale.
b) Il Parlamento, per contro, dovrà, in prima battura, e secondo il 3° comma dell’art. 94 Cost., dare la fiducia al proprio leader, e anche questo, direi, è (normalmente) già così.
Ma, successivamente, in base sempre all’ultimo comma della stessa disposizione costituzionale, non sembra che il Parlamento non possa sfiduciare il governo e il suo leader, e ciò potrà avvenire, ad esempio, anche solo a seguito della mancata approvazione di una legge sulla quale il Governo abbia posto (espressamente o meno) la fiducia; per giungere a diversa conclusione bisognerebbe sostenere che questa riforma impedisca al Parlamento di non approvare le leggi presentate dal Governo, ma credo che nessuno sia disposto a spingersi fino ad un tal punto, che di fatto sottrarrebbe al Parlamento la funzione legislativa.
La novità, allora, sarà che in questi casi il primo ministro potrà essere sostituito solo con altro primo ministro appartenente al medesimo gruppo politico o a gruppo politico collegato; e se questo secondo primo ministro, non otterrà, o successivamente perderà, la fiducia, allora il Parlamento si scioglierà.
Premesso che, anche oggi, i più direbbero che in questi casi è inevitabile ridare la parola agli elettori, ma, a parte ciò, lo scioglimento del Parlamento non potrà non comportare il venir meno anche del primo ministro e la necessità che il popolo, ai sensi dell’art 92 Cost., sia chiamato di nuovo alle urne non solo per rieleggere il Parlamento ma anche per rieleggere il primo ministro.
Quindi il Parlamento, dopo la prima fiducia, mantiene la possibilità di far cadere il governo.
È vero che questo avrebbe un costo che fino ad oggi non ha avuto, cioè lo scioglimento del Parlamento; tuttavia si tratta di un rischio, e/o di un costo, che ha anche il primo ministro, che cade in questi casi insieme al Parlamento; ed in ogni caso questo rischio non v’è sempre, poiché la riforma non prevede lo scioglimento delle Camere nel passaggio tra il primo ministro eletto e il primo ministro successivo appartenente al medesimo gruppo politico o a gruppo politico collegato.
Non so, mi sembra, come si dice, che, alla fine, la montagna abbia partorito il topolino; e lo stesso mi sembra emergere dall’analisi delle singole questioni riportate nella relazione tecnico/esplicativa della riforma.
Valga al riguardo quanto segue.
3. Ed infatti, sintetico esame di quattro diverse impasse nel quale il primo ministro, ancorché eletto dal popolo, si può trovare con il nuovo art. 94 Cost.
Il primo tema, appunto, è quello della stabilità del primo ministro e/o del Governo.
La relazione tecnico/esplicativa assicura che “attraverso l’elezione diretta del presidente del consiglio dei ministri” si ottiene “la stabilizzazione della sua carica, per dare appoggio e continuità al mandato democratico”.
Però, ripeto, questa stabilità a me sembra relativa.
Penso si debba ribadire, in via preliminare, che lo scioglimento del Parlamento comporta automaticamente anche la cessazione della carica del primo ministro.
V’è infatti da ritenere che, sciolte le Camere; si debba tornare a votare, e non è pensabile che il popolo possa votare le nuove Camere senza unitamente votare anche il primo ministro, poiché le votazioni devono essere unitarie: “Le votazioni per l’elezione delle due Camere e del Presidente del Consiglio avvengono contestualmente” (così il nuovo art. 92 Cost.); né la nuova Costituzione prevede da nessuna parte che possano darsi elezioni delle Camere separate da quelle del primo ministro.
E allora, se possiamo convenire che, anche a seguito di questa riforma, resta la regola che lo scioglimento delle Camere comporta il venir meno del Governo, debbano darsi, a mio sommesso parere, almeno quattro diverse ipotesi di instabilità del primo ministro anche a seguito di questa svolta di premierato.
3.1. La prima, ai sensi del 3° comma dell’art. 94 Cost., si ha quando il governo della coalizione che abbia vinto le elezioni si presenta, con il primo ministro, dinanzi alle Camere per ottenere la fiducia; se le Camere non prestano la fiducia, il Presidente della Repubblica deve confermare il primo ministro eletto nel compito di formare il governo, e se anche questo nuovo Governo non ottiene la fiducia, il Presidente della Repubblica provvede a sciogliere le Camere.
Dunque, seppur sotto la condizione dello scioglimento del Parlamento, l’entrata in carica del primo ministro eletto resta comunque subordinata ad una mozione di fiducia, in assenza della quale, come al gioco dell’oca, tutto deve ricominciare.
3.2. Ovviamente il primo ministro eletto otterrà la fiducia dalle Camere e il suo Governo potrà così iniziare a lavorare.
Questo, tuttavia, e come abbiamo già detto, non esclude che, dopo tempo, il primo ministro eletto possa essere egualmente sfiduciato dal Parlamento.
Ciò è evidente, ed è altresì circostanza confermata nell’ultimo comma dell’art. 94 Cost: peraltro, in questi casi, diversamente dal precedente, il Parlamento che sfiducia il primo ministro eletto non sopporta lo scioglimento, ma solo deve trovarsi un nuovo primo ministro che lo sostituisca, con l’unico limite che questo nuovo primo ministro deve far parte del gruppo politico in collegamento con il presidente eletto sfiduciato.
Dunque, il primo ministro eletto può non ottenere la fiducia alla sua prima presentazione alle Camere, oppure può perdere la fiducia nel corso del suo mandato; nel primo caso ciò comporta lo scioglimento delle Camere, ma nel secondo caso il Parlamento non si scioglie, ma solo si nomina un nuovo primo ministro.
3.3. Il primo ministro subentrato al primo ministro eletto, di nuovo, sempre ai sensi del quarto comma dell’art. 94 Cost., può essere parimenti sfiduciato dalle Camere nel corso del suo mandato.
Di nuovo, in questo caso, si ha lo scioglimento del Parlamento da parte del Presidente della Repubblica; ma, seppur sotto questa condizione, resta fuori da ogni possibile discussione che anche il secondo primo ministro, così come già il primo ministro eletto, può essere sfiduciato dal Parlamento se non trova la fiducia che è necessaria per esercitare la funzione governativa.
3.4. Infine, non deve dimenticarsi che la riforma ha ritoccato solo in parte l’art. 88 Cost., prevedendo sì la soppressione dell’inciso “o anche una sola di esse”, però lasciando inalterata l’altra parte della norma costituzionale che prevede che: “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere”.
Dunque, noi avremmo, con questa riforma, (potremmo dire) due ipotesi di scioglimento delle Camere “dovute”, in quanto in quei casi il Presidente della Repubblica deve sciogliere le Camere, e queste due ipotesi sono, lo ripetiamo, quella nel quale il primo ministro eletto non ottiene la fiducia ai sensi del 3° comma dell’art. 94 Cost., e quella nel quale non ottiene la fiducia il nuovo primo ministro dopo la cessazione della carica da parte del primo ministro eletto; ma, oltre a queste ipotesi di scioglimento dovute delle Camere, resta l’ipotesi di scioglimento delle stesse (potremmo sempre dire) discrezionale da parte del Presidente della Repubblica ai sensi dell’art. 88 Cost.
Anche a fronte di quest’ultimo scioglimento delle Camere si avrà parimenti la caduta del governo, e quindi un’ulteriore ipotesi di cessazione della carica del primo ministro.
3.5. In sintesi, anche con questa riforma si danno dunque quattro ipotesi di impasse per il primo ministro:
a) quando il primo ministro eletto non ottiene la fiducia dalle Camere alla sua presentazione dopo la vittoria elettorale ai sensi del 3° comma dell’art. 94 Cost.;
b) quando il primo ministro eletto perde la fiducia del Parlamento nel corso del suo mandato ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 94 Cost., ed in questi casi la sfiducia può esser data senza lo spettro dello scioglimento delle Camere;
c) quando il primo ministro nominato dopo la cessazione del mandato del primo ministro eletto viene egualmente sfiduciato dal Parlamento ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 94 Cost;
d) e infine quando il primo ministro eletto, oppure il primo ministro che segue il primo ministro eletto già sfiduciato, cessano dalle loro funzioni perché il Presidente della Repubblica scioglie le Camere ai sensi dell’art. 88 Cost.
4. Ulteriore esame dei limiti della riforma rispetto agli altri obiettivi dichiarati nella relazione tecnico/esplicativa.Oltre al tema della stabilità del primo ministro, a me sembra poi che anche gli altri obiettivi descritti nella relazione tecnico/esplicativa siano in verità di difficile concretizzazione con questi nuovi artt. 92 e 94 Cost.; e qui, brevemente, sottolineo a mio parere i punti.
4.1. Circa l’indirizzo politico, la relazione tecnico/esplicativa precisa che “la proposta di legge mira a consolidare il principio democratico, valorizzando il ruolo del corpo elettorale nella determinazione dell’indirizzo politico della Nazione”,
In verità, i nuovi artt. 92 e 94 Cost. assicurano (rectius: cercano di assicurare) al primo ministro cinque anni di esercizio del mandato, ma non assicurano affatto che il primo ministro rispetti il programma politico con il quale si è presentato agli elettori e in forza del quale gli elettori lo hanno votato; poiché, par evidente, che se il primo ministro dovesse, dopo le elezioni, e in qualunque successivo momento, mutare orientamenti o assumere indirizzi diversi da quelli prospettati in campagna elettorale, e il Parlamento lo segue, non succederebbe niente, né la Costituzione riformata prevede correttivi per ipotesi del genere.
4.2. Discorso analogo può valere per il Parlamento.
La relazione tecnico/esplicativa avverte che lo scopo della riforma è quello di risolvere “problematiche ormai risalenti, cioè….. l’eterogeneità e la volatilità delle maggioranze, il transfughismo parlamentare”.
Anche qui, se il giorno dopo le votazioni, o qualche tempo dopo le votazioni, parte dei parlamentari transfuga, e non è più disponibile a seguire l’indirizzo politico del primo ministro e a obbedire alle sue direttive, semplicemente quella maggioranza che il primo ministro aveva nella fase di partenza, la perde poi nel corso del tempo, e può essere sostituito con un nuovo primo ministro, seppur di un gruppo politico collegato.
La nuova costituzione, tra l’altro, lascia invariata la disposizione dell’art. 68 Cost. secondo la quale “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.
Ed inoltre, è chiaro, la sostituzione del primo ministro eletto con un nuovo primo ministro ha, inevitabilmente, un passaggio delicato, visto che l’espressione usata dall’art. 94 Cost di candidato in collegamento, è elastica, e potrà essere oggetto di dubbi e/o interpretazioni; e si discuterà, così, se veramente un parlamentare in procinto di divenire nuovo primo ministro può dirsi o meno collegato al primo ministro eletto sfiduciato.
4.3. Si tiene a precisare, poi, che, se si arriva ad un secondo primo ministro, questi, non solo deve far parte dello stesso gruppo politico del primo, ma deve anche perseguire la stessa politica.
Si legge nella relazione: “il Presidente del Consiglio dei ministri in carica può essere sostituito solo da un parlamentare della maggioranza e solo al fine di proseguire nell’attuazione del medesimo programma di governo”.
Però, anche sotto questo profilo, si tratta di una rassicurazione molto relativa: i programmi di indirizzo politico esposti in campagna elettorale sono normalmente molto generici e vaghi, inevitabilmente incompleti; essi possono essere oggetto poi di future interpretazioni e punti di vista; inoltre potrebbero sorgere nel corso del mandato questioni e problematiche nuove, che necessitano di essere affrontate.
Se dovesse sorgere contrasto tra il primo ministro eletto e la maggioranza del Parlamento, l’art. 94 Cost. non impedirebbe comunque al Presidente della Repubblica di nominare un nuovo primo ministro, con l’unico limite che questo si sia presentato all’epoca agli elettori nella stessa lista politica, o comunque collegata, del primo ministro sfiduciato.
Poi, però, è inevitabile, questo nuovo primo ministro collegato, con la maggioranza parlamentare, potrà fare, liberamente, un po’ tutto quello che riterrà di dover fare, magari sotto la rabbia del primo ministro eletto e sfiduciato, che, ridotto a semplice parlamentare, assisterà a tutto ciò in disparte.
In sintesi, può dirsi che la norma non impedisce al Parlamento di ribaltare il primo ministro eletto dal popolo e scegliersi poi (o comunque avere) un altro primo ministro; la sola condizione è che questo nuovo primo ministro appartenga ad uno schieramento politico collegato a quello del primo ministro eletto; garanzia davvero poco consistente se si pensa alla versatilità della vita politica.
4.4. Afferma ancora la relazione che questa stabilità è altresì necessaria per “concepire indirizzi politici di medio-lungo periodo, di elaborare e attuare riforme organiche, di farsi carico, in ultima analisi, delle prospettive e del futuro della Nazione”.
Ora, anche questa affermazione trascura un dato, che è quello che oramai gli indirizzi politici di medio-lungo periodo e l’attuazione di riforme organiche, sono, in grandissima parte, in mano all’Unione europea e alle politiche comuni, a fronte delle quali la libertà di determinazione degli Stati membri si è sempre più ridotta, o addirittura sparita dopo l’approvazione del PNRR, che oggi regola gran parte dell’agenda governativa e parlamentare.
A questo proposito è utile ricordare che già con la legge 24 dicembre 2012 n. 234, l’Italia si è data la regolamentazione della sua partecipazione alla formazione e all’attuazione della normativa relativa alle politiche dell’UE.
L’art. 30 di quella legge prevede che il nostro governo recepisca le direttive europee e modifichi o abroghi quelle in contrasto con le normative UE.
Ed inoltre, come è noto, il nostro ordinamento si deve uniformare ai pareri motivati indirizzati all’Italia dalla Commissione europea e a recepire in via regolamentare le direttive.
In concreto, poi, il Governo, ogni anno, deve presentare un disegno di legge che assicuri il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento dell’Unione europea.
L’ultimo disegno di legge è stata approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 maggio 2024 e ha preso in considerazione gli atti dell’UE pubblicati a partire dal mese di luglio 2023 fino al mese di maggio 2024; il disegno di legge si compone di tre capi e 17 articoli e consentirà il recepimento di 20 direttive e l’adeguamento dell’ordinamento nazionale relativamente a 13 regolamenti europei.
Precedentemente la legge 21 febbraio 2024 n. 15 “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti normativi dell’Unione europea” è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 46 del 24 febbraio 2024, e ha consentito il recepimento di 20 direttive e l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a 9 regolamenti europei.
Da ricordare altresì che la Presidenza del Consiglio dei Ministri italiana è supportato dal Dipartimento per gli Affari europei proprio al fine di gestire le attività inerenti all’attuazione degli obblighi assunti nell’ambito dell’Unione.
Se poi stiamo al PNRR, relativamente al quale merita menzionare il decreto legge 31 maggio 2021 n. 77, convertito dalla legge 29 luglio 2021 n. 108, vediamo immediatamente come l’art. 1 preveda che si debba semplicemente attuare: “il regolamento UE 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021, nonché del Piano Nazionale integrato per l’Energia e il Clima 2030 di cui al Regolamento UE 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018”; ed ancora: “Le disposizioni contenute nel presente decreto in quanto direttamente attuative degli obblighi assunti in esecuzione del Regolamento UE 2021/241 sono adottate nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva in materia di rapporti dello Stato con l’Unione europea”.
Se, infine, si constata che la stragrande maggioranza dei decreti e delle leggi approvate dal nostro Governo e dal nostro Parlamento altro non sono che adeguamenti alle normative europee, va da sé che è un po’ velleitario asserire che il premierato è funzionale ad elaborare e attuare riforme organiche…….delle prospettive e del futuro della Nazione, visto che il premier, in verità, non altro deve fare, quasi sempre, se non adeguarsi all’Europa.
4.5. Si è asserito, ancora, che la riforma è altresì finalizzata a superare la situazione che così viene descritta: “Gli anni recenti si caratterizzano per un marcato astensionismo e per una sempre più evidente disaffezione verso la politica dei cittadini, i quali si trovano impossibilitati a distinguere e imputare correttamente le responsabilità nell’ambito di un sistema decisionale vischioso: aspetto che si riflette in una forte comprensione della capacità di selezionare, giudicare, e dunque confermare o non confermare, la classe dirigente alle urne”.
Ora, a parte la circostanza che è fastidiosa questa infantilizzazione degli elettori, che non capiscono niente se le cose non sono semplici e chiarissime, sinceramente, poi, ritenere che l’astensionismo alla politica dipenda dal fatto che il nostro sistema è ancora troppo parlamentare, e che il passaggio ad un premierato farebbe venir meno questa astensione, mi sembra un po’ demagogico.
V’è da ritenere, tutto al contrario, che l’astensionismo sia piuttosto il frutto della percepita inaffidabilità della politica, o fors’anche della sua mediocrità, la quale certo difficilmente può cambiare passando da un sistema di governo all’altro.
4.6. Infine, anche con riferimento alla riforma dell’art. 59, 2° comma Cost., volto a sopprimere la figura dei senatori a vita diversi dagli ex Presidenti della Repubblica, mi sembra parimenti che l’intento proclamato nella relazione sia forzato e non veritiero.
Si legge nella relazione che: “nella logica di portare la legittimazione democratica al più ampio numero possibile di istituti della forma di governo, si supera la categoria dei senatori a vita. Un intervento, quest’ultimo, reso inevitabile nella già menzionata prospettiva di stabilità delle maggioranze, dell’intervenuta riduzione del numero dei senatori, che ha ulteriormente ridotto il margine delle maggioranze in quel ramo del Parlamento”.
In verità, non si vede proprio come la presenza dei senatori a vita possa compromettere la stabilità della maggioranza o la rappresentatività e governabilità del primo ministro.
I senatori a vita sono 5, mentre i senatori, anche dopo la riduzione del loro numero, sono attualmente 200 (art. 57 Cost.), mentre i deputati sono attualmente 400 (art. 56 Cost.); come 5 membri possano avere una effettiva rilevanza a fronte di 600 parlamentari è difficile capire; né, dalla nascita della nostra Repubblica, sapremmo, per il passato, indicare un solo caso nel quale un governo è caduto, o una legge è stata affossata, per la presa di posizione di uno o più senatori a vita.
Direi, così, che si possa escludere che la soppressione del 2° comma dell’art. 59 Cost. trovi in ciò la ragion d’essere.
E sarei, al contrario, più propenso a credere che una tale determinazione sia invece il frutto di un’idea, oggi purtroppo abbastanza diffusa, secondo la quale non esistono meriti insigni o altissimi, e soprattutto che questi non debbano essere riconosciuti; non siamo più una società che premia l’originalità (o l’individualità) di scienziati, artisti, o letterari, cosicché nessuno tra loro, per il comune sentire, merita di sedere in Senato, e magari intralciare con qualche intervento, o presa di posizione, quanto la politica va a fare.
5. Il mutato rispetto alla nostra Costituzione e l’esigenza di evitare riforme n’importe quoi.
Ebbene, alla luce di tutto ciò, sommessamente, la domanda è questa.
Ha un senso modificare la Costituzione per fare riforme di questo tenore?
Io credo di no; e credo peraltro che di tutto si abbia bisogno in questo momento storico meno che di rafforzare i poteri del capo del governo, sia questo di destra oppure di sinistra.
E mi rattrista vedere come, negli anni, si sia fortemente mutato il senso del rispetto verso la nostra Costituzione.
Non è un vizio della destra, è un vizio di tutti; ed infatti le modifiche costituzionali che già si sono avute in questi anni sono state più il parto della sinistra che della destra.
Un tempo v’era un altro rispetto per la Costituzione, un tempo nessuno pensava di potere intervenire su di essa con questa facilità, di modificare, n’importe quoi, quel costrutto che i nostri costituenti, usciti dall’esperienza del fascismo, avevano faticosamente messo insieme dopo la guerra.
Tutti si ricordavano che la Costituzione era nata dalla lotta alla dittatura, e costituiva per questo un testo fondamentale e intoccabile; tutti si ricordavano quello che con immortali parole Piero Calamandrei aveva detto il 26 gennaio 1955 agli studenti di Milano: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra costituzione”.
Oggi questa sacralità della Costituzione si è persa, e tutti credono di aver titolo e formazione per modificare quello che i nostri costituenti ci hanno lasciato.
Io trovo tutto questo preoccupante.
Sinceramente, così come non vedevo necessarie le modifiche della Costituzione che recentemente si sono avute, allo stesso modo non vedo proprio la necessità di arrivare a questo riforma c.d. di premierato.