di Roberto Giovanni Conti
Sommario: 1. Premesse. 2. L’atto politico ed il trend giurisprudenziale volto a ridurne le “zone franche”. 3. Il bombardamento della televisione serba da parte della NATO e la sua “politicità” - Cass. S.U., n.8157/2002 - 3.1 Il seguito di Cass., S.U. n.8157/2002. Corte dir. uomo, 14 dicembre 2006, GC, Marković c. Italia, l’opinione dissenziente del Giudice Zagrebelsky. 4. L’onorificenza all’ex Presidente brasiliano Bolsonaro concessa dal comune di Anguillara Veneta e la sua natura (o meno) politica. A proposito di Cass. S.U., n.15601/2023. 5. La lettera di garanzia della Commissione adozioni internazionali e la sua natura politica per il Consiglio di Stato - Cds.n.7250/2021 - soggetta al sindacato giurisdizionale secondo le S.U. civili - Cass. S.U., 26 settembre 2023 n.27177 -. 6. Il segreto di Stato, la sua natura intrinsecamente politica ed i suoi limiti (intrinseci). 7. L’atto politico e la questione migratoria. 8. Qualche considerazione conclusiva a cavallo fra atti politici e sentenze politiche. A) Il ruolo dell’ordine giudiziario a salvaguardia dei diritti ed interessi delle persone rispetto all’atto politico (ed al potere). 8.1 Segue: B) Le sentenze “politiche”. 9. Indipendenza e fiducia come pilastri del rapporto politica-magistratura.
1. Premesse
Non si avverte mai stanchezza nel tornare a ragionare attorno al tema dell’atto politico, della sua sindacabilità da parte del giudice e della sua “resistenza” ad incursioni giudiziarie a più riprese patrocinate dall’esigenza di rispettare i diritti fondamentali. Coglie il nodo centrale del discorso Giancarlo Montedoro quando ci ricorda che si tratta, appunto, di “un concetto con il quale è utile confrontarsi per saggiare la tenuta del sistema giuridico complessivamente inteso”[1].
Ragionare sul tema serve, dunque, anche per affrontare al meglio l’attuale contesto socio-politico che le democrazie occidentali si trovano a dovere fronteggiare, spesso impegnate in situazioni più o meno emergenziali nelle quali i Governi e le istituzioni sovranazionali sono chiamate a scelte politiche delicate, nelle quali si confrontano rilevanti interessi nazionali agganciati, talvolta, ad opzioni di matrice sovranista e/o populista che sembrano sempre di più coinvolgere il mondo occidentale, sia pur con prospettive e modalità diverse.
D’altra parte, la guerra che vede contrapposte la Russia e l’Ucraina, ma ampiamente coinvolti un numero di paesi significativo con posizioni e modalità fra loro variegate, così come il conflitto riesploso drammaticamente fra israeliani e palestinesi sono essi stessi dimostrativi di quanto attorno alla politicità e tutelabilità degli atti politici non debba mai essere abbassata l’asticella dell’attenzione da parte della società e, per quel che qui importa, degli operatori del diritto.
Il filo rosso che lega la ricerca multidisciplinare condivisa con gli accademici impegnati nel panel tenderà, dunque, ad indagare il tema non già sul piano teorico[2], prediligendo piuttosto una verifica che guarda a come le Corti nazionali si sono misurate sul tema. Si precisa fin dall’inizio che alla nozione di “Corte” appena indicata si farà riferimento con precipuo riguardo alla giurisprudenza di merito del giudice ordinario ed al diritto vivente delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, alle quali ultime la Costituzione affida il controllo in ordine al riparto della giurisdizione fra i diversi plessi e, dunque, attribuisce il compito di verificare se esistono posizioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela giurisdizionale, tenuto conto di quanto previsto dagli artt. 24 e 113 Cost.
In questa prospettiva le riflessioni che seguono prenderanno le mosse dalla tematica dell’insindacabilità dell’atto politico che ha origine nell’art.31 del R.D. n.1054/1924 - e, prima ancora, nell'art. 3, comma 2, della legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato (L. 31 marzo 1889, n. 5992) - anche se sul piano della tutela civile dei diritti essa è stata più volte invocata per verificare il grado di tutela dei diritti della persona nei confronti del potere statale.
Il piano di indagine guarda, dunque, con particolare attenzione alla law in action ed al dialogo fra le Corti, nel dichiarato e non celato convincimento che è appunto il piano delle applicazioni concrete a disvelare il DNA della politicità degli atti rispetto alla questione della loro giustiziabilità.
Si è cercato così di ragionare sull’affermazione tradizionale, ricorrente nella giurisprudenza tanto del giudice ordinario quanto di quello amministrativo secondo la quale, promanando da un organo costituzionale nell’esercizio della funzione di governo e dunque nell’attuazione dell’indirizzo politico, l’atto politico non è espressione di funzione amministrativa, sottraendosi al sindacato giurisdizionale del giudice ordinario nonché di quello amministrativo[3].
Prospettiva che nel tempo risulta essere stata però erosa dal diritto vivente, vuoi richiedendosi come elemento essenziale la riconducibilità dell’atto esclusivamente ad organi costituzionali, vuoi circoscrivendo il contenuto dell’atto stesso anche per effetto di una lettura diacronica dei principi costituzionali e sovranazionali che prendono direttamente in considerazione i diritti fondamentali della persona.
L’ulteriore riflessione ha riguardato il modo con il quale viene a volte percepita l’attività giurisdizionale che intercetta atti che attengono alla sfera politica, nel tentativo di fissare dei paletti capaci di distinguere in modo quanto più lineare possibile l’agire della politica da quello della giurisdizione.
Da qui il terzo punto cardinale che ha inteso soffermarsi sul ruolo del giudice nell’ordinamento e sul suo rapporto con le fonti del diritto realizzato attraverso l’interpretazione, nel tentativo di individuare il recinto nel quale essa si muove.
Ecco perché la conclusione della riflessione non poteva che coinvolgere la precondizione affinché il giudice possa compiere in modo pregnante, responsabile ed adeguato alla complessità e centralità delle questioni trattate il proprio ruolo secondo Costituzione. Garantire l’indipendenza della magistratura rappresenta, anticipando le conclusioni, la condicio sine qua non per realizzare la protezione effettiva dei diritti in gioco per modo che l’attentato all’indipendenza del giudice non si traduce in una semplice violazione della Costituzione, del diritto UE o della CEDU, ma determina un problema capace di minare l’ordine democratico del Paese e renderlo incompatibile con le premesse indispensabili per la sua partecipazione al sistema UE ed al meccanismo europeo di tutela dei diritti umani.
2. L’atto politico ed il trend giurisprudenziale volto a ridurne le “zone franche”.
La dottrina amministrativa afferma che l'atto politico[4] esprime “l'attività di direzione suprema della cosa pubblica (cioè l’indirizzo politico) e l’attività di coordinamento e controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si estrinseca"[5]. Assolvendo dunque ad una funzione superiore, l’atto politico si disegna come atto libero nel fine, pur dotato di natura discrezionale che mira a tutelare l'interesse generale dello Stato nella sua unità, secondo il libero apprezzamento dell’autorità governativa determinato da detto interesse e da valutazioni di convenienza.
L’insindacabilità dell’atto politico trova a suo fondamento un solido quadro normativo, al quale si è già accennato, oggi direttamente connesso all’art. 7, comma 1, c.p.a. (d.lgs. n.104/2010) a tenore del quale “non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico”.
Si vedrà che la categoria dell’atto politico è stata tradizionalmente individuata in negativo attraverso una casistica giurisprudenziale che ne ha via via eroso la portata - e con essa le posizioni di privilegio connesse[6] - , tanto da richiedere in modo tassativo la presenza di due elementi essenziali (oggettivo e soggettivo)[7].
Anche la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, in coerenza con la giurisprudenza costituzionale e, in particolare, con quanto affermato da Corte cost.n.81/2012, ha avuto occasione di riconoscere l’insindacabilità di atti politici, così finendo per negare ogni tutela a situazioni con essi contrastanti[8].
In tempi più recenti si è tuttavia assistito ad un ridimensionamento della categoria dell’atto politico. Si tratta di un vero e proprio “cammino” della giurisprudenza, soprattutto di legittimità, sulla quale ci si soffermerà di seguito. E nel ricordare le prese di posizione della Corte costituzionale[9] - fra le altre, C.Cost.n.339/2007 e C.Cost.n.52/2016[10] - il giudice di legittimità non ha mancato di sottolineare che “l’esistenza di aree sottratte al sindacato giurisdizionale va necessariamente confinata entro limiti rigorosi”[11].
Del resto, si era già chiarito che la mancata osservanza da parte del potere governativo degli impegni assunti in tema di riforma del settore scolastico, da attuarsi principalmente mediante iniziative legislative (presentazione di un disegno di legge relativo alla formazione universitaria dei docenti ed alle procedure per l'abilitazione all'insegnamento presso le università, avviamento della previsione legislativa delle norme in materia di rilascio dei diplomi di licenza media), si sottrae ad ogni sindacato giurisdizionale, poiché l'iniziativa della legge ha natura di atto politico, essendo manifestazione tipica della funzione politica e di governo. La Corte ha quindi ritenuto che il comportamento adottato dall’autorità governativa fosse inidoneo a cagionare la lesione di situazioni giuridiche soggettive (sia di diritto soggettivo che di interesse legittimo), e dovesse, pertanto, essere sottratto ad ogni sindacato giurisdizionale - Cass.S.U.8 Gennaio 1993 n°124 -.
Particolarmente pregnante risulta quanto affermato da Cass., S.U. n.21581/2011 che, chiamata a vagliare la decisione del giudice di merito con la quale era stata ritenuta l’insindacabilità della decisione relativa alla mancata attivazione dell'istituto della protezione diplomatica volta a sostenere le richieste dell'istante che svolgeva attività di collegamento marittimo tra l'Italia e il Marocco, all'esito del rigetto dell'autorizzazione all'esercizio (o al suo mantenimento) della linea gestita ai sensi della L. n. 433 del 1985 ha ritenuto censurabile “… la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto di qualificare la posizione giuridica soggettiva fatta valere dal ricorrente con riferimento all'istituto della protezione diplomatica - che, secondo la definizione contenuta nell'art. 1 del relativo progetto adottato dalla Commissione del diritto internazionale (e fatta propria dalla Corte Internazionale di Giustizia con la sentenza 24.5.2007, Sadio Diallo), consiste nella contestazione da parte di uno Stato (attraverso un'attività diplomatica o altri mezzi di risoluzione delle controversie) della responsabilità di altro Stato per un danno causato da un fatto illecito (sul piano internazionale) ad una persona fisica o giuridica che abbia la nazionalità del primo Stato al fine di attivare consequenzialmente tale responsabilità - opinando che l'esercizio dei poteri di cui alla L. n. 69 del 1987, art. 1 potesse ascriversi ad una incensurabile attività di politica estera sottratta integralmente al vaglio della giurisdizione”. Ciò perché, secondo le Sezioni Unite era stato del tutto omesso “… di considerare che i poteri in discorso (dapprima attribuiti al Ministero della marina mercantile, poi trasferiti a quello delle infrastrutture e dei trasporti) sono esercitati su proposta non di un organo politico, bensì di una commissione tecnica, al fine di difendere la marina mercantile nazionale e di disciplinare i traffici commerciali marittimi per la tutela dell'interesse nazionale; poteri il cui contenuto esula del tutto dal novero degli atti politici stricto sensu, trattandosi viceversa di atti di (alta) amministrazione rientranti nell'esercizio di una più specifica politica marittimo-mercantile nazionale.”
Seguendo la medesima direzione, Cass., S.U.n.10416/2014 dava atto che la giurisprudenza di legittimità aveva "confinato in margini esigui l'area della immunità giurisdizionale, da escludere allorquando l'atto sia vincolato ad un fine desumibile dal sistema normativo, anche se si tratti di atto emesso nell'esercizio di ampia discrezionalità", dando rilievo alla riconducibilità dell'atto a parametri giuridici, prima ancora che a profili soggettivi e oggettivi, in passato forieri di tautologiche definizioni della categoria di tali atti.
Cass., S.U.n.18829/2019 ha quindi ribadito che per ravvisare il carattere politico di un atto, al fine di sottrarlo al sindacato del giudice, occorre che sia impossibile individuare un parametro giuridico (sia norme di legge, che principi dell'ordinamento) sulla base del quale svolgere il sindacato giurisdizionale: quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve, appunto, attenersi, in ossequio ai principi fondamentali dello Stato di diritto. In concreto, quando l'ambito di estensione del potere discrezionale, quale che esso sia, sia circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l'esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell'atto, sindacabile, appunto, nei modi e nelle sedi appropriate[12].
Sempre le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 2 maggio 2019, n. 11588) hanno statuito che la richiesta di promovimento del conflitto di attribuzioni rivolta da un consigliere regionale alla Regione non è sorretta da un interesse protetto dall'ordinamento giuridico, attenendo tale conflitto alla delimitazione dei poteri costituzionalmente riservati all'ente, al quale soltanto spetta la decisione, contraddistinta da ampia discrezionalità e da connotati di politicità, di proporre il ricorso ex art. 134 Cost. Da ciò la Corte ha fatto discendere che la pretesa del terzo di ottenere l'esercizio di tale prerogativa non è azionabile in giudizio, pena la violazione dell'art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, dal momento che il diritto di accesso ad un tribunale postula l'esistenza di una posizione giuridica tutelata nell'ordinamento interno.
3. Il bombardamento della televisione serba da parte della NATO e la sua “politicità” - Cass., S.U. n.8157/2002 -
Il trend rivolto a restringere l’area della politicità degli atti che si è sommariamente descritto non è stato senza arretramenti, anche quando a venire in gioco furono aspetti meramente risarcitori, dunque non direttamente collegati ad incidere sull’azione dell’esecutivo.
In questa direzione non può essere tralasciata l’analisi approfondita della sentenza a Sezioni Unite -Cass. S.U., n.8157/2002- laddove la Corte ha fatto ricorso alla nozione di atto politico nel ricondurre le modalità operative del conflitto iniziato per ragioni umanitarie nei confronti della ex Jugoslavia dalla NATO, collegandosi a quanto in precedenza ritenuto da Cass. S.U., n. 2452/1968, allorché si affermò che gli atti compiuti dallo Stato nel regolamento delle relazioni internazionali si sottraggono totalmente al sindacato sia della giurisdizione amministrativa che di quella ordinaria, in quanto nei confronti dei predetti - stante la preminenza assoluta degli interessi della collettività organizzata a Stato che con tali atti vengono tutelati - non sono configurabili né interessi legittimi né diritti soggettivi. Ne consegue che l’interesse del singolo nei rapporti interstatali resta pienamente sacrificato di fronte all’interesse della collettività, ponendosi una questione di responsabilità degli organi di Governo per gli atti internazionali esclusivamente sul piano politico[13].
Ed è su questa vicenda che sembra necessario soffermarsi, essa coinvolgendo in modo immediato i riflessi che l’area della politicità degli atti produce sulla tutela dei diritti e sulla possibilità che l’ordinamento offre di garantire un’effettiva protezione, anche sul piano risarcitorio.
Per procedere nel senso appena indicato è necessario ripercorrere sinteticamente un fatto accaduto ormai quasi trent’anni fa quando, nella notte del 23 aprile 1999, mentre dal palazzo della radiotelevisione serba Radio Televizija Srbije di Belgrado veniva trasmessa un’intervista rilasciata dall’allora Presidente Milošević a un’emittente americana, un missile lanciato da aerei della NATO decollati dalla base di Aviano centrava la sede televisiva, provocando non solo il temporaneo oscuramento delle trasmissioni, ma anche la morte di 11 civili rimasti travolti dal crollo dell’edificio ed il ferimento di cento persone che lavoravano al momento dell’attacco.
Accanto alle azioni intraprese dalla Serbia e dal Montenegro, subentrati medio tempore alla ex Repubblica Federale Jugoslava innanzi alla Corte Internazionale di giustizia, alcuni congiunti delle vittime, sostenendo che l’avere scelto come bersaglio l’edificio di un’emittente televisiva costituiva un modo di conduzione delle ostilità rivolto deliberatamente a colpire civili e dunque contrario al Protocollo I aggiuntivo alla Convenzione di Ginevra, avevano infatti convenuto innanzi al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Difesa ed il Comando delle Forze Alleate dell’Europa Meridionale – Afsouth – per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti[14].
Con l’ordinanza n.8157/2002 le S.U. dichiararono inammissibile il ricorso, osservando che nella controversia venivano in discussione le modalità di conduzione di un conflitto armato e che tali atti, espressione di una funzione politica, non potevano essere sottoposti al sindacato giudiziale circa il modo in cui la funzione era stata esercitata, non essendo configurabile veruna situazione di interesse protetto. Secondo Cass., S.U. n.8157/2002 le disposizioni della Convenzione di Ginevra e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo regolavano rapporti tra Stati, indicavano le Corti internazionali competenti ad affermarle, né erano state trasposte nell’ordinamento interno norme espresse che consentissero alle persone offese di chiedere allo Stato la riparazione dei danni loro derivati dalla violazione delle norme internazionali. Né la giurisdizione interna poteva radicarsi alla stregua della Convenzione di Londra poiché in contestazione non era la commissione di un singolo atto ma una più complessa operazione militare che le parti private avevano chiesto fosse sottoposta ad un vaglio di liceità[15].
3.1 Il seguito di Cass. S.U., n. 8157/2002. Corte dir. uomo, 14 dicembre 2006, GC, Marković c. Italia, l’opinione dissenziente del Giudice Zagrebelsky.
In esito alla decisione delle S.U. appena ricordata i congiunti si rivolgevano alla Corte europea dei diritti dell’uomo lamentando la lesione dei diritti sanciti dagli artt.6 e 1 della Convenzione.
La Grande Camera della Corte dei diritti umani, che con una maggioranza di dieci voti a sette ha escluso l’esistenza di una violazione dell’art.6 CEDU, ritenne che la decisione delle Sezioni Unite non aveva vulnerato il diritto all’accesso alla giustizia sancito da tale disposizione.
La Corte EDU ha inteso ribadire che i compiti ad essa riservati dall’art.19 CEDU sono quelli di accertare il rispetto degli impegni intrapresi dalle parti contraenti aderenti alla Convenzione e non di occuparsi degli errori in fatto o in diritto commessi da una corte nazionale, a meno che essi non abbiano cagionato una lesione dei diritti protetti dalla Convenzione. La responsabilità principale per implementare ed attuare i diritti e le libertà garantite dalla Convenzione, prosegue la Corte europea, è riservata alle autorità nazionali, essendo il ruolo della Corte europea meramente sussidiario al sistema nazionale di protezione dei diritti umani.
Così statuendo, il giudice europeo ha escluso che la decisione che aveva dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione fosse in grado di vulnerare i diritti garantiti dalla CEDU, non integrando una forma di immunità per lo Stato in spregio alle regole ordinarie previste dall’ordinamento interno. Non ravvisando, in tal modo, in base alle regole interne l’esistenza di un diritto alla riparazione, la Corte europea non trovò nemmeno ostacoli per contrastare la deduzione, richiamata nelle difese dei ricorrenti, secondo la quale la giurisprudenza delle Sezioni Unite (Cass. S.U. n.5044/2004[16]) aveva superato i principi espressi da Cass. S.U., n. 8157/2002, affermando che dalla violazione dei diritti umani fondamentali non poteva che scaturire il diritto al risarcimento dei danni in favore delle vittime. Il successivo revirement giurisprudenziale del 2004 non poteva infatti far ritenere che il diritto reclamato dagli attori esistesse prima del diverso orientamento espresso dalle Sezioni Unite nel 2002. Né la decisione delle Sezioni Unite del 2002 poteva dirsi integrare una forma di immunità, nemmeno di fatto, poiché il giudice nazionale aveva richiamato la propria pacifica giurisprudenza in ordine all’insindacabilità degli atti di guerra.
Sicché l’inesistenza, affermata in via generale, del diritto al risarcimento del danno da parte dell’autorità giurisdizionale interna non poteva far ritenere sussistente una forma di immunità.
Anche la decisione “in rito” sulla giurisdizione adottata dalle autorità italiane non concretava una violazione del diritto all’accesso alla giustizia tutelato dall’art.6 CEDU, avendo il giudice nazionale evidenziato le ragioni che dovevano condurre all’esclusione del diritto reclamato dai ricorrenti, senza pertanto conculcare il diritto dei ricorrenti ad ottenere una decisione sulla domanda proposta[17].
Rispetto alla decisione assume capitale importanza l’opinione difforme espressa dal giudice Vladimiro Zagrebelsky, condivisa da altri giudici della Corte EDU, nella quale si è ritenuto che la decisione espressa dalla maggioranza ha rappresentato un colpo tremendo al fondamento stesso della Convenzione, proprio nella parte in cui ha condiviso l’affermazione del giudice nazionale che impedisce la risarcibilità di un diritto garantito dalla CEDU quando a cagionarlo è stato un atto politico discostandosi, peraltro, dalla tradizione della stessa Corte, favorevole al riconoscimento di un diritto effettivo alla tutela giurisdizionale - v. sul punto l’opinione parzialmente difforme del giudice Costa -.
Zagrebelsky ricorda nella sua opinione dissenziente che il ricorso all’esame della Grande Camera solleva una questione di estrema importanza nel quadro della Convenzione, icasticamente evocando il tema della “posizione dell’individuo di fronte all’autorità”. L’autorità nella sua forma più temibile: l’autorità basata sulla “ragione di Stato”[18].
4. L’onorificenza all’ex Presidente brasiliano Bolsonaro concessa dal comune di Anguillara Veneta e la sua natura (o meno) politica. A proposito di Cass. S.U., n.15601/2023.
Sono alcune pronunzie delle Sezioni Unite a dare il senso di un “non ritorno” rispetto all’attività di progressivo restringimento dell’area riservata alla politicità degli atti e, quindi, alla loro insindacabilità che la vicenda da ultimo ricordata sembrava avere incrinato.
Merita in questa prospettiva particolare attenzione la vicenda giudiziaria legata ad un’azione popolare, promossa innanzi al giudice amministrativo da un gruppo di cittadini di Anguillara Veneta, contro la cittadinanza onoraria conferita da quell’amministrazione comunale all’allora presidente del Brasile Jair Messias Bolsonaro, discendente di un uomo nato in quel comune.
Adite in sede di regolamento di giurisdizione, le Sezioni Unite della Cassazione - Cass. S.U., n.15601/2023 - hanno dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione sulla domanda proposta, escludendo, tuttavia, che l’atto adottato dal comune potesse qualificarsi come dotato di valenza politica in quanto emanato nell'esercizio del potere politico connesso al conferimento della cittadinanza onoraria comunale.
Le Sezioni Unite hanno escluso che nella deliberazione del Consiglio comunale di attribuzione della cittadinanza onoraria ricorressero i tratti tipologici dell'atto politico in senso proprio, ricordando i due profili che caratterizzano la valenza politica dell’atto ed in particolare, quanto al requisito di natura oggettiva, l’essere l’atto “libero nel fine perché riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici (deve concernere, cioè, la costituzione, la salvaguardia o il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione)”, al punto che “è ritenuto tale non l'atto amministrativo che sia stato emanato sulla base di valutazioni specificamente di ordine politico, ma solo l'atto che sia esercizio di un potere politico.”
La nozione di atto politico è dunque di stretta interpretazione e ha carattere eccezionale, perché altrimenti si svuoterebbe di contenuto la garanzia della tutela giurisdizionale che la Costituzione assicura come indefettibile e con i caratteri della effettività e della accessibilità, costituendo dunque eccezione alla regola dell'impugnabilità dell'atto. Nel caso di specie, la natura politica dell'atto di conferimento della cittadinanza onoraria è stata esclusa dalle Sezioni Unite, da un lato, per l’assenza del requisito oggettivo, non ritenendo la Corte il conferimento di quella onorificenza atto riconducibile alle supreme scelte in materia di costituzione, salvaguardia e funzionamento dei pubblici poteri.
Per altro verso, le S.U. hanno ritenuto la mancanza di specifici parametri giuridici protesi a riconoscere posizioni di vantaggio meritevoli di protezione e, a monte, rivolti a regolare il potere del consiglio comunale di conferire o meno un’onorificenza non destinata ad accrescere in alcun modo la sfera giuridica del destinatario.
Dopo avere ricordato l'art. 101 Cost., comma 2 il quale, nel fissare il principio della soggezione dei giudici soltanto alla legge, individua nella legge il fondamento e la misura del sindacato ad opera del giudice, le S.U. hanno chiarito che “in assenza di un parametro giuridico alla politica, il sindacato deve arrestarsi: per statuto costituzionale, il giudice non può essere chiamato a fare politica in luogo degli organi di rappresentanza. Lo preclude il principio ordinamentale della separazione tra i poteri. La "zona franca" è il riflesso della presenza di una politicità dell'atto che non si presta ad una rilettura giuridica. L'insindacabilità è il predicato di un atto non sottoposto dall'ordinamento a vincoli di natura giuridica. Ove, viceversa, vi sia predeterminazione dei canoni di legalità, quello stesso sindacato si appalesa doveroso. Il giudice, quale che sia il plesso di appartenenza, è non solo rispettoso degli ambiti di attribuzione dei poteri, ma anche, sempre per statuto costituzionale, garante della legalità, e quindi non arretra là dove gli spazi della discrezionalità politica siano circoscritti da vincoli posti da norme che segnano i confini o indirizzano l'esercizio dell'azione di governo. La giustiziabilità dell'atto dipende dalla regolamentazione sostanziale del potere. Se dunque esiste una norma che disciplina il potere, che ne stabilisce limiti o regole di esercizio, per quella parte l'atto è suscettibile di sindacato.”
Nel caso di specie le Sezioni Unite hanno escluso l’esistenza di specifici parametri giuridici protesi a riconoscere posizioni di vantaggio meritevoli di protezione che potessero giustificare la proponibilità in astratto dell’azione popolare intentata da alcuni cittadini del comune di Anguillara Veneta[19].
A tale conclusione tuttavia le Sezioni unite aggiungono, a mo’ di chiusura del loro ragionamento, la possibilità che l’atto di conferimento dell’onorificenza da parte del comune possa essere oggetto di sindacato giurisdizionale innanzi al giudice ordinario “in casi estremi (si pensi, per esempio, alla cittadinanza onoraria che venisse conferita ad una persona assolutamente indegna perché condannata per gravi crimini)” dovendo riconoscersi in simili casi la garanzia della giustiziabilità e dell'intervento del giudice comune.
5. La lettera di garanzia della Commissione adozioni internazionali e la sua natura, politica per il Consiglio di Stato -Cds.n.7250/2021 - soggetta al sindacato giurisdizionale secondo le S.U. civili - Cass. S.U., 26 settembre 2023, n.27177 -.
Quanto il fenomeno giuridico si presti a letture destinate a formarsi attraverso le risposte fornite dalla giurisdizione trova, di recente, assai plastica dimostrazione nella vicenda esaminata dalle Sezioni Unite civili in sede di ricorso per motivi di giurisdizione proposto da un’associazione che funge da intermediario fra i privati e lo Stato bielorusso, nell’espletamento dell’iter finalizzato all’adozione internazionale, ai sensi dell’art. 3 del Protocollo di collaborazione tra la Commissione per le Adozioni Internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana – presieduta dal Ministro per le pari opportunità - e il Ministero dell’Istruzione della Repubblica di Belarus in materia di adozioni dei cittadini minorenni della Repubblica di Belarus da parte dei cittadini della Repubblica Italiana.
Tale associazione aveva impugnato il silenzio-inadempimento della Commissione adozioni internazionali al rilascio della lettera di garanzia sul benessere dei minori adottandi prevista dall’art.9 del detto Protocollo[20].
Il giudice amministrativo, sia in primo che in secondo grado, aveva escluso la giustiziabilità del ricorso per difetto assoluto di giurisdizione, ritenendo la natura politica dell’atto ai sensi dell’art. 7, comma 1, c.p.a.). E ciò sia sotto il profilo - espresso dal TAR Lazio - connesso alle ragioni che avevano indotto il mancato invio della lettera di garanzia, connesse alla risoluzione del Parlamento europeo del 17 settembre 2020, con cui l’Unione europea dichiarava di non riconoscere Alexander Lukashenko quale Presidente della Bielorussia a causa delle violazioni del diritto internazionale commesse in occasione delle elezioni presidenziali. Sia anche, come specificato dal Consiglio di Stato nella sentenza n.7250/2021, cit., per il fatto che la stessa lettera di garanzia, inserendosi nell’ambito del Protocollo di collaborazione fra Stati, costituiva attuazione di un trattato internazionale, regolato dal diritto internazionale e concluso fra gli Stati-organizzazione (o Stati-governo), come tale non destinato a spiegare effetti tra le singole persone fisiche o giuridiche che fanno parte dello Stato-comunità[21].
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza n.27177/2023 hanno cassato la decisione del Consiglio di Stato sotto il profilo del difetto assoluto di giurisdizione, ritenendo per ciò irrilevante ai fini della decisione del ricorso la circostanza che medio tempore la Commissione adozione avesse dato corso alla lettere di garanzia ed hanno escluso che nel mancato rilascio della lettera di garanzia sul benessere dei minori ricorressero i tratti tipologici dell'atto politico.
Muovendo dal presupposto che la nozione di atto politico è di stretta interpretazione e ha carattere eccezionale, perché altrimenti si svuoterebbe di contenuto la garanzia della tutela giurisdizionale, che la Costituzione assicura come indefettibile e con i caratteri della effettività e della accessibilità, si sottolinea che “Il principio di giustiziabilità degli atti del pubblico potere, di soggezione del potere alla legge ogni qualvolta esso entra in rapporto con i cittadini, costituisce un profilo basilare della Costituzione italiana.” Ragion per cui “l'impugnabilità dell'atto è la regola: una regola orientata ad offrire al cittadino una concreta protezione della propria sfera soggettiva individuale contro le molteplici espressioni di potere in cui si concreta l'azione della pubblica amministrazione.”
Per le S.U. “La chiave di volta ai fini del giudizio di insindacabilità di un atto del potere pubblico è costituita, in generale, dalla mancanza di specifici parametri giuridici protesi a riconoscere posizioni di vantaggio meritevoli di protezione. Viene in rilievo, infatti, l'art. 101, secondo comma, Cost., il quale, nel fissare il principio della soggezione dei giudici soltanto alla legge, individua nella legge il fondamento e la misura del sindacato ad opera del giudice. Ciò significa che, in assenza di un parametro giuridico alla politica, il sindacato deve arrestarsi: per statuto costituzionale, il giudice non può essere chiamato a fare politica in luogo degli organi di rappresentanza. Lo preclude il principio ordinamentale della separazione tra i poteri. La "zona franca" è il riflesso della presenza di una politicità dell'atto che non si presta ad una rilettura giuridica. L'insindacabilità è il predicato di un atto non sottoposto dall'ordinamento a vincoli di natura giuridica. Il diritto vivente conferma la recessività della nozione di atto politico, che coincide con gli atti che attengono alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali.
La situazione muta radicalmente nei casi nei quali, invece, si rinvengano rispetto all’atto vincoli volti a circoscriverne gli spazi di discrezionalità posti da norme che disciplinano il potere, che ne stabiliscono limiti o regole di esercizio e che, dunque, rendono necessitato l’intervento del giudice. In queste ipotesi il giudice, proseguono le Sezioni Unite, “…quale che sia il plesso di appartenenza, è non solo rispettoso degli ambiti di attribuzione dei poteri, ma anche, sempre per statuto costituzionale, garante della legalità.”
Fatte queste premesse, le S.U. hanno escluso che il Protocollo di collaborazione tra la Commissione per le adozioni internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana e il Ministero dell’istruzione della Repubblica di Belarus in materia di adozione dei cittadini minorenni della Repubblica di Belarus da parte dei cittadini italiani abbia natura di trattato internazionale, invece contenendo mere disposizioni procedurali finalizzate a rendere fluida la comunicazione tra le autorità centrali dei due Paesi cooperanti in particolare circa il possesso da parte dei genitori adottandi di tutti i requisiti prescritti per l’adozione internazionale dalle norme vigenti e l’idoneità degli stessi a garantire il superiore interesse del minore in termini affettivi e di sostentamento.
Per tali ragioni le S.U. sono giunte alla conclusione che la lettera di garanzia non è atto politico, poiché non attiene alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali, né è “un atto libero nel fine, come tale riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici concernenti la costituzione, la salvaguardia o il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione.”
Le Sezioni Unite hanno poi escluso che la lettera anzidetta potesse esaurire i suoi effetti sul piano internazionale “senza dare vita nell’ordinamento nazionale a diritti soggettivi o interessi legittimi coercibili mediante la proposizione di questa o quella azione giurisdizionale da parte dei singoli.” Il Protocollo, là dove contempla la lettera di garanzia sul benessere dei minori adottanti, costituisce attuazione della disciplina nazionale in tema di cooperazione fra le autorità centrali in materia di adozioni - art. 39, comma 1, lettera a), della legge n. 184 del 1983, come modificata dalla legge n. 476 del 1998, di ratifica della Convenzione dell’Aja, e l’art. 6, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 108 del 2007 - ed è inserito in un reticolo di disposizioni di rango internazionale e nazionali che tendono a garantire il riconoscimento di una famiglia attraverso l’istituto dell’adozione internazionale ai minori che ne sono privi nello Stato di origine, purché ciò avvenga nel rispetto del superiore interesse dei minori.
In questa prospettiva, dunque, non solo il Protocollo non ha bisogno di essere trasformato nel suo contenuto normativo attraverso corrispondenti norme interne per far sorgere posizioni soggettive nel caso si riscontrino inadempimenti o inerzie lesive di interessi qualificati, ma coinvolge direttamente posizioni giuridiche soggettive tutelate al più alto rango della legislazione che non possono essere dunque lasciate prive di tutela giurisdizionale.
6. Il segreto di Stato, la sua natura intrinsecamente politica ed i suoi limiti (intrinseci)
La tendenza a ridurre l’ambito dell’insindacabilità delle scelte politiche si coglie forte - anche se questa volta più sul piano della giustizia sovranazionale; meno su quello interno - in tema di “sparizioni straordinarie”, nelle quali è stato coinvolto lo Stato italiano nella vicenda del sequestro di Abu Omar eseguito in territorio italiano da agenti della CIA[22].
La sentenza della Corte EDU resa il 23 febbraio 2016 (ric. n. 44883/09) nel caso Nasr e Ghali c. Italia, dopo avere ribadito – evocando espressamente la sentenza Cestaro c. Italia (Corte edu, 7 aprile 2015, ric. n. 6884/11), – che, «in materia di tortura o di maltrattamenti inflitti da parte di agenti dello Stato, l’azione penale non dovrebbe estinguersi per effetto della prescrizione, così come l’amnistia e la grazia non dovrebbero essere tollerate in questo ambito», lo stesso discorso valendo «per la sospensione condizionale dell’esecuzione della pena e nel caso di un indulto», non mancò di stigmatizzare i provvedimenti clemenziali adottati testualmente affermando che «malgrado il lavoro degli inquirenti e dei magistrati italiani, che ha permesso di identificare i responsabili e di pronunciare delle condanne nei loro confronti, le condanne in questione sono rimaste prive di effetto, a causa dell’atteggiamento dell’esecutivo, che ha esercitato il suo potere di opporre il segreto di Stato, e del Presidente della Repubblica (...). Nel caso di specie, il principio legittimo del “segreto di Stato”, evidentemente, è stato applicato allo scopo di impedire che i responsabili dovessero rispondere delle loro azioni. Di conseguenza l’inchiesta, seppur effettiva e approfondita, e il processo, che ha portato all’identificazione dei colpevoli e alla condanna di alcuni di loro, non hanno avuto l’esito naturale che, nella fattispecie, avrebbe dovuto essere “la punizione dei responsabili” (paragrafo 262, supra). Alla fine vi è stata dunque impunità» (corsivo aggiunto).
Dunque, l’impunità non poteva, agli occhi della Corte, prevalere sul segreto di Stato. Il bilanciamento che opera la Corte EDU è decisamente a favore dell’esigenza di verità[23] e giustizia. Ed è un bilanciamento operato rispetto a un crimine che ha violato il bene incomprimibile della dignità umana, in contrasto con l’art. 3 Cedu[24].
In definitiva, va crescendo sempre di più nella Corte edu il peso della verità nelle investigazioni quando sono in gioco i diritti fondamentali[25]. Prospettiva che aiuta a comprendere la posizione espressa dalla Corte costituzionale sul tema[26].
Si coglie, così in maniera evidente la tensione che pure anima la posizione della Corte costituzionale, fra gli interessi supremi dello Stato che sono incarnati dall’atto con il quale si appone il segreto di Stato e la non meno cogente necessità di far salvi i fondamenti stessi dell’ordine costituzionale. In questa prospettiva si spiega la parte finale del passo riportato della sentenza n.86, cit.[27] Ed è ancora una volta il confronto fra il diritto vivente nazionale e la giurisprudenza della Corte edu a costituire un ineludibile spunto di riflessione per il giurista.
7. L’atto politico e la questione migratoria
Il tema della politicità degli atti è tornato all’attenzione degli operatori giudiziari ed in particolare della giurisdizione del giudice ordinario, al quale spetta da tempo la verifica delle posizioni giuridiche soggettive qualificate come di diritto soggettivo in tema di espulsioni, rifugiati ed asilo -cfr.Cass.n. 1082/1999, Cass.S.U. n.907/1999, Cass.S.U. n.4674/1997 Cass.S.U. n.29459/2019[28] - in relazione alle vicende legate al tema delle migrazioni, ai provvedimenti adottati dal Governo sui c.d. porti chiusi[29] e alle condotte assunte da ONG per porre in salvo migranti accolti dopo il salvataggio in mare. Tema che riguarda in primo luogo la giurisdizione del giudice ordinario – civile e penale- e che si è intrecciato con le decisioni governative assunte in materia di chiusura dei porti, riguardando altresì la rilevanza delle condotte di esponenti delle ONG inosservanti dei divieti di attraccare, intimati dalle vedette della Guardia di Finanza[30].
Proprio nel contesto appena ricordato, nel quale si sono fronteggiate posizioni divaricate sulla liceità delle condotte inosservanti degli ordini impartiti dall’autorità governativa e/o militare[31], in dottrina non si è mancato di rilevare che «[l]'atto è politico se e perché non ha effetti lesivi per le persone: per cui gli effetti lesivi della decisione di Salvini nel caso Diciotti sono la dimostrazione che non si può trattare di un atto politico»[32]. Lo stesso Bin non ha mancato di sottolineare, sempre a proposito della vicenda della nave Diciotti[33], che se per raggiungere un obiettivo politico un ministro ordinasse un omicidio, si finirebbe per ripetere l’idea sostenuta da Mussolini rispetto all'omicidio Matteotti.[34] V’è tuttavia da rilevare che sul caso Diciotti il Senato della Repubblica, dopo la richiesta del Tribunale dei ministri di procedere nei confronti dell’allora Ministro degli Interni, non ha concesso l’autorizzazione a procedere, ritenendo che l’azione del Ministro fosse diretta alla salvaguardia dei superiori interessi dello Stato, giudicando l’operato del Ministro avente rilievo politico, così sottratto alla giurisdizione del giudice ordinario (penale nella specie)[35].
Ancora una volta non può disconoscersi l’estrema complessità e delicatezza del tema che coinvolge il limite dell’atto politico[36] e con esso quello del bilanciamento fra contrapposti diritti ed interessi di rilievo nazionale.
In questa prospettiva, merita di essere ricordata la conclusione raggiunta dal GIP presso il Tribunale di Catania nella sentenza n.422/2021 laddove è stato escluso che le condotte contestate all’imputato nella vicenda della nave Gregoretti potessero sussumersi nell’alveo degli atti politici poiché occorreva distinguere la politica governativa in materia di immigrazione dai singoli atti posti in essere dai Ministri in attuazione della stessa, soggetti al sindacato giurisdizionale - del g.a. e/o del g.o. - gli stessi incidendo su singole posizioni giuridiche in relazione alle diverse peculiarità dei casi nell’ambito dei quali venivano assunti -cfr. pag. 88 sent. cit.-
Per questo, secondo il GIP catanese “tutto ciò che sta a valle dell’indirizzo politico generale, vale a dire i singoli comportamenti omissivi o commissivi compiuti dagli esponenti politici del Governo, costituiscono una libera estrinsecazione del potere del singolo Dicastero … che vanno ad interessare i diritti e gli interessi legittimi dei singoli individui cui sono diretti. Per tale ragione non possono essere sottratti alla giurisdizione del giudice penale, in quanto debbono essere assoggettati ad un adeguato controllo, verificando se gli stessi siano aderenti alla legislazione vigente ed alla normativa primaria e secondaria scaturente dall’indirizzo politico assunto dal Governo” – cfr. pag.88 sent. ult. cit.-
In linea di continuità con questo indirizzo sembra porsi la decisione del Tribunale dei Ministri di Palermo, intervenuto nella vicenda della nave Open Arms - per la quale il processo penale è in corso - laddove ha ritenuto, per escludere la natura politica delle condotte ascritte agli imputati con riguardo alla mancata concessione dell’approdo in porto sicuro (POS) che “Alla luce di tali norme, considerate, come detto, jus cogens, il legittimo diritto dello Stato di proteggere i propri confini e di porre in atto tutte le misure necessarie per salvaguardare la sicurezza e la sanità sul territorio nazionale non può giammai attuarsi mediante un illegittimo respingimento collettivo, né può mai essere attuato mediante una violazione del generale obbligo giuridico di salvaguardare, sopra ogni cosa, l’incolumità della vita umana. Come, infatti, ha affermato la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, “le difficoltà nella gestione dei flussi migratori non possono giustificare il ricorso da parte degli Stati, a pratiche che sarebbero incompatibili con i loro obblighi derivanti da convenzioni. La Corte riafferma a questo proposito che l’interpretazione delle norme di convenzioni deve essere fatta con riguardo al principio della buona fede e all’oggetto e allo scopo del trattato, nonché alla regola dell’effetto utile” (v. sentenze Mamatkulov e Askarov; Hirsi c/ Italia). L’evidente contraddittorietà del provvedimento e la sua conseguente illegittimità non consentono, dunque, di ritenerlo idoneo a svincolare lo Stato italiano dalle responsabilità per lo stesso scaturenti dalle norme internazionali più volte richiamate; responsabilità, comunque, non più declinabili a seguito della sospensione degli effetti del provvedimento in parola. Conclusivamente deve affermarsi che la condotta omissiva ascritta agli indagati, consistita nella mancata indicazione di un POS alla motonave Open Arms, è illegittima per la violazione delle convenzioni internazionali e dei principi che regolano il soccorso in mare, e, più in generale, la tutela della vita umana, universalmente riconosciuti come ius cogens.” -cfr. Trib. Palermo, collegio per i reati ministeriali, 30 maggio 2020, pag.55 ss.-.
Sempre in questa prospettiva, merita di essere ricordata, questa volta sul versante delle questioni di giurisdizione, Cass., S.U., n.4873/2022. Le Sezioni Unite, nell’individuare la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie in cui vengano in gioco diritti fondamentali, nel caso di specie il diritto al distanziamento sociale nei confronti dei richiedenti asilo collocati nei centri di accoglienza straordinaria, quale corollario del diritto alla salute costituzionalmente tutelato ai sensi dell’art. 32 Cost., hanno ritenuto che “Non può condurre a diversi risultati, in punto di giurisdizione, la circostanza che l'attuazione del diritto al distanziamento sociale si inserisca nel sistema pubblicistico disegnato dal D.Lgs. n. 142 del 2015, poi integrato parzialmente dal D.L. n. 113 del 2018, all'interno di un compendio di misure volte a disciplinare, fra i centri di prima e di seconda accoglienza, appunto i Centri di accoglienza straordinaria riservati ai richiedenti asilo che, secondo la difesa erariale, involgerebbe "profili di elevata discrezionalità tecnica e amministrativa, caratteristici proprio della potestà organizzativa di qualsivoglia servizio pubblico”, in tal modo restringendo le maglie dell’asserita politicità di misure che, proprio nella misura in cui sono frutto del combinato disposto della normativa sanitaria emergenziale pandemica e di quella legata alla gestione dei centri di accoglienza, in sé emergenziale, presuppongono la loro sindacabilità da parte del giudice (in questo caso ordinario) per saggiarne la compatibilità proprio con detta normativa.
Sempre in materia di politica migratoria la questione della politicità o meno di atti del Governo assuma tratti peculiari, coinvolgendo temi divisivi nel dibattito politico, al pari di quanto accade in altri Paesi europei coinvolti da processi migratori.
Non è dunque un caso che in questa materia sono stati di recente oggetto di particolare attenzione, anche massmediatica, alcuni provvedimenti adottati dalle Sezioni specializzate in materia di protezione internazionale nelle quali l’autorità giudiziaria -Trib.Catania, 29 settembre 2023[37] - non ha convalidato in via definitiva, ovvero ha sospeso in via cautelare- Trib.Firenze, 4 ottobre 2023[38] - i provvedimenti di rimpatrio adottati dall’autorità amministrativa.
In questa prospettiva il decreto adottato dal Tribunale di Firenze che, appunto, ha ritenuto di non essere vincolato dalla nozione di paese sicuro ai sensi dell’art.2 bis del d.lgs.n.25/2008 fissata dal Ministero al fine di consentire provvedimenti di rimpatrio accelerato nel paese di origine- nella specie Tunisia-. Il giudice toscano ha ritenuto che gli elementi utilizzati dal Ministero degli affari esteri e delle cooperazione internazionale – di concerto con i Ministri dell’Interno e della Giustizia- per includere la Tunisia fra i paesi sicuri non avevano preso in considerazione ulteriori fatti attestanti l’involuzione autoritaria del paese e la crisi politici in atto, accertati da fonti internazionali rendendo il provvedimento impugnato carente sotto il profilo della motivazione.
8. Qualche considerazione conclusiva a cavallo fra atti politici e sentenze politiche. A) Il ruolo dell’ordine giudiziario a salvaguardia dei diritti e degli interessi delle persone rispetto all’atto politico (ed al potere).
Detto questo, dall’esame composito della giurisprudenza del giudice ordinario di merito e di quella delle Sezioni Unite della Corte di cassazione in sede di esame delle censure relative a questioni di giurisdizione sembra emergere un quadro tutto orientato a circoscrivere il concetto e gli effetti derivanti dall’insindacabilità dell’atto politico, correndo su un duplice versante.
Da un lato si è infatti a più riprese sottolineata l’assoluta incompatibilità fra insindacabilità e natura politica di un atto pur proveniente da organi di vertice dello Stato, quando esso sia comunque privo di quel carattere discrezionale correlato alla gestione degli interessi supremi dello Stato proprio perché attiene a vicende ed interessi che trovano, per converso, una disciplina normativa che elide l’assoluta insindacabilità dell’atto stesso, rendendo palese l'insussistenza di "alcuna libertà nell'individuazione degli interessi e dei fini pubblici che caratterizza gli atti politici"- Cass. S.U., n.10319/2016-.
Per altro verso, appare evidente la necessità di distinguere l’atto di matrice politica da come esso viene attuato dall’apparato istituzionale dello Stato, appunto sottolineandosi la diversità fra ciò che è “a monte” e ciò che sta “a valle” della scelta politica. Il che può forse sintetizzarsi con l’affermazione che un atto politico non può produrre conseguenze destinate a travolgere diritti fondamentali che dovessero risultare coinvolti purché correlati ad un quadro normativo dal quale anche gli organi supremi dello Stato non possono prescindere, anche quando adottano decisioni politiche.
In questa direzione, appaiono adamantine risultano le riflessioni di Zagrebelsky sopra richiamate nell’opinione dissenziente a proposito del caso Marković, destinate a valere ben al di fuori della vicenda che si è qui ricordata, esse potendo considerarsi una autentica pietra miliare per il dispiegarsi di un corretto rapporto fra fonti interne e CEDU.
Le stesse sembrano seguire un filo che può essere recuperato come se fosse, appunto, il filo di Arianna che il giudice nazionale deve cercare quando si confronta con il tema della politicità degli atti che impediscono la tutela anche sul piano risarcitorio dei diritti fondamentali garantiti ed incisi da quella manifestazione volitiva dello Stato[39].
In conclusione, la rassegna di casi giurisprudenziali qui proposta sembra dimostrare, per l’un verso, un andamento zigzagante che affonda le sue radici in diversi fattori.
Appare evidente come il sindacato sull’atto politico si sia evoluto proprio in ragione della nuova sensibilità verso la tutela dei diritti della persona che nasce non solo dal contesto e dall’evoluzione sociale, ma a monte da una sempre più consapevole considerazione del ruolo della Costituzione e delle Carte dei diritti, nell’interpretazione che i diritti viventi ne danno.
In questo senso, le decisioni delle Sezioni Unite del 2023 qui ricordate sembrano tracciare una linea di non ritorno da posizioni volte ad allargare i margini della politicità.
Ed in questa prospettiva la pronunzia delle S.U. nella vicenda della lettera di garanzia della Commissione adozioni contiene degli spunti di estremo interesse, soprattutto perché si pone in aperto contrasto con il giudice amministrativo che, nel caso di specie, aveva speso diverse energie nel sostenere la politicità dell’atto.
Vi è poi da registrare una particolare attenzione da parte dei giudici del merito, si è visto soprattutto con riguardo ai fenomeni migratori, nel circoscrivere l’insindacabilità di atti adottati a monte nelle politiche migratorie, salvo poi a valutare in concreto l’atto, sia sul piano civile che su quello penale, con esiti che prescindono dalla natura dell’atto ma appunto riportano il giudizio sul piano tecnico.
In questo contesto, come si è visto nelle decisioni sopra richiamate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono spesso chiamate, nel regolare la giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo, nonché nell’escluderla radicalmente in relazione all’assenza di tutelabilità della posizione giuridica fatta valere, ad affrontare questioni che solo apparentemente attengono alla giurisdizione, ma che più propriamente ineriscono alla configurazione della consistenza di posizioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi e/o interessi legittimi) e si innestano su scelte politiche più o meno tecnicamente intese[40]. Un ruolo che sembra essere ben più pregnante di quello di mero regolatore dei plessi giurisdizionali, andando ad incidere sul tessuto connettivo del sistema di giustiziabilità delle posizioni giuridiche soggettive.
8.1 Segue: B) Le sentenze “politiche”
Al di là delle valutazioni complessive che possono dunque esprimersi con riguardo al tema della politicità degli atti sul versante giurisprudenziale sembrano evidenti i rischi che la giurisdizione nel suo complesso corre all’atto stesso dell’esercizio delle funzioni allo stesso costituzionalmente attribuite che possono, come si è visto, condurla ad intercettare, nei percorsi di verifica di una condotta ai fini della sua rilevanza penale o del suo rilievo ai fini civilistici o amministrativi, scelte di natura politica adottate a livello interno e, quindi, ad adottare decisioni giurisdizionali che possono essere strumentalmente etichettate come di natura “politica” sol perché si confrontano con il tema della politicità degli atti prospettata al fine di paralizzarne, appunto, il sindacato.
Ciò che conduce a volte a fare ipotizzare che le sentenze che si occupano di tali ambiti, qualunque sia la soluzione adottata, sarebbero essere stesse “politiche” e dunque in grado di incrinare il ruolo di terzietà[41] ed indipendenza dell’ordine giudiziario.
Si tratta, a parere di chi scrive, di un nuovo fronte dei rapporti fra politica e magistratura nel quale, in termini generali, il confronto tocca direttamente il modo di operare del giudiziario, il suo giudicare, il suo modo di confrontarsi con le fonti, il modo con il quale esso intende il proprio rapporto con la Costituzione, le Carte dei diritti fondamentali, le giurisprudenze delle Corti sovra statuali.
Anche in tempi recenti si tende infatti a caldeggiare l’idea che le scelte del legislatore - soprattutto, si è visto, in materia migratoria - abbiano sempre una valenza politica sulla quale solo gli elettori e la politica potranno giudicare. Il che dovrebbe condurre alla conclusione che le sentenze in tali casi abbiano superato il “limite” entro il quale la giurisdizione ha la competenza per svolgere in modo corretto la propria funzione, proprio in ragione dell’insindacabilità dell’atto politico[42].
Analoghe considerazioni andrebbero fatte rispetto alla questione del segreto di stato, di guisa che reclamare la verità su fatti che hanno cagionato la lesione di diritti fondamentali delle persone finirebbe con realizzare una torsione del sistema democratico che, invece, si fonda anche sulla natura politica degli atti dei poteri sovrani, chiamati a rispondere del loro operato secondo le regole democratiche ma non davanti ad un giudice.
Come, dunque, il giudice comune può resistere all’accusa[43] di politicità del suo agire?
Soccorre, ancora una volta, la Costituzione che appunto attribuisce all’ordine giudiziario la “possibilità di resistenza” o, forse meglio, il “dovere di resistenza” rispetto ad atti che vadano ad incidere, danneggiandoli, su diritti della persona dotati di valenza costituzionale e sovranazionale che, ove esistenti e protetti, le scelte dell’esecutivo e dei Parlamenti non possono mai disattendere.
Ora, si è anche sostenuto in dottrina che questo controllo sui diritti fondamentali che permane anche rispetto alle decisioni di (apparente) natura politica sposti l’ago della bilancia fra legislatore e giudiziario in favore di quest’ultimo[44], permanendo pur sempre l’imperativo costituzionale di rispetto delle reciproche attribuzioni, in un clima di reciproca fiducia dei e tra i poteri.
Resta in ogni caso il dato inconfutabile che sta alla base non solo della divisione-separazione dei poteri ma, soprattutto, della centralità dei diritti fondamentali nell’impianto costituzionale e dunque della indispensabilità del controllo di garanzia, al quale ha opportunamente fatto riferimento Cass. S.U., n.27177/2023, cit.
Il giudice sta dunque lì a svolgere la sua funzione di guardiano indipendente, trovando nel diritto vivente delle Corti superiori nazionali e sovranazionali la linfa sulla quale orientare il proprio operato nell’interpretazione della legge[45].
E non occorre certo scomodare la dottrina dell’uso alternativo del diritto per giustificare tale agire del giudice, per vero gravido di incrostazioni di natura ideologica che hanno condotto sì in molti casi il giudice a far politica.
La stella polare del giudice dovrebbe piuttosto esprimersi con la formula dell’uso cooperativo del diritto.
Un uso che parte della Costituzione e fa dei giudici -di merito e di legittimità insieme a quelli sovranazionali in maniera assolutamente equiordinata - i garanti dell’applicazione della legge coerente con le Carte dei diritti fondamentali attraverso l’attività di interpretazione, costituzionalmente, convenzionalmente ed eurounitariamente orientata.
Proprio la materia migratoria costituisce un esempio lampante di quanto nella cassetta degli attrezzi del giudice trovino posto e rilievo sempre più marcato fonti di matrice UE, convenzionale ed internazionale che quel giudice “deve” sapere maneggiare con competenza ed accortezza. Attività che obbliga il giudice a scavare nel testo della norma, a ricercarne il senso, ad inserirla nel “contesto” nel quale è chiamata ad operare, sempre più complesso, proprio perchè “la norma giuridica … è regola di comportamento … collegata a tutte le altre che costituiscono, insieme e nel loro complesso, un sistema normativo dal quale essa ripete la sua forza od efficacia”.[46]
Attività di scavo[47] che può giungere alla disapplicazione in caso di contrasto con norme UE di immediata efficacia o di diritti fondamentali scolpiti nella Carte dei diritti fondamentali dell’UE, eventualmente preventivamente dialogando, in via obbligatoria o facoltativa, con la Corte di giustizia UE e/o con la Corte costituzionale, secondo le rime fissate dalla Corte costituzionale con i “seguiti” della sentenza n.269/2017[48]. Attività che nemmeno può rimanere impermeabile alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo[49] e che, anzi, reclama un pronto intervento legislativo volto alla ratifica del Protocollo n.16 annesso alla CEDU[50]. Tema che, ancora una volta rende evidente la necessità di una reciproca fiducia fra politica e magistratura, come si avrà modo di dire in seguito.
Un giudice chiamato, nello stato costituzionale, a “vegliare sulle possibili violazioni di quei principi”, adoperandosi in un’attività di restauro anche in via interpretativa della coerenza tra legislazione e costituzione[51]. Un giudice che caso per caso estrae, così, il senso e significato linguistico della norma attraverso l’evoluzione sociale[52] e giuridica che i diritti fondamentali in gioco seguono.
Insomma, un’attività ermeneutica complessa e attenta al dato normativo testuale inserito nel panorama complessivo delle fonti applicabili al caso, di qualunque rango siano soprattutto se attuative di diritti fondamentali[53] che non ha nulla di creativo, ma evoca l’idea della invenzione, nel significato che Paolo Grossi ha più di una volta esposto nei suoi scritti[54].
Certo, occorre intendersi.
Il confine su ciò che nell’ambito interpretativo va fatto e ciò che non va fatto è labile, difficile da individuare in vitro, occorre piuttosto un’analisi in vivo dei casi. In questa direzione di estremo rilievo appaiono i principi espressi da Cass. S.U., n.24413/2021 nei paragrafi 24,25,26,27 e 28, volti, per un verso, ad individuare il limite dell’attività interpretativa riconducibile al dato testuale in ciò risultando pienamente coerente con i principi più volte espressi dalla Corte costituzionale[55], senza tuttavia negare, ma anzi imponendo un’ermeneutica su base sistematica e storica della disposizione che non può prescindere, dunque, dal contesto normativo nel quale la disposizione è inserita prima di divenire norma.
Quanto appena detto può essere forse esemplificato con una vicenda che ha visto coinvolta la Corte di cassazione (Cass.-ord.- 230/2023), alle prese con una adozione legittimante disposta dal giudice di merito nei confronti di due bambini, vittime di un femminicidio da parte del loro stesso padre, dunque dichiarato decaduto dalla potestà genitoriale[56], autorizzate ad incontrare i nonni della famiglia di origine.
Orbene, la Corte costituzionale, con la sentenza n.183/2023 ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata ritenendo che era ben possibile offrire un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata di quel “testo”, rilevando che “l’evoluzione sociale e il dato dell’esperienza maturata con l’applicazione della disciplina, unitamente alle sollecitazioni provenienti dalla Corte EDU, oltre che da questa Corte e dal diritto vivente, hanno indotto il legislatore a rivedere, negli anni, l’assunto in base al quale l’adozione, in quanto auspicata rinascita del minore, debba immancabilmente implicare una radicale cancellazione del passato” (corsivo aggiunto).
Sicché, prosegue la Consulta, “l’intera trama normativa, nella quale si colloca il citato art. 27, terzo comma, offre già attualmente, per come si è evoluta nel tempo, indici ermeneutici che, orientati dai principi costituzionali, consentono di individuare situazioni nelle quali emerge un preminente interesse del minore a veder preservate relazioni socioaffettive con componenti della famiglia d’origine”.
Ecco, dunque, disvelato il compito ed il ruolo del giudice comune, sempre più rivolto a ribaltare gli automatismi legislativi che non consentono una soddisfacente valutazione della singola fattispecie concreta[57]. Sempre più coinvolto nel dialogo con le fonti sovranazionali ed il diritto vivente delle Corti chiamate “per legge” e “per Costituzione” a dare corpo e misura alle Carte dei diritti,
Si arriva, così, ancora una volta al nocciolo rappresentato dal significato che la legge ha nella sua applicazione pratica. Risultato al quale solo il giudice, nel processo ed in ciò coadiuvato dagli avvocati, può giungere per il tramite dell’interpretazione che alla legge occorre dare per trasformare la disposizione normativa astratta in norma applicabile al caso concreto.
Occorre dunque promuovere ed al tempo stesso salvaguardare un modello di un giudice che viva con consapevolezza, e con il senso - invero alto, molto alto - di responsabilità che gli è dovuto, direi quasi imposto, questo suo essere motore dei diritti e protettore dei diritti che ha consentito alla società del nostro tempo di raggiungere traguardi inimmaginabili che sono storia e patrimonio di diritti e di tutele e non storia di indebite supplenze. Questo in una prospettiva che non vede giudici alti e bassi, ma semplicemente giudici che cooperano con il legislatore nella tutela dei diritti.
E questo, va detto in modo chiaro e fermo, non per strizzare l’occhiolino alla forza politica di turno compiacente rispetto alla singola vicenda in gioco. Ma anzi, al contrario, per marcare la distanza netta ed invalicabile da qualunque politica rispetto al senso e ruolo della giurisdizione che per questo deve necessariamente apparire impermeabile a qualsiasi pre-orientamento di natura ideologica.
Serve dunque essere sempre e comunque giudici contromaggioritari per il tramite della Costituzione[58] nella tutela delle minoranze, degli ultimi, dei più vulnerabili come si addice ad una giurisdizione matura, consapevole di essere per Costituzione “garante e custode dei diritti” che si agitano in giudizio – su un piano per questo concorrente con la Corte costituzionale[59] - e che per questo è tenuta per Costituzione a rimuovere le “zone franche” del diritto, a comprimere o meglio ad escludere la ricorrenza della politicità degli atti di governo ed a farne applicazione recessiva quando in gioco si prospettano diritti fondamentali protetti da leggi e trattati internazionali-cfr. Cass. S.U., n.15601/2023, Cass. S.U., n.27177/2023-.
Un giudice che non fa, per questo, politica, ma semplicemente e solo il proprio “mestiere” che è anche quello di fare “respirare” la Costituzione, ripetendo la bella espressione utilizzata da Giovanni Amoroso[60], quando essa entra in gioco nelle contese fra le parti e.
I provvedimenti giurisdizionali, proprio perché non liberi nei fini e, quindi non politici, sono sottoposti ad una verifica di conformità alla legge piena che si compendia nel sistema interno di impugnazioni teso ad eliminare l’errore giudiziario, affidato ad autorità statali giurisdizionali diverse ma anch’esse poste in posizione di neutralità ed indipendenza.
Ogni provvedimento giurisdizionale, per altro verso, è oggetto di studio e critica “esterna” da parte della comunità sociale, di quella scientifica e di tutte le forze politiche. Diritto di critica pieno, di matrice anch’esso costituzionale, che appare però fuori bersaglio quando la critica scende sul piano politico, a meno che si prospetti un vero e proprio conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato. Il che è peraltro accaduto nella dolorosa vicenda giudiziaria di Eluana Englaro, con gli esiti a tutti noti[61]. Il che val quanto dire che la politica non può indicare alla giurisdizione le linee interpretative che essa deve utilizzare per svolgere il proprio ruolo nell’interpretazione delle leggi e nell’attuazione/applicazione della Costituzione e dei diritti fondamentali, essa piuttosto potendo e dovendo dialogare fuori dalle singole vicende giudiziarie con la giurisdizione in quanto essa stessa elemento centrale ed indispensabile del sistema democratico e, per questo, parte attiva e pulsante di quel sistema che, appunto, vede al centro della Costituzione la persona ed i diritti che ad essa fanno capo.
9. Indipendenza e fiducia come pilastri del rapporto politica-magistratura
Sembrano essere, in conclusione, due i binari che possono aiutare l’operatore a districarsi nel complicato mondo dell’atto politico e della “politicità” delle sentenze.
Per un verso, vi è il concetto di indipendenza attorno al quale l’ordine giudiziario deve continuare a ruotare[62], forte del giusto rilievo che anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE è ripetutamente tornata a sottolineare. Si è dunque ricordato che la garanzia di indipendenza dei giudici nazionali è essenziale per il buon funzionamento del sistema di cooperazione giudiziaria costituito dal meccanismo del rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 267 TFUE, presupponendo che l’organo eserciti le sue funzioni giurisdizionali in piena autonomia, senza vincoli gerarchici o di subordinazione nei confronti di alcuno e senza ricevere ordini o istruzioni da alcuna fonte, e che esso sia quindi tutelato da interventi o pressioni dall’esterno idonei a compromettere l’indipendenza di giudizio dei suoi membri e ad influenzare le loro decisioni[63].
Con l’indipendenza dei giudici la Corte UE guarda in realtà al controllo giurisdizionale, autentica “garanzia prima” dello Stato di Diritto e dell’effettività della tutela dei diritti fondamentali, disegnando una triangolazione che trova il suo quadro giuridico di riferimento negli art.2 TUE, art.19 TUF e 47 della Carta UE-. Preminenza del diritto, rispetto dei diritti fondamentali ed indipendenza delle Corti costituiscono un’endiadi e non possono che andare di pari passo.
Il requisito dell’indipendenza dei giudici attiene dunque al contenuto essenziale del diritto fondamentale a un equo processo, che riveste importanza capitale, quale garanzia della tutela dell’insieme dei diritti derivanti al singolo dal diritto dell’Unione e della salvaguardia dei valori comuni agli Stati membri enunciati all’articolo 2 TUE, segnatamente, del valore dello Stato di diritto. L’Unione è, infatti, un’Unione di diritto in cui i singoli hanno il diritto di contestare in sede giurisdizionale la legittimità di ogni decisione o di qualsiasi altro provvedimento nazionale relativo all’applicazione di un atto dell’Unione nei loro confronti.
Il piano dell’indipendenza è per altro verso consustanziale alla continua opera di costruzione di un sistema normativo ispirato alla protezione dei diritti della persona che i giudici hanno il dovere - di matrice costituzionale - di garantire senza condizionamenti di sorta proprio per l’obbligo di fedeltà ai valori costituzionali ai quali essi stessi sono tenuti (art.54 Cost.), in una prospettiva volta a perseguire il “metaprincipio” della massimizzazione delle tutele[64].
Quando i diritti fondamentali della persona garantiti dall’ordinamento sono incisi da un atto – apparentemente - politico che li vulnera, l’intervento giudiziario rappresenta la garanzia stessa della democrazia.
Principi questi ultimi che sono stati pienamente recepiti, proprio grazie al dialogo fra le Corti, dalla giurisprudenza della Corte edu in vicende che hanno riguardato magistrati polacchi[65], confermando l’idea di un circolo ermeneutico – di gadameriana memoria - che, ormai, lega in modo indissolubile le Corti nazionali e sovranazionali.
L’altro caveat che si pone rispetto all’atto politico è rappresentato dallo stesso concetto di stato di diritto al quale si è già accennato, inteso come “il ponte più solido verso l’eterno processo di ricerca della verità”[66]. Oggi “l’idea di giustizia […] esige una proiezione del rule of law a livello transnazionale ed internazionale, a vantaggio soprattutto del ruolo dei giuristi e dei giudici. Il diritto non è fatto solo di regole, ma anche di dottrina, di giurisprudenza e di princìpi pratici”[67].
Peraltro, la circostanza che, a volte, la giurisprudenza nazionale, anche a Sezioni Unite e quella della Corte edu sopra ricordate abbiano a volte assecondato una prospettiva esattamente contraria a quella improntata alla salvaguardia dei diritti fondamentali, costituisce un forte monito rivolto a tutti gli operatori giudiziari, affinché essi siano a tal punto indipendenti da sapere improntare il proprio operato, anche alla luce dei più recenti sviluppi giurisprudenziali maturati all’interno delle S.U., all’ombra del faro dei diritti fondamentali. Prospettiva, quest’ultima, imprescindibile tanto ieri come oggi, essa costituendo la base stessa delle democrazie moderne.
Per questo piace qui concludere queste riflessioni con quanto ricordato da Cass., S.U. 15601/2023 a proposito della funzione di garante della giustiziabilità dei diritti che deve essere comunque salvaguardata in favore del giudice comune “…non per esercitare un sindacato su un atto di per sé normalmente improduttivo di effetti nella sfera giudica di soggetti terzi, ma per sanzionare le conseguenze di un fatto illecito, perché offensivo di quel comune sentimento di giustizia rappresentato dal tessuto di principi attraverso i quali si esprimono, secondo la Costituzione, le condizioni della convivenza, in relazione ai valori della persona e delle libertà democratiche.”
La strada che si pone davanti è sicuramente complessa e complicata e potrà dunque trovare solidi punti di riferimenti solo se si pratica nei fatti un’idea condivisa di fiducia reciproca[68] e di cooperazione fra poteri dello Stato sul quale altra volta ci è capitato di riflettere. Prospettiva che sembra a volte utopica ma che, proprio per questo deve essere coltivata, alimentata e praticata da chi esercita in modo responsabile le funzioni dello Stato, siano essere politiche che giurisdizionali[69].
*Intervento svolto all’interno del panel dedicato a Atto politico e diritti fondamentali, svolto al congresso nazionale di ICON-S Italia svoltosi a Milano presso l’Università Bocconi il giorno 14 ottobre 2023, coordinato dal Prof. Antonio Ruggeri al quale hanno preso parte i Professori Camela Panella, Oreste Pollicino, Stefano Agosta e Anna Mastromarino.
[1] G. Tropea, Biopolitica e diritto amministrativo del tempo pandemico, Napoli, 2023, 351 ss.; G. Montedoro, L’atto politico e l’atto di alta amministrazione, Costituzione e ruolo del GA, in Giustiziainsieme, 11 ottobre 2023.
[2] Piano teorico sul quale si può rinviare, anche per i principali riferimenti bibliografici, agli Autori già ricordati alla nota 1.
[3] Cfr. B. G. Mattarella, L’attività, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Milano, 2000, t.I, 675.
[4] L'atto politico si collega al concetto d'indirizzo politico e di attività di governo, e si caratterizza a seconda della nozione che si accolga per definire l'indirizzo politico; così correttamente Grottanelli De' Santi, in Atto politico e atto di governo, in Enc. giur., IV, 1988. In merito all'evoluzione dottrinale sull'atto politico v. G. Di Gaspare, in Considerazioni sugli atti di governo e sull'atto politico, Milano, 1984.
[5] Così A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984, 14; sul punto cfr., anche, E. Cheli, Atto politico e funzione d'indirizzo politico, Milano 1961.
[6] V.G. B. Garrone, Atto politico (disciplina amministrativa), in Digest. disc. Pubb., I, Torino, 1987, 548; B. G. Mattarella, op.cit., 676, che nelle note al testo enumera i precedenti della giurisprudenza amministrativa che hanno escluso il carattere politico di atti sottoponendoli quindi al sindacato giurisdizionale. Diversamente, Cons. Stato sez.III, 28 marzo 1986 n.1167, in Foro amm.,1986,2854 ha ritenuto che gli atti del CIPI e del Ministro per le partecipazioni statali che dettano direttive in ordine all’acquisizione o allo smobilizzo di imprese relativamente al comparto pubblico dell’economia, attenendo alla sfera del pubblico interesse, insito della definizione delle linee di politica economica nell’esercizio della suprema funzione di governo, non sono in grado di fondare posizioni giuridicamente tutelabili di terzi.
[7] Cfr., fra le altre, Cass.n.16328/2018, ove si afferma che “Sulla nozione di atto politico si deve fare riferimento alla giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo la quale "alla nozione legislativa di atto politico concorrono due requisiti, l'uno soggettivo e l'altro oggettivo: occorre da un lato che si tratti di atto-provvedimento emanato dal governo, e cioè dall'autorità amministrativa cui compete la funzione di indirizzo politico e di direzione al massimo livello della cosa pubblica; dall'altro, che si tratti di atto provvedimento emanato nell'esercizio del potere politico, anziché nell'esercizio di attività meramente amministrativa (Consiglio di Stato, sezione quarta, 4 maggio 2012, numero 2588), ovverosia debba riguardare la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione" (v. Consiglio di Stato, sezione qua, 18 novembre 2011 numero 6083; Consiglio di Stato, sezione quarta, 12 marzo 2001 numero 1397; Consiglio di Stato, 8 luglio 2013 numero 3609).
[8] V. Cass., S.U., 8 gennaio 1993 n°124, in Giust. civ. 1993, I, 1525; v. anche Cass. 11 ottobre 1995 n.10617, in Foro it. 1996, I, 503, anche in Danno e resp. 1996, 78, ove si afferma che di fronte all’esercizio del potere politico non sono configurabili situazioni soggettive protette dei singoli.
[9] Secondo la Corte costituzionale (sentenza n. 81 del 2012) "…gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall'ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto".
[10] Sulla pronunzia indicata nel testo v., fra gli altri, A. Ruggeri, Confessioni religiose e intese tra iurisdictio e gubernaculum, ovverosia l’abnorme dilatazione dell’area delle decisioni politiche non giustiziabili (una prima lettura di Corte cost. n. 52 del 2016, in Federalismi, n. 7/2016, 30 marzo 2016.
[11] Cass., S.U., n. 16305 del 2013 ritenne di escludere la natura politica della deliberazione del Consiglio dei Ministri che, ai sensi dell'art. 2, co. 3, lett. l), della L. n. 400 del 1988, rifiuti l'apertura della trattativa a cagione della non qualificabilità confessionale e religiosa dell'associazione richiedente (nella specie, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) In tema di intese tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica, di cui all'art. 8, terzo comma, Cost., ritenendo che l'interesse fatto valere dall'istante trovasse fondamento nei precetti costituzionali che fondano i diritti di libertà religiosa- v., però, successivamente, Corte cost.n.52/2016 che ha accolto il conflitto di attribuzioni proposto dal Governo nella medesima materia. Ma sulla portata della sentenza della Corte costituzionale occorre rinviare all’approfondimento di Stefano Agosta dedicato a “Le ragioni della politici ed i limiti della Costituzione: il singolare destino dell’atto politico nella più recente giurisprudenza costituzionale” all’interno del medesimo panel svolto presso l’Università Bocconi per Icons -; v. ancora, Cass., S.U.; n. 21581 del 2011; Cass., n. 10416 del 2014; Cass. n. 10319 del 2016; Cass. n. 3146/2018.
[12] Sulla base di tali premesse è stato ritenuto che la deliberazione del Consiglio dei Ministri, emessa in esito allo specifico procedimento indicato dalla L. n. 241 del 1990, art. 14-quater non abbia i requisiti per esser considerata atto politico, essendo, al contrario, la stessa espressamente qualificata come un atto di alta amministrazione in seno al comma 3, di detta norma, come modificato dal D.L. n. 133 del 2014, art. 25 convertito con modificazioni dalla L. n. 164 del 2014, rimanendo la delibera anzidetta - che costituisce espressione del potere amministrativo espressione del Consiglio dei Ministri in sede di conferenza di servizi - soggetta al sindacato giurisdizionale.
[13] Sempre le Sezioni Unite della Cassazione avevano affermato che l'attività militare in senso stretto svolta in Italia dagli organi della N.A.T.O. attuata ai fini della tutela della sovranità degli Stati aderenti al Patto attiene alla sfera del diritto pubblico, si qualifica come jure imperii e determina il difetto della giurisdizione del giudice italiano rispetto ai giudizi che la investano in modo diretto ed immediato -Cass. S.U., 2 marzo 1964 n. 467; Cass. S.U. 13 maggio 1963 n. 1178; Cass., S.U. 17 ottobre 1955 n. 3223-.
[14] Le amministrazioni dello Stato convenute eccepirono il difetto assoluto di giurisdizione e, nel successivo regolamento preventivo di giurisdizione, sostennero che l’azione non era proponibile innanzi al giudice italiano, essendo lo Stato italiano chiamato in causa nella sua unitaria e specifica soggettività di diritto internazionale. Aggiungevano che nemmeno la giurisdizione poteva radicarsi alla stregua della Convenzione di Londra del giugno 1951, poiché l’art. VIII riguardava soltanto i danni causati dallo Stato di soggiorno. Il Procuratore Generale della Cassazione concluse nel senso che col regolamento di giurisdizione si era inteso impropriamente contestare l’esistenza nell’ordinamento giuridico italiano di norme e principi che astrattamente contemplassero la posizione di diritto soggettivo fatta valere in giudizio, ivi prospettando dunque inammissibilmente questioni di merito e non di giurisdizione.
[15] Giova ricordare che un’azione per molti aspetti sovrapponibile a quella ora ricordata venne intentata dagli eredi e aventi causa delle vittime di un bombardamento NATO che aveva colpito, il 30 maggio 1999, la cittadina serba di Varvarin, situata a 180 Km a sud di Belgrado, distruggendo un ponte sul fiume Mortava e causando la morte ed il ferimento di diversi civili. Anche in quell’occasione le istanze giudiziarie promosse dagli eredi delle vittime innanzi alla giustizia tedesca prospettando la violazione del diritto internazionale umanitario non ottennero alcun risultato favorevole, nemmeno innanzi alla Corte costituzionale federale -.V. Focarelli, Lezioni di diritto internazionale, vol. II - Prassi, Padova, 2008, 91 ss.-. In tale occasione la Corte costituzionale federale, con sentenza del 2 novembre 2006, riconobbe in astratto il diritto delle persone di far valere posizioni giuridiche soggettive riconosciute allo stesso dal diritto internazionale proprio in ragione della prestatualità della dignità umana e della sua protezione, ma escluse che dall’art.3 della Convezione dell’Aja sulle leggi e usi della guerra terrestre del 18 ottobre 1907 e dall’art.92 del I Protocollo dell’8 giugno 1977 sulla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, discendesse un diritto self-executing al risarcimento per la violazione del diritto internazionale umanitario azionabile dai singoli dinanzi ai giudici statali. Analoga soluzione venne adottata in anni successivi in altra pronunzia del 13 agosto 2013 della medesima Corte costituzionale federale tedesca -https://www.bundesverfassungsgericht.de/SharedDocs/Entscheidungen/DE/2013/08/rk20130813_2bvr266006.html. Per l’abstract in lingua inglese v. https://www.bundesverfassungsgericht.de/SharedDocs/Entscheidungen/EN/2013/08/rk20130813_2bvr266006en.html.Ringrazio il Prof. Marongiu Bonaiuti per avermi fornito gli estremi delle pubblicazioni dei provvedimenti resi dalla giurisprudenza tedesca.
[16] Sulla sentenza delle S.U. indicata nel testo v., tra i tanti, i commenti di P. De Sena, Immunità degli Stati della giurisdizione e violazioni di diritti dell'uomo: la sentenza della Cassazione italiana nel caso Ferrini, in Giur.it., 2005, 250; R. Baratta, L'esercizio della giurisdizione civile sullo Stato straniero autore di un crimine di guerra, in Giust. civ., 2005, I, 1191. La sentenza indicata nel testo assume peculiare rilievo nell’ambito delle riflessioni che ruotano attorno ai limiti della giurisdizione nazionale rispetto alle immunità degli Stati per crimini contro l’umanità e si lega ai seguiti rappresentati da Cost. n.238/2014 e, recentemente, n.153/2023 che non possono in questa sede esaminarsi.
[17] La Corte edu non mancò peraltro di sottolineare l’erroneità dei passaggi motivazionali con i quali Cass. S.U. n.8157/2002 aveva sostenuto la natura programmatica della CEDU, osservando che “in virtù dell’art.1… l’applicazione e la consacrazione dei diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione spettano in primo luogo alle autorità nazionali. Il meccanismo di ricorso davanti alla Corte riveste dunque un carattere sussidiario in rapporto ai sistemi di salvaguardia dei diritti dell’uomo”.
[18] Dopo avere precisato che al centro dell’istituzione della Corte edu vi era stata, come ricordato nel suo discorso all’Assemblea parlamentare il 19 agosto 1949, da P. H. Teigten, l’esigenza di ridurre la prima minaccia alla libertà rappresentata dalla “eterna ragione di Stato” che aleggia sempre là come perenne tentazione, Zagrebelsky non manca di stigmatizzare la decisione della Corte di Cassazione allorché aveva affermato che “alle funzioni di tipo politico non si contrappongono situazioni soggettive protette”. Secondo Zagrebelsky “le funzioni politiche e i diritti individuali non possono, pertanto, coesistere, dato che non si possono esercitare dei diritti in relazione ad atti politici.” La conclusione alla quale era giunto il giudice di legittimità risultava pertanto incompatibile con la Convenzione “…e almeno equivoca in base al diritto nazionale, come riflesso nelle relative disposizioni della Costituzione (vedi paragrafo 20 della sentenza), per il fatto che il campo di applicazione dell’articolo 31 del Decreto n. 1024 è limitato alla sola giurisdizione amministrativa con poteri di riesame (Consiglio di Stato), in assenza di esempio tra le sentenze della Corte di Cassazione citate dal Governo, di una situazione comparabile a quella ottenuta nel caso di specie (vedi paragrafo 100 della sentenza). La decisione della Corte edu era quindi criticabile poiché anche se i ricorrenti hanno avuto accesso ai tribunali italiani, ciò era accaduto solo “per farsi dire che né i tribunali civili né un altro tribunale italiano avevano giurisdizione per udire il loro ricorso.” Ed aggiunge ancora che “La Corte di Cassazione ha pertanto ristretto per tutti i fini pratici la portata del diritto generale al risarcimento contenuto nell’articolo 2043 del Codice civile. Inoltre, a differenza dei tribunali interni del ricorso Z e Altri, essa non ha ponderato i concorrenti interessi in gioco e non ha tentato di spiegare perché nelle specifiche circostanze del ricorso dei ricorrenti il fatto che l’atto contestato fosse di natura politica avesse annullato la loro azione civile. È facile vedere come la natura discrezionale – a volte completamente discrezionale – degli atti politici o di governo può condurre all’esclusione di qualsiasi diritto di contestarli. Il punto è, dunque, che per essere compatibile con il principio dello stato di diritto e il diritto di accesso ai tribunali insito in esso, la portata dell’esclusione non può chiaramente estendersi oltre i limiti stabiliti nelle norme giuridiche che disciplinano e circoscrivono l’esercizio delle relative attribuzioni governative (atto di governo). Il predetto fine legittimo non può oltrepassare il campo della discrezione che l’autorità governativa ha il diritto di esercitare entro i limiti imposti dalla legge. Nel ricorso di specie, i ricorrenti hanno sostenuto nei tribunali nazionali che le azioni delle autorità italiane avevano violato le norme del diritto interno e del diritto consuetudinario internazionale in materia di conflitti armati. Così facendo, essi hanno sollevato la questione dei limiti da porre alla nozione di una “ragione di stato” libera da qualsiasi controllo giudiziario. Se, dunque, era preoccupante che né la Corte di Cassazione né la Corte EDU avessero fornito una definizione di che cosa potesse qualificarsi come “atto di governo” o “atto politico” da ciò sarebbe conseguito che “…qualsiasi atto di un’autorità pubblica sarà, direttamente o indirettamente, il risultato di una decisione politica, che essa sia generale o specifica nel contenuto. In definitiva, la Corte di Cassazione è pervenuta a questa conclusione senza tenere conto della natura della richiesta proposta dai ricorrenti: essa non riguardava direttamente la partecipazione dell’Italia al conflitto armato della NATO e il loro fine non era l’annullamento di un atto di governo. Esso era semplicemente ottenere il risarcimento per le remote conseguenze dell’atto politico in questione, conseguenze che erano puramente potenziali e non collegate alla finalità degli atti. Nonostante la natura generale del diritto esposto nell’articolo 2043 del Codice civile italiano, la Corte di Cassazione ha infine rifiutato di accettare che nel diritto interno un giudice italiano avesse giurisdizione per udire le pretese dei ricorrenti, solamente perché la decisione di partecipare alle suddette operazioni militari era di natura politica. La Corte di Cassazione è andata perciò oltre ogni legittimo fine che può essere riconosciuto alla dottrina dell’atto politico e ben oltre ogni proporzionalità.” Concludeva pertanto il giudice dissenziente, esprimendo il proprio rammarico a che “la maggioranza della Corte abbia accettato una soluzione che colpisce le fondamenta stesse della Convenzione”.
[19] In definitiva, l’atto impugnato con l’azione popolare non è stato ritenuto idoneo a incardinare un'effettiva vicenda giuridica soggettiva, risultando la concessione della cittadinanza onoraria disposta dal consiglio comunale sulla base del regolamento interno ma in assenza di una norma primaria che ne delimitasse il contenuto e, dunque, nell'ambito di un'attività libera ed autonoma in quanto non regolata da alcuna norma di legge e conferente nient’altro che un titolo onorifico avente natura puramente simbolica, come tale inidonea ad accrescere o ledere la sfera del destinatario. Per tali ragioni, l’atto impugnato dai ricorrenti senza che nemmeno fosse stata prospettata una loro differenziata posizione giuridica soggettiva non giustificava alcuna tutela giurisdizionale da parte del cittadino elettore “che, sulla base delle proprie convinzioni ideali o della appartenenza politica, dissenta dalla deliberazione del consiglio comunale attributiva della civica benemerenza ad una personalità che egli ritenga non meritevole dell'onorificenza, ha, a propria disposizione, gli strumenti delle libertà costituzionali, dei diritti fondamentali, della democrazia e del pluralismo, in un contesto che assegna alla loro garanzia, promozione e tutela una dimensione anche internazionale e sovranazionale. Egli ha il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, in un sistema che assicura la libertà di stampa e il pluralismo delle fonti di informazione e delle notizie; può sollecitare, con petizioni o campagne di sensibilizzazione, la revoca del beneficio; ha il diritto di riunirsi ed associarsi con altri per collaborare in vista di uno scopo comune; ha il diritto di partecipare attivamente alla vita di un partito o all'azione politica, per concorrere a determinare la politica nazionale o del Comune in cui vive; ha il diritto di esercitare il diritto di voto, che è anche un dovere civico.”
[20] L’Associazione lamentava che la Commissione aveva omesso di trasmettere tempestivamente alla controparte bielorussa l’elenco aggiornato dei cittadini italiani che aspiravano ad adottare i minori bielorussi, corredato della lettera di garanzia sul benessere dei minori adottandi diretta al Presidente della Repubblica di Belarus, firmata dai vertici della Repubblica Italiana.
[21] Sicché, secondo tale prospettiva, gli atti e le condotte del detto Protocollo riguardavano “obblighi” sul piano internazionale, inidonei a configurare nell’ordinamento nazionale diritti soggettivi o interessi legittimi – di natura anche solo pretensiva - coercibili e/o suscettibili di tutela giurisdizionale e destinati ad esaurire i loro effetti diretti sul versante dei rapporti fra Stati sul piano del solo ordinamento (di diritto) internazionale. Il piano delle relazioni internazionali sul quale andava ad incidere l’atto non emanato costituiva un ambito non giuridicamente predeterminato e libero nei fini, in ogni caso riservato ad un organo collocato al livello apicale della Repubblica.
[22] Per il leading case in materia di extraordinary renditions nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo (Corte Edu [GC], El-Masri c. ex-Repubblica yugoslava di Macedonia, 13 dicembre 2012), si veda, di recente, D. Bacis, Il diritto alla verità nel dialogo tra Corti. Roma accoglie le suggestioni di San José de Costarica, in Dir. pubbl. comp. eur. (online), n. 2/2018, p. 596.
[23] Quest’esigenza di verità viene sottolineata a più riprese da Armando Spataro, che del processo contro gli autori del sequestro di Abu Omar è stato uno dei principali artefici, nel suo libro Ne valeva la pena. Storie di terrorismi e mafie. Di segreti di Stato e di giustizia offesa, Laterza, Roma-Bari, 2010, pp. 205 ss.
[24] V. di recente, in dottrina, l’interessante approfondimento sul tema di D. Bacis, Il diritto alla verità, op. cit., pp. 593 ss. L’Autore affronta in modo approfondito alcuni casi esaminati dalle due Corti dei diritti umani, operando un’analisi assai interessante.
[25] Testimonianza nitida di quanto affermato si rinviene nelle sentenze della Corte Edu, Abu Zubaydah c. Lituania, 31 maggio 2018, par. 610, e Al Nashiri c. Romania, 31 maggio 2018, par. 641, ove si è specificamente ritenuto che «where allegations of serious human rights violations are involved in the investigation, the right to the truth regarding the relevant circumstances of the case does not belong solely to the victim of the crime and his or her family but also to other victims of similar violations and the general public, who have the right to know what has happened. An adequate response by the authorities in investigating allegations of serious human rights violations may generally be regarded as essential in maintaining public confidence in their adherence to the rule of law and in preventing any appearance of impunity, collusion in or tolerance of unlawful acts. For the same reasons, there must be a sufficient element of public scrutiny of the investigation or its results to secure accountability in practice as well as in theory (see El-Masri, cited above, §§191-192; Al Nashiri v. Poland, cited above, § 495; and Husayn (Abu Zubaydah) v. Poland, cited above, § 489, with further references to the Court’s case-law)».
[26] Giova infatti rammentare che nella sentenza n.86/1977 della Corte costituzionale viene definito il segreto di Stato come “il supremo interesse della sicurezza dello Stato nella sua personalità internazionale, cioè l'interesse dello Stato-comunità alla propria integrità territoriale, alla propria indipendenza e, al limite, alla stessa sua sopravvivenza. Tale interesse - si è aggiunto - è presente e preminente su ogni altro in tutti gli ordinamenti statali, quale ne sia il regime politico, e trova espressione, nel nostro testo costituzionale, nella formula solenne dell'art. 52, che afferma essere sacro dovere del cittadino la difesa della Patria … si può, allora, parlare della sicurezza esterna ed interna dello Stato, della necessità di protezione da ogni azione violenta o comunque non conforme allo spirito democratico che ispira il nostro assetto costituzionale dei supremi interessi che valgono per qualsiasi collettività organizzata a Stato e che, come si è detto, possono coinvolgere la esistenza stessa dello Stato. In tal modo si caratterizza sicuramente la natura di questi interessi istituzionali, i quali devono attenere allo Stato-comunità e, di conseguenza, rimangono nettamente distinti da quelli del Governo e dei partiti che lo sorreggono. È solo nei casi nei quali si tratta di agire per la salvaguardia di questi supremi, imprescindibili interessi dello Stato che può trovare legittimazione il segreto in quanto mezzo o strumento necessario per raggiungere il fine della sicurezza. Mai il segreto potrebbe essere allegato per impedire l'accertamento di fatti eversivi dell'ordine costituzionale” (enfasi aggiunta n.d.r.).
[27] G. Ruta, Il segreto di Stato nella giurisprudenza costituzionale e di legittimità (Scuola della Magistratura - Firenze 21.4.2022), in https://www.scuolamagistratura.it/documents/20126/71a01c4f-b675-7154-e2a1-a5d6aad79965.
[28] V., diffusamente, sul tema, G. Tropea, Biopolitica e diritto amministrativo del tempo pandemico, cit., 285 ss. anche in chiave critica sul riparto di giurisdizione in materia in atto delineato dalle S.U. della Cassazione.
[29] L. Brunetti, Ancora sulla insindacabilità degli atti politici ministeriali. Può davvero una legge costituzionale permettere la violazione dei diritti fondamentali?, cit.; A. Morelli, Cosa rischia Salvini? Cosa rischia il Paese?, in www.lacostituzione.info, 25 agosto 2018. A. Spataro, L’immigrazione tra sicurezza e diritti, spec.par.6, di imminente pubblicazione su in I diritti dell’uomo. Cronache e battaglie.
[30] Cfr. Il ricorso della Procura di Agrigento. È possibile ritenere scriminata l’azione della Capitana Rakete? in https://www.giustiziainsieme.it/it/attualita-2/713-e-possibile-ritenere-scriminata-l-azione-della-capitana-rakete.
[31] L. Masera, Il caso della capitana Rackete e l’illegittimità della politica governativa dei porti chiusi per le ONG, in https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-processo-penale/703-il-caso-della-capitana-rackete-e-l-illegittimita-della-politica-governativa-dei-porti-chiusi-per-le-ong-2; G. Spangher, SEA WATCH 3: Rimangono forti dubbi, in https://www.giustiziainsieme.it/it/attualita-2/712-sea-watch-3-rimangono-forti-dubbi-di-giorgio-spangher..
[32] R. Bin, Ancora sul caso Diciotti: ma qualcuno ha lettociò che ha scritto il Tribunale dei ministri? ivi, 13 febbraio 2019, p. 2. V. sul punto anche L. Brunetti, Ancora sulla insindacabilità degli atti politici ministeriali. Può davvero una legge costituzionale permettere la violazione dei diritti fondamentali? in http://www.astrid-online.it/static/upload/brun/brunetti.pdf.; id., L'atto politico ministeriale come atto potenzialmente «esente da giurisdizione» (quand'anche astrattamente reato), in Forum di Quaderni costituzionali, 30 gennaio 2019. Del resto, ricorda puntualmente L. Carlassarre, L'atto politico fra “qualificazione” e “scelta”: i parametri costituzionali, in Giur. Cost., 2016,2, 554, “…Se gli atti politici fossero realmente «sempre e tutti insindacabili, si porrebbero come degli autentici limiti all'esercizio delle situazioni soggettive attive anche se garantite dalla Costituzione» diceva Paolo Barile (P. Barile, Atto di governo (e atto politico), in Enc. dir., vol. IV, Milano 1959, 220 ss.”
[33] V., sulla vicenda “amministrativa” originata dal diniego di ingresso nei porti italiani e sull’intervento del g.a., ancora G. Tropea, Biopolitica e diritto amministrativo del tempo pandemico, cit., 367.
[34] R. Bin, Postilla, in Processare Salvini equivale a processare il Governo? In www.lacostituzione.info, 30 gennaio 2019.
[35] Tanto si legge a pag.72 della sentenza del Gip del Tribunale di Catania n.422/2021, depositata il 9 agosto 2021, resa nel procedimento a carico dell’ex Ministro Salvini per l’ipotizzato sequestro di persona relativo alla nave Gregoretti.
[36]La letteratura sul punto è notevole. V., fra gli altri, utilmente, F.F. Pagano, Gli atti emanati dal governo nell’esercizio del potere politico nella più recente giurisprudenza tra separazione dei poteri e bilanciamenti costituzionali, in Dir. pubbl., 2013, 885.
[37] I tre provvedimenti sono pubblicati su questa Rivista, Difetto di motivazione: questa la ragione della non convalida dei provvedimenti di trattenimento del Questore di Ragusa, 3 ottobre 2023.
[38] In Questionegiustizia, Ancora un provvedimento sulla situazione di un migrante tunisino, 5 ottobre 2023.
[39] Al tirar delle somme, la riconduzione operata dalle S.U. nella vicenda del bombardamento alla RTV serba delle modalità operative del conflitto iniziato per ragioni umanitarie nei confronti della ex Jugoslavia alla funzione politica appare difficilmente controvertibile, attenendo alla gestione di un conflitto che lo Stato italiano – e quegli altri che vi hanno preso parte – condussero nell’interesse dell’intera comunità internazionale proprio per tutelare gli obblighi erga omnes di cui si è detto. Se può dunque convenirsi sul fatto che l'attività militare svolta in Italia dagli organi della NATO era stata attuata ai fini della tutela della sovranità degli Stati aderenti al Patto, attenendo alla sfera del diritto pubblico e, pertanto doveva qualificarsi come attività jure imperii- v. Cass. S.U., 2 marzo 1964 n. 467, in Giust.civ.,1964, I,971; Cass. S.U. 13 maggio 1963 n. 1178, in Giust.civ.,1963, I, 1533; Cass. S.U., 17 ottobre 1955 n. 3223, in Foro it.,1955, 1296- occorre sottolineare che nella decisione delle Sezioni Unite non venne probabilmente rettamente focalizzata la differenza fra natura politica dell’atto “a monte” – ed in questo senso la partecipazione dell’Italia alla campagna militare contro la Repubblica Federale Jugoslava non sembra essere soggetta ad alcun tipo di sindacabilità da parte della giurisdizione – e le singole operazioni militari eseguite “a valle” nell’ambito della partecipazione al conflitto, soprattutto quando si assumeva che queste avessero leso diritti inviolabili dell’uomo tutelati dal diritto umanitario. Un conto è affermare che la funzione politica è attribuita agli organi costituzionali, altro è sostenere che la Costituzione imponga l’insindacabilità assoluta di come viene attuato l’atto politico. Se dunque si pensa che lo standard umanitario minimo nelle operazioni di guerra è sancito dall’art.3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949, volto a garantire il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo in ogni situazione di conflitto armato[39] e quelli derivanti dalle norme internazionali a tutela dei diritti umani, si ha la sensazione di quanto insoddisfacente sia stata la risposta della giustizia italiana, assecondata da quella della Corte die diritti umani senza particolarmente approfondire il limite intrinseco alla politicità di un atto, appunto rappresentato dall’esistenza di “vincoli” che lo sottopongono, comunque, a verifica circa il rispetto di standard fissati dalla legge, sia essa interna o di matrice internazionale.
[40] Sul ruolo delle Sezioni Unite in tema di giurisdizione v., volendo, R. Conti, Il mutamento del ruolo della Corte di cassazione fra unità della giurisdizione e unità delle interpretazioni, in Consultaonline, 2015, f.III, 807 ss.; E. Scoditti, Questione di giurisdizione e diritti fondamentali, 11 ottobre 2023.
[41] M. Serio, Appunti comparatistici sulla (apparenza della) imparzialità giudiziaria, in Questionegiustizia,12 ottobre 2023; V. Zagrebelsky, La politica non può intimidire le toghe, in La stampa, 16 ottobre 2023.
[42] G. Pitruzzella, Fiducia e legittimazione dei poteri, in Enciclopedia del diritto, I tematici, V – Potere e Costituzione, diretto da M. Cartabia e M. Ruotolo, Milano, 2023, 124: “L'assolutizzazione della volontà del demos come unica fonte di legittimità spazza via sia i diritti fondamentali e il pluralismo dell’informazione sia il sistema di checks and balances, rappresentato innanzi tutto da un giudiziario imparziale e indipendente.”
[43] Cfr. A. Ruggeri, Atti politici e diritti fondamentali: un rapporto complesso e non poco sofferto, sez. I, par.3 del paper presentato al Congresso ICON-S Italia, in Milano, 14 ottobre 2023 all’interno del panel dedicato e Atto politico e diritti umani, messomi in anteprima a disposizione dall’Autore: “Certo, c’è il rischio che prese di posizione adottate dai giudici in modo risoluto e nettamente pendenti a favore dei diritti, possano essere considerate come espressive di una deriva politica della giurisdizione, sovrapponendosi dunque alla politicità dell’atto di governo la non diversa natura dell’atto che lo giudica. Ciò che, poi, acuirebbe ancora di più una endemica conflittualità tra potere politico e giurisdizione, di cui si hanno diffuse ed inquietanti testimonianze a plurimi piani di esperienza. È singolare, ad ogni buon conto, la circostanza per cui la critica della politicità del giudizio provenga da ambienti politici, in buona sostanza, nei soli casi in cui si assiste ad operazioni di devitalizzazione degli atti espressivi del potere stesso, non già laddove se ne abbia l’avallo (e, dunque, il concorso all’ulteriore radicamento degli effetti). L’obiezione suddetta è, comunque, seria e va, perciò, tenuta nel dovuto conto, per quanto possibile fuori di ogni preconcetto orientamento.
[44] C. Pinelli, Decisione politica e dislocazione del potere, in Enciclopedia del diritto, I tematici, V – Potere e Costituzione, diretto da M. Cartabia e M. Ruotolo, Milano, 2023, 37.
[45] V. R. G. Conti, Il giudice disobbediente nel terzo millennio, Conclusioni, in Le Interviste di Giustizia Insieme a D. Galliani, V. Militello e G. Silvestri, a cura di R.G. Conti; C. Pinelli, Decisione politica e dislocazione del potere, in Enciclopedia del diritto, I tematici, V – Potere e Costituzione, diretto da M. Cartabia e M. Ruotolo, cit., 39.
[46] F. Modugno, Norma, (teoria generale). in Enc. dir., XXYIII, Milano. 1978, p. 338.
[47] M. Naro, La verità nel suo rovescio, L’altra parola: Riscritture bibliche e questioni radicali, Roma, 2022, 224.
[48] V., volendo, sul tema, le riflessioni già esposte in R. Conti, Giudice comune e diritti protetti dalla Carta UE: questo matrimonio s’ha da fare o no?, in Giustiziainsieme, 4 marzo 2019.
[49] Proprio qui si coglie la rilevanza della ricerca posta a base del panel sull’argomento oggetto delle presenti riflessioni e della necessità di mettere insieme i punti di vista delle Corti. V, sul punto, C. Panella, Atti politici e Corte europea dei diritti dell’uomo. esiste l’atto politico per la corte europea dei diritti dell’uomo? nel paper messo a disposizione di chi scrive, a proposito della sentenza della Grande Camera della Corte edu del 21 novembre 2019, Ilias e Ahmed c. Ungheria, intervenuta sul tema dei trattenimento e successiva espulsione di extracomunitari dall’Ungheria verso la Serbia, considerato paese terzo sicuro dallo Stato richiesto.
[50] R. G. Conti, Chi ha paura del Protocollo 16 – e perché?, in Sistemapenale, 27 dicembre 2019.
[51] V., volendo, Intervista di R.Conti a B. Pastore e G.Pino, in Giustiziainsieme,10 luglio 2019.
[52] C. M. Bianca, Ex Facto oritur jus, in Riv.dir.civ. n.6/1995, 796.
[53] A. Ruggeri, Maggiore o minore tutela nel prossimo futuro per i diritti fondamentali?, in Giur.cost., 2015, 34 ss; M. Naro, La verità nel suo rovescio, in L’altra parola. Riscritture bibliche e questioni radicali, Roma, 2022 203. V., volendo, R. G. Conti, Il mestiere del giudice e il diritto incordato di verità, in Accademia, n.1/2023.
[54] P. Grossi, Prefazione a Il mestiere del giudice, a cura di R. G. Conti, Padova, 2020, XVI: “Il vecchio giudice, condannato ad essere ‘bocca della legge’ dai riduzionismi strategici degli illuministi (dapprima) e dei giacobini (successivamente), non può che togliersi volentieri di dosso la veste opprimente dell’esegeta, ormai del tutto inadatta, e indossare quella dell’interprete, dell’inventore, intendendo la sua operazione intellettuale irriducibile in deduzioni di semplice natura logica (come in una celebre pagina di Beccaria) e concretizzabile piuttosto in una ricerca, in un reperimento, con le conseguenti decifrazione e registrazione. Quello che mi sentirei, invece, di rifiutare, decisamente perché fonte di più che probabili malintesi, è il sintagma ‘creazione giurisprudenziale’, che usa Pastore (pp. 240 e 241) nel suo – peraltro, meditatissimo e condivisibile – intervento. Infatti, è proprio di ‘creazione ‘ e di ‘creazionismo’ che parlano gli adepti del legalismo statalistico stracciandosi le vesti di fronte a un ruolo, innaturale perché para-legislativo, conferito (almeno secondo loro) ai giudici dalla riflessione ermeneutica. Insisterei, come ho fatto anche di recente, su un ruolo inventivo, marcando bene che si fa esclusivo riferimento alla inventio dei latini consistente appunto in un ‘cercare per trovare’.”
[55]Cfr., ex plurimis, Corte cost.nn.347 e 348 del 2007. V., in dottrina, utilmente, C. Caruso, Controllo di convenzionalità e interpretazione conforme: il ruolo del giudice nazionale, in Questionegiustizia, in Gli speciali di Questionegiustizia, La Corte di Strasburgo, Aprile 2019.
[56] I giudici di merito avevano disposto l’adozione, garantendo però la relazione nonna-nipote e così andando apparentemente contro il divieto posto dal testo dell’art.27, comma 3 della legge sull’adozione n.184/1983 del seguente tenore. Con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine, salvi i divieti matrimoniali. La causa approdava in Cassazione su ricorso della Procura generale della Corte di appello di Roma che riteneva errata la decisione, invocando appunto il dato testuale dell’art.27 l. adozione. Cass.n.230/2023, su conforme parere della Procura generale sollevava questione di legittimità costituzionale, ipotizzando il contrasto dell’art.27 cit. con diversi parametri costituzionali e sovranazionali. La Corte di cassazione escludeva espressamente che il testo della legge autorizzasse la possibilità di salvaguardare la relazione familiare di origine attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata, in quanto «la previsione della recisione dei legami con la famiglia di origine ha carattere assoluto. La salvezza dei divieti matrimoniali conferma la scelta del legislatore in ordine all’intangibilità in via interpretativa del divieto (di conservare, nel caso sia corrispondente all’interesse del minore, i legami con la famiglia di origine)».
[57] V. Zagrebelsky, Adozioni, I giudici devono valutare l’interesse del minore, in La stampa, 30 settembre 2023.
[58] V. R. Bin, nell’intervista di R.G. Conti a A.Ruggeri e R. Bin, Giudice o giudici nell’Italia post-moderna?, in Il mestiere del giudice, a cura di R.G.Conti, Padova, 2020,19.
[59] Concorrenza della quale a più riprese ha parlato P. Grossi, in particolare in Oltre la legalità Roma, 2019. Non si è inteso qui affrontare le parallela tematica del ruolo “politico” della Corte costituzionale che si affianca a quello “giudiziario” della Consulta, sul quale v.R. Romboli, Giudice e legislatore nella tutela dei diritti, in Scritti dedicati a M. Converso, Romapress, 2016, nonché A. Ruggeri, Un rebus irrisolto (e irrisolvibile?): le flessibilizzazioni dei testi di legge per il tramite della giurisprudenza costituzionale che appaiono essere, a un tempo, necessarie e… impossibili (appunti per uno studio alla luce delle più recenti esperienze), in dirittifondamentali.it, 27 ottobre 2023. Questione che, in ogni caso, si intreccia con quella del ruolo del giudice comune, essendo questi portiere della Corte costituzionale quando alla stessa si rivolge con l’incidente di costituzionalità ed egli stesso interprete della Costituzione quando opera sul versante dell’interpretazione costituzionalmente orientata, sulla quale si dirà appresso nel testo.
[60] G. Amoroso, Introduzione, in La Costituzione vivente, Milano, 2023, a cura di L. Delli Priscoli, XVI.
[61] V., volendo, R. Conti, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il ruolo del giudice, Roma, 2011, 286 ss.
[62] Ne è consapevole anche L. Violante, Magistrati, Torino, 2009,181.
[63] Corte giust., 27 febbraio 2018, C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 24 giugno 2019, n. C-619/18 ,Commissione europea c. Repubblica di Polonia, Corte giust.(GC), 5 novembre 0219, C-192/18, Commissione c. Repubblica di Polonia; Corte giust., 5 giugno 2023, Commissione c.Polonia, C-204/21.
[64] Sul punto, a più riprese, A. Ruggeri, anche nella intervista con R. Bin su Giudice o giudici nell’Italia postmoderna, a cura di R.G. Conti, in www.giustiziainsieme.it, 10 aprile 2019.
[65] Corte edu, 7 maggio 2021, Xero Flor w Polsce sp. z o.o. c. Polonia; Corte edu, 22 luglio 2021, Reczkowicz c. Polonia; Corte edu, 8 novembre 2021, Dolińska-Ficek e Ozimek c. Polonia; Corte edu, 3 febbraio 2022, Advance Pharma Sp. z o.o. c. Polonia. Sentenze sulle quali si sofferma molto opportunamente R. Sabato, Introduzione, a Il diritto europeo e il giudice nazionale, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il ruolo del giudice, Milano, vol.II.I, 2023,XIII ss.
[66] P. Häberle, Diritto e verità, Torino, 2000, 99.
[67] F. Viola, Il Rule of Law come idea di società, in Materiali per una cultura della legalità, a cura di G. Acocella, Giappichelli, Torino 2020, 39.
[68] Restano insuperabili le riflessioni sul tema della fiducia nel diritto di T. Greco, La legge della fiducia. Alle radici del diritto, Milano, 2022. Sul concetto di fiducia, all’intero di un ragionamento complesso attorno alla natura “politica” della decisione giudiziaria e con specifico riguardo alla fiducia del destinatario della pronunzia giudiziale inserita in un circuito di controlli interni, si sofferma di recente anche A.Corbino nei tre articoli dedicati al tema giustizia e politica, pubblicati su La Sicilia, rispettivamente in data 18 ottobre 2023 "Politica e giustizia, il nervo scoperto della separazione dei poteri dal '700 a oggi", 25 ottobre 2023 "Da funzionario a cittadino partecipe l'evoluzione della figura del giudice" e 1 novembre 2023, "Giustizia e Politica, due modelli per l'equilibrio fra poteri statali".
[69] Più volte, sulla scia dei plurimi contributi sul punto offerti da Antonio Ruggeri, abbiamo provato ad intrattenerci sulla centralità dei principi di cooperazione e fiducia nelle relazioni tra poteri dello Stato. Sia consentito rinviare, sul punto, agli scritti inseriti nei volumi realizzati dalla Scuola Superiore della magistratura, dedicati a Il diritto europeo e il giudice nazionale. Cfr. in particolare, nel vol. II.I, La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Principi e orientamenti - R. G. Conti, Gli obblighi positivi di natura convenzionale e il ruolo del giudice, di Strasburgo e nazionale, 17 ss. e L’esecuzione delle sentenze della Corte edu in ambito civile e la nuova ipotesi di revocazione “europea”, art. 391- quater c.p.c., 285 ss. nonché nel vol.II.I, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il ruolo del giudice nazionale. L’interpretazione e l’applicazione della CEDU nella giurisprudenza della Corte di cassazione L’incidenza della Cedu sull’interpretazione della legge nella giurisprudenza della Corte di cassazione- 7 ss. - e Diritti e libertà fondamentali -159-.