Il caso Mennesson, vent’anni dopo. divieto di maternità surrogata e interesse del minore.
Nota a Arrêt n°648 du 4 octobre 2019 (10-19.053) -Cour de Cassation - Assemblée plénière.
di Rita Russo
1.- Il caso Mennesson giunge ad una conclusione dopo quasi vent’anni di battaglie legali. La Corte di Cassazione francese, con la sentenza del 4 ottobre 2019, ha sostanzialmente riconosciuto la maternità legale della signora Mennesson, madre intenzionale di due gemelle (oggi diciannovenni), nate in California tramite procreazione medicalmente assistita (in acronimo PMA) e gestazione per conto d’altri (in acronimo GPA), o maternità surrogata, pratica attuativa di un accordo in virtù del quale una donna consente -gratuitamente o dietro pagamento- all’impianto su di sé di un ovulo fecondato, e altresì a portare a termine la gestazione e partorire un bambino che ha il corredo genetico di altri e che ella consegnerà, dopo il parto, alle controparti dell’accordo, senza instaurare alcun legame giuridico con il nato. La legge francese utilizza il termine “gestazione per altri” e vieta decisamente questo genere di accordi: “Toute convention portant sur la procréation ou la gestation pour le compte d’autrui est nulle”. In Italia la legge 19.2.2004 n. 40 sulla procreazione medicalmente assistita utilizza il termine “surrogazione di maternità” (art. 12 comma 6), e la considera un delitto, equiparandola, quoad poenam, alla commercializzazione di gameti e di embrioni. [1]
La pratica nondimeno è legale in diversi paesi, come l’Ucraina, il Canada, l’India, l’Australia, la Russia, alcuni stati degli USA; in taluni paesi è consentita solo se gratuita e con finalità altruistiche, in altri è invece consentita anche la pratica commerciale.
I coniugi Mennesson sono due cittadini francesi, coniugati, che hanno fatto ricorso, in California, dove la pratica è legale, alla gestazione per conto terzi; per l’esattezza, i coniugi hanno fatto ricorso ad una tecnica che ha consentito la formazione di embrioni in vitro con metà del patrimonio genetico del marito e l'altra metà proveniente da una donna ovo-donatrice. Gli embrioni così generati sono stati poi impiantati nell'utero di una terza donna che ha portato a termine la gravidanza e partorito la coppia gemellare.
Si ha quindi un indubitabile legame biologico con il partner maschile della coppia coniugale e la scissione completa tra la maternità biologica e la “maternità intenzionale”. Nell’ordinamento francese, così come in quello italiano, la madre è colei che partorisce il neonato e non colei che, ricorrendo alla scienza medica, ha messo in moto il meccanismo che ha portato alla nascita: per questa ragione, si utilizza il termine “madre intenzionale”[2]. Secondo il documento diffuso dal Parlamento Europeo, il termine “madre intenzionale” indica il soggetto che ha intenzione di crescere il minore,[3] ma questa dichiarazione di volontà e preventiva assunzione di responsabilità nei confronti del nascituro non garantisce di per sé il conseguimento dello status né il suo riconoscimento in tutti gli ordinamenti.
Per lo Stato della California, il rapporto legale di filiazione si costituisce tra il minore e il soggetto che, stipulando in qualità di committente il contratto di gestazione per conto terzi, si è reso responsabile della sua nascita, anche se non ha trasmesso al nascituro il proprio patrimonio biologico. Dopo la nascita delle gemelle, quindi, le autorità californiane adottano un provvedimento nel quale è attribuito a entrambi i coniugi Mennesson lo status di genitori delle neonate; così, il 14 luglio 2000, si formano in California i certificati di nascita delle bambine, indicate come figlie dei coniugi Mennesson. Questi certificati di nascita sono trascritti dal consolato generale di Francia a Los Angeles. Tuttavia il P.M. del luogo di residenza, in Francia, propone un ricorso per l’annullamento della trascrizione in quanto contrastante con l’ordine pubblico. Dopo alterne vicende, nel 2010, la Corte d’appello di Parigi, a seguito di rinvio dalla cassazione, annulla la trascrizione.
I coniugi Mennesson propongono ricorso alla CEDU, che con la nota sentenza del 26 giugno 2014 condanna la Francia per violazione dell’art. 8 (diritto alla vita privata e familiare).[4] La Corte EDU, premesso che in tema di gestazione per conto d’altri bisogna riconoscere un ampio margine di apprezzamento agli Stati membri, e che sul punto manca un consensus normativo tra i diversi Stati europei, osserva che, in un ordinamento quale quello francese, i bambini nati all'estero facendo ricorso a questa pratica si trovano in una situazione di incertezza giuridica. Gli effetti del mancato riconoscimento nell'ordinamento francese del rapporto di parentela tra i bambini così nati e la coppia che ha fatto ricorso all'estero alla gestazione per altri, non sono confinati alla sfera giuridica dei genitori - che sono i soli ai quali può essere imputata la scelta di ricorrere a una tecnica di procreazione vietata in Francia- ma si estendono anche alla sfera giuridica dei minori, incidendo sul loro diritto al rispetto della vita privata, che implica la possibilità da parte di ciascuno di definire i contenuti essenziali della propria identità, compresi i rapporti di parentela.
La sentenza della Corte EDU ha riaperto il caso. L’ordinamento francese, infatti, si è di recente dotato di una procedura per la revisione di una pronuncia resa in violazione della CEDU. I coniugi Mennesson hanno così chiesto il riesame della decisione con la quale era stata annullata la trascrizione dell’atto di nascita estero.
L’assemblea plenaria della Cour de cassation ha quindi ritenuto di avvalersi del Protocollo addizionale n. 16 alla Convenzione, di recente ratificato in Francia ed ha sottoposto ai giudici di Strasburgo una questione con molteplici interrogativi: se lo Stato ecceda il proprio margine di apprezzamento rifiutando di registrare l’atto di nascita estero nella parte in cui attribuisce la maternità alla madre intenzionale; se la circostanza che il figlio sia stato concepito o meno con i gameti della stessa, ma gestito e partorito da altra donna, modifichi i termini della questione; se il riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore intenzionale debba considerarsi un obbligo imposto dalla Convenzione, e se può essere assolto tramite l’adozione del figlio biologico del marito in alternativa alla trascrizione dell’atto formato all’estero.
La Grande Camera della CEDU risponde in data 10 aprile 2019 con un Advisory Opinion e osserva che il diritto del minore al rispetto della vita privata pretende che gli ordinamenti nazionali ne riconoscano il rapporto con la madre d’intenzione, anche ove mancasse un legame genetico, e a maggior ragione, se vi è un legame genetico, quale la donazione di gameti; tuttavia, il diritto al rispetto della vita privata del minore, ai sensi dell’articolo 8 CEDU, non richiede necessariamente che il riconoscimento della relazione con la madre intenzionale avvenga attraverso la trascrizione del certificato di nascita estero nei registri dello stato civile, in quanto la costituzione del rapporto filiale può risultare conforme alla Convenzione anche con il ricorso ad altri istituti, quali l’adozione, a condizione che le modalità previste dal diritto interno garantiscano la rapidità e l’effettività dell’attuazione del diritto del minore, conformemente al suo superiore interesse.
Sulla base di questo parere, aperto a soluzioni che non interferiscano con il diritto dello Stato membro di vietare la gestazione per altri, la Corte di cassazione francese adotta comunque una soluzione tranciante e, rigettata definitivamente la domanda di annullamento della trascrizione dell’atto di nascita della due gemelle, prende atto della suddetta trascrizione.
Muovendo dal principio che il divieto di gestazione per altri non può interferire in modo sproporzionato con la vita privata dello stesso minore, la Cour de cassation osserva che la filiazione può essere stabilita in diversi modi (certificato di nascita, riconoscimento dell’adozione, giudizialmente) e nel caso della maternità surrogata avvenuta all’estero, il rapporto con la madre legale deve essere stabilito privilegiando un metodo di riconoscimento che consenta al giudice di esaminare le circostanze particolari in cui si trovi il minore. La Corte ritiene non satisfattiva la possibilità di rinviare le parti a una procedura di adozione, che avrebbe conseguenze pregiudizievoli, in considerazione del tempo trascorso da quando è si è stabilito il legame tra le figlie e la madre d'intenti, sulla base di uno status che è stato comunque riconosciuto in un certificato, anche se non trascritto, perché ciò violerebbe in modo sproporzionato il diritto alla vita privata e familiare della parti. La soluzione sembra quindi essere dettata dall’esigenza di non alterare una situazione che si è consolidata nel tempo, e, poiché la durata del caso Mennesson può considerarsi eccezionale data dalla sua natura di leading case, non è detto che in analoghi casi, ma di più veloce definizione, la soluzione sarebbe la stessa.
Per i coniugi Mennesson si tratta di una vittoria tardiva ma piena: il caso si chiude vent’anni dopo, con il riconoscimento dello status, in base alla trascrizione dell’atto di nascita di cui le autorità nazionali prendono atto.
2.- Per definire il caso Mennesson la Corte francese, per la prima volta, ha fatto ricorso alla procedura introdotta dal Protocollo n. 16 alla Convenzione EDU con la quale è data la possibilità ai tribunali nazionali, nella pendenza del giudizio, di chiedere alla Corte EDU un parere su questioni connesse all’interpretazione dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione, emerse nell’ambito di una causa pendente dinanzi ad essi. La procedura ha alcune analogie, ma anche significative differenze, con la procedura del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia di cui all’art. 267 TFUE. L’elemento comune è dato dalla possibilità di un dialogo tra la Corte nazionale e quella sovranazionale prima della decisione; d’altro canto, le decisioni della CGUE sono vincolanti, mentre l’opinion, seppure motivata, non è vincolante nè per la giurisdizione richiedente nè per la stessa Corte EDU.
Si producono però alcuni effetti per gli Stati membri che hanno ratificato il protocollo: se l’interpretazione espressa nella opinion è osservata dal giudice interno, un eventuale successivo ricorso sugli stessi punti affrontati nel parere dovrebbe essere dichiarato inammissibile e di contro, laddove il tribunale nazionale si discosti dal parere è probabile che la Corte di Strasburgo, nel decidere il caso in sede contenziosa, confermi l’orientamento previamente adottato nell’ambito della giurisdizione consultiva.[5]
La importanza della opinion sembra potersi individuare nella funzione nomofilattica preventiva che corregge quella posizione di asimmetria tra il giudice nazionale e la Corte EDU, data dal meccanismo operativo che individua un ruolo di istanza ultima della Corte di Strasburgo; la possibilità di ottenere il parere preventivo aiuta da un lato a sviluppare il ruolo del giudice di Strasburgo, dall’altro valorizza l’autonomia del giudice nazionale che diviene così l’artefice primo di eventuali modifiche di orientamenti, prima ancora che queste modifiche siano imposte da una sentenza di condanna della Corte EDU e dalla necessità di adeguarsi[6]. Adeguandosi preventivamente all’autorevole opinion, espressa sempre dalla Grande Camera, si dovrebbe ridurre il numero dei ricorsi alla Corte EDU dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne. In questo modo il giudice domestico ha maggiore possibilità di svolgere il proprio ruolo di interprete del diritto interno e di quello di matrice convenzionale.
Lo Stato italiano non ha ancora ratificato il protocollo 16, tuttavia il parere emesso su richiesta di altri Stati contraenti, come è nel caso del parere ottenuto dalla Francia, ha rilievo interpretativo indiretto anche nei confronti dell’Italia, fornendo un indirizzo ermeneutico sulla questione.
Degli argomenti utilizzati nella opinion si riscontra infatti traccia anche nella sentenza a sezioni unite resa dalla Corte di Cassazione il 8 maggio 2019, n. 12193, sulla questione della trascrivibilità dell’atto di nascita del bambino nato all’estero grazie a una pratica di gestazione per conto terzi. [7]
La questione è analoga al caso Mennesson, sebbene nel caso francese si tratti di coppia eterosessuale, coniugata, e nel caso italiano di coppia omossessuale, formata da due uomini, coniugati all’estero, uno dei quali ha un legame genetico con il bambino perché ha fornito i gameti, mentre l’altro è “genitore intenzionale”. La presenza di un legame genetico con uno dei partner fa la differenza con l’altro caso italiano di gestazione per conto terzi approdato alla CEDU (Paradiso e Campanelli v. Italia), molto noto ma assai peculiare perché nel caso Campanelli il bambino nato dall’estero tramite GPA non aveva alcun legame genetico né con l’uno né con l’altro dei coniugi committenti: il marito aveva invero donato i gameti, ma a causa di un errore degli operatori della clinica russa cui la coppia si era rivolta, l’ovulo (donato da donna anonima) era stato fecondato con il seme di altri. Questo ha messo il bambino in una posizione precaria, perché non poteva essere riconosciuto neppure il legame con il padre; il Tribunale per i minorenni di Campobasso ha quindi disposto l’allontanamento del bambino, la sua collocazione in una struttura, il successivo affidamento a una famiglia e infine, l’adozione.[8]
Nel caso Mennesson invece, così come nel caso esaminato dalle sezioni unite della Corte di cassazione italiana, non è in discussione l’inserimento dei bambini nella famiglia e il riconoscimento del rapporto di filiazione tra il minore e quello dei due partner della coppia che ha donato il seme. Il punto è se, fermo restando il divieto di maternità surrogata e le eventuali sanzioni conseguenti, la nascita di un bambino che non ha legame giuridico con chi l’ha partorito all’estero, determini l’esigenza di riconoscere lo status, e di trascrivere l’atto di nascita formato all’estero, valutando prevalente l’interesse del minore ad avere due genitori, peraltro nella dichiarata disponibilità del genitore intenzionale a prendersi cura di lui.
Inoltre vi è la questione, destinata ad acquistare sempre maggiore importanza, della rilevanza dell’elemento volontaristico nella costituzione dello status filiationis. Nella filiazione biologica, la assunzione di responsabilità genitoriali non è legata alla manifestazione del consenso. Al fine di vincolare entrambi i genitori alle loro responsabilità, salvo il caso eccezionale del parto in anonimato dove rileva il dissenso, è irrilevante che il figlio sia stato “voluto” o meno. Anche nella pratica dell’adozione speciale dei minori il costituirsi della relazione giuridica tra gli adulti e i minori non dipende dalla manifestazione di volontà degli adottanti (che in realtà è una dichiarazione di disponibilità) bensì dal provvedimento giudiziale che assegna al minore privo di genitori idonei altri genitori, secondo le procedure previste dalla legge n. 184 del 4.5.1983 e in attuazione del disposto dell’art. 30 Cost. Soltanto con la legge n. 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita l’elemento volontaristico e il consenso prestato alla nascita del bambino acquistano rilevanza giuridica. Ancor prima che la Corte Costituzionale, nel 2014, dichiarasse illegittimo il divieto di PMA eterologa, l’art. 9 della legge n. 40/2004 prevedeva (come tutt’ora prevede) che in questi casi chi ha prestato il consenso alla nascita di un bambino tramite PMA eterologa deve assumersene le responsabilità: il padre “intenzionale” che ha acconsentito alla PMA eterologa non può disconoscere il figlio, né impugnare il riconoscimento e la madre non può partorire in anonimato. [9] Esistono però dei limiti alla legittima aspirazione ad instaurare legami familiari: la Corte Costituzionale ha precisato, (in quella stessa sentenza che dichiara illegittimo il divieto di PMA eterologa) che il dato della provenienza genetica non costituisce un requisito imprescindibile della famiglia, ma la libertà e la volontarietà dell'atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia non implica che questa libertà possa esplicarsi senza limiti. Questo limite è dato appunto dalla compatibilità con l’ordine pubblico delle pratiche cui si ricorre per costituire la relazione familiare.
La questione rilevante, nella vicenda della trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero dopo il ricorso alla GPA, non è pertanto la genitorialità delle coppie omosessuali, ma, come nel caso francese, quella della possibilità di dare ingresso nell’ordinamento ad un atto che si basa su una pratica contraria all’ordine pubblico. Le sezioni unite della Corte di cassazione italiana rimarcano questo passaggio, richiamando dei precedenti in cui è stato ritenuto conforme all’ordine pubblico il riconoscimento nel nostro ordinamento di un atto straniero che attribuiva la genitorialità a una coppia dello stesso sesso, trattandosi di nascita a seguito di PMA eterologa e non di maternità surrogata. Si tratta in sostanza dei casi dei figli di due madri, laddove il ricorso alla maternità surrogata non si rende necessario, se almeno una delle due è in grado di sostenere la gravidanza e il parto. Nel precedente costituito da Cass. n. 19599/2016, entrambe le parti della coppia avevano contribuito alla nascita, l'una fornendo i gameti, l'altra sostenendo la gravidanza e il parto. La donna che partorisce è la madre legale, ma d’altro canto il legame genetico con l’altra madre non può essere ignorato; ogni diversa soluzione avrebbe rappresentato un trattamento discriminatorio fondato sull’orientamento sessuale. Al medesimo risultato si è comunque pervenuti nel caso affrontato dalla Corte di cassazione con la sentenza n.14878/2017, in cui si è riconosciuto il rapporto filiale non solo con la donna che ha partorito, ma anche con l’altra donna, coniugata all'estero con la prima, che non aveva alcun rapporto genetico con il nato.
Le sezioni unite chiariscono la ragione della differenza di trattamento, fondata su un concetto di ordine pubblico internazionale che si richiama al precedente arresto in tema di danni puntivi[10]. La compatibilità con l’ordine pubblico, ai sensi dell’art. 64, comma 1, lett. g), l. n. 218 del 1995, deve essere valutata non solo alla stregua dei princìpi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui detti princìpi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti e dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria; in particolare rilevano quelle leggi “che inverano l'ordinamento costituzionale”. Si osserva dunque che la legge n. 40/2004 è “costituzionalmente necessaria” in quanto è la prima legislazione organica relativa ad un settore che coinvolge una pluralità di rilevanti interessi costituzionali, i quali, nel loro complesso, postulano quanto meno un bilanciamento tra di essi che assicuri un livello minimo di tutela legislativa. Non tutti i divieti in essa contenuti però sono considerati di ordine pubblico; in particolare non è ritenuto di ordine pubblico il divieto di accesso alla PMA eterologa da parte di coppie omosessuali e per questa ragione, nei precedenti citati, la Corte ha ritenuto trascrivibile l’atto di nascita formato all’estero dei figli di due madri. Diverso è invece il caso della maternità surrogata che, come già ritenuto dalla Corte costituzionale, è da ritenersi pratica che contrasta con la dignità umana[11].
La conclusione della nostra Corte di cassazione è che il riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata e il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana, trova ostacolo nel divieto di surrogazione di maternità, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità della gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, non esclude peraltro la possibilità di conferire comunque rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione.
In sostanza, l’operare del limite dell’ordine pubblico non si traduce necessariamente nella cancellazione dell'interesse del minore, ma nel suo affievolimento e il divieto di maternità surrogata, quale “anello necessario di congiunzione tra la disciplina della procreazione medicalmente assistita e quella generale della filiazione,” segna il limite oltre il quale cessa di agire il principio di autoresponsabilità fondato sul consenso e torna a operare il favor veritatis, che giustifica la prevalenza dell’identità genetica e biologica. La tutela dell’interesse del minore è quindi rimessa allo strumento dell’adozione in casi particolari, istituto la cui applicabilità al caso di coppia eterosessuale coniugata è esplicitamente stabilito dalla legge (art. 44 comma 1 della legge n. 184/1983, lett. b) e, nel caso di coppia non coniugata (come le coppie omossessuali), è comunque ammesso – come da giurisprudenza ormai consolidata- ai sensi del disposto della lett. d) dell’art. 44 cit.[12]
Questa soluzione coincide con la opinion fornita dalla CEDU nel Caso Mennesson, anche se lascia aperti diversi interrogativi: primo fra tutti quale tutela accordare alla persona che, dopo avere subito per volontà dei genitori (intenzionali) la scissione tra identità genetica e identità legale, voglia andare alla ricerca delle propri origini.
[1] Per un approfondimento v. STEFANELLI: Procreazione e diritti fondamentali, in Trattato di diritto civile, Milano 2018, 134; CASABURI, Maternità surrogata, Treccani, libro dell’anno 2016; L. D’AVACK, La maternità surrogata: un divieto “inefficace”, in Diritto di famiglia e delle persone, 2017, I, 139
[2] Fintanto che la scienza non ha reso possibile la scissione tra concepimento e parto, il “legame di sangue” è sempre stato individuato, per il padre, nella condivisione con il figlio del patrimonio genetico, per la madre invece nel partorire il bambino, il che però presupponeva necessariamente anche la condivisione del patrimonio genetico. Resa possibile questa scissione, è da vedere se l’art. 269 comma 3 c.p.c. e analoghe norme di altri ordinamenti definiscano il concetto di maternità, ovvero se servano soltanto a fornire la prova, o meglio la presunzione iuris tantum, della maternità. Sul punto v. SESTA, Manuale di diritto di famiglia, VIII ed., Padova, 2019, 387.
[3] Direzione generale delle politiche interne. Unità tematica C, Diritti dei cittadini e affari costituzionali, Il regime di maternità surrogata negli Stati Membri dell’Ue, sintesi 2013 in http://www.europarl.europa.eu
[4] Cfr. Corte EDU, 26.6.2014, Mennesson c. Francia, in NGCC, 2014, I, 1122, Corte EDU, 26.6.2014, Labassee c. Francia, in www.hudoc.echr.- coe.int.
[5] GRASSO, Maternità surrogata e riconoscimento del rapporto con la madre intenzionale in NGCC, 2019, 4, 758
[6] CONTI La richiesta di “parere consultivo” alla Corte europea delle Alte Corti introdotto dal Protocollo n. 16 annesso alla CEDU e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE. Prove d’orchestra per una nomofilachia europea , in Consulta on line A. M. LECIS, Prima applicazione della procedura consultiva prevista dal Protocollo n. 16 CEDU: Dalla Corte EDU chiarimenti in chiaroscuro sull’obbligo di trascrizione dei figli nati da GPA, in www.diritticomparati.it, 9 maggio 2019, BUFFA Gestation pour autrui: la prima richiesta di parere consultivo alla CEDU, in Questione Giustizia, ottobre 2018
[7] La sentenza è pubblicata in Fam. e dir., 2019, 653 ss., con note di DOGLIOTTI e FERRANDO; in Familia, 2019, 369 con nota di M. BIANCA; in NGCC 2019, 737, con nota di Salanitro; in Corriere giuridico 10/2019, 1198 con nota di GIUNCHEDI. Si v. anche ACIERNO - CELENTANO, La genitorialità e la gestazione per altri. L’intervento delle Sezioni unite, in Questionegiustizia.it, 14 maggio 2019;
[8] Corte EDU Paradiso e Campanelli c. Italia, 27.1.2015 e sullo stesso caso Corte EDU Grande Camera, 24.1. 2017 entrambe in hudoc.echr.coe.int. Nel 2015, la seconda sezione della Corte europea aveva ravvisato una violazione dell’art. 8 CEDU, ritenendo che le autorità italiane, allontanando il bambino dalla famiglia, non avessero garantito un corretto equilibrio tra i diversi interessi in gioco: la relazione tra i coniugi Campanelli ed il bambino, pur in assenza di consanguineità e formalizzazione giuridica del rapporto era stata ritenuta una relazione familiare de facto, consolidatasi nei primi sei mesi di vita. Successivamente la Grande Camera, adita dal Governo italiano, ha ribaltato questo giudizio. La Grande Camera ha precisato che l’art. 8 non garantisce il diritto di adottare, né tantomeno tutela il desiderio di creare una famiglia. La norma tutela però l’esistenza di una situazione di fatto in cui siano riconoscibili concreti legami di tipo familiare, la presenza di un vincolo giuridicamente formalizzato o persino l’aspirazione a stabilire una famiglia, purché si accompagni ad una chiara base giuridica o ad un legame di consanguineità. Inoltre la Corte riconosce che può essere tutelata anche la vita familiare di fatto tra uno o due adulti ed un minore, pur in assenza di un legame biologico o di un chiaro fondamento normativo, purché sussistano però legami personali genuini, concludendo, nel caso di specie, che sei mesi non sono sufficienti ad instaurarli.
[9]Corte cost., 10.6. 2014, n. 162, in www.cortecostituzionale.it;
[10] Cass. Sez. Un. 5.7.2017 n. 16601 in Guida al diritto 2018, 5, 24
[11] Corte Cost. 18.12.2017 n. 272 in www.cortecostituzionale.it
[12] Cass. 22.6.2016 n. 12962 in Diritto di Famiglia e delle Persone (Il) 2016, 4, 1013