Diritto all’anonimato e diritto a conoscere le proprie origini biologiche: un approccio “sbilanciatorio-avaloriale” o “bilanciatorio-assiologico”? di Remo Trezza
Sommario: 1. Punto di partenza: principi costituzionali e convenzionali nella sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 25 settembre 2012 (Godelli c. Italia) - 2. Necessità di un bilanciamento costituzionalmente orientato 3. - Intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 278 del 2013) - 4. Uno sguardo all’attualità: Cass. civ., 9 novembre 2016, n. 22838 e le Sezioni Unite n. 1946/2017 - 5. L’intervenuta pronuncia della Cassazione n. 6963/2018 sul tema 6. I disegni di legge “dormienti” a discapito dei diritti fondamentali della persona - 7. Conclusioni
1.Punto di partenza: principi costituzionali e convenzionali nella sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 25 settembre 2012 (Godelli c. Italia)
I diritti fondamentali dell’uomo ricevono una tutela multilivello[1], non solo nell’ottica di centralità della Carta Costituzionale e delle sue norme[2], ma anche nella visione panoramica delle disposizioni della Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali (nel prosieguo Convenzione EDU), nata in seno al Consiglio d’Europa nel 1950 e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009, ha assunto lo stesso valore giuridico dei trattati[3].
In un ordinamento complesso[4] come quello vigente, caratterizzato dalla indiscussa supremazia delle norme costituzionali, queste non posso non avere una posizione centrale. Da tale centralità è doveroso partire per l’individuazione dei principi e dei valori sui quali costruire il sistema[5].
La costruzione del sistema, dunque, necessita di un doveroso accostamento di principi e valori desumibili dalle disposizioni precettive della Carta Costituzionale[6].
La prospettiva che interessa, ora, al fine di evidenziare ed approfondire il contenuto della sentenza-faro[7] della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo inerente la problematica del diritto all’anonimato e del diritto a conoscere le proprie origini[8], è individuare come il contenuto normativo dell’ordinamento interno possa arricchirsi automaticamente, e non mediante il compimento di atti di recezione interna, della tutela di valori e di interessi regolati da normative transnazionali e sovranazionali[9].
Il pensiero va, a questo punto, ai principi di diritto internazionale generale riconosciuti dalla nazioni civili[10] e alle normative comunitarie che conformano l’ordinamento interno e lo rendono più ricco e complesso. Si tratta di adeguamento diretto e costituzionalmente legittimo (art. 10, comma 1, cost.), che conferma la concezione unitaria e monistica dell’ordinamento interno, tendente a realizzare forme di integrazione idonee ad introdurre nel sistema valori innovativi che, se di derivazione internazionale, prevalgono sulle norme ordinarie dell’ordinamento giuridico nazionale[11].
Il nostro, quindi, è un monismo ordinamentale e non un dualismo ordinamentale. Ciò viene ancora di più sottolineato dall’art. 117 cost., al cui primo comma si fa riferimento al fatto che lo Stato e le Regioni, nel momento in cui legiferano, debbano rispettare gli obblighi internazionali e i vincoli comunitari[12].
Se si facesse prevalere una concezione dualistica degli ordinamenti, questa mal si concilierebbe con la prospettiva unitaria dell’ordinamento, che ora la stessa Corte costituzionale ha finito con il riconoscere e, soprattutto, con l’interpretazione dell’art. 134 cost., secondo la quale la Corte si riserva di esprimere il controllo di legittimità dei regolamenti comunitari[13], rectius europei, quali atti aventi forza di legge nel territorio della Repubblica, e di valutare come viziate di illegittimità le norme nazionali che violino i principi fondamentali dell’ordinamento comunitario[14].
Anche le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione Europea (nel prosieguo CGUE) e della Corte EDU arricchiscono il diritto interno, nella misura in cui costituiscono fonti, seppur di terzo grado, assolutamente vincolanti per gli stati membri e per i giudici degli stessi, i quali, il più delle volte, vengono chiamati a risolvere dei conflitti di interessi ancor prima dei legislatori nazionali[15].
La sentenza della Corte EDU del 25 settembre 2012 in tema di diritto a conoscere le proprie origini, è emersa a seguito di ricorso (n. 33783/09) presentato contro la Repubblica italiana con cui una cittadina di tale Stato, la sig.ra Godelli ha adito la Corte il 16 giungo 2009 in virtù dell’art. 34 della Convenzione EDU[16].
La ricorrente lamentava che il segreto della sua nascita e la conseguente impossibilità per lei di conoscere le sue origini costituivano una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare garantito dall’articolo 8 della Convenzione EDU[17].
Prima di considerare la questione così come argomentata dalla Corte in punto di diritto, è opportuno sintetizzare la problematica in punto di fatto, al fine di avere una visione completa del quid iuris e, conseguentemente, poter capire la logicità o l’illogicità delle valutazioni giuridiche dedotte. Non a caso, si afferma che ex facto oritur ius, cioè dal fatto nasce il diritto.
Nel caso di specie, la ricorrente fu abbandonata dalla madre biologica e dall’atto di nascita risultava che “una donna che non consente di essere nominata ha partorito una bambina”. All’età di dieci anni, la ricorrente, avendo appreso di non essere la figlia biologica dei suoi genitori, domandò loro di poter conoscere le sue origini, ma non ottenne alcuna risposta. In data non precisata scoprì che una bambina che viveva nel suo stesso paese, nata nel suo stesso giorno, era stata abbandonata ed in seguito era stata affiliata da un’altra famiglia. La ricorrente sospettava potesse trattarsi della sorella gemella. I genitori adottivi delle due bambine impedirono i contatti fra loro attraverso un vero e proprio distacco forzoso. La ricorrente affermava di aver vissuto un’infanzia molto difficile a causa dell’impossibilità di conoscere le sue origini. Nel 2006 la ricorrente domandò all’ufficio dello stato civile del comune di Trieste informazioni sulle sue origini, così come prevedeva l’articolo 28 della legge n. 184 del 1983 (legge sull’adozione)[18], dal momento che la normativa che disciplinava l’affiliazione era stata abrogata da questa legge. L’ufficiale dello stato civile consegnò alla ricorrente il suo atto di nascita nel quale non compariva il nome della madre biologica, in quanto quest’ultima non aveva acconsentito alla divulgazione della sua identità. Il 19 marzo 2007 la ricorrente introdusse un ricorso dinanzi al tribunale di Trieste per domandare, conformemente all’articolo 96 del d.P.R. 396/2000, la rettifica del suo atto di nascita. Il tribunale si dichiarò incompetente, in quanto l’articolo 28, comma 5, della l. 184/1983 prevede che, per quanto riguarda l’accesso alle informazioni sui genitori biologici, raggiunta l’età di 25 anni, il tribunale competente fosse il tribunale per i minorenni. La ricorrente, quindi, il 5 giugno 2007, adì il tribunale per i minorenni di Trieste, ma la richiesta fu respinta, in quanto l’accesso alle informazioni sulle sue origini non le era consentito dato che la madre, al momento della nascita della ricorrente, aveva dichiarato di non volere divulgare la sua identità. La ricorrente si rivolse alla Corte di Appello, la quale, il 23 dicembre 2008, respinse il ricorso. Il giudice di secondo grado sottolineò che il tribunale per i minorenni aveva correttamente applicato l’articolo 28, comma 7, l. ado.[19] perché la madre aveva chiesto il segreto sulla sua identità e che questa norma mirava a garantire il rispetto della volontà della stessa. La ricorrente non presentò ricorso per cassazione.
La sentenza, dopo aver esplorato brevemente il fatto, si sofferma sul diritto e sulla prassi italiana, cercando, anche in chiave comparatistica, di confrontare le soluzioni che gli altri stati membri apprestano per la risoluzione del conflitto tra i due interessi contrapposti[20].
Al secondo paragrafo, la sentenza si sofferma sull’articolo 250 del codice civile,[21] il quale accorda a uno dei genitori la possibilità di non riconoscere il figlio. Per questo, la madre deve domandare all’ospedale di preservare l’anonimato al momento del parto. In questo caso viene formato un fascicolo sanitario che contiene le informazioni mediche sulla madre e sul suo bambino. Soltanto il medico curante del bambino può avervi accesso previa autorizzazione del tutore del minore.
Un altro elemento fondamentale, che si desume sempre in questa parte della sentenza, è l’istituto della “affiliazione”, istituita nel 1942 per portare assistenza ai bambini abbandonati o senza genitori di età inferiore ai diciotto anni. A differenza dell’adozione definitiva, non creava legami di parentela effettivi e non era necessario che la persona adottata non avesse figli, ma occorreva che il bambino avesse meno di diciotto anni. L’affiliazione poteva essere richiesta o dalla persona alla quale il bambino era stato affidato o dall’istituto di pubblica sicurezza o dal cittadino che lo cresceva di propria iniziativa. Gli articoli del codice civile che prevedevano l’affiliazione sono stati abrogati per effetto dell’entrata in vigore della l. 184/1983 (rivista in seguito dalla l. 1149/2001 e dal d. lgs. 196/2003).
L’articolo 27 della legge sull’adozione garantisce il segreto sulle origini, salvo autorizzazione espressa dell’autorità giudiziaria. L’articolo 28, comma 7, della stessa legge, invece, consente alla madre, che decide di non tenere il figlio, di partorire in un ospedale e di mantenere allo stesso tempo l’anonimato nella dichiarazione di nascita. Questo anonimato dura cento anni. Trascorso questo tempo, è possibile avere accesso all’atto di nascita.
L’adottato[22] può avere accesso alle informazioni che riguardano le sue origini e l’identità dei suoi genitori di sangue quando ha raggiunto l’età di 25 anni. Può ottenere queste stesse informazioni raggiunta la maggiore età se esistono gravi e comprovati motivi concernenti la sua salute fisica e mentale. La domanda è presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza che emette la sua decisione previa valutazione della situazione particolare e audizione delle persone che ritiene opportuno ascoltare.
Per ciò che attiene al diritto alla conoscenza delle proprie origini negli altri Stati membri del Consiglio d’Europa, la sentenza, al punto B del secondo paragrafo, esordisce: “In Europa il parto anonimo o nell’anonimato appare minoritario senza essere per questo eccezionale. A fianco della Francia, il cui diritto positivo prevede da parecchi anni il parto anonimo, alcune legislazioni, relativamente recenti perché promulgate nel corso dell’ultimo decennio, organizzano la nascita di figli in queste condizioni (Austria, Lussemburgo, Russia, Slovacchia). In Francia il parto anonimo tende ad essere assimilato al parto nel segreto, come quello che si pratica nella Repubblica Ceca, dove la segretezza sui dati nominativi sulla madre biologica è temporanea, e non definitiva, in quanto l’accesso a queste informazioni è differito nel tempo.[23]”
La sentenza, dopo aver affrontato le eccezioni preliminari proposte dal governo italiano e la valutazione sulla dedotta violazione dell’articolo 8 della Convenzione EDU, si sofferma sull’applicabilità dello stesso articolo 8, e, contrariamente a quanto avevano argomentato la ricorrente e il governo, la Corte ha ritenuto opportuno far rientrare nel concetto di “vita privata” il diritto a conoscere le proprie origini, soprattutto in connessione con il diritto all’identità personale[24]. La Corte, infatti, a tal proposito, stabilisce che: “L’articolo 8 tutela un diritto all’identità e allo sviluppo personale e quello di allacciare e approfondire relazioni con i propri simili e il mondo esterno.[25]”
La Corte, nella propria valutazione di merito, ricorda che: “Se l’articolo 8 tende fondamentalmente a difendere l’individuo da ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, esso non si limita ad ordinare allo Stato di astenersi da ingerenze di questo tipo, infatti, a questo impegno piuttosto negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata. La linea di separazione tra gli obblighi positivi e negativi dello Stato a titolo dell’articolo 8 non si presta ad essere definita con precisione; i principi applicabili sono comunque assimilabili.[26]”
Il giudice di Strasburgo, con molta più precisione, osserva che: “L’espressione - ogni persona – dell’articolo 8 della Convenzione si applica al figlio come alla madre. Da una parte vi è il diritto del figlio a conoscere le proprie origini che trova fondamento nella nozione di vita privata. L’interesse vitale del minore nel suo sviluppo è altresì ampiamente riconosciuto nell’economia generale della Convenzione. Dall’altra, non si può negare l’interesse di una donna a conservare l’anonimato per tutelare la propria salute partorendo in condizioni sanitarie adeguate.[27]”
Per tale motivo, la Corte ricorda che l’interesse generale sussiste anche nella misura in cui la legge italiana risponde alla preoccupazione di tutelare la salute della madre e del minore durante la gravidanza e il parto e di evitare aborti clandestini o abbandoni selvaggi[28].
Si arriva, ora, al nocciolo duro della questione, ovverosia alla valutazione che la Corte fa in merito alla normativa italiana, la quale, come scrivono i giudici, “non tenta di mantenere un equilibrio tra i diritti e gli interessi concorrenti in causa.[29]” Ciò significa che la legge italiana non mantiene un giusto equilibrio nella ponderazione tra il diritto a conoscere le proprie origini e il diritto della madre a mantenere l’anonimato[30].
La sentenza termina con una disamina particolare in merito alla soluzione adottata dalla Francia, assolutamente lodevole e degna di menzione da parte della Corte, che consente la reversibilità del consenso ab origine dato dalla madre di mantenere l’anonimato[31]. Con questo, la Corte invita lo stato italiano a rivedere la normativa, in particolar modo prevedendo la possibilità di contattare la madre e verificare nel corso del tempo la sua intenzione in merito al segreto. Solo questa soluzione può ben contemperare gli interessi in gioco e ben bilanciare i diritti fondamentali in campo[32].
E’ interessante soffermarsi anche sull’unica dissenting opinion del giudice Sajò, il quale, non essendo concorde con gli altri giudici, ha argomentato il proprio parere a favore del rigetto del ricorso. Il giudice in parola, attraverso una disquisizione fondata sul percorso normativo italiano in tema di anonimato[33], giunge alla conclusione che: “La protezione dell’anonimato è una misura che concorre al diritto alla vita del bambino: nel caso di specie, la possibilità del parto anonimo, associata alle garanzie assolute dell’anonimato, ha senza dubbio contribuito a permettere la nascita della ricorrente, e per giunta, la nascita in circostanze in cui erano stati eliminati i rischi per la salute e per quella di sua madre. L’anonimato è legato all’obbligo dello Stato di proteggere il diritto alla vita, che è la diretta emanazione del più alto fra i valori difesi dalla Convenzione.[34]”
In un altro passaggio, dopo aver spiegato cosa si debba intendere per bilanciamento di diritti, argomenta in tal senso: “Non spetta alla Corte controllare la necessità del divieto assoluto di riconoscimento delle proprie origini, facendo prevalere l’anonimato, giudicata costituzionale dal legislatore italiano,[35] dal momento che questa misura non è arbitraria e che il bilanciamento tiene ragionevolmente conto di tutti i diritti in gioco.[36]” Secondo la tesi sostenuta dal giudice Andràs Sajò, il diritto al segreto del parto, così come previsto dalla legislazione italiana, risulta tutelare la donna, ma soprattutto la vita che porta in grembo. Si è d’accordo nell’enunciazione profonda secondo la quale il diritto alla vita è diritto supremo, ma questo, alcune volte, potrebbe venirsi a scontrare con lo stesso diritto alla vita, appartenente, per esemplificare, all’adottato che ha problemi seri di salute, i quali possono addirittura portarlo alla morte, e l’unica possibilità per garantirgli il diritto alla vita sarebbe quello di sacrificare il diritto all’anonimato. Con la tecnica del bilanciamento dei diritti si vuole intendere, dunque, la possibilità concreta di sacrificare un diritto nella più alta probabilità dell’estrinsecazione fattiva dell’altro[37].
2.Necessità di un bilanciamento costituzionalmente orientato
La questione tratteggiata nel primo paragrafo pone le basi per vagliare l’ipotesi di un diverso approccio bilanciatorio dei diritti. Prima di giungere all’analisi dei principi costituzionali in tema di diritto a conoscere le proprie origini e di diritto al segreto del parto, è necessario evocare la differenza tra principi e norme. Per i primi si intende la possibilità di applicare “la regola del più o del meno”, in quanto aventi contenuto generale, ampio, indeterminato. Per i secondi si intende possibile l’applicazione della “regola del tutto o niente”, ragione per la quale alle norme è possibile applicare i criteri antinomici per la risoluzione dei contrasti tra le stesse, non applicabili, a contrario, ai principi. Ciò, infatti, fa percepire che la norma venga utilizzata come precetto definitorio, cioè si usufruisce di una norma per definire un caso pratico, il più delle volte semplice (easy case). Si usufruisce dei principi, invece, per ottimizzare un caso concreto difficile (hard case), logica secondo la quale i principi vengono spesso individuati come precetti di ottimizzazione[38].
Tutto quanto su esposto permette di vagliare un bilanciamento più accorto dei diritti attraverso i principi costituzionali, che da sempre vengono considerati lo zoccolo duro del nostro sistema ordinamentale[39].
Il nostro ordinamento, infatti, vive attraverso principi fondanti e fondati, in quanto costituzionalmente previsti e protetti.
I diritti di cui si parla non possono che essere ricondotti ai principi basilari del nostro sistema ordinamentale, ossia a quei principi che tutelano i diritti inviolabili dell’uomo, ai quali si richiama l’art. 2 cost. e che mostrano, insieme al personalismo e al solidarismo, l’influenza decisiva sul costituente dei valori di ispirazione cristiana[40].
Nel personalismo si incontrano le ideologie che, dopo la seconda guerra mondiale, trovano un compromesso politico nei principi fondamentali delle nuove democrazie occidentali e, in parte, di quelle orientali: lo spiritualismo cattolico, con venature modernistiche e sociali che hanno dato origine al cristianesimo sociale moderno; l’esistenzialismo; il marxismo, rifiutato nella sua integralità dal personalismo, ma apprezzato per la sua sostanza umanistica di liberazione sociale[41].
Spogliato dei riferimenti polemici e confortato dalla parallela evoluzione del pensiero liberale dall’interesse individuale egoistico al riconoscimento dell’irriducibile pluralità dei valori umani, il personalismo non appartiene più ad una specifica corrente di pensiero[42].
La persona, intesa come connessione essenziale in ciascun individuo della stima di sé, della cura dell’altro e dell’aspirazione a vivere in istituzioni giuste[43], è oggi il punto di confluenza di una pluralità di culture, che riconoscono in essa il principio riferimento di valore.
Tale è la scelta della Costituzione italiana, che “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2). Il principio di tutela della persona, quale supremo principio costituzionale, fonda la legittimità dell’ordinamento e la sovranità dello Stato[44].
La persona è inseparabile dalla solidarietà: aver cura dell’altro fa parte del concetto di persona[45].
La solidarietà costituzionale è diversa dalla solidarietà del codice civile: non è più soltanto economica, rivolta a scopi nazionalistici, di efficientismo del sistema, di aumento della produttività, ma ha fini politici, economici, sociali, la rilevanza dei quali emerge dal collegamento con l’art. 3 cost. In questa prospettiva, la solidarietà esprime la cooperazione e l’uguaglianza nell’affermazione dei diritti fondamentali di tutti[46].
Oltre ai principi del personalismo e del solidarismo costituzionali, che saranno più volte ripresi dalla sentenza della Corte Costituzionale, della quale si tratterà nel paragrafo successivo, è necessario catalizzare l’attenzione anche sul principio di uguaglianza, ma, in particolar modo, sul diritto alla salute.
Il personalismo e il solidarismo, così come esplicati, sono strumento e attuazione della dignità sociale del cittadino[47], definito come “lo strumento che conferisce a ciascuno il diritto al rispetto inerente alla qualità dell’uomo, ed inoltre la pretesa di essere messo nelle condizioni idonee ad esplicare le proprie attitudini personali assumendo la posizione a queste corrispondente.[48]”
La Costituzione riconosce l’uguaglianza sia come divieto di discriminazione fondata su differenze biologiche o culturali, sia come impegno dello Stato a rimuovere le condizioni di fatto che ostacolano lo sviluppo della persona[49].
Si afferma comunemente che l’art. 3 cost. enuncia nel comma 1 l’uguaglianza formale, nel comma 2 l’uguaglianza sostanziale; la seconda, invece, di una rivoluzione promessa[50]. Per la prima “i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza discriminazione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”; per la seconda “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Vi è chi nega il carattere precettivistico di tale disposizione costituzionale, riservando ad essa una mera natura programmatica[51] e chi, invece, ravvisa in essa una sorta di norma quadro di una legislazione, per lo più speciale, costitutiva e integrativa di un diritto dei contraenti deboli, volto ad eliminare o attenuare gli ostacoli di ordine economico-sociale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza[52].
L’articolo 3 della Carta Costituzionale va letto secondo un’interpretazione sistematica, ovvero non disgiungendo i due tipi di uguaglianze che generalmente si rivelano dall’articolo in questione, ma secondo una logica unitaria[53].
Per ciò che attiene al diritto alla salute, che sarà più volte citato nella sentenza della Corte Costituzionale in tema di diritto al parto segreto in bilanciamento con il diritto a conoscere le proprie origini, si tenta di fare un quadro sintetico e panoramico dell’interpretazione attuale del concetto di salute e della sua qualificazione.
La salute, profilo essenziale della persona, interessa l’operatore del diritto da molteplici punti di vista, i quali confluiscono nell’ampia problematica solitamente racchiusa nell’espressione “diritto alla salute”[54].
E’ riduttivo ravvisare il contenuto del diritto alla salute nel rispetto dell’integrità fisica[55], e ciò per due ragioni: la salute è anche psichica; in quanto la persona è indissolubile unità psicofisica[56]; non è soltanto aspetto statico e individuale, ma è riconducibile al sano e libero sviluppo della persona ed in quanto tale costituisce un tutt’uno con quest’ultima[57].
La salute si prospetta come aspetto inseparabile della persona umana quale valore unitario; essa, sia pure prevista autonomamente a livello costituzionale (art. 32), deve essere considerata unitamente alla norma che, quale principio generale, riconosce e garantisce i diritti dell’uomo con esclusione di qualsiasi loro tassatività o tipicità (artt. 2 e 3, comma 2, cost.)[58].
3.Intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 278 del 2013)
Dopo la sentenza di condanna da parte della Corte EDU nei confronti dello Stato italiano, la Corte Costituzionale si vede investita di un’ordinanza di rimessione da parte del Tribunale per i minorenni di Catanzaro, il quale sollevava questione di legittimità costituzionale dell’articolo 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), come sostituito dall’articolo 177, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), in riferimento agli articoli 2, 3, 32 e 117, comma 1, della Costituzione, “nella parte in cui esclude la possibilità di autorizzare la persona adottata all’accesso alle informazioni sulle origini senza avere previamente verificato la persistenza della volontà di non volere essere nominata da parte della madre biologica[59].”
Il fatto, brevemente, così si riassume.
Una donna viene a conoscenza della sua adozione soltanto in occasione della procedura di separazione e divorzio dal marito e l’ignoranza delle sue origini le hanno causato vari condizionamenti anche di ordine sanitario, limitando le possibilità di diagnosi e cura per patologie che avrebbero dovuto comportare una anamnesi di tipo familiare[60]. Da qui, la richiesta di conoscere le generalità della madre naturale[61].
Il Tribunale per i minorenni, a proposito della violazione dell’art. 2 cost., osserva come la conoscenza delle propri origini rappresenti un presupposto indefettibile per l’identità personale dell’adottato, la quale integra un diritto fondamentale, che viene tutelato sotto il profilo della immagine sociale della persona[62]. Il diritto all’identità personale ed alla ricerca delle proprie radici è salvaguardato dagli artt. 7[63] e 8[64] della Convenzione sui diritti del fanciullo[65], fatta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, che assicurano il relativo diritto a conoscere i propri genitori ed a preservare la propria identità, nonché dall’art. 30[66] della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta all’Aja il 29 maggio 1993 e resa esecutiva con la legge 31 dicembre 1998, n. 476, la quale impone agli Stati aderenti di assicurare l’accesso del minore o del suo rappresentante alle informazioni relative alle sue origini, fra le quali, in particolare, quelle relative all’identità dei propri genitori[67].
Il diritto a conoscere le proprie origini contribuisce, dunque, in maniera determinante, a delineare la personalità di un essere umano e rientra, quindi, nell’ambito dei principi tutelati dell’art. 2 cost.[68].
La disposizione oggetto del vaglio costituzionale violerebbe, secondo il tribunale, anche l’articolo 3 cost., trattando in modo diverso l’adottato la cui madre non abbia dichiarato alcunché e quello la cui madre abbia dichiarato di non voler essere nominata, senza considerare l’eventualità che possa aver cambiato idea e lei stessa desideri avere notizie del figlio[69]. La norma impugnata, dunque, avrebbe privilegiato l’interesse del genitore all’anonimato, senza controllarne l’attualità[70], sacrificando sempre e comunque l’interesse dell’adottato, in ipotesi anche a fronte di gravi esigenze attinenti alla sua salute psico-fisica[71]. La disposizione sarebbe tacciata di incostituzionalità anche nella parte in cui, operando solo a tutela dell’anonimato, andrebbe a discriminare irragionevolmente gli adottati, in quanto diversamente dal caso di genitori naturali che non hanno dichiarato di non voler essere nominati, e che possono in concreto essersi opposti all’adozione, così da rappresentare un potenziale pericolo per la famiglia adottiva, un simile rischio non è rappresentato dal genitore il quale abbia richiesto l’anonimato[72].
Risulterebbe compromesso, secondo il giudice a quo, anche l’art. 32 cost., in quanto l’impedimento alla conoscenza dei dati inerenti alla madre naturale priverebbe l’adottato di qualsiasi possibilità di ottenere una anamnesi familiare, essenziale per interventi di profilassi o di accertamenti diagnostici, essendo già egli privo di notizie circa la storia sanitaria del ramo paterno del proprio albero genealogico[73].
Sussisterebbe, infine, anche violazione dell’articolo 117, comma 1, cost., in riferimento all’art. 8 della Convenzione EDU, così come interpretato alla luce della sentenza di cui al primo paragrafo[74].
La questione sarebbe tutta incentrata, dunque, su quello che i giudici della Consulta definiscono “reversibilità del segreto”[75].
Dopo aver fatto un confronto con la disciplina della fecondazione assistita (art. 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40), nella quale non viene prevista la possibilità di consentire l’accesso alla cartella clinica della madre ove venga in gioco la salute del figlio[76], la Consulta considera il fatto in diritto, arrivando alla dichiarazione di incostituzionalità della disposizione citata, attraverso, come si nota, una sentenza additiva di principio.
Nell’argomentazione giuridica, i giudici costituzionali ammettono la delicatezza degli interessi in gioco e, avendo analizzato e ripreso attentamente la sentenza della Corte EDU (Godelli c. Italia), stabiliscono che l’art. 28, comma 7, della legge sull’adozione, non sia legittimo costituzionalmente, perché contrastante con gli artt. 2, 3, 32, 117, comma 1, cost., nella parte in cui non prevede che l’adottato possa conoscere le proprie origini, secondo un procedimento previsto dalla legge che abbia come elemento centrale la salvaguardia della riservatezza[77], e che il giudice, attraverso lo stesso procedimento legale, possa avere la facoltà di interpellare la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1, del d.P.R. 3 novembre 200, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’art. 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), su richiesta del figlio stesso, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione[78].
In una parte del considerato in diritto, le argomentazioni si soffermano sul profilo diacronico della norma, che immobilizza, addirittura cristallizza l’anonimato e non lo veste di dinamicità. La volontà del parto segreto potrebbe anche venire meno nel corso degli anni, delle vicissitudini personali, dell’esistenza stessa[79].
I giudici costituzionali, con molta tranquillità, fanno emergere che il vulnus è rappresentato dalla irreversibilità del segreto e che dovrà essere compito del legislatore introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato[80], secondo scelte procedimentali che circoscrivono adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo, agli effetti della verifica di cui innanzi si è detto[81].
Per tale motivo, nell’ultimo paragrafo si tenterà di mettere in luce quale direzione stanno prendendo i lavori parlamentari in merito alla questione, soprattutto dopo l’additività di principio della Corte Costituzionale.
4.Uno sguardo all’attualità: Cass. civ., 9 novembre 2016, n. 22838 e le Sezioni Unite n. 1946/2017
Un caso recente in tema di diritto alla conoscenza delle proprie origini è arrivato alla Corte della nomofilachia, che ha dovuto fare i conti con una questione patologicamente rilevante.
Qualche cenno al fatto di causa è indispensabile per giungere alla prospettazione della soluzione fornita dal giudice di legittimità.
Il Tribunale per i minorenni di Torino rigettava la domanda di una ricorrente, volta ad ottenere l’accesso alle informazioni relative alle generalità della propria madre naturale la quale aveva esercitato il diritto a rimanere nell’anonimato, alla nascita della stessa, e, nel corso dell’istruttoria, era deceduta.
A connotare il caso di complessità è il fatto-morte della titolare del diritto al segreto del parto, esercitato sin dal momento della nascita dalla madre naturale della ricorrente e, dunque, di vagliare la possibilità di considerare estinto il diritto a causa della morte oppure ancora in vita, capace di produrre effetti ultrattivi[82].
I giudici della Consulta, al termine dei fatti di causa, dopo aver ripreso le argomentazioni della sentenza della Corte EDU e della Corte costituzionale, così come sono state esposte nei paragrafi precedenti, hanno affermato che: “Né dalla sentenza della Corte costituzionale né dalla sentenza della Corte europea dei diritti umani può trarsi la conclusione dell’equiparazione tra decesso e revoca dell’anonimato in quanto questa soluzione può essere solo frutto di una scelta legislativa.[83]”
Anche qui, come si può notare, viene lanciato un ulteriore monito al legislatore affinché possa intervenire e disciplinare la materia in maniera organica e confacente al bilanciamento dei diritti in gioco e alla procedimentalizzazione garantistica arguita dalla Consulta[84].
Dopo un’attenta analisi e ripetizione delle argomentazioni dedotte già nelle due sentenze citate, il giudice delle leggi, con un ben prolisso, ma attento principio di diritto, per la questione in esame, stabilisce che: “Il diritto dell’adottato, nato da donna che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata (d.P.R. n. 396 del 2000, ex art. 30, comma 1), ad accedere alle informazioni concernenti la propria origine e l’identità della madre biologica, sussiste e può essere concretamente esercitato anche se la stessa sia morta e non sia possibile procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto, non rilevando nella fattispecie il mancato decorso del termine di cento anni dalla formazione del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica di cui al d. lgs. N. 196 del 2003, art. 93, commi 2 e 3, salvo il trattamento lecito e non lesivo dei diritti dei terzi dei dati personali conosciuti.[85]”
In via di sintesi, la Cassazione ha affermato che con la morte della titolare del diritto all’anonimato, quest’ultimo non si estingue, ma può essere esercitato tranquillamente dall’adottato, senza, però, arrecare pregiudizio ai terzi (familiari e discendenti della donna- madre naturale) che potrebbero essere coinvolti e verso i quali la donna nutre la “speranza della riservatezza”, salvaguardata propria dal diritto al segreto[86].
Nel 2017, invece, le Sezioni Unite ha statuito che: “In tema di parto anonimo, per effetto della sentenza delle Corte costituzionale n. 278 del 2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte stessa, idonee ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità della donna, fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità”[87].
5.L’intervenuta pronuncia della Cassazione n. 6963/2018 sul tema
La questione posta al vaglio della Corte di cassazione concerne il diritto da parte dell’adottato a conoscere le generalità relative alle proprie sorelle, le quali al momento dell’adozione furono affidate a famiglie diverse.
In particolare il ricorrente, a seguito del rigetto della propria istanza nei primi due gradi di giudizio, denuncia, oltre che una violazione degli artt. 7 e 8 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (20 ottobre 1989) − i quali impongono la tutela dell’identità del minore da intendersi come ricerca delle proprie origini e quindi delle proprie radici e legami biologici − e dell’art 30 della convenzione de L’Aja (29 maggio 1993), l’errata interpretazione dei commi 4 e 5 dell’art 28, legge n. 184/1983, ritenendo che si possano ricomprendere nei legami famigliari anche i fratelli.
La tematica riguarda la lettura del comma 5 dell’art. 28 legge n. 184/1983 ponendosi una questione puramente interpretativa circa l’ampiezza delle informazioni cui può accedere l’adottato. L’articolo così recita: “L’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni, può accedere alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici”.
Due sono le opzioni interpretative prospettate dalla Corte di cassazione: secondo la prima il riferimento normativo “accesso all’origine e identità dei propri genitori biologici” deve considerarsi come una specifica dell’ambito delle informazioni che l’adottato ha il diritto di conoscere, e pertanto “tale informazione soddisfa l’esigenza conoscitiva relativa alle origini”; in base alla seconda, invece, la formula normativa non ha carattere esaustivo delle informazioni cui può accedere l’adottato, volendo il legislatore far riferimento all’intero nucleo familiare originario[88].
Il Collegio, accogliendo quest’ultima opzione ermeneutica, afferma tuttavia che “l’esercizio del diritto nei confronti dei genitori biologici e nei confronti degli altri componenti non può realizzarsi con modalità identiche”.
Ed invero, con riferimento alla conoscenza dell’identità dei genitori biologici il legislatore riconosce all’adottato un vero e proprio diritto potestativo a conoscere le proprie origini, svolgendo una valutazione ex ante della preminenza del diritto dell’adottato rispetto a quello dei genitori ed escludendo un bilanciamento ex post.
Soluzione che, secondo la Corte, non può essere automaticamente applicata nel caso in esame in considerazione della diversa posizione che i fratelli, rispetto ai genitori, assumono nello sviluppo della personalità di un individuo.
Ed infatti, “l’interesse dei fratelli alla riservatezza e quello dell’adottato a conoscere l’identità biologica degli stessi sono posizioni giuridiche di pari rango e di contenuto omogeneo sulle quali non sussiste alcuna predeterminazione legislativa circa la graduazione gerarchica dei diritti e degli interessi da comporre, come invece previsto nei commi 5 e 6 dell’art 28, con riferimento all’adottato maggiorenne che voglia conoscere l’identità dei genitori biologici”.
Pertanto, nel caso in esame, “è necessario operare un bilanciamento tra le due posizioni in conflitto attraverso il procedimento d’interpello preventivo individuato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 278 del 2013”.
Il diritto in questione, quindi, non può qualificarsi come diritto potestativo al pari di quello previsto dal comma 5 dell’art. 28 nel caso di richiesta di accesso all’identità dei genitori biologici.
6.I disegni di legge “dormienti” a discapito dei diritti fondamentali della persona
L’Assemblea della Camera ha approvato, nel lontano 2015, un testo unificato di alcune proposte di legge, finalizzato ad ampliare la possibilità del figlio adottato o non riconosciuto alla nascita di conoscere le proprie origini biologiche[89]. In particolare, per dare seguito alla sentenza n. 278 del 2013[90], con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità della disciplina vigente, viene prevista la possibilità di chiedere alla madre se intenda revocare la volontà di anonimato, manifestata alla nascita del figlio. Il progetto è attualmente all’esame del Senato (AS. 1978).
Il provvedimento approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato interviene, con particolare riferimento all’articolo 1, sulla legge sull’adozione ed estende anche al figlio non riconosciuto alla nascita da donna che abbia manifestato la volontà di rimanere anonima la possibilità, raggiunta la maggiore età, di chiedere al tribunale per i minorenni l’accesso alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici, andando, poi, anche a disciplinare la possibilità di accesso alle proprie informazioni biologiche nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata[91].
In particolare l’accesso, che non legittima, tuttavia, azioni di stato né dà diritto a rivendicazioni di natura patrimoniale o successoria, è consentito nei confronti della madre che abbia successivamente revocato la volontà di anonimato e nei confronti della madre deceduta[92].
Una nuova disposizione introdotta nella legge sull’adozione disciplina il procedimento di interpello della madre, volto a verificare il permanere della sua volontà di anonimato[93]. Il procedimento è avviato su istanza dei legittimati ad accedere alle informazioni biologiche e dunque dall’adottato che abbia raggiunto la maggiore età, dal figlio non riconosciuto alla nascita, che abbia raggiunto la maggiore età, in assenza di revoca dell’anonimato da parte della madre; dai genitori adottivi, legittimati per gravi e comprovati motivi; dai responsabili di una struttura sanitaria, in caso di necessità e urgenza e qualora vi sia grave pericolo per la salute del minore.
L’istanza di interpello può essere presentata una sola volta, al tribunale per i minorenni del luogo di residenza del figlio. Il tribunale, con modalità che assicurino la massima riservatezza, e con il vincolo del segreto per quanti prendano parte al procedimento, si accerta della volontà o meno della madre di rimanere anonima[94].
Ove la madre confermi di volere mantenere l’anonimato, il tribunale per i minorenni autorizza l’accesso alle sole informazioni di carattere sanitario, riguardanti le anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all’eventuale presenza di patologie ereditarie trasmissibili.
Inoltre, è previsto anche che, decorsi diciotto anni dalla nascita del figlio, la madre che ha partorito in anonimato possa comunque confermare la propria volontà. Anche in questo caso, il tribunale per i minorenni, se richiesto, può autorizzare l’accesso alle sole informazioni sanitarie.
L’articolo 2 del progetto di legge modifica il codice della privacy con riguardo al certificato di assistenza al parto, le cui disposizioni sono coordinate con quelle introdotte dalla riforma (in particolare, quella che prevede la necessità del decorso di 100 anni per poter accedere alla documentazione contenente i dati identificativi della madre). Il vincolo dei 100 anni viene meno in caso di revoca dell’anonimato, di decesso della madre o di autorizzazione del tribunale all’accesso alle sole informazioni di carattere sanitario[95].
L’articolo 3, invece, modifica, per coordinamento, il regolamento sullo stato civile in relazione alle informazioni da rendere alla madre che dichiara di volere restare anonima. In particolare, la madre dovrà essere informata, anche in forma scritta degli effetti giuridici, per lei e per il figlio, della dichiarazione di non volere essere nominata; della facoltà di revocare, senza limiti di tempo, tale dichiarazione; della possibilità di confermare, trascorsi 18 anni dalla nascita, la volontà di anonimato e della facoltà di interpello del figlio[96].
E’ prevista, all’articolo 4, una disciplina per i casi di parti anonimi precedenti all’entrata in vigore della legge. Entro dodici mesi, la madre che ha partorito in anonimato prima dell’entrata in vigore della riforma, può confermare la propria volontà al tribunale per i minorenni, con modalità che garantiscano la massima riservatezza. Qualora la madre confermi la propria volontà di anonimato, il tribunale per i minorenni, se richiesto, autorizza l’accesso alle sole informazioni sanitarie. A tal fine saranno stabilite modalità di svolgimento di una campagna informativa.
L’articolo 5, in conclusione, stabilisce che il Governo, decorsi tre anni, dovrà trasmettere al Parlamento i dati sull’attuazione della legge.
7.Conclusioni
Il testo unificato di proposte legislative non fa altro che rivedere la disciplina sulla scorta dei principi e dei canoni, nonché dei procedimenti previsti e descritti accuratamente dalla sentenza della Corte EDU[97] di cui al primo paragrafo, dalla sentenza della Corte costituzionale[98] di cui al terzo paragrafo e dalla sentenza della Cassazione[99] di cui al quarto paragrafo.
Si dà conferma di quale sia il cammino verso la tipicità legale, alla quale si perviene attraverso la tipicità sociale rappresentata dalla tipicità giurisprudenziale, perché è a livello di giudizio che si manifestano le reali esigenze dei traffici - in questo caso degli interessi e dei diritti fondamentali - e i reali problemi che il legislatore è tenuto a risolvere con una disciplina uniforme. Il tipo giurisprudenziale per divenire tipo legale presuppone allora una reiterazione di comportamenti, una pratica generale che, pur se non assurta a consuetudine, ne potrebbe costituire la base, dettando già una regola[100].
Bisognerà soltanto attendere, quindi, che questa proposta di legge, nella quale confluiscono diritti fondamentali della persona, ergo, bisognevole di una certa preminenza nel calendario delle attività parlamentari, sia varata quanto prima.
Una legge del genere, che, come si è sottolineato, coinvolge diritti personalissimi[101], potrebbe porre un freno alle differenti interpretazioni giurisprudenziali e, dunque, mettere in risalto la certezza del diritto, che non è certezza della decisione.
Grazie all’ausilio interpretativo della Corte costituzionale nella sentenza 278 del 2013, i giudici di merito, che si sono trovati ad applicare il dispositivo della stessa, hanno trovato un po’ di difficoltà nel decidere di accogliere o meno i ricorsi aventi ad oggetto la possibilità di conoscere le proprie origini. Alcuni, non avendo ancora a disposizione il procedimento legale che garantisce la riservatezza per il caso di specie, hanno rigettato i ricorsi - leggasi formalismo giuridico, specie primato della legge -[102]. Altri, invece, hanno creato un mini-protocollo interno, sostituendosi al legislatore, al solo fine di meglio rendere estrinsecato ed attuato il diritto a conoscere le proprie origini in bilanciamento con il diritto all’anonimato, considerati diritti fondamentali della persona (art. 2 cost.)[103].
Ciò a riprova del fatto che il legislatore “dormiente” preferisce occuparsi di altro a discapito dei diritti della persona, che, indubitanter, restano il nucleo centrale e inossidabile del sistema ordinamentale.
[1] Per una visione panoramica del concetto di “tutela multilevel” si rimanda a A. Di Stasi, Spazio europeo e diritti di giustizia, Il capo VI della Carta dei diritti fondamentali nell’applicazione giurisprudenziale, Cedam, Padova 2014. Si rimanda, inoltre, a P. Bilancia, E. De Marco (a cura di), La tutela multilivello dei diritti. Punti di crisi, problemi aperti, momenti di stabilizzazione, Milano, 2004; A. Bultrini, La pluralità dei meccanismi di tutela dei diritti umani in Europa, Torino, 2004; S. Gambino, I diritti fondamentali dell’Unione europea fra Corte costituzionale e Corte di giustizia: ambiti e limiti di una protezione multilevel, Milano, 2009; R. Foglia, Il diritto europeo nel dialogo tra le Corti, Milano, 2013.
[2] Vedi fra tutti gli articoli 2 e 3 della Carta Costituzionale.
[3] Sul punto si rimanda a A. Di Stasi, op. ult. cit., pp. 45-109.
[4] P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, ESI, Napoli, 2006, pp. 180-183.
[5] P. Perlingieri, op. cit., p. 204.
[6] P. Perlingieri, op. cit., p. 205; vedi anche V. Crisafulli, Efficacia delle norme costituzionali programmatiche, in Riv. Trim. dir. Pubbl., 1951, p.356; U. Natoli, Limiti costituzionali dell’autonomia privata nel rapporto di lavoro, I, Introduzione, Varese, 1955, rist. 1982, p. 23 ss.; P. Perlingieri, Appunti di “Teoria dell’interpretazione”, Camerino, 1970, p. 15 ss.
[7] Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 25 settembre 2012 - Ricorso n.33783/09 - Godelli c. Italia, reperibile su www.ministerodigiustizia.it.
[8] Per una visione sistematica del diritto di conoscere le proprie origini, si rimanda a M. G. Stanzione, Identità del figlio e diritto di conoscere le proprie origini, Giappichelli, Torino, 2015.
[9] P. Perlingieri, op. ult. cit., p. 200.
[10] L’art. 38 dello statuto della Corte internazionale di giustizia annovera tra le fonti internazionali i “principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili”, dopo gli accordi e le convenzioni.
[11] P. Perlingieri, cit., p. 200; vedi anche A. La Pergola, Costituzione e adattamento dell’ordinamento interno al diritto internazionale, Milano, 1961, p. 296 ss.
[12] L’articolo 117, co. 1, Cost. it., recita: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.”.
[13] Si rimanda all’articolo di riferimento in tema di diritto derivato dell’Unione europea, ossia all’art. 288 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.
[14] P. Perlingieri, cit., p. 202; vedi anche F. Sorrentino, Corte Costituzionale e Corte di Giustizia delle Comunità Europee, I, Milano, 1970,p. 172.
[15] Vedi, ad esempio, la procedura di rinvio pregiudiziale, prevista e disciplinata dall’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
[16] L’articolo 34 CEDU, rubricato “Ricorsi individuali”, stabilisce che: “La Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga d’essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto.”
[17] Sul tema, si rimanda a M. G. Stanzione, op. ult. cit., pp. 64-69.
[18] Si rimanda a M. G. Stanzione, op. cit., pp. 64-69.
[19] L’art. 28, co. 7. l. ad, espressamente prevede che: “L’accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.”.
[20] A tal riguardo, si consenta rinviare a M. G. Stanzione, op. cit., pp. 81- 103.
[21] Esauriente, in tale direzione, è la prospettiva evidenziata da M. G. Stanzione, op. cit., p. 43.
[22] In merito al diritto di conoscere la propria condizione di adottato, si consenta rinviare a M. G. Stanzione, op. cit., pp. 48-53.
[23] Per una visione d’insieme in chiave comparatistica del diritto di conoscere le proprie origini si rimanda a M. G. Stanzione, op. cit., p. 144 ss.
[24] Si consenta rinviare ai commenti a sentenza di E. Vigato, Godelli c. Italia: il diritto a conoscere le proprie origini, in Quad. cost., 2012, p. 908 ss.; G. Currò, Diritto della madre all’anonimato e diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini. Verso nuove forme di contemperamento, in Fam. Dir., 2013, 6, p. 537 ss..
[25] In riferimento all’articolo 8 CEDU, si rinvia a M. G. Stanzione, op. cit., pp. 114-115.
[26] In merito all’applicabilità dell’articolo 8 CEDU, si rinvia a A. Margaria, Parto anonimo e accesso alle origini: la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna la legge italiana, in Minorigiustizia, 2013, 2, p. 340 ss..
[27] A. Margaria, op. cit., p. 340 ss.
[28] Cfr. V. Sciarrino, Il diritto di conoscere le proprie origini biologiche, nella legge 4 maggio 1983, n. 184, in Rass. Dir. Civ., 2002, p. 775 ss.
[29] A tale riguardo, si consenta rinviare a M. P. Bianchetti, La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo richiama l’Italia a realizzare il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini, in Diritti Umani in Italia, 22 aprile 2013 (www.duitbase.it).
[30] M. P. Bianchetti, op. cit..
[31] Si rinvia a M. G. Stanzione, op. ult. cit., pp. 32-40, la quale si sofferma in particolar modo, proprio in chiave comparatistica, sul parto con discrezione, ipotizzando una possibile conciliazione tra l’interesse della madre biologica e del figlio in cerca della sua identità.
[32] M. P. Bianchetti, op. ult. cit.
[33] Si consenta rinviare a M. G. Stanzione, op. ult. cit., pp. 58-64.
[34] D. Butturini, La pretesa a conoscere le proprie origini come espressione del diritto al rispetto della vita privata, in Forum di quaderni costituzionali, 24 ottobre 2012 (www.forumcostituzionale.it).
[35] Sul tema, si consenta rinviare a Corte cost., 22 novembre 2013, n. 278, in Fam. Dir., 2014, 1, p. 11 ss., con nota di V. Carbone, Un passo avanti del diritto del figlio, abbandonato e adottato, di conoscere le sue origini rispetto all’anonimato materno, p. 11 ss.; in Nuova giur. Civ. comm., 2014, 1, p. 285 ss., con nota di V. Marcenò e di J. Long, Adozione e segreti: costituzionalmente illegittima l’irreversibilità dell’anonimato del parto, in Foro it., 2014, 1, p. 4 ss.; in Guida dir., 2013, n. 49-50, p. 20 ss., con nota di commento di G. Finocchiaro, Il segreto sulle origini perde il carattere irreversibile ma la donna può decidere se restare nell’anonimato.
[36] Cfr. B. Checchini, Anonimato materno e diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, in Riv. Dir. Civ., 2014, 3, p. 710 ss..
[37] Corte cost. 16 novembre 2005, n. 425, in Dir. Inf., 2006, p. 105 ss., con nota di L. Trucco, Anonimato della madre versus “identità” del figlio davanti alla Corte Costituzionale; in Fam. Dir., 2006, 2, p. 129 ss., con nota di F. Eramo, Il diritto all’anonimato della madre partoriente, p. 130 ss. e in Fam. Pers. Succ., 2006, 11, p. 884 ss., con commento di L. Caretti, Accesso dell’adottato alle informazioni sulle proprie origini: legittimo il divieto ove la madre abbia dichiarato di non voler essere nominata.
[38] R. Alexy, A theory of Legal Argumentation, Oxford, 2010, p. 140 ss.
[39] P. Perlingieri, op. ult. cit., p. 433 ss.
[40] P. Perlingieri, op. cit., p. 433.
[41] P. Perlingieri, op. cit., p. 434.
[42]P. Perlingieri, op. cit., p. 434; vedi anche U. Scarpelli, Esistenzialismo e marxismo, Torino, 1960, p. 71; E. Berti, Il concetto di persona nella storia del pensiero filosofico, in Aa. Vv., Persona e personalismo, Padova, 1983, p. 34 ss; S. Cotta, Soggetto umano soggetto giuridico, Milano, 1997, p. 39 ss.
[43] G. Oppo, Declino del soggetto e ascesa della persona, in Riv. Dir. Civ., 2002, I, p. 829 ss.
[44] P. Stanzione, Persona fisica I) Diritto civile, in Enc. Giur. Treccani, XXIII, Roma, 1991, p. 1 ss.
[45] P. Perlingieri, op. ult. cit., p. 435.
[46] P. Perlingieri, op. cit., p. 435.
[47] P. Perlingieri, op. cit., p. 436.
[48] P. Perlingieri, op. cit., 437.
[49] U. Scarpelli, Classi logiche e discriminazioni tra i sessi, in Lav. Dir., 1988, p. 615 ss.; R. Dworkin, Eguaglianza, in Enc. Sc. Soc. Treccani, III, Roma, 1993, p. 478 ss.; N. Bobbio, Eguaglianza e libertà, Torino, 1995, p. 22.
[50] F. Galgano, Le istituzioni dell’economia capitalista, Roma, 1978, p. 27.
[51] C. Esposito, La costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, pp. 26 61 ss. e U. Rescigno, Costituzione italiana e stato borghese, Roma, 1975, p. 124.
[52] F. Lucarelli, Regime dei suoli e progetto di equo canone, in Riv. Trim., 1977, p. 1161 ss.
[53] P. Perlingieri, cit., p. 450.
[54] Più di recente C. Fiorio, Libertà personale e diritto alla salute, Padova, 2002.
[55] M. Pesante, Corpo umano (Atti di disposizione), in Enc. Dir., X, Milano, 1962, p. 657.
[56] F. Mantovani, I trapianti e la sperimentazione umana nel diritto italiano e straniero, Padova, 1974, p. 82.
[57] C. Mortati, La tutela della salute nella Costituzione italiana, (1961), Raccolta di scritti, III, Milano, 1972, p. 435.
[58] C. Mortati, cit., p. 436.
[59] In riferimento ad una ricerca di equilibrio tra gli interessi in conflitto nella giurisprudenza della Corte EDU e della Corte costituzionale italiana, si consenta rinviare a M. G. Stanzione, op. ult. cit., pp. 64-69; Si consenta rinviare, altresì, a V. Gagliardi, E. Palmerini, Sub art. 24 l. 28 marzo 2001, n. 149, in Le nuove leggi civili commentate, 2002, n. 4-5, p. 1024.
[60] Per una prospettiva di indagine sul tema, si consenta rinviare a L. Balestra, Il diritto alla conoscenza delle proprie origini tra tutela dell’identità dell’adottato e protezione del riserbo dei genitori biologici, in Familia, 2005, p. 161 ss..
[61] Panoramica generale sulla disquisizione del diritto a conoscere le proprie origini, soprattutto a livello sociologico e antropologico, è fornita da P. Ronfani, Conoscenza delle origini e altri problemi dell’adozione nelle prospettive sociologica e antropologica, in Minorigiusitizia, 1997, 2, p. 40.
[62] Per un quadro approfondito sul diritto a conoscere le proprie origini quale diritto all’identità personale, si consenta rimandare a C. Restivo, L’art. 28 l.ad. tra nuovo modello di adozione e diritto all’identità personale, in Familia, 2002, p. 691 ss..
[63] L’articolo 7 della Convenzione di New York recita che: “Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi. Gli Stati parti vigilano affinché questi diritti siano attuati in conformità con la loro legislazione nazionale e con gli obblighi che sono imposti loro dagli strumenti internazionali applicabili in materia, in particolare nei casi in cui se ciò non fosse fatto, il fanciullo verrebbe a trovarsi apolide.”
[64] L’articolo 8 della Convenzione di New York, invece, stabilisce che: “Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, così come riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali. Se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati parti devono concedergli adeguata assistenza e protezione affinché la sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile.”
[65] L’importanza della Convenzione di New York è risaltata da M. G. Stanzione, op. ult. cit., p. 49 ss.
[66] L’art. 30 della Convenzione Aja stabilisce, inoltre, che: “Le autorità competenti di ciascuno Stato contraente conservano con cura le informazioni in loro possesso sulle origini del minore, in particolare quelle relative all'identità della madre e del padre ed i dati sui precedenti sanitari del minore e della sua famiglia. Le medesime autorità assicurano l'accesso del minore o del suo rappresentante a tali informazioni, con l'assistenza appropriata, nella misura consentita dalla legge dello Stato.”
[67] Per un riferimento più chiaro, si rimanda a A. Liuzzi, Il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini: una vexata questio, in Fam. Dir., 2002, p. 89 ss.
[68] Imprescindibile è il riferimento alla sentenza della Corte costituzionale italiana 3 febbraio 1994, n. 13, in Foro it., 1994, I, c 1668; in Giust. Civ., 1994, I, p. 867; in Dir. Fam. Pers., 1994, p. 526; in Giur. Cost., 1994, p. 95, con nota di A. Pace; in Fam dir., 1994, p. 135, con nota di G. Servelli, Rettifica degli atti di stato civile e mantenimento del cognome.
[69] Si ritorna al tema della reversibilità del consenso cristallizzato all’anonimato. Sul punto M. P. Bianchetti, op. ult. cit.
[70] In merito all’attualità, dunque, della non perdurante volontà della madre biologica di conservare il segreto, si fa rimando a E. Vigato, op. ult. cit., p 908 ss.; G. Currò, op. ult. cit., p. 537 ss; A. Margaria, op. ult. cit., p. 340 ss.
[71] Tracce si possono già trovare in B. Pannain, Il preminente interesse del minore: principio fondamentale della normativa sull’adozione ed esigenza bio-psicologica primaria, Dir. Fam., 1991, p. 223.
[72] Numerosi e approfonditi sono i contributi in materia. Si consenta rimandare a T. Auletta, Sul diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini, in Corr. Giur., 2014, p. 473 ss.; A. Palazzo, La filiazione, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 2003, p. 157 ss.; J. Long, La Corte europea dei diritti dell’uomo censura l’Italia per la difesa a oltranza dell’anonimato del parto: una condanna annunciata, in Nuova giur. Civ. comm., 2013, I, p. 110 ss.; ID, Diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini: costituzionalmente legittimi i limiti nel caso di parto anonimo, Nuova giur. Civ. comm., 2006, I, p. 549 ss.
[73] Imprescindibile, anche e soprattutto in questo caso, è il riferimento alla sentenza della Corte costituzionale italiana 3 febbraio 1994, n. 13, in Foro it., 1994, I, c 1668; in Giust. Civ., 1994, I, p. 867; in Dir. Fam. Pers., 1994, p. 526; in Giur. Cost., 1994, p. 95, con nota di A. Pace; in Fam dir., 1994, p. 135, con nota di G. Servelli, Rettifica degli atti di stato civile e mantenimento del cognome.
[74] Attinente a questo punto è l’approfondimento di M. G. Stanzione, op. ult. cit., pp. 58-73.
[75] Si ritorna al tema della reversibilità del consenso cristallizzato all’anonimato. Sul punto M. P. Bianchetti, op. ult. cit.. In merito all’attualità, dunque, della non perdurante volontà della madre biologica di conservare il segreto, si fa rimando a E. Vigato, op. ult. cit., p 908 ss.; G. Currò, op. ult. cit., p. 537 ss; A. Margaria, op. ult. cit., p. 340 ss.
[76] In merito al collegamento tra il diritto a conoscere le proprie origini e la disciplina della procreazione medicalmente assistita, anche in un’ottica squisitamente comparatistica, si consenta rinviare a M. G. Stanzione, op. ult. cit., pp. 73-105.
[77] Sul tema, vedi M. Di Masi, Trattamento dei dati personali e diritto a conoscere le proprie origini: due recenti provvedimenti del Garante della “Privacy”, in Riv. Crit. Dir. Priv., 2011, p. 141 ss.
[78] In tema di reversibilità, o, come in questo caso, ma sempre attraverso una sinonimia, in tema di revocabilità dell’anonimato, si rinvia a E. Vigato, op. ult. cit., p 908 ss.; G. Currò, op. ult. cit., p. 537 ss; A. Margaria, op. ult. cit., p. 340 ss.
[79] Si ritorna al tema della reversibilità del consenso cristallizzato all’anonimato. Sul punto M. P. Bianchetti, op. ult. cit.
[80] In argomento vedi l’analisi di S. Troiano, Circolazione e contrapposizione di modelli nel diritto europeo di famiglia: il “dilemma” della donna partoriente all’anonimato, in Liber amicorum per Dieter Henrich, a cura di G. Gabrielli et al., vol. II, Torino, 2012, p. 172 ss.; nonché S. Stefanelli, Parto anonimo e diritto a conoscere le proprie origini, in Dir. Fam. Pers., 2010, n. 1, p. 426 ss.
[81] A tal proposito, si consenta rinviare a A. Renda, L’accertamento della maternità: anonimato materno e responsabilità per la procreazione, in Fam. Dir., 2004, p. 510 ss.; E. Bolondi, Il diritto della partoriente all’anonimato: l’ordinamento italiano nel contesto europeo, in Nuova giur. Comm., 2009, II, p. 281 ss.
[82] G. Bonilini, Trattato di Diritto di Famiglia, in 4 Volumi, Utet giuridica, 2016.
[83] Sia consentito rinviare a E. Vigato, op. ult. cit. p. 908 ss.; M. P. Bianchetti, op. ult. cit.; D. Butturini, op. ult. cit.; V. Carbone, op. ult. cit., p. 11 ss.; Checchini, op. ult. cit., p. 710 ss.
[84] Imprescindibile, anche e soprattutto in questo caso, è il riferimento alla sentenza della Corte costituzionale italiana 3 febbraio 1994, n. 13, in Foro it., 1994, I, c 1668; in Giust. Civ., 1994, I, p. 867; in Dir. Fam. Pers., 1994, p. 526; in Giur. Cost., 1994, p. 95, con nota di A. Pace; in Fam dir., 1994, p. 135, con nota di G. Servelli, Rettifica degli atti di stato civile e mantenimento del cognome.
[85] Si rinviene esattamente nella motivazione in Cass. civ., 9 novembre 2016, n. 22838, consultabile su www.cortedicassazione.it.
[86] Sul tema, vedi M. Di Masi, op. ult. cit., p. 141 ss.
[87] Vedi, tra i primi commenti, G. Vassallo, Parto anonimo: nell’attesa della legge, il diritto del figlio di conoscere le proprie origini va garantito, in Altalex, 13 febbraio 2017; M. Giarrizzo, Il diritto del figlio nato da parto anonimo e il diniego posto dalla madre, in Diritto.it, 21 marzo 2017; G. Voltaggio, Parto anonimo e diritto a conoscere le proprie origini: il punto delle Sezioni Unite, in Giuricivile, 26 gennaio 2017.
[88] Sul tema, vedi D. Piccinin, Minori: tra diritto alle origini e anonimato della madre, in Studio Cataldi, 15 aprile 2019; A. Palombo, Diritto alle origini, in Diritto.it, 20 aprile 2018; G. Vassallo, Parto anonimo: il figlio può conoscere le proprie origini se la madre è morta?, in Altalex, 27 febbraio 2018. Sul punto, vedi Cass. civ., sez. VI-I, 7 febbraio 2018, n. 3004. Inoltre, ancora sul tema, vedi A. Giurlanda, Il diritto a conoscere le proprie origini può essere esercitato anche nei confronti delle sorelle e dei fratelli biologici dell’adottato?, in Questione giustizia, 26 settembre 2018. Sul punto è interessante il principio di “estensione del diritto a conoscere le proprie origini biologiche anche ai fratelli e alle sorelle”.
[89] Molta letteratura in tal senso, vedi S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma, 2012, p. 298; F.D. Busnelli, La persona alla ricerca dell’identità, in Riv. Crit. Dir. Priv., 2010, 1, p. 7 ss.
[90] Sul tema, si consenta rinviare a Corte cost., 22 novembre 2013, n. 278, in Fam. Dir., 2014, 1, p. 11 ss., con nota di V. Carbone, Un passo avanti del diritto del figlio, abbandonato e adottato, di conoscere le sue origini rispetto all’anonimato materno, p. 11 ss.; in Nuova giur. Civ. comm., 2014, 1, p. 285 ss., con nota di V. Marcenò e di J. Long, Adozione e segreti: costituzionalmente illegittima l’irreversibilità dell’anonimato del parto, in Foro it., 2014, 1, p. 4 ss.; in Guida dir., 2013, n. 49-50, p. 20 ss., con nota di commento di G. Finocchiaro, Il segreto sulle origini perde il carattere irreversibile ma la donna può decidere se restare nell’anonimato.
[91] Si erano espressi in tal senso E. Vigato, op. ult. cit., p. 908 ss.; G. Currò, op. ult. cit., p. 537 ss.; A. Margaria, op. ult. cit., p. 340 ss; M. P. Bianchetti, op. ult. cit.; D. Butturini, op. ult. cit.
[92] Si rimanda a M. G. Stanzione, op. ult. cit., pp. 121-159.
[93] Essenziale è a tal fine il richiamo al principio della reversibilità della volontà ad essere anonima. In questa direzione, si consenta rinviare a E. Vigato, op. ult. cit., p 908 ss.; G. Currò, op. ult. cit., p. 537 ss; A. Margaria, op. ult. cit., p. 340 ss.
[94] Si ritorna sul diritto alla riservatezza. A tal proposito si rinvia a M. G. Stanzione, op. cit., pp. 70-73.
[95] Cfr. con il quarto paragrafo.
[96] Tutti elementi che denotano l’osservanza da parte del legislatore delle pronunce della giurisprudenza costituzionale, ma soprattutto della giurisprudenza europea.
[97] Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 25 settembre 2012 - Ricorso n.33783/09 - Godelli c. Italia, reperibile su www.ministerodigiustizia.it.
[98] Corte cost., 22 novembre 2013, n. 278, recuperabile su www.cortecostituzionale.it.
[99] Cass. civ., 9 novembre 2016, n. 22838, rintracciabile su www.cortedicassazione.it.
[100] F. Gazzoni, Obbligazioni e contratti, XVI ed, Esi, Napoli, 2013, pp. 814-815.
[101] Cass. civ., 9 novembre 2016, n. 22838, secondo la quale: “Il diritto di entrambi – quello dell’adottato e quello della madre naturale – ha natura personalissima. Deve, pertanto, ritenersi che si estingua con la morte dei titolari di esso e non sia trasmissibile.”
[102] P. Perlingieri, cit., pp. 87-91.
[103] P. Perlingieri, cit., pp. 433-470.