Giustizia Insieme ha l’onore di ospitare il saggio che il Presidente della Corte europea dei diritti dell’Uomo Robert Spano ha dedicato al principio del “Rule of law”.
L’articolo, pubblicato nella versione originale in lingua inglese dalla prestigiosa rivista European Law Journal il 4 febbraio 2021,è stato magistralmente tradotto dalla Dott.ssa Marta Durante, alla quale va il ringraziamento della Rivista, unitamente al Presidente Guido Raimondi che ha reso possibile la pubblicazione.
Al Presidente Spano rivolgiamo un caloroso grazie per avere dedicato le sue energie e la potenza delle sue riflessioni alla portata tridimensionale, come Lui ha scritto, del rule of law che si racchiude nell’esigenza di contrastare ogni arbitrio dei pubblici poteri e di garantirne l’efficacia da parte di organi giurisdizionali indipendenti.
Rule of Law: la Lodestar della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte di Strasburgo e l'indipendenza della Magistratura
di Robert Spano[1]
Lodestar: una stella, in particolare la Stella Polare, usata per guidare le navi lungo la rotta; o una persona o cosa che funge da ispirazione o guida.
Abstract: Il rule of law N.d.T. è un principio costituzionale sancito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che, nel corso della sua storia, è diventato la Lodestar (Stella Polare) che ha guidato lo sviluppo della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Negli ultimi anni, l’impatto normativo sortito dal principio del rule of law si è andato incrementando nella giurisprudenza della Corte e, in particolare, nei casi che hanno avuto ad oggetto l’indipendenza della magistratura. L’articolo analizza il fulcro concettuale del rule of law che costituisce, nel sistema della Convenzione, una componente fondamentale dell’“ordine pubblico europeo”. Successivamente, lo status normativo tridimensionale del rule of law è analizzato così come la dichiarazione della Corte secondo cui questo principio è “inerente a tutti gli articoli della Convenzione”. Sulla base di tali premesse, si è proceduto ad un esame approfondito dell’applicazione, nella recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, del principio dell’indipendenza del potere giudiziario, il quale viene inquadrato come una componente sostanziale del rule of law. L’autore, infine, riflette sul rapporto “simbiotico” intercorrente nel campo della indipendenza della magistratura tra la Corte di Strasburgo e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
1. Introduzione
Il rule of law [2] costituisce un principio costituzionale insito nel sistema di tutela dei diritti umani predisposto all’interno dello spazio giuridico del Consiglio d'Europa. Nel corso della storia della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali (di seguito “la Convenzione”), il rule of law ha rappresentato la Stella Polare (Lodestar) che ha guidato lo sviluppo della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (in seguito “la Corte” o “la Corte di Strasburgo”). Negli ultimi anni, l'impatto normativo del rule of law si è incrementato nella giurisprudenza della Corte, in particolare nelle cause relative all'indipendenza ed imparzialità del sistema giudiziario. Invero, tale materia è solo una delle manifestazioni di maggiore rilievo di uno sviluppo più ampio che si muove verso un'applicazione più solida del rule of law e che ora permea la giurisprudenza della Corte. Dare concreta ed efficace espressione al principio del rule of law come declinato dalla Convenzione, è e continuerà ad essere un compito fondamentale della Corte di Strasburgo.
Inizierò riflettendo su alcuni elementi concettuali che, nel sistema della Convenzione, costituiscono il fulcro del rule of law, partendo in particolare dalle sue origini, risalenti al Preambolo alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948. Verrà, inoltre, esplorato il legame tra il rule of law e la nozione di “ordine pubblico europeo”, come ricostruito dalla Corte di Strasburgo. Successivamente, verrà analizzato lo status normativo del rule of law all’interno del sistema della Convenzione, focalizzandosi su una delle dichiarazioni di principio della Corte secondo cui il rule of law è “inerente a tutti gli articoli della Convenzione”[3]. Infine, si procederà ad un esame dettagliato dell’applicazione del rule of law offerta dalla recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, da cui si evince che tale principio è un elemento sostanziale dell’indipendenza della magistratura. Il paragrafo finale includerà alcune osservazioni concernenti la “relazione simbiotica” tra lo status attuale dei principi della Convenzione e la più rilevante giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (in seguito denominata “CGUE”, “Corte di Lussemburgo”).
2. Il Nucleo Concettuale del Rule of Law – Una ‘Componente Fondamentale dell’Ordine Pubblico Europeo’
Per quanto il principio del rule of law possa a prima vista sembrare facilmente inquadrabile, tuttavia, una volta che si prova ad esplorarne la portata concettuale ed il contenuto, le cose cominciano piuttosto a complicarsi [4]. In effetti, il tentativo di spiegare gli elementi costitutivi e la natura giurisprudenziale del rule of law [5] ha dato vita ad un ampio dibattito accademico. Già nel 1975, con la storica sentenza Golder c. Regno Unito, la Corte di Strasburgo aveva chiarito che il rule of law costituisce “una delle caratteristiche del patrimonio spirituale comune degli Stati Membri del Consiglio d‘Europa”[6]. Ed è proprio da questo principio che “l’intera Convenzione trae ispirazione”[7]. Il rule of law costituisce, insieme “all’eliminazione dell’arbitrio del potere”, uno dei principi “sottostanti la Convenzione” [8].
Per quanto non si rinvenga nelle disposizioni della Convenzione o nei suoi Protocolli una definizione del principio del rule of law, la Convenzione, tuttavia, vi fa espresso richiamo nel corpo del suo Preambolo che così recita:
Risoluti, in quanto governi di Stati europei animati da uno stesso spirito e forti di un patrimonio comune di tradizioni e di ideali politici, di rispetto della libertà e del rule of law [9], a prendere le prime misure atte ad assicurare la garanzia collettiva di alcuni dei diritti enunciati nella Dichiarazione Universale,
Pertanto, il Preambolo della Convenzione, fa espresso riferimento all’esordio della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948[10]. Si può ragionevolmente ritenere che i redattori della Convenzione sono stati ispirati dal modo in cui lo stesso Preambolo della Dichiarazione Universale richiama il rule of law.
Considerato che è indispensabile che i diritti umani siano protetti dal rule of law[11], se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione….
E’ importante apprezzare la diretta correlazione esistente tra le dichiarazioni contenute nella Dichiarazione Universale secondo cui i diritti umani dovrebbero essere tutelati dal rule of law, e lo scopo di quest’ultimo di evitare che l’uomo debba giungere fino al punto di doversi ribellare contro la tirannia o l’oppressione dei governi. Si tratta, infatti, della stessa concezione del rule of law fatta propria dal sistema della Convenzione[12]. Governare in conformità con i principi del rule of law è quindi una premessa fondamentale affinchè ogni struttura autoritaria presente all’interno di uno Stato Membro del Consiglio d’Europa, sia in grado di adempiere ai propri obblighi convenzionali. Un Governo che non rispetta i principi del rule of law non può legittimamente aspettarsi fiducia e lealtà durature nella propria politica. Infatti, come dalla Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite emerge a chiare lettere che la tirannia rappresenta l’antitesi del rule of law, parimenti l’oppressione della popolazione è una manifestazione esterna di una società in cui coloro che detengono il potere hanno abbandonato il rule of law.
Ma cosa significa veramente rule of law? Perchè è così rilevante per la tutela dei diritti umani? Perchè è fondamentale per il progressivo sviluppo di una società democratica e, ancor di più, perchè il rule of law è la pietra angolare, o meglio il fondamento, di una vita comune stabile e pacifica?
Sono domande a cui è difficile dare una risposta. Ma vorrei in ogni caso sostenere che l’idea morale che sta alla base del rule of law e delle tutele accordate dalla Convenzione è il rispetto dell’autonomia personale e l’esclusione di forme di uso arbitrario del potere governativo[13]. Infatti, per far sì che un soggetto possa realisticamente mantenere e accrescere la propria indipendenza di pensiero o possa organizzare la propria vita secondo i propri desideri e possa essere libero di lottare per la propria felicità, il proprio successo e la propria pace interiore - tutti elementi essenziali dell’esistenza umana – è indispensabile che la società in cui quel soggetto vive sia realmente, e non solo fittiziamente, disciplinata dalla legge. Una legge deve essere trasparente, stabile, dal prevedibile ambito applicativo e deve disciplinare l’accesso a strumenti di risoluzione delle controversie indipendenti ed imparziali. Inoltre, le disposizioni di legge non devono applicarsi solo al popolo, ma ancor più rigidamente a coloro i quali, in qualsiasi momento storico, detengono il potere. Nessun uomo, non un imperatore, non un Re, non un Primo Ministro, non un Presidente, nessuno è al di sopra della legge.
Come chiarito dalla Corte, il rule of law delineato dalla Convenzione, richiedendo che il potere governativo sia disciplinato dalla legge e non dai capricci degli uomini[14], esige che le leggi nazionali siano chiare, non eccessivamente vaghe e non suscettibili di abusi [15] e che le norme, soprattutto quelle penali, non vengano applicate retroattivamente [16]. Diversamente infatti si negherebbe ai membri della società la possibilità di operare delle scelte autonome fondate su regole preesistenti. La legge, pertanto, deve essere sufficientemente stabile e garantire la certezza del diritto[17]. Il rule of law non ammette il conferimento agli organi di governo di poteri illimitati[18], ma al contrario richiede che le leggi siano interpretate ed applicate da tribunali indipendenti ed imparziali,[19] le cui sentenze definitive e vincolanti non dovrebbero essere più messe in discussione; si tratta questa di una componente del rule of law che rinviene le sue origini anche nel principio della certezza del diritto.[20] Le medesime considerazioni devono svolgersi anche con riferimento alle sentenze della Corte di Strasburgo. A tale ultimo proposito, secondo quanto previsto dall’art.46 par. 1 della Convenzione, gli Stati Membri si sono impegnati, per loro consapevole scelta sovrana, ad attenersi alle pronunce della Corte di Strasburgo e ciò in quanto l’esecuzione delle sentenze definitive dell’organo giudicante istituito dalla Convenzione costituisce una delle prime manifestazioni del rule of law. La Corte, così statuendo, ha sottolineato “la forza vincolante di cui sono dotate le proprie sentenze ai sensi del citato articolo 46 par.1 e quanto è importante che alle stesse sia data effettiva esecuzione, secondo i canoni della buona fede ed in modo compatibile con ‘i principi di diritto e lo spirito’ in esse enunciati”[21].
Gli elementi concettuali sopra individuati del rule of law spiegano la ragione per cui questo principio fondamentale rappresenta un’eresia per gli Stati autoritari o dittatoriali i quali, al contrario, lungi dall’essere retti da leggi generalmente applicate e preesistenti, sono in realtà governati dalla mera volontà del potere. Il potere rude e illimitato, sganciato da regole vincolanti, è per definizione arbitrario ed incline ad abusi, ed è per ciò stesso incompatibile con i principi di proporzionalità e ragionevolezza. Infatti, quando la volontà incontrollata di coloro che detengono il potere è avulsa dal principio del rule of law, la stessa in realtà non è altro che mera salvaguardia dell’interesse personale e conservazione delle strutture di potere acquisite [22].
A seguito degli sviluppi succedutisi nel panorama politico europeo, è ancor più importante sottolineare che il principio del rule of law non costituisce un principio giuridico la cui applicazione rimane confinata alle democrazie liberali Occidentali. Al contrario, si tratta di un principio che racchiude in sé una norma ed un ideale fondamentale che supera confini, tradizioni e culture. Il rule of law è una figura centrale per ogni società civilizzata regolata da norme giuridicamente vincolanti[23]. Il rule of law “[unisce] culture che altrimenti sarebbero tra loro molto differenti, offrendo una cornice essenziale per la reciproca tolleranza, individuale e sociale, favorendo scambi culturali ed economici a livello mondiale”[24]. A tale riguardo, si ricorda che la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani proclamata dalle Nazioni Unite, facendo espresso rinvio al rule of law nel suo Preambolo, costituisce essa stessa uno strumento universale di guida per tutti i 192 Stati Membri dell’ONU [25] e da cui trae origine la Convenzione stessa.
Infine, come chiarito dalla Corte di Strasburgo, lo “Statuto del Consiglio d’Europa - un’organizzazione di cui ogni Stato Parte è anche Membro della Convenzione - fa riferimento al rule of law in ben due occasioni. Il primo richiamo lo si rinviene nel Preambolo, in cui i Governi firmatari affermano la loro devozione a questo principio; mentre il secondo lo si ritrova nell’articolo 3 a norma del quale “ogni Stato Membro del Consiglio d’Europa riconosce il principio del rule of law”[26]. È proprio sulla base di questa idea che la Corte di Strusburgo ha inquadrato il principio in esame tra le “componenti fondamentali” dell’ordine pubblico europeo [27].
In questo senso, la Corte ha identificato l’essenza del sistema fondamentale di valori [28] su cui si erge l’intera Convenzione ed a cui la Corte è vincolata ai sensi degli articoli 19 e 32 della CEDU, per dare vita, in sede interpretativa ed applicativa, ai diritti e valori ivi riconosciuti. Come la Corte ha enfatizzato, “[persino] in un contesto caratterizzato da uno stato di emergenza, il principio fondamentale del rule of law deve prevalere”[29]. Sicché, gli Stati Membri del Consiglio d’Europa non possono legittimamente provare a ridefinire il concetto di rule of law o i fondamentali contenuti del sistema di valori e di diritti sanciti dalla Convenzione, dato che questo principio è divenuto, per loro scelta sovrana, parte integrante dell’ ‘ordine pubblico europeo’ disciplinato dal sistema della Convenzione.
3. Il Carattere Normativo del Rule of Law – Un Principio Tridimensionale “Inerente a Tutti gli Articoli della Convenzione’
La giurisprudenza della Corte di Strasburgo è costante nell’affermare che il principio del rule of law è “inerente a tutti gli Articoli della Convenzione”[30]. L’esame del carattere normativo del rule of law nel sistema convenzionale non può prescindere dall’analisi della natura e della portata della citata premessa dottrinale.
In primo luogo la Corte, nel sancire l’inerenza del principio del rule of law a tutti gli articoli della Convenzione, rammenta che l’efficacia, l’utilità e le basi stesse del sistema delineato dalla Convenzione si fondano sul rispetto di questo principio. D’altronde, la sua collocazione sistematica all’interno del Preambolo della Convenzione – come sottolineato nel precedente pragrafo 2 - fa sì che il rule of law si integri nel tessuto del sistema convenzionale e che dallo stesso sia enucleabile un quadro legislativo di parametri e regole giuridiche che esaltano l’autonomia razionale degli esseri umani ed inibiscono ogni forma di uso arbitrario del potere governativo.
La Corte ha altresì chiarito il significato dell’“inerenza” del rule of law a tutti gli articoli della Convenzione: il principio citato fornisce un punto di partenza metodologico per l’analisi di ogni ricorso che non sia infondato, creando al contempo, un quadro di riferimento per la Corte di Strasburgo quando questa è chiamata ad interpretare e applicare i diritti e le libertà garantite dalla Convenzione[31]. Pertanto, in sede di analisi delle possibili opzioni interpretative, la Corte cercherà invariabilmente di individuare il migliore rule of law conforme alla disposizione convenzionale in questione e, se necessario, ogni volta che il caso di specie richiede un bilanciamento tra il diritto individuale e l’interesse pubblico, la Corte cercherà di adottare la soluzione che meglio preservi l’ideale sostanziale che anima il rule of law quale fondamentale componente dell’ordine pubblico europeo.
Queste considerazioni mi portano all’analisi del secondo punto, ossia all’esame della forza normativa tridimensionale del rule of law risultante dalla Convenzione. In alcune situazioni, infatti, il rule of law si manifesta come un principio giuridico in quella che chiamerò la sua dimensione organica: in quest’ottica, come principio generale e come verrà ulteriormente approfondito in seguito, il rule of law sostiene l’armonioso e interdipendente rapporto tra i singoli elementi del sistema della Convenzione. In altre situazioni, invece, il rule of law rappresenta una regola dal contenuto sufficientemente fisso che ne include uno specifico elemento funzionale e che sarà definita la sua dimensione funzionale. Infine, il rule of law può altresì palesarsi nella sua forma ibrida, mostrando la sua forza normativa come principio giuridico e, allo stesso tempo, come regola dal contenuto sufficientemente fisso. In particolare, la forma ibrida del rule of law viene in rilievo in materia di indipendenza della magistratura, la quale rinviene il proprio inquadramento nell’articolo 6, par.1 della Convenzione[32].
Nella sua dimensione organica di principio giuridico, il rule of law agisce come “strumento di ottimizzazione”[33] che impedisce agli Stati Membri di derogare arbitrariamente ai diritti ed alle libertà garantiti dalla Convenzione o negare in qualunque modo l’essenza del diritto che nel caso concreto viene in rilievo. Il rule of law, quando viene rispettato, assicura in questo modo l’uso ragionevole e razionale del potere governativo[34], guidando quest’ultimo verso un’azione adeguata di bilanciamento dei valori in conflitto nella tensione tra i diritti individuali e l’interesse pubblico. Ciò avviene sia in senso sostanziale che procedurale. Per un verso, il rule of law impone stringenti requisiti sostanziali attinenti al contenuto, alla forma ed all’applicazione temporale di quelle norme giuridiche nazionali che derogano ai diritti garantiti dalla Convenzione. Per altro verso, invece, dal punto di vista procedurale, il rule of law postula che la pronuncia giudiziaria finale che individua il contenuto della norma sia adottata da giudici indipendenti e imparziali, e non da coloro i quali detengono il potere. In sintesi, e richiamando quanto già osservato nel precedente paragrafo, il rule of law, nella sua veste di principio giuridico, costituisce un quadro organico di valori che insieme realizzano la componente fondamentale dell’ “ordine pubblico europeo” definito dalla Convenzione, come analizzato nel precedente paragrafo.
Infine, quando si analizza lo status normativo del rule of law risultante dalla Convenzione è importante comprendere se il principio in esame, come applicato dalla Corte[35], debba essere considerato alla stregua di un concetto formale[36] (versione sottile del rule of law) o se, al contrario, vada preso in analisi come concetto sostanziale, che abbraccia intrinsecamente la tutela dei diritti umani (versione spessa della rule of law).
Sul punto, è interessante osservare i modi in cui le sentenze della Corte di Strasburgo hanno fatto riferimento al rule of law. In particolare, chiamata a pronunciarsi in tema di libere elezioni ai sensi dell’art. 3 del Protocollo n.1, la Corte ha statuito che il rule of law è “uno dei pilastri fondamentali di una democrazia significativa ed effettiva”[37]. Anche in merito al diritto di manifestare la propria religione, riconosciuto dall’articolo 9 della Convenzione, la Corte ha chiamato in causa il ‘principio di laicità’ in quanto principio che si pone in “armonia con il rule of law e che rispetta i diritti umani e la democrazia” [38]. Infine, per quanto concerne l’art.10 della Convenzione, si deve precisare che lo stesso instaura una connessione diretta tra il rule of law, i principi democratici e la libertà di espressione, prevedendo in particolare che “in una società democratica basata sul rule of law, le idee politiche che contestano l’ordine esistente e la cui realizzazione si compie con mezzi pacifici, devono potere esprimere in modo adeguato le proprie opinioni”[39]. Ne consegue che “azioni di rappresaglia e di abuso del diritto penale” costituiscono una “violazione del rule of law” [40].
Le pronunce richiamate, per quanto non esaustive, tuttavia suggeriscono che la Convenzione delinea un concetto di rule of law che non deve essere ristretto alla sua semplice nozione formale, limitata nella sua portata ad una versione sottile o non basata sui diritti (no-rights based), come ad esempio sostenuto da alcuni studiosi ed in particolare da Joseph Raz [41]. Piuttosto, il principio del rule of law che risulta dalla Convenzione, sembra trovare una maggiore risonanza nel resoconto teorico presentato eloquentemente dal defunto Lord Bingham, che accoglie una visione sostanziale del rule of law. In quest’ultima ottica, dal rule of law discende da un lato un obbligo positivo per la legge la quale deve “offrire adeguata tutela dei Diritti Umani fondamentali” e dall’altro lato una richiesta rivolta “allo Stato, di onorare i propri doveri internazionali al pari di quelli previsti dalle leggi nazionali”[42].
4. Il Rule of Law e l’Indipendenza della Magistratura
4.1. Il concetto di indipendenza della magistratura e la separazione dei poteri
Come analizzato nel precedente paragrafo, la forza normativa del rule of law risultante dalla Convenzione si esplica in tre dimensioni. Infatti, se in alcuni contesti agisce come principio giuridico (la dimensione organica), in altre situazioni invece opera come una costellazione di regole dal contenuto fisso (la dimensione funzionale). Con riguardo alla dimensione da ultimo citata, sono facilmente enucleabili dalla Convenzione alcune disposizioni che garantiscono e riconoscono diritti che, di per sè, rappresentano una chiara manifestazione del rule of law nella sua veste di norma avente un contenuto fisso. Ne sono un esempio l’articolo 5, par. 1, che richiede l’esistenza di una specifica una base giuridica sulla quale fondare la privazione della libertà personale, e l’articolo 7 che sancisce il principio del nullum crimen, nulla poena sine lege[43]. Infine, in altre situazioni ancora, il rule of law agisce nella sua dimensione ibrida, ossia tanto come principio giuridico quanto nella veste di regola dal contenuto sufficientemente fisso. Il principale esempio di quest’ultima dimensione del rule of law è rappresentato dal principio strutturale più importante allo stesso riconducibile nell’impianto convenzionale e che costituirà il fulcro della trattazione successiva: l’indipendenza della magistratura.
Prima di procedere all’analisi degli orientamenti emersi nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla indipendenza della magistratura, è necessario spendere alcune parole per identificare quest’ultimo concetto[44] il quale si esprime tramite due diversi elementi, seppur correlati tra loro: da un lato, l’indipendenza dei giudici de jure e, dall’altro lato, l’indipendenza de facto[45].
Inizio ricordando l’enunciazione di principio da cui è partita la Grande Camera della Corte di Strasburgo ed a tenore della quale “la nozione di separazione dei poteri tra organo esecutivo ed organo giudiziario ha assunto una crescente importanza nella giurisprudenza [della Corte]” e lo stesso può dirsi in merito all’“importanza di salvaguardare l’indipendenza della magistratura”[46]. Così statuendo la Corte ha individuato “un filo conduttore comune che attraversa i requisiti istituzionali previsti dall’articolo 6, par.1, tutti orientati a sostenere i principi fondamentali del rule of law e della separazione dei poteri”[47]. Infatti, la “base di ciascuno dei suddetti requisiti è costituita dalla necessità di mantenere ferma la fiducia che la società nutre nel sistema giudiziario e di salvaguardare l’indipendenza della magistratura rispetto agli altri poteri”[48].
Tenuto conto di ciò, in alcuni recenti discorsi extragiudiziari ho enfatizzato che il principio del rule of law si ridurrebbe ad “un serbatoio vuoto se non vi fossero tribunali indipendenti ed integrati all’interno di una struttura democratica volta a tutelare e preservare i diritti fondamentali. Senza giudici indipendenti, infatti, il sistema della Convenzione non può funzionare”[49]. La Corte è e continuerà sempre ad essere consapevole di quanto sia di cruciale rilievo garantire l’indipendenza della comunità dei giudici europei, che costituisce il baluardo del sistema della Convenzione.
L’indipendenza della magistratura si caratterizza per la presenza sia di una componente de facto che di una componente de jure. Per quanto riguarda l’indipendenza de jure, in una serie di importanti pronunce della Grande Camera, la Corte ha chiarito che è la legge stessa a dover prevedere garanzie chiare e prevedibili poste a presidio dell’attività giudiziaria e dello status dei giudici. Ciò vale in particolare in relazione agli atti di nomina, alle garanzie che devono assistere il mandato e i procedimenti di rimozione e destituzione, le promozioni, l’inamovibilità, l’immunità giudiziaria e la discipina della responsabilità disciplinare[50].
A tal proposito, rivestono indubbia rilevanza i recenti arresti della giurisprudenza della Corte in tema di rimozione dei giudici ed in particolare quanto statuito nel caso Oleksandr Volkov c. Ucraina[51] e nelle sentenze della Grande Camera rese nei casi Baka c. Ungheria e Denisov c. Ucraina [52]. Nel loro insieme, le pronunce da ultimo citate sostengono la tesi secondo cui la rimozione dei magistrati, se analizzata nella prospettiva degli articoli 6, 8 o 10 della Convenzione, sarà sempre sottoposta allo stringente scrutinio della Corte di Starsburgo, alla luce del principio di inamovibilità. In primo luogo, la Corte ha analizzato il ruolo svolto da organi, quali i Consigli della Magistratura, nei procedimenti disciplinari e di rimozione dei magistrati[53] ed ha riconosciuto che, in tali situazioni, il giudice, in linea di principio, potrà adire la Corte di Strasburgo ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione[54]. In secondo luogo, la rimozione di un giudice potrebbe altresì ledere il diritto al rispetto della propria vita privata, sancito dall’articolo 8 della Convenzione[55]. Inoltre, come chiarito dalla Corte, quando un giudice subisce la rimozione per opinioni espresse nell’esercizio delle proprie funzioni, troverà applicazione l’articolo 10 della Convenzione, in forza del quale devono sussistere validi motivi posti a fondamento della rimozione, che ne dimostrino l’urgente esigenza sociale e che tengano altresì conto del principio della separazione dei poteri e dell’indipendenza della magistratura[56]. In sintesi, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sviluppatasi intorno al tema della rimozione dei giudici e dell’applicazione agli stessi di sanzioni disciplinari, costituisce una fondamentale manifestazione del dispiegarsi del principio del rule of law, nel senso che questo abbraccia uno dei requisiti della indipendenza de jure della magistratura.
Tuttavia, per quanto l’indipendenza formale de jure rappresenti l’impianto normativo che disciplina lo status dei giudici e la loro attività, questa da sola non è sufficiente per garantire ed assicurare in modo adeguato l’indipendenza della magistratura. È invece ancor più necessario che venga rispettato il requisito dell’indipendenza de facto. Da ciò consegue che, come spiegato dalla Corte nel caso Agrokomplex c. Ucraina, la portata dell’obbligo che grava sullo Stato di garantire che i processi si svolgano davanti a “tribunali indipendenti ed imparziali” – come previsto dall’articolo 6 par. 1 della Convenzione – “si estende fino al punto che anche l’esecutivo, il legislatore ed ogni altra autorità statale, indipendentemente dal livello, sono gravati dall’obbligo di rispettare e dare esecuzione alle sentenze ed alle decisioni giudiziarie, ancorchè per loro sfavorevoli. Il rispetto dello Stato per l’autorità delle corti costituisce una premessa indipensabile affinchè il pubblico riponga fiducia nei giudici e, più in generale, nel rule of law. Perché ciò avvenga, non sono sufficienti le garanzie sancite a livello costituzionale a presidio dell’indipendenza e dell’imparzialità della magistratura. Tali garanzie devono piuttosto essere incomporate nelle attitudini e nelle pratiche quotidiane dell’amministrazione”[57].
Il requisito da ultimo citato si pone a garanzia dell’indipendenza de facto della magistratura ed è stato ulteriormente sviluppato dalla giurisprudenza della Corte nel caso Kinský c. Repubblica Ceca[58] e nella recente causa Rinau c. Lituania[59]. Entrambe le pronunce hanno ritenuto che le dichiarazioni pubbliche rese dai politici, insieme ad altre misure adottate dall’esecutivo al fine di monitorare i procedimenti giudiziari, avevano inciso sull’equità dei processi in questione, che ancora pendevano dinanzi ai tribunali nazionali. In particolare, nel caso Rinau, la Corte ha stabilito che le autorità nazionali, inclusi i membri della classe politica, il personale dei servizi sociali per l’assistenza all’infanzia ed i pubblici ministeri, avevano creato un’atmosfera negativa intorno alle cause legali intentate dal ricorrente e che tali azioni realizzavano dei tentativi di interferenza sull’esito di quelle cause; tentativi che sono stati ritenuti inaccettabili per un sistema basato sul rule of law[60].
Con queste decisioni la Corte ha chiarito che la Convenzione non rimane cieca davanti al fatto che i confini formali dell’indipendenza della magistratura possono ben rappresentare solo una messinscena. Per quanto svolga un ruolo determinante, infatti, neanche l’indipendenza de jure è in grado di soddisfare da sola i requisiti del rule of law enucleabili dalla Convenzione che, al contrario, trovano espressione in una magistratura concretamente indipendente. In tal senso, le prove presentate alla Corte attestanti pressioni ed influenze indebite esercitate sui giudici nell’esercizio delle loro funzioni potrebbero di per sè portare a concludere che in un particolare caso non è stata, de facto, garantita l’indipendenza della magistratura, o potrebbero anche far sorgere preoccupazioni di natura sistemica. Non è infatti da escludere che tali elementi probatori possano portare ad una violazione degli articoli 5 par.4 e 6 della Convenzione nei casi in cui questi vengono invocati, sebbene la Corte abbia fissato degli standards molto elevati a tal fine[61]. Inoltre, prove di questa natura possono avere un impatto sul livello di rispetto riconosciuto ai tribunali nazionali, anche in quelle cause in cui la Corte viene chiamata ad esaminare ricorsi concernenti la violazione di altre disposizioni, come ad esempio nel sopra citato caso Rinau c. Lituania in relazione al dirito alla vita privata di cui all’articolo 8. Infine, prove vertenti su pressioni esercitate sui giudici nell’esercizio delle loro funzioni o elementi comprovanti tentativi di coloro che detengono il potere di influenzare l’attività giudiziaria, possono costituire un importante e decisivo fattore per la Corte per esaminare, ai sensi dell’articolo 18, le accuse di adozione di misure volte a limitare i diritti garantiti dalla Convenzione[62].
4.2. L’indipendenza del sistema giudiziario nei procedimenti promossi ai sensi dell‘articolo 5 della Convenzione da giudici detenuti
Il crescente impatto normativo assunto dal rule law si è reso ancora più evidente nelle recenti pronunce della Corte aventi ad oggetto il principio dell’indipendenza del sistema giudiziario implicato nei procedimenti riguardanti la detenzione di giudici in Turchia, successivamente al tentativo di colpo di Stato nel luglio 2016; ricorsi esaminati alla luce dell’articolo 5 della Convenzione.
In tali decisioni, la Corte, laddobe ha accertato violazioni dell’articolo 5 par.1 della Convenzione, ha ribadito “il ruolo determinante svolto dal sistema giudiziario, il quale assurge a garante della giustizia, valore imprescindibile per uno Stato governato dal rule of law, e che pertanto deve godere della fiducia dell’opinione pubblica per potere adempiere con successo ai propri doveri”. “[Laddove] il diritto nazionale ha concesso tutela giudiziaria ai membri della magistratura al fine di salvaguardarne l’esercizio indipendente delle funzioni, è essenziale che tali disposizioni siano correttamente rispettate. In considerazione della posizione di rilievo che la magistratura ricopre in una società democratica rispetto agli altri organi statali e considerando la crescente importanza accordata sia al principio della separazione dei poteri che alla salvaguardia dell’indipendenza del sistema giudiziario” [la Corte ha affermato che] “deve essere prestata particolare attenzione alla tutela dei membri della magistratura nel riesaminare dal punto di vista della Convenzione i modi in cui è stata data applicazione all’ordine di detenzione”[63].
Queste pronunce rappresentano la quintessenza della giurisprudenza della Corte sul rule of law grazie alla quale i vari componenti di questo principio, presi cumulativamente, concorrono a costruire la base di una rigorosa applicazione dell’articolo 5, par.1 della Convenzione. Il principio dell’indipendenza della magistratura, caposaldo del rule of law, è metodologicamente connesso, per così dire, con un altro suo componente fondamentale, ossia il principio di legalità che agisce come forte strumento interpretativo dando vita, in questo contesto, ai requisiti enucleati dal citato articolo 5 par. 1. Ciò permette alla Corte di procedere ad un controllo rigoroso dell’applicazione della norma nazionale invocata a fondamento della detenzione di membri della magistratura. Tali pronunce costituiscono, pertanto, un esempio manifesto della valutazione che la Corte compie del rischio che il potere governativo venga usato in un modo che si scontra eccessivamente con l’indipendenza della magistratura. Dimostrano, pertanto, ancora una volta che la Convenzione, nella sua interpretazione e applicazione, non tollera estremi.
4.3. Il diritto ad un tribunale indipendente ed imparziale costituito per legge previsto dall’Articolo 6 par. 1 della Convenzione
Il diritto ad un tribunale indipendente ed imparziale costituito per legge è sancito dall’articolo 6 par. 1 della Convenzione e rappresenta uno dei capisaldi del rule of law convenzionale. La Corte vanta una casistica giurisprudenziale ben sviluppata intorno ai concetti di ‘indipendenza’ e di ‘imparzialità’ dei giudici[64]. Ciononostante, la questione sull’applicabilità dell’articolo 6 par. 1 anche nei casi in cui la nomina dei magistrati viene effettuata da altri organi di governo di uno Stato Membro è stata risolta per la prima volta dalla storica sentenza della Grande Camera pronunciata l’1 dicembre 2020 nel caso Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda[65]. In questa pronuncia, la Corte ha concluso all’unanimità che lo Stato convenuto era incorso in una violazione dell’articolo 6 par. 1 a causa delle gravi violazioni del diritto interno, verificatesi nel corso della procedura di nomina di un giudice presso la Corte d’Appello di Islanda che era stata recentemente istituita.
I seguenti quattro passaggi della sentenza citata meritano una speciale attenzione. Il primo, l’articolazione dell’oggetto e dello scopo del diritto ad un tribunale istituito per legge. Il secondo, l’ambito di applicazione di tale diritto che nell’impianto dell’articolo 6 della Convenzione agisce quale diritto autonomo. Il terzo, i passaggi metodologici da seguire al fine di accertare un’eventuale violazione del diritto. Il quarto, l’individuazione del delicato bilanciamento tra il diritto previsto dall’articolo 6 e gli interessi compensativi costituiti dai principi della certezza del diritto e di inamovibilità dei giudici.
Per quanto riguarda il primo dei punti sopra elencati, come affermato dalla Corte, ai sensi dell’Articolo 6 par.1 della Convenzione, un tribunale o una corte devono sempre essere istituiti per legge, in quanto questa espressione riflette il principio del rule of law che è inerente all’intero impianto convenzionale. Un tribunale che non è costituito in conformità con le intenzioni del legislatore sarà conseguentemente privo di quella legittimità, richiesta in una società democratica, indispensabile per risolvere le dispute legali. L’oggetto della locuzione “costituito per legge” è volto ad assicurare che “in una società democratica, l’organizzazione del sistema giudiziario non dipenda dalla discrezionalità del potere esecutivo, ma venga regolata per mano di una legge adottata dal Parlamento”. Sul punto, la Grande Camera ha affermato che, in uno Stato democratico governato dal rule of law, la procedura di nomina dei giudici, date le sue rilevanti implicazioni in termini di buon funzionamento e di legittimità del potere giudiziario, è un elemento che inerisce necessariamente alla nozione di ‘istituzione per legge’ di una corte o di un tribunale e un’interpretazione in senso contrario si porrebbe in contrapposizione con lo stesso scopo perseguito del requisito in questione[66].
Per questi motivi, la Corte, unitamente ad un’interpretazione letterale della norma ed in particolare della locuzione “costituzione”, ha parimenti adottato il classico criterio interpretativo intenzionale o teleologico basato interamente sul principio del rule of law, ed ha così concluso che la nomina dei giudici rientra, in linea di principio, nel campo di applicazione del diritto previsto dall’articolo 6 par.1 della Convenzione
In merito al secondo passaggio della sentenza , la Corte ha decretato che il diritto ad un “tribunale istituito dalla legge” costituisce un “diritto autonomo” ai sensi dell’articolo 6 par.1 della Convenzione sebbene abbia una “molto stretta interrelazione” con le garanzie di “indipendenza ed imparzialità”[67]. È importante valutare il significato dottrinale della conclusione interpretativa offerta dalla Corte. In primo luogo, quest’ultima non ha dovuto pronunciarsi nè sulla effettiva mancanza, o meno, di indipendenza e imparzialità[68] del giudice di Corte d’Appello, la cui nomina era avvenuta violando le disposizioni convenzionali, né, in secondo luogo, sulla generale assenza di equità nel procedimento instaurato dal ricorrente[69]. La ragione di tale scelta deve essere individuata nel fatto che, in questa sede, il rule of law agisce nella sua dimensione ibrida[70], ossia nella veste sia di norma dal contenuto fisso (richiedendo quindi che i giudici siano nominati in conformità con la normativa nazionale) sia di principio giuridico (quale strumento di ottimizzazione), rappresentando così la principale premessa strutturale per il godimento del generale diritto ad un equo processo. Pertanto, se si accerta che, secondo il test di soglia stabilito dalla Corte - di cui si dirà in seguito - un giudice è stato nominato in violazione dell’articolo 6 par. 1 della Convenzione e questi si pronuncia sui diritti civili di un soggetto o su un’imputazione penale, non occorre un’analisi separata circa l’effettiva e concreta equità del processo, sia che la decisione venga adottata dal giudice singolo che da un collegio giudicante. La violazione del diritto ad un tribunale costituito per legge, come diritto autonomo e naturale componente fondamentale del rule of law, crea una incontestabile presunzione di ingiustizia di quei procedimenti giudiziari in cui ha preso parte il giudice nominato illegittimamente. Tornerò sul punto nel successivo paragrafo 4.4, nell’analisi del rapporto tra la giurisprudenza della Corte di Strasburgo e quella della CGUE.
Nel terzo passaggio la Corte ha elaborato un test di soglia (threshold test) che si compone di tre fasi. In primo luogo, si impone una verifica circa il carattere manifesto delle violazioni del diritto nazionale in materia di nomina dei giudici; se così fosse, il secondo passaggio richiede di valutare se le violazioni hanno riguardato una regola procedurale fondamentale[71]. Infine, si dovrà determinare se le accuse relative alle violazioni del diritto ad un tribunale costituito per legge siano state effettivamente esaminate e risolte dalle corti nazionali[72].
Il criterio elaborato dalla Grande Camera fissa una soglia molto alta di accertamento della violazione del diritto ad un tribunale costituito per legge. Si cerca in tal modo di conciliare le tensioni intrinseche tra il principio di sussidiarietà - che richiede di deferire ai tribunali nazionali l’interpretazione e l’applicazione della normativa interna - ed il principio di effettività della tutela dei diritti convenzionali, ed in particolare dei diritti di cui all’articolo 6, par. 1 che assicurano l’indipendenza del sistema giudiziario. Il test di soglia, infatti, si fonda in gran parte sull’effettivo impegno dei tribunali nazionali nell’individuare i casi in cui si è verificata una manifesta violazione del diritto interno in sede di nomina dei giudici e, in caso affermativo, impone loro l’obbligo di riesaminare e riparare efficacemente alle accuse credibili di tali violazioni. Inoltre, il secondo step delinea e limita allo stesso tempo la portata del diritto ad un tribunale costituito per legge, nella misura in cui richiede che la violazione in questione, ancorché manifesta, debba riguardare una norma procedurale fondamentale. Sebbene la Corte di Strasburgo, in sede di analisi del ricorso, prenderà spunto dalla valutazione compiuta a riguardo dal giudice nazionale, l’autonomia che caratterizza la natura del diritto in questione ed il fatto che lo stesso rinviene le sue origini nel principio del rule of law, fanno sì che sia sempre la Corte ad avere l’ultima parola nell’accertare se il grado della violazione in questione sia abbastanza elevato da potere costituire una violazione dell’articolo 6 par. 1 della Convenzione[73]. Se così non fosse, d’altronde, la Convenzione verrebbe privata del suo scopo.
Infine, in merito al quarto ed ultimo passaggio, la sentenza della Corte chiarisce i termini del conflitto sostanziale tra il diritto ad un tribunale costituito per legge, da un lato, e i principi di inamovibilità dei giudici e di certezza del diritto, dall’altro. Per tale ragione, la Grande Camera ha formulato la seconda fase del test di soglia in modo tale che, per potersi raggiungere il livello di una potenziale violazione dell’articolo 6 par. 1 della Convenzione, è necessario che la violazione del diritto nazionale presenti un certo grado di serietà o gravità. È importante notare che nel delineare la portata ed il contenuto del principio di inamovibilità dei giudici, la Grande Camera richiama espressamente[74] la sentenza Corte di Giustizia dell’Unione Europea resa dalla Grande Camera nel Caso Commissione c. Polonia[75].
Riassumendo gli approdi a cui è giunta la Corte nel caso Ástráðsson, da questa importante sentenza possono trarsi le seguenti conclusioni.
In primo luogo, quando si discorre del diritto ad un tribunale costituito per legge e del diritto ad un tribunale indipendente ed imparziale, come previsti dell’articolo 6, par. 1 della Convenzione, il rule of law agisce tanto nella veste di principio giuridico dotato di un dirompente effetto interpretativo, quanto nella veste di fonte del diritto da cui trarre dei parametri fissi.
In secondo luogo, è semplicemente incompatibile con il rule of law che la istituzione di una corte, e quindi la creazione del potere giudiziario, si fondi su uno o più atti che violano manifestamente le norme fondamentali in materia di nomina dei giudici previste dal diritto nazionale, nonché sulla mancanza di un rigoroso controllo giurisdizionale a livello nazionale.
In terza battuta, quale norma incorporata all’interno dell’articolo 6 della Convenzione, il rule of law impone che, quando gli Stati adottano un impianto normativo che disciplina l’istituzione dei tribunali, tali regole siano rispettate. Infatti, come spiegato nella sentenza Ástráðsson, quando la selezione dei giudici da nominare compete all’organo di governo e/o al Parlamento, sarà allora compito dei tribunali nazionali determinare per primi se il diritto nazionale è stato o meno rispettato, fermo restando che il controllo finale, in virtù dell’autonomia dei principi previsti dall’articolo 6 della Convenzione, spetta sempre alla Corte di Strasburgo. Allo stesso modo, per quanto riguarda l’individuazione della manifesta violazione del diritto nazionale, la Corte, in linea di principio, rimette la decisione ai tribunali nazionali, salvo che la loro decisione non appaia arbitraria o manifestatamente irragionevole. In ogni caso, in merito alla natura di tali violazioni, e per quanto riguarda in particolare le loro conseguenze, ai fini dell’articolo 6 della Convenzione, il principio di sussidiarietà non precluderà lo svolgimento di una stringente supervisione europea ad opera della Corte.
Infine, gli Stati mantengono la loro generale libertà di scegliere il quadro normativo da applicare in materia di nomina dei giudici sulla base delle loro tradizioni giuridiche e delle loro strutture costituzionali. Tuttavia, tali regole e procedure devono pur sempre conformarsi ai requisiti derivanti dai principi primordiali del rule of law, che trovano espressione nelle caratteristiche di indipendenza e imparzialità previste dall’articolo 6 della Convenzione.
4.4. La relazione simbiotica tra le Corti di Strasburgo e di Lussemburgo sul tema dell‘indipendenza della magistratura
Come è noto, negli ultimi anni si sono succedute rilevanti pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul principio dell’indipendenza della magistratura, come delineato dal Trattato sull’Unione Europea (TUE) e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. In particolare, si fa riferimento alle sentenze rese nel caso Commissione c. Ungheria[76], nel caso dei Giudici Portoghesi[77], in Ministro della Giustizia e dell’Uguaglianza c. Celmer (LM)[78], nel caso della Riforma Giudiziaria Polacca [79], ed ancora più recentemente nella sentenza, quale seguito al caso LM, nel caso Openbaar Ministerie (Indépendance de l’autorité judiciaire d’émission)[80]. L’essenza di tali sentenze, come si evince dalla fiducia che la CGUE ha riposto nelle pronunce della Corte di Strasburgo, e viceversa, è facilmente enucleabile dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, essendosi manifestata, in questo importante settore del diritto, quella che può essere definita una relazione simbiotica tra le due Corti, per quanto è naturale che le sfide rimangano. A tale proposito, meritano di essere svolte quattro osservazioni.
In primo luogo, quando si confronta la giurisprudenza delle rispettive Corti, è importante considerare che la CGUE, nell’interpretazione delle due disposizioni fondamentali che regolano il suo approccio al principio dell’indipendenza della magistratura – l’articolo 19 par. 1 TUE sull’effettività della tutela giurisdizionale e l’articolo 47 della Carta – fa riferimento al quadro di valori sancito dall’articolo 2 TUE, ossia al “rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, del rule of law e rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”. Alcuni potrebbero chiedersi se il quadro dei valori presente all’interno dell’UE sia diverso rispetto a quello della Convenzione Europea. A tale domanda non può che darsi una risposta negativa. Guardando al Preambolo della Convenzione, all’essenza delle sue disposizioni e dei suoi protolli, ed alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, è evidente che esiste una simmetria di valori tra il sistema convenzionale e quello eurounitario. Tale simmetria costituisce un rilevante elemento sostanziale comune ad entrambi i sistemi che favorisce il necessario dialogo giuridico tra le due Corti.
In secondo luogo, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sviluppatasi in materia di rule of law e di indipendenza della magistratura ha tratto ispirazione dal principio in forza del quale gli Stati Membri devono predisporre strumenti nazionali effettivi a tutela dei diritti fondamentali. In generale, il suddetto principio si riflette anche negli articoli 13 e 35 della Convenzione e costituisce, altresì, un elemento concettuale su cui si radica il principio-quadro generale di sussidiarietà. Volgendo lo sguardo all’evoluzione della giuridsprudenza eurounitaria sul principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’articolo 19, par.1 TUE, si può notare che le premesse concettuali da cui partono le due Corti coincidono. Infatti, è evidente che il principio di sussidiarietà delineato dalla Convenzione sarebbe privo di ogni significato, se gli Stati membri non garantissero, sul piano normativo ed applicativo, l’esistenza di tribunali indipendenti e imparziali necessari per apprestare un’efficace tutela dei diritti fondamentali. La stessa logica, mutatis mutandis, sembra ispirare l’interpretazione offerta dalla CGUE del principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’articolo 19, par.1 TUE, trattandosi inoltre di una disposizione che è stata espressamente collegata dalla Corte di Lussemburgo agli articoli 6 e 13 della Convenzione. Pertanto, come già affermato nel Caso dei Giudici Portoghesi, il principio sancito dall’articolo 19 par. 1 TUE fa parte dei principi generali del diritto eurounitario, che trova le sue origini nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati Membri, oltre che negli articoli 6 e 13 della Convenzione[81]. Come ha affermato il Presidente Lenaerts, l’interpretazione fornita dalla CGUE dell’articolo 19 par. 1 TUE “si basa su una chiave di lettura strutturale dell’ordinamento giuridico dell’UE: le Corti nazionali indipendenti – in quanto giudici competenti a dare applicazione ed esecuzione al diritto dell’UE negli Stati Membri – sono un elemento essenziale della struttura costituzionale dell’Unione”[82]. In sintesi, si prospetta l’opportunità per entrambe le Corti, in stretta collaborazione con i sistemi giudiziari nazionali (cd. comunità europea dei giudici), di continuare a prendere piena consapevolezza dei rispettivi traguardi giurisprudenzali, per dare, in futuro, ulteriore sviluppo a questi principi.
In terzo luogo, uno dei principi trasversali più complessi che influisce sulla portata e sul contenuto dell’indipendenza della magistratura è il principio di inamovibilità dei giudici, a cui ho già fatto riferimento. Sul punto, nel caso Commissione c. Polonia, la CGUE ha affermato che il principio di inamovibilità “per quanto non sia assoluto, non ammette eccezioni che non siano giustificate da motivi legittimi e cogenti, e che rispettino il principio di proporzionalità” [83]. Si tratta di un’importante dichiarazione di principio che è stata invocata esplicitamente anche dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo nel caso Ástráðsson [84] e che fornisce un ottimo esempio della natura simbiotica del dialogo che intercorre tra le due Corti.
La questione giuridica sollevata dal caso Ástráðsson richiedeva di chiarire se una grave violazione della vigente legislazione nazionale in materia di nomina di un giudice, potesse potenzialmente essere considerata, dopo un attento bilanciamento degli interessi in gioco, un motivo legittimo e convincente su cui fondare una deroga al principio di inamovibilità dei giudici. La Corte ha risposto affermativamente a tale interrogativo[85], fermo restando che la violazione della legislazione nazionale deve rispettare l’elevata soglia di gravità risultante dai rigidi criteri elaborati dalla Grande Camera nella sentenza analizzata nel precedente paragrafo. A questo proposito, va accolto con favore il fatto che nel contesto del diritto eurounitario, la CGUE (facendo riferimento alle conclusioni della sentenza della Camera resa nel caso Ástráðsson, che sono sostanzialmente rimaste invariate anche nella sentenza della Grande Camera) [86] ha già adottato, nei casi Simpson e HG[87], un simile test di violazione per la valutazione di un ricorso che lamenti l’inosservanza del diritto ad un “tribunale precostituito per legge”, diritto sancito dall’articolo 47 par.2 della Carta.
Infine, nella decisione resa nel caso LM [88], la CGUE ha riconosciuto che le lacune normative nazionali di uno Stato Membro relative all’indipendenza della magistratura possono costituire una carenza sistemica o generalizzata del sistema giudiziario domestico che minaccia il rispetto del rule of law ed intacca il sistema comunitario del mutuo riconoscimento come espresso nella disciplina del Mandato d’Arresto Europeo (cd. MAE)[89]. In tale ambito, la CGUE ha elaborato una verifica su due livelli, che è stata recentemente riconfermata nel caso Openbaar Ministerie[90], laddove l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve valutare se sussiste un concreto pericolo di violazione del diritto ad un equo processo; pericolo che deve essere fondato su indici oggettivi, affidabili, specifici ed adeguatamente aggiornati e che devono riconnettersi a sistematiche lacune concernenti l’indipendenza della magistratura dello Stato Membro di emissione. Il secondo livello della verifica, invece, impone all’autorità dell’esecuzione di appurare con precisione in che misura tali lacune possano avere un impatto sui tribunali dello Stato Membro di emissione, che saranno investiti dei procedimenti a cui sarà soggetta la persona ricercata. In tale contesto l’autorità giudiziaria deve considerare la situazione personale del ricercato, la natura delle offese per cui è perseguito ed il contesto fattuale in cui quel mandato d’arresto è stato emesso. Infine, alla luce di tutte le informazioni fornite dallo Stato Membro di emissione, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve valutare se vi sono fondati motivi per ritenere che, una volta consegnata, quella persona correrà il rischio di subire una violazione del diritto ad un equo processo[91].
La Corte di Strasburgo non ha ancora preso posizione sulla verifica bifasica elaborata dalla CGUE in materia di MAE, nei casi implicanti l’indipendenza della magistratura. Pertanto, in mancanza di una pronuncia sulla conformità di suddetta verifica all’articolo 6 par.1 della Convenzione, non mi soffermerò su tale aspetto, salvo analizzarne due punti generali [92].
Innanzitutto, l’approccio bifasico elaborato dalla CGUE, che guida l’autorità giudiziaria di esecuzione nell’esame delle richieste di MAE volte alla consegna di una persona ad un altro Stato di emissione, deve essere valutato con rigore, calandolo nel particolare contesto eurounitario che si fonda sul principio del mutuo riconoscimento. Come sottolineato esplicitamente dalla CGUE nel caso Openbaar Ministerie, ove un’autorità giudiziaria di esecuzione abbia prove di carenze sistemiche o generalizzate relative all’indipendenza della magistratura dello Stato Membro di emissione, “l’esistenza di tali carenze non incide necessariamente su ogni decisione che i giudici di tale Stato Membro possono essere indotti ad adottare in ciascun caso specifico”. La ratio primaria di questa interpretazione, secondo la CGUE, risiede nel fatto che una opposta conclusione, ossia un rifiuto di dare esecuzione al MAE basato solo sul primo livello della verifica, estenderebbe i limiti che possono essere posti ai principi di reciproca fiducia e di mutuo riconoscimento, al di là di quelle “circostanze eccezionali” individuate dalla CGUE e riscontrabili nella sua giurisprudenza. Così procedendo, si giungerebbe ad escludere la generale applicazione di tali principi in quelle ipotesi in cui vengano emanati dei MAE dai giudici dello Stato Membro interessato da tali carenze [93]. Ne consegue che l’interpretazione adottata dalla CGUE, insieme alla verifica bifasica dalla stessa elaborata, risultano necessariamente influenzate dalla specifica natura e dagli scopi perseguiti dal sistema di mutuo riconoscimento[94]; un sistema che nell’ambito del diritto comunitario deve avere un’inevitabile influenza sul ruolo ricoperto in materia di MAE dal principio dell’indipendenza della magistratura previsto dall’articolo 47 della Carta [95].
In secondo luogo, è importante non perdere di vista le differenze intercorrenti tra la disciplina che regola l’emissione del MAE e i casi presentati alla Corte di Strasburgo, in cui il ricorrente fa valere ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione la violazione del diritto ad un tribunale indipendente ed imparziale costituito per legge. Nel primo caso, infatti, viene in rilievo un sistema intraeuropeo di norme giuridiche le quali richiedono che il giudice di uno Stato Membro compia una valutazione extraterritoriale sul livello di indipendenza dei tribunali di un altro Stato in procedimenti ancora pendenti. Mentre, quando nel secondo caso la Corte di Strasburgo constata l’esistenza di una responsabilità statale ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione, la sua pronuncia si dirige allo Stato Membro in cui la corte o il tribunale si trova e davanti al quale pende il procedimento di cui è parte il ricorrente. Inoltre, è importante sottolineare che, affinchè la Corte di Strasburgo possa pronunciarsi nel merito, è necessario che, ai sensi dell’articolo 35 par.1 della Convenzione, venga soddisfatta la condizione del previo esaurimento delle vie di ricorso interne, richiedendosi quindi che i procedimenti nazionali si siano già conclusi.
In tali casi e come verificatosi nella causa Ástráðsson, la Corte di Strasburgo, per stabilire se il diritto ad un tribunale indipendente ed imparziale istituito per legge previsto dall’articolo 6 della Convenzione sia stato effettivamente rispettato, è chiamata a svolgere un esame diretto del funzionamento del sistema giudiziario all’interno Stato convenuto. L’esame di tali ricorsi non è quindi concettualmente riconducibile a quel tipo di valutazione basata sul rischio (risk-based assessment), che è invece in linea di principio applicabile per l’esame dei ricorsi convenzionali vertenti su un contesto extraterritoriale, compresi quelli concernenti il sistema del MAE[96]. In ogni caso, ove venisse depositato un ricorso convenzionale avente ad oggetto il funzionamento del sistema del MAE in connessione con il principio dell’indipendenza della magistratura ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione, la Corte di Strasburgo dovrà stabilire in che misura possa tenere conto della natura e degli scopi che soggiacciono al sistema eurounitario del mutuo riconoscimento[U1] , come ha già fatto nella sua giurisprudenza nella applicazione della verifica di carenza manifesta[97]. In questa valutazione, la Corte di Strasburgo potrebbe dover considerare l’elevata soglia fissata dalla verifica del “manifesto diniego di giustizia”, e già applicata quando viene in rilievo, ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione, l’ambito extraterritoriale del sistema del MAE. Tale verifica è stata applicata nel caso Stapleton c. Irlanda [98] ed, in particolare, nella recente sentenza nel caso Pirozzi c. Belgio [99].
5. Conclusione
Concludo da dove ho iniziato. Il rule of law è un principio costituzionale fondamentale nel sistema europeo di protezione dei diritti umani. Come ho tentato di spiegare, il rule of law ha costituito la lodestar che ha guidato per decenni l’evoluzione della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. A seguito degli sviluppi nello spazio giuridico del Consiglio d’Europa, l’impatto normativo di questo principio si è andato incrementando nella giurisprudenza della Corte, ed in particolare nei casi in cui viene in rilievo il principio di indipendenza ed imparzialità della magistratura che è stato spiegato al dettaglio in questo articolo. È quindi di massima importanza che il concetto essenziale di rule of law, il suo status normativo all’interno del sistema della Convenzione e le sue varie manifestazioni, continuino a riflettersi in modo coerente quali principi nella giurisprudenza della Corte. Deve parimenti darsi rilievo al fatto che le Corti di Strasburgo e di Lussemburgo continuano a sviluppare e rinforzare il loro costante dialogo giurisprudenziale in tale ambito.
Recentemente, alcuni si sono domandati se il rule of law sia diventato uno slogan senza valore, una fantasia che ha perso ogni parvenza di realismo nel nostro mondo polarizzato, un mondo sempre più ricco di divisioni che non derivano da semplici ragionevoli differenze di opinioni, ma al contrario da visioni drammaticamente contrastanti su quelli che sono i principi primi della vita comunitaria. È chiaro che la risposta a questo quesito, come spero emerga dalla trattazione di questo articolo, non può che essere negativa. I tentativi di legittimare concezioni realistiche del rule of law, spesso legate a politiche di identità nazionale ed a definizioni parrocchiali di bene comune e definite dal cerchio chiuso dei potenti, devono essere respinti[100]. Il principio di rule of law delineato dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, quale componente fondamentale dell’ordine pubblico europeo, è concettualmente incapace di essere trasformato, sì da potersi adattare all’agenda politica di coloro che sono alla ricerca di poteri illimitati e mirano alla sottomissione del sistema indipendente del controllo giudiziario[101]. Il principio del rule of law, la Stella Polare della Convenzione, è organicamente inserito in un sistema di diritto internazionale che rifiuta inequivocabilmente l’uso arbitrario del potere governativo.
N.d.T.: La scelta di non tradurre “rule of law” scaturisce dal rischio che si incorre nel ridurre ad un unum incastrato nella tradizione linguistica e giuridica del paese di traduzione, un concetto come il rule of law dal contenuto prettamente composito. Cristallizzare una definizione di rule of law potrebbe risultare riduttivo e correrebbe il rischio di ridurne la sua profonda complessità Sul punto anche Roberto Bin, Rule of law e ideologie, in Rule of Law. L'ideale della legalità, a cura di G. Pino e V. Villa, il Mulino, Bologna 37-60: “Non è più il Rechtsstaat a riproporsi nella traduzione verso le diverse lingue nazionali del continente europeo, ma è il concetto di rule of law a entrare nell'uso comune. Entra senza alcuna traduzione, perché la traduzione in un'altra lingua ne forzerebbe il senso.”
[1] Presidente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, giudice eletto per l’Islanda. Vorrei ringraziare la mia stagista, Ms Ingunn Elísabet Markúsdóttir, per la sua eccellente assistenza alla ricerca nella redazione di questo articolo. Tutte le idee espresse in questa sede sono personali.
[2] L’articolo non esplorerà le più ampie origini storiche del rule of law (l’État de droit prééminence de droit, rechtsstaat);per una discussione esauriente in proposito si veda Brian Z. Tamanaha, The Rule of Law – History, Politics, Theory (2004), Capitoli 1-4. Per quanto l’argomento su cui verte il presente articolo è il principio del rule of law delineato dalla Convenzione, preme chiarire che la sua interdipendenza con agli altri principi fondamentali di democrazia e di tutela dei diritti umani ha di certo un grande significato per il complessivo sistema tratteggiato dalla Convenzione come traspare, oltre che dal suo Preambolo, anche dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo; in merito all’articolo 3 del Protocollo n.1, cfr. per esempio, Selahattin Demirtaş c. Turchia (N. 2) [GC] (14305/17), 22 dicembre 2020, par. 382: “The Court reiterates that democracy constitutes a fundamental element of the “European public order”, and the rights guaranteed under Article 3 of Protocol No. 1 are crucial to establishing and maintaining the foundations of an effective and meaningful democracy governed by the rule of law”. Cfr. anche, Mugemangango c. Belgio [GC] (n. 310/15), 10 luglio 2020, par. 67.
[3] Cfr. il successivo paragrafo 3 ed i riferimenti ivi riportati.
[4] Alcuni hanno affermato che il “rule of law should not be the touchstone for all elements in the juristic landscape”, cfr. William Lucy, "Access to Justice and the Rule of Law", Oxford Journal of Legal Studies, Vol. 40, N. 2 (2020), pp. 377-402, pag. 402.
[5] Costituiscono passaggi cardine di questo tentativo: Lon Fuller, The Morality of Law (1964), Joseph Raz, ‘The Rule of Law and Its Virtue’, in The Authority of Law: Essays On Law and Morality 210 (1979), ed anche Raz, ‘The Law’s Own Virtue’, Oxford Journal of Legal Studies, Vol. 39, N. 1 (2019), 1-15. Più recentemente si veda anche, Lord Bingham, The Rule of Law (2010). Per un resoconto storico e teorico più completo, Brian Z. Tamanaha, The Rule of Law – History, Politics, Theory (2004). Rimanendo nell’ambito del sistema della Convenzione, Geranne Lautenbach, The Concept of the Rule of Law and The European Court of Human Rights (2013).
[6] Golder c. Regno Unito [PL] (n. 4451/70), 21 febbraio 1975, Serie A 18, par. 3.
[7] Rozkhov c. Russia (n. 2) (n. 38898/04), 31 gennaio 2017, par. 76.
[8] Ramda c. Francia (n. 78477/11), 19 dicembre 2017, par. 60.
[9] Sottolineatura aggiunta.
[10] General Assembly Resolution 217 A, 10 dicembre 1948. I primi due considerando del Preambolo della Convenzione recitano quanto segue: “Considering the Universal Declaration of Human Rights proclaimed by the General Assembly of the United Nations on 10th December 1948; Considering that this Declaration aims at securing the universal and effective recognition and observance of the Rights therein declared….”
[11] Sottolineatura aggiunta.
[12] Prendo atto dell’opinione sostenuta da Raz, ibidem, pag. 10, secondo cui non è corretto che il riferimento della Dichiarazione delle Nazioni Unite debba essere interpretato nel senso che “the doctrine of the rule of law includes conformity to human rights”. Raz in effetti afferma che “it is clear authority to the contrary: the rule of law is separate from human rights, but should be used to protect them”. Nel successivo paragrafo 3, discuterò dello status normativo del rule of law all’interno del sistema della Convenzione e rifletterò sul dibattito tra coloro che, come Raz, sostengono una concezione cd. sottile del principio, anche denominata la “tesi senza diritti” (no-rights thesis) (cfr. Evan Fox-Decent, ‘Is the Rule of Law Really Indifferent to Human Rights’, Law and Philosophy (2008) 27, 533-581, 533) e coloro invece che, come Lord Bingham, ibidem, sostengono una versione più spessa (thicker version) del rule of law, cfr. anche Paul Lemmens, The Protection of Human Rights: A Noble Task for Courts, (2020), 27.
[13] Quando in questo contesto si fa riferimento all’autonomia personale, è importante chiarire che ciò non significa che la Convenzione considera l’individuo ed i suoi diritti separatamente rispetto alla più ampia comunità a cui la persona appartiene. Come ho osservato altrove, i diritti sanciti dalla Convenzione, ed in particolare quelli che ammettono deroghe giustificate, “not mere expressions of the rights and responsibilities of individuals as islands unto themselves, but, importantly, of their status and responsibilities within a democratic and communal (social entity)”; Robert Spano, ‘The Future of the European Court of Human Rights – Subsidiarity, Process-Based Review and the Rule of Law’, Human Rights Law Review, 2018, 18, 473-494, 483.
[14] Sinkova c. Ucraina (n. 39496/11), 27 febbraio 2018, par. 68, Baydar c. Paesi Bassi (n. 55385/14), 24 aprile 2018, par. 39.
[15] Işikirik c. Turchia (n. 41226/09), 14 novembre 2017, par. 57-58.
[16] Del Río Prada c Spagna [GC] (n. 42750/09, 21 ottobre 2013, par. 78 e 80. Si veda anche Advisory Opinion concerning the use of the “blanket reference” or “legislation by reference” technique in the definition of an offence and the standards of comparison between the criminal law in force at the time of the commission of the offence and the amended criminal law (P16-2019-001), 29 maggio 2020, par. 75-92.
[17] Panorama Ltd. e Miličić c. Bosnia ed Erzegovina (n. 69997/10 e 7493/11), 25 luglio 2017, par. 63. Nel caso Selahattin Demirtaş c. Turchia (N. 2) [GC] ibidem, la Corte ha anche confermato la sua precedente opinione a tenore della quale “laws which are directed against specific persons are contrary to the rule of law”, par. 269..
[18] Roman Zakharov c. Russia [GC] (n. 47143/06), 4 dicembre 2015, par. 230; Beghal c. Regno Unito (n. 4755/16), 28 febbraio 2019, par. 88.
[19] Si veda il successivo paragrafo 4.
[20] Panorama Ltd. e Miličić c. Bosnia ed Erzegovina (n. 69997/10 e 74793/11), 25 luglio 2017, par. 62; Irlanda c. Regno Unito (riesame) (n. 5310/71), 20 marzo 2018, par. 122.
[21] Trattasi di un procedimento in cui si denunciava alla Corte la violazione dell’articolo 46 par. 4; il caso Ilgar Mammadov c, Azerbaijan [GC] (n. 15172/13), 29 maggio 2019, par 149.
[22] Martin Krygier, ‘The Rule of Law: Pasts, Presents, and a Possible Future’, Paper for seminar co-sponsored by Center for Study of Law & Society and the Kadish Center for Morality, Law and Public Affairs, University of California, Berkele, marzo 2016, pag. 6: “A common thought has been that left to their own devices wielders of power cannot be relied on to avoid exercising it arbitrarily, and will constantly face the temptation and in many circumstances the incentive to act in their own, rather than the public interest (however that is defined). …”.
[23] Anche organi di rilievo delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa hanno cercato di individuare in termini piuttosto precisi la portata ed il contenuto del principio del rule of law. Si fa particolare riferimento alla Risoluzione A/67/L/1, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 24 settembre 2012 (Declaration of the high-level meeting of the General Assembly on the rule of law at the national and international levels) e alla Rule of Law Checklist elaborata dalla Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa ed adottata nella sua 106ma Sessione Plenaria (11-12 marzo 2016); cfr. Pauliine Koskelo, ‘The State of the European Union – entrapment for those committed to its core values?’ Thyssen Lectures 2017-2021 (2020), p. 21.
[24] Raz, ibidem, p. 2-3: “Importantly, these conditions of individual and social prosperity are universal: different societies have different cuisines, different social relations and manners, different economic structures, different religions or non, etc. But all require stability and predictability, and above all they must be intelligible to those subject to them, for people to feel at home within the framework of the law, and to have confidence and self-reliance to plan their life. … Hence the universality of the [rule of law]. …”
[25] Quando è stata adottata nel 1948, inizialmente quarantotto paesi hanno votato in favore dell’adozione della Dichiarazione, mentre otto paesi si sono astenuti e due non hanno partecipato al voto. Per un resoconto particolarmente interessante sul punto si veda, Oona Hathaway and Scott J. Shapiro, The Internationalists: How a Radical Plan to Outlaw War Remade the World (2017), p. 515.
[26] Aliyev c. Azerbaigian (n. 68762/14 e 71200/14), 20 settembre 2018, par. 225.
[27] Per una pronuncia della Grande Camera sul punto, si veda Al-Dulimi e Montana Management Inc. c. Svizzera [GC], n. 5809/08, 21 giugno 2016, par. 145: “… One of the fundamental components of European public order is the principle of the rule of law, and arbitrariness constitutes the negation of that principle”. Si veda anche la recente sentenza pronunciata dalla Camera nel caso Aliev c. Azerbaigian, ibidem, par. 225. Dovrebbe notarsi che la Corte ha inoltre statuito che “democracy constitutes a fundamental element of the ‘European public order’”, si veda Selahattin Demirtaş c. Turchia (N. 2) [GC], ibidem, par. 382.
[28] Angelika Nussberger, The European Court of Human Rights (2020), 38: ‘The Council of Europe was founded in 1949 with the aim of preserving the European heritage of democracy, human rights, and the rule of law”. Come sarà analizzato nel successivo paragrafo 4.4, la CGUE ha chiarito che l’Unione Europea rinviene le sue fondamenta nei valori sanciti dall’articolo 2 TUE, il quale include il rispetto del rule of law, si veda in particolare CGUE, Caso C-64/16, Associaçāo Sindical dos Juízes Portugueses, EU:C:2018:117, par. 32.
[29] Pişkin c Turchia (n. 33399/18), 15 dicembre 2020 (non definitiva), par. 153. Come ho sottolineato altrove “[a] state of emergency is not an open invitation to States Parties to erode the foundations of a democratic society based on the rule of law and the protection of human rights”, si veda Robert Spano, ibidem, 493. Anche Evan J. Criddle and Evan Fox-Decent, ‘Human Rights, Emergencies, and the Rule of Law’, Human Rights Quarterly, Vol. 34, N. 1 (2012), 39-87. Relativamente al contesto normativo statunitense, per una discussione approfondita sull’opportunità che “constitutional constraints on government action [should] be suspended in times of emergency (because emergencies are ‘extraconstitutional’), or [whether] constitutional doctrines forged in calmer times adequately accommodate exigent circumstances” si veda Lindsay F. Wiley e Stephen I. Vladeck, ‘Coronavirus, Civil Liberties, and the Courts: The Case Against “Suspending” Judicial Review’, Harvard Law Review, Vol. 133 (2020), 179-198, p. 180.
[30] Per una pronuncia della Grande Camera sul punto, si veda Lekić c. Slovenia [GC] (n. 36480/07), 14 febbraio 2017, par. 86 e più recentemente Selahattin Demirtaş c. Turchia (N. 2) [GC] ibidem, par. 249: “…the rule of law, which is expressly mentioned in the Preamble to the Convention and is inherent in its Articles.”
[31] Siofra O’Leary, giudice della Corte EDU e Presidente di Sezione, ha sostenuto che “[ever] since [Golder v the United Kingdom, the court has] used the rule of law as an interpretative tool for the development of substantive guarantees set forth in the Convention”; cfr. ‘Europe and the Rule of Law’, The EU Charter of Fundamental Rights in the Member States (M. Bobek and J. Prass (eds.), (2020), 37-68, 60.
[32] Si veda in proposito il successivo paragrafo 4.
[33] Mi riferisco all’analisi teorica sulla distinzione tra principi e regole elaborata dal professor Robert Alexi nel suo fondamentale lavoro, A Theory of Constitutional Rights (2010), 47.
[34] Robert Spano, ‘The Democratic Virtue of Human Rights Law – Response to Lord Sumption’s Reith Lectures’ [2020] E.H.R.L.R, Issue 2 (2020), 132-139, p. 138. Si veda anche Robert Deinhammer, ‘The Rule of Law: Its Virtues and Limits’, Obnovljeni život 74(1), 33-44, 37, il quale afferma che “in aiming to reduce arbitrariness and despotism, the rule of law can be seen as a principle that ensures a minimum of rationality and reasonableness within the political process”.
[35] A questo proposito, è importante sottolineare il valore che ricopre nel sistema del Consiglio d’Europa l’operazione svolta dalla Commissione di Venezia, la quale ha chiaramente basato il proprio lavoro sul rule of law e sulla sua “versione spessa”, si veda in particolare CDL-AD(2011)003rev-e Report on the rule of law – adottato nella sua 86ma Sessione Plenaria (25-26 marzo 2011) e la Rule of Law Checklist, adottata nella sua 106ma Sessione Plenaria (11-12 marzo 2016).
[36] Qualcuno ha definito la versione sottile del rule of law un “concetto non basato su diritti” (no-rights based concept), si veda, Evan Fox-Decent, ibidem, p. 533. Anche, Randall P. Peerenboom, ’Human Rights and Rule of Law: What’s the relationship?’, UCLA Public Law & Legal Theory Series (2005), 18-28. In misura simile, Ronald Dworkin ha operato una nota distinzione tra la “rule-book” conception del rule of law e una concezione“basata sui diritti” (“rights” conception of rule of law), si veda in proposito il suo A Matter of Principle (1985), p. 11.
[37] Uspakich c. Lituania (n. 14737/08), 20 dicembre 2016, par. 87.
[38] Refah Partisi (the Welfare Party) e Altri c.Turchia [GC] (n. 41340/98), CEDU 2003, par. 93.
[39] Döner e Altri c. Turchia (n. 29994/02), 7 marzo 2017, par. 107. Si veda anche, Magyar Kétfarkú Kutya Párt c. Ungheria [GC] (n. 201/17), 20 gennaio 2020, par. 101: “In the Court’s opinion, this kind of supervision naturally extends to the assessment of whether the legal basis relied on by the authorities in restricting the freedom of expression of a political party was foreseeable in its effects to an extent ruling out any arbitrariness in its application. A rigorous supervision here not only serves to protect democratic political parties from arbitrary interferences by the authorities, but also protects democracy itself, since any restriction on freedom of expression in this context without sufficiently foreseeable regulations can harm open political debate, the legitimacy of the voting process and its results and, ultimately, the confidence of citizens in the integrity of democratic institutions and their commitment to the rule of law”.
[40] Aliyev c. Azerbaijan, ibidem, par. 223.
[41] Joseph Raz, ibidem.
[42] Lord Bingham, ibidem. Il mio omologo, Koen Lenaerts, Presidente della CGUE, ha parimenti sottolineato “that fundamental rights, democracy and the rule or law are interdependent, as one cannot exist without the other”, si veda ‘The Two Dimensions of Judicial Independence in the EU Legal Order’, Fair Trial: Regional and International Perspectives, Liber Amicorum Linos-Alexandre Sicilianos (2020), 333-348, p. 348.
[43] Il principio di legalità di cui agli articoli 5, par.1 e 7 della Convenzione comprende un primordiale diritto convenzionale di rule of law (primordial rule of law Convention right). Differentemente da altre disposizioni, quali gli articoli 8-11, che richiedono che deroghe ai diritti sanciti dalla Convenzione dovrebbero essere “previste dalla legge” ed in cui il rule of law si atteggia a principio giuridico; i diritti di cui agli articoli 5, par.1 e 7 della Convenzione, invece, richiedono che esista una base giuridica sufficientemente accessibile e prevedibile affinchè una persona possa essere privata legittimamente della propria libertà personale e condannata penalmente. Tali diritti costituiscono, pertanto, l’esempio di norme di rule of law a contenuto fisso. Non è quindi un caso che la Corte ha escluso che lo stesso tipo di deferenza spetti ai legislatori ed ai giudici nazionali nei casi in cui, in sede di applicazione delle norme domestiche, procedano ad controllo meno rigoroso della legalità simile a quello di cui agli articoli 8-11 della Convenzione pur ove sia implicato il principio di legalità di cui agli articoli 5 par. 1 e 7 si veda nell’ambito dell’articolo 7, Kononov c. Lettonia [GC] (n. 36376/04), 17 maggio 2010, § 198: “… the Court’s powers of review must be greater when the Convention right itself, Article 7 in the present case, requires that there was a legal basis for a conviction and sentence. Article 7 § 1 requires the Court to examine whether there was a contemporaneous legal basis for the applicant’s conviction and, in particular, it must satisfy itself that the result reached by the relevant domestic courts (a conviction for war crimes pursuant to section 68-3 of the former Criminal Code) was compatible with Article 7 of the Convention, even if there were differences between the legal approach and reasoning of this Court and the relevant domestic decisions. To accord a lesser power of review to this Court would render Article 7 devoid of purpose”.
[44] Nella giurisprudenza della CGUE (Caso C-506-04, Wilson, EU:C:2006:587, §§ 49-52) il concetto di indipendenza della magistratura è stato diviso in due aspetti, uno esterno e l’altro interno. L’indipendenza esterna richiede che “judges must be protected against external intervention or pressure that could jeopardise their independent judgment in proceedings before them, while the second internal aspect is linked to impartiality and seeks to ensure a level playing field for the parties to proceedings and their respective interests with regard to the subject matter of those proceedings”; si veda Michal Vilaras, ‘The Rule of Law Milestone: Upholding Judicial Independence in the Member States under Union Law’, Fair Trial: Regional and International Perspectives, Liber Amicorum Linos-Alexandre Sicilianos (2020), 709-722, 710.
[45] Il mio collega Giudice della Corte Pauliine Koskelo ha sottolineato, secondo me correttamente, che “independence of office alone provides no guarantees unless it is associated with an independence of mind. Judges must not only be institutionally but also intellectually independent and impartial”. Si veda ibidem, p. 24. La Grande Camera della Corte di Strasburgo si è pronunciata in modo simile nel caso Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda [GC] ((n. 26374/18), 1 Dicembre 2020)): “it is inherent in the very notion of a “tribunal” that it be composed of judges selected on the basis of merit – that is judges who fulfil the requirements of technical competence and moral integrity to perform the judicial functions required in a State governed by the rule of law”, si veda par. 220.
[46] Baka c. Ungheria [GC] (n. 20261/12), 23 giugno 2016, par. 165. Si veda inoltre il successivo paragrafo 4.3. Nel caso Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda [GC], ibidem, par. 215, la Corte ha evidenziato che “neither Article 6 nor any other provision of the Convention requires States to comply with any theoretical constitutional concepts regarding the permissible limits of the powers’ interaction … In the Court’s opinion, a certain interaction between the three branches of government is not only inevitable, but also necessary, to the extent that the respective powers do not unduly encroach upon one another’s functions and competences. …”.
[47] Si veda, Aikaterini Tsampi, ‘Separation of Powers and the Right to A Fair Trial under Article 6 ECHR: Empowering the Independence of the Judiciary in the Subsidiarity Epoch’, Fair Trial: Regional and International Perspectives, Liber Amicorum Linos-Alexandre Sicilianos (2020), 693-707.
[48] Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda [GC], ibidem, n 41, par. 233. Sul tema della fiducia dell’opinione pubblica nel sistema giudiziario si veda Michail N. Pikramenos, ‘Public Confidence and the Judiciary in a Democratic Society’, Fair Trial: Regional and International Perspectives, Liber Amicorum Linos-Alexandre Sicilianos (2020), 417-426.
[49] Robert Spano, Conference of the Ministers of Justice of the Council of Europe: “Independence of Justice and the Rule of Law”, Strasburgo, 9 novembre 2020; ed anche Human Rights Lecture at the Justice Academy of Turkey – “Judicial Independence – The Cornerstone of the Rule of Law”, Ankara, 3 settembre 2020.
[50] Baka c. Ungheria [GC], ibidem, Ramos Nunes de Carvalho E SÁ c. Portogallo [GC] (n. 55391/13), 6 Novembre 2018; Denisov c. Ucraina [GC] (n. 76639/11), 25 settembre 2018; più recentemente, Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda [GC], ibidem.
[51] Oleksandr Volkov c. Ucraina (n. 21722/11), 9 gennaio 2013.
[52] Baka c. Ungheria [GC], ibidem; Denisov c. Ucraina [GC], ibidem.
[53] Ramos Nunes de Carvalho E SÁ c. Portogallo [GC], ibidem. Si veda anche Selahattin Demirtaş c. Turchia (N. 2) [GC], ibidem, in cui la Corte, in relazione all’articolo 18 della Convenzione (si veda par. 434), si è basata sulle conclusioni a cui era giunta la Commissione di Venezia, constatando che, in Turchia, “composition of the Supreme Council [of Judges and Prosecutors in Turkey] would seriously endanger the independence of the judiciary because it was the main self-governing body of the judiciary, overseeing appointments, promotions, transfers, disciplinary measures and the dismissal of judges and public prosecutors. It added that “[g]etting control over the [Supreme Council] thus means getting control over judges and public prosecutors, especially in a country where the dismissal of judges is frequent and where transfers of judges are a common practice””.
[54] Baka c. Ungheria [GC], ibidem, par. 107-119, Denisov c. Ucraina [GC], ibidem, par. 44-57. Si deve notare che nel caso Baka, l’ex Presidente Linos-Alexandre Sicilianos, in una opinione separata concorrente (concurring opinion) ampiamente discussa ha sostenuto che vi sono forti argomenti a favore di un’interpretazione dell’articolo 6, par.1 della Convenzione che riconosca – parallelamente al diritto delle persone coinvolte in procedimenti giudiziari di adire un tribunale indipendente ed imparziale – anche un “subjective right for judges to have their individual independence safeguarded and respected by the State”. La Corte di Strasburgo, al momento, non ha abbracciato questo approccio e, pertanto, non prenderò posizione sulla questione. Vorrei semplicemente osservare che tale sviluppo si porrebbe in linea sia con l’attuale strada intrapresa dalla giurisprudenza su questo tema che con la solida applicazione del rule of law che per ora permea la giurisprudenza della Corte. A questo proposito deve rilevarsi che anche il diritto comunitario “protects national judges in their institutional capacity as members of the courts of general jurisdiction for the application and enforcement of that law”. Il Presidente Koen Lenaerts ha spiegato che, differentemente dalla visione offerta dall’ex Presidente Sicilianos, che considera essere basata su un “fundamental rights discourse”, l’approccio della CGUE si basa piuttosto su un “rule of law discourse”, si veda Koen Lenaerts, ibidem, p. 334-335.
[55] Denisov c. Ucraina [GC], ibidem, par. 92-117.
[56] Baka c. Ungheria [GC], ibidem, par. 140-176.
[57] Agrokompleks c. Ucraina (n. 23465/03), 6 ottobre 2011, par. 136.
[58] Kinský c. Repubblica Ceca (n. 42856/06), 9 febbraio 2012, par. 98.
[59] Rinau c. Lituania (n. 10926/09), 14 gennaio 2020, par. 211.
[60]Rinau c. Lituania , ibidem, par. 211.
[61] Si veda, il caso Baş c. Turchia (n. 66448/17), 3 marzo 2020, in cui il ricorrente aveva denunciato una violazione dell’articolo 5, par.4, a seguito della mancanza di indipendenza e imparzialità dei magistrati turchi che avevano disposto la sua detenzione. La Corte ha ritenuto che i principi sull’indipendenza del potere giudiziario, sviluppati sulla base dell’articolo 6 par. 1 della Convenzione, si applicano ugualmente anche ove venga in rilievo l’articolo 5 par. 4; si veda par.268. Nel respingere il ricorso in quanto manifestatamente infondato la Corte ha considerato, inter alia, che era “unable to establish, on the basis of the materials in its possession, any correlation between the statements by the executive and the decisions by the magistrates’ courts …”, par. 276.
[62] Si veda, Kavala c. Turchia (n. 28749/18), 10 dicembre 2019, par. 229; Selahattin Demirtaş c. Turchia (N. 2) [GC], ibidem, par. 432-436 ed in particolare il par. 436: “In the present case, the concordant inferences drawn from this background support the argument that the judicial authorities reacted harshly to the applicant’s conduct as one of the leaders of the opposition, to the conduct of other HDP members of parliament and elected mayors, and to dissenting voices more generally”. Per un’analisi generale ed una critica della giurisprudenza della Corte sull’articolo 18, si veda Egidijus Kūris, ‘Wrestling With the ‘Hidden Agenda’ – Towards a Coherent Methodology for Article 18 Cases’, Human Rights with a Human Touch, Liber Amicorum Paul Lemmens (2019), 539-574.
[63] Alparslan Altan c. Turchia (n. 12778/17), 16 aprile 2019, par. 102; Baş c. Turchia, ibidem, par. 144.
[64] Ramos Nunes de Carvalho E SÁ c. Portogallo [GC], ibidem, par. 144-150.
[65] Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda [GC], ibidem.
[66] Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda, ibidem, par. 211, 214 e 227.
[67] Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda, ibidem, par. 231.
[68] Una maggioranza della Grande Camera (12 voti contro 5) ha quindi ritenuto che non era necessario esaminare separatamente la denuncia del ricorrente in merito alla mancanza di indipendenza e imparzialità del giudice della Corte d’Appello in questione, si veda Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda, ibidem, par. 295.
[69] Riguardo a questo punto, i giudici O’Leary, Ravarani, Kucsko-Stadlmayer e Ilievski hanno prospettato una visione diversa in un’opinione separata congiunta parzialmente concorrente e parzialmente dissenziente (joint partly concurring, partly dissenting opinion). Si vedano in particolare i par. 30-33.
[70] Si veda l’analisi svolta nel precedente paragrafo 3.
[71] Per una discussione sulla sentenza della Camera cfr. Jean-Paul Costa, ‘Qu’est-ce qu’un tribunal établi par la loi? Fair Trial: Regional and International Perspectives, Liber Amicorum Linos-Alexandre Sicilianos (2020), 101-106, 103, e Aikaterini Tsampi, ibidem, 702-704.
[72] Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda, ibidem, par. 243-252.
[73] Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda, ibidem, par. 250-251.
[74] Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda, ibidem, par. 239.
[75] CGUE, Caso C-619/18, Commissione c. Polonia (Indipendenza della Corte Suprema), EU:C:2019:531, par. 76: “While it is not wholly absolute, there can be no exceptions to [the principle of irremovability of judges] unless they are warranted by legitimate and compelling grounds, subject to the principle of proportionality”.
[76] CGUE, Caso C-286/16, Commissione c. Ungheria, EU:C:2012:687.
[77] CGUE, Caso C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses c. Tribunal de Contas, ibidem, n 24.
[78] CGUE, Caso C-216/18 PPU, Ministero della Giustizia e dell’Uguaglianza c. Celmer (il caso ‘LM’), EU:C:2018:586.
[79] CGUE, Caso C-192/18, Commissione c. Polonia (Indipendenza dei tribunali ordinari), EU:C:2019:924; Caso C-619/18, Commissione c. Polonia (Independenza della Corte Suprema), ibidem; e CGUE, Cause riunite C-585/18 e C-625/18, AK e Altri (Indipendenza della Sezione Disciplinare della Corte Suprema), EU:C:2019:982.
[80] CGUE, Cause riunite C-354/20 PPU e C-412/20 PPU, Openbaar Ministerie (Indépendance de l’autorité d’émission), 17 dicembre 2020.
[81] CGUE, Caso C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses c. Tribunal de Contas, ibidem, par. 35.
[82] Koen Lenaerts, ‘The Two Dimensions of Judicial Independence in the EU Legal Order’, ibidem, p. 346.
[83] CGUE, Caso C-619/18, Commissione c. Polania (Independenza della Corte Suprema), ibidem, par. 76. Si veda, Koen Lenaerts, ‘The Two Dimensions of Judicial Independence in the EU Legal Order’, ibidem, p. 344.
[84] Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda, ibidem, par. 239.
[85] Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda, ibidem, par. 240: “A finding that a court is not a “tribunal established by law” may, evidently, have considerable ramifications for the principles of legal certainty and irremovability of judges, principles which must be carefully observed having regard to the important purposes they serve. That said, upholding those principles at all costs, and at the expense of the requirements of “a tribunal established by law”, may in certain circumstances inflict even further harm on the rule of law and on public confidence in the judiciary. As in all cases where the fundamental principles of the Convention come into conflict, a balance must therefore be struck in such instances to determine whether there is a pressing need – of a substantial and compelling character – justifying the departure from the principle of legal certainty and the force of res judicata (see, for instance, Sutyazhnik, cited above, § 38) and the principle of irremovability of judges, as relevant, in the particular circumstances of a case”.
[86] Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda, ibidem, par. 242. Va notato che nella loro opinione separata congiunta parziamente concorrente e parzialmente dissenziente (joint partly concurring, partly dissenting opinion), i Giudici O’Leary, Ravarani, Kucsko-Stadlmayer e Ilievski si sono espressi (par.39) in modo leggermente diverso sull’affidamento che Grande Camera ha riposto nella sentenza resa dalla CGUE nel caso Simpson e HG, ibidemem: “The CJEU did not reject the logic of the Chamber’s departure in Ástráðsson, but in our view clearly sought to work around it. In particular, it relied on the principle of legal certainty, which it regarded as necessary to ensure the stability of the judicial system, in order to avoid any automaticity in terms of consequences (the setting aside of a judicial decision in which the impugned judge had participated) which the new departure in this Court’s case-law risked – and now risks – entailing”.
[87] CGUE, Cause riunite C-542/18 RX-II and C-543/18 RX-II, Simpson e HG, 26 marzo 2020, par. 74-76.
[88] CGEU, Caso C-216/18 PPU, Ministero della Giustizia e dell’Uguaglianza c. Celmer (il caso ‘LM’), ibidem.
[89] Decisione Quadro del Consiglio 2002/584/JHA del 13 giugno 2002 relativa al mandato d'arresto europeo ed alle procedure di consegna tra Stati membri (Oj 2002 L 190, p.1), come modificata dalla Decisione Quadro del Consiglio 2009/299/JHA del 26 febbraio 2009 (Oj 2009 L 81, p. 24).
[90] CGUE, Cause riunite C-354/20 PPU e C-412/20 PPU, Openbaar Ministerie (Indépendance de l’autorité d’émission), ibidem.
[91] CGUE, Caso C-216/18 PPU, Ministero della Giustizia e dell’Uguaglianza c. Celmer (il caso “LM”), ibidem, par. 61 e 74-77.
[92] Sul punto si veda l’opinione congiuta parzialmente concordante e parzialmente dissenziente (joint partly concurring, partly dissenting opinion) dei giudici O’Leary, Ravarani, Kucsko-Stadlmayer e Ilievski in Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda, ibidem, par. 40.
[93] CJEU, Cause riunite C-354/20 PPU e C-412/20 PPU, Openbaar Ministerie (Indépendance de l’autorité d’émission), ibidem, par. 41-43.
[94] Dean Spielmann, ‘La notion de l’État de droit dans la jurisprudence de la Cour de justice de l’Union européenneʼ, Liber Amicorum in memoriam of Stavros Tsakyrakis (2020), 354-372, p. 355-356: “L’emploi par la Cour de “l’État de droit” doit donc toujours être placé dans le contexte spécifique de la structure de l’ordre juridique de l’UE: la CJUE n’a pas recours à cette notion dans l’abstrait. Le recours à “l’État de droit” se met toujours au service de la garantie de la primauté de l’ordre juridique de l’UE par rapport à ceux des États membres, en ce qui concerne les actes mettant en œuvre le droit de l’Union. En outre, l’État de droit est étroitement associé au principe de la confiance mutuelle, érigée par la CJUE en principe constitutionnel de l’UE. La CJUE considère que la confiance mutuelle entre les États membres présuppose l’existence d’un espace constitutionnel unifié et régi par les mêmes valeurs. …”.
[95] Il giudice Koskelo si è dichiarato preoccupato in merito all’approccio bifasico della CGUE, ibidem, p. 48-49: “This is a very tall order for the national judges. One may wonder whether and how they will be in a position to make those double determinations, which concern complex situations outside their own jurisdictions. … Although independence is at the core, and although systemic problems exist, mutual recognition should be denied only where the individual risks suffering specific harm from a lack of this core requirement. This appears to pose quite a problematic contradiction. … Now, … we have landed in a situation where, as the foundations on which mutual recognition is based is failing, the national courts are required to engage with and to verify matters they were not supposed to have to worry about or to deal with”.
[96] La pronuncia di inammissibilità resa nel caso Stapleton c. Irlanda (n. 56588/07), 4 maggio 2010; la decisione adottata nel caso Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito (n. 8139/09), 17 gennaio 2012, ed in particolare la sentenza del caso Pirozzi c. Belgio (n. 21055/11), 17 aprile 2018, costituiscono importanti esempi della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sull’applicazione extraterritoriale dell’articolo 6 della Convenzione in materia penale. Nel primo dei casi citati (Stapleton), un magistrato facente parte del tribunale inglese aveva emesso un Mandato d’Arresto Europeo, fondato su diverse accuse di frode, per l’arresto del ricorrente il quale viveva in Irlanda. Quest’ultimo, davanti ai tribunali irlandesi, sosteneva che se fosse stato consegnato dall’Irlanda al Regno Unito, avrebbe corso il rischio di essere sottoposto ad un processo iniquo in quanto, dato che si era celebrato in contumacia, il processo aveva subito un eccessivo ritardo. La Corte Suprema Irlandese, disattendendo le istanze del ricorrente, emetteva un ordinanza che disponeva di procedersi con la consegna alle autorità britanniche. Sul punto, la Corte di Strasburgo ha rilevato, inter alia, che “right to a fair trial in criminal proceedings, as embodied in Article 6, holds a prominent place in a democratic society so that the Court does not exclude that an issue might, exceptionally, be raised under Article 6 by an extradition decision in circumstances where the fugitive has suffered or risks suffering a flagrant denial of a fair trial in the requesting country”, si veda par. 25. In ogni caso, nel respingere le istanze del ricorrente in quanto manifestatamente infondate e richiamando la sua giurisprudenza, la Corte ha osservato che “delay in prosecuting a crime does not, necessarily and in and of itself, render criminal proceedings unfair under Article 6”, par.26. Nel secondo dei casi citati (Othman), il ricorrente si era appellato, inter alia, all’articolo 6 della Convenzione, in quanto se fosse stato processato in Giordania per uno dei reati per i quali era stato condannato in contumacia sarebbe stato soggetto ad un reale rischio di “manifesto diniego di giustizia”. La Corte ha accolto il ricorso e ha constato che l’espulsione del ricorrente in Giordania avrebbe configurato una violazione dell’articolo 6 della Convenzione, in quanto nel nuovo processo a carico del ricorrente esisteva il reale rischio di ammissione di prove ottenute tramite la tortura di terzi, si vedano in particolare par.258-287. Nel terzo ed ultimo dei casi richiamati (Pirozzi), il ricorrente lamentava che la sua consegna da parte delle autorità belghe alle autorità italiane, esecutiva di un mandato d’arresto europeo, era avvenuta in violazione dell’articolo 6 par.1 della Convenzione, in quanto il mandato era stato emesso a seguito di condanna pronunciata in contumacia da un tribunale italiano. I procedimenti in Italia erano quindi contrari alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo del caso Sejdovic c. Italia [GC] (n. 56581/00, CEDH 2006-II). La Corte, in primo luogo, ha ricordato che, all’interno di questo contesto extraterritoriale, si verificherebbe una violazione dell’articolo 6, par. 1 della Convenzione solo in via eccezionale, ossia ove un sospettato abbia subito o rischiasse di subire ove consegnato allo Stato ricevente, un “grave diniego di giustizia” (si veda par.57). La Corte ha poi confermato la conclusione a cui era giunta nel caso Avotiņš c. Lettonia [GC] ((n. 17502/07), 23 maggio 2016, par. 116), ossia che, in uno “spirito di complementarietà”, si sarebbe comuque tenuto conto del “manner in which the EU mechanisms of mutual recognition operate and in particular the aim of effectiveness which they pursue”. In ogni caso, ove venga presentata davanti ai tribunali di uno Stato una “denuncia grave e motivata” in cui si afferma che la tutela di un diritto sancito dalla Convenzione è stata “manifestatamente carente” e che il diritto dell’Unione Europea non può porvi rimedio, i tribunali aditi non possono astranersi dall’esaminare tale denuncia per il solo motivo che in questo modo stanno dando applicazione al diritto comunitario. Pertanto, procedendo all’applicazione della “verifica di carenza manifesta”, nell’ambito della soglia molto elevata fissata dalla Convenzione, la quale esige la dimostrazione che il procedimento in Italia costituiva un “grave diniego di giustizia”, la Corte di Strasburgo ha concluso escludendo che vi fosse stata una violazione dell’articolo 6, par.1.
[97] Si veda, Avotiņš c. Lettonia [GC], ibidem, par. 116; Romeo Castaño c. Belgio (n. 8351/17), 9 Luglio 2019, par. 84, ed in particolare, Pirozzi c. Belgio (n. 21055/11), ibidem, par. 62-64.
[98] Stapleton c. Irlanda (n. 8139/09), ibidem.
[99] Pirozzi c. Belgio (n. 21055/11), ibidem.
[100] Va tuttavia sottolineato, come già spiegato dal giudice Koskelo, che “[even] societies where the rule of law is seemingly well established are not free from [risks that it be neglected or eroded]. Respect for the rule of law is not only a matter of the requisite constitutional guarantees being formally in place. It is ultimately also a matter of constitutional culture. A genuine and resilient respect for the rule of law must be solidly rooted not only in the formal legal structures or the rhetoric customs of society, but in the actual practice of governance. The most testing moments are not those of harmony but situations where tensions arise”, ibidem, p. 28.
[101] Per una analisi di rilievo sulle sfide dell’epoca contemporanea per il sistema della Convenzione, si veda Jan Petrov, ‘The Populist Challenge to the European Court of Human Rights’, International Journal of Constitutional Law, Vol. 18, Numero 2 (2020), 476-508.
[U1]However, if confronted with an application lodged under the Convention directed at the operation of the EAW system under Article 6 of the Convention, within the context of judicial independence, the Strasbourg Court will have to determine to what extent it can take due account of the nature and purposes of the EU system of mutual recognition, as it has done in its existing case-law applying the manifest deficiency test.