Diritto dell’Unione europea e doppia pregiudizialità nel dialogo tra le corti (seconda parte)
di Franco De Stefano*
Sommario: 1. La questione della c.d. doppia pregiudizialità sui diritti fondamentali fino al 2017. - 2. Le nuove prospettive aperte dalla Corte costituzionale alla fine del 2017. - 3. Gli scenari aperti agli inizi del 2018: la Corte di cassazione dinanzi agli immediati richiami di Lussemburgo. - 4. Gli sviluppi del 2019 della giurisprudenza della Corte costituzionale. - 5. Tra le due teorie contrapposte.
1. La c.d. doppia pregiudizialità: la questione sui diritti fondamentali fino al 2017
La questione dell’obbligo del giudice nazionale di disapplicazione in caso di impossibilità di interpretazione conforme in tema di diritti fondamentali è divenuta di particolare importanza, visto che questi, come codificati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in conformità alle «tradizioni costituzionali comuni», in larga parte finiscono con il coincidere con quelli garantiti anche – ma, forse più correttamente, «già» – da molte delle Costituzioni nazionali, tra cui la nostra: ciò che è reso evidente nella vicenda appena esaminata (Taricco e Taricco-bis)[1], ma che può agevolmente prospettarsi per il futuro, soprattutto per l’ampiezza della nozione di quei diritti, anche in campo procedurale, riconosciuta in base all’elaborazione nazionale e sovranazionale (e, quanto a quest’ultima, soprattutto della Carta europea dei diritti dell’Uomo).
Ora, fino almeno alla fine del 2017, la simultanea presenza di una questione di pregiudizialità costituzionale e di una pregiudizialità eurounitaria, per i sospetti di contrasto della norma nazionale con la Costituzione italiana e con il diritto dell’Unione, avrebbe comportato la necessità della previa verifica di compatibilità della norma nazionale con quest’ultimo – se del caso, dopo il rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo per aver conferma dell’esatto ambito di applicazione – e[2]:
- in caso di esito negativo della verifica, alla non applicazione della norma nazionale stessa;
- in caso positivo della verifica, della sottoposizione della sola residua questione di legittimità costituzionale alla Consulta.
2. Le nuove prospettive aperte dalla Corte costituzionale alla fine del 2017.
La recente e significativa innovazione di Corte cost. n. 269 del 2017 sta in ciò che, sia pure in una sentenza di inammissibilità e di rigetto delle questioni di costituzionalità ad essa sottoposte, «laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, [deve] essere sollevata la questione di legittimità costituzionale, fatto salvo il ricorso al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione, ai sensi dell’art. 267 del TFUE».
Il delicato rapporto tra questione di costituzionalità e questione di compatibilità eurounitaria è quindi sensibilmente modificato[3].
La prima premessa è che già la Corte di giustizia aveva ancora di recente escluso[4] che il diritto dell’Unione, in particolare l’art. 267 TFUE, ostasse ad una normativa nazionale che imponesse ai giudici ordinari di sollevare incidente di costituzionalità, qualora ritenessero una legge nazionale contraria a disposizioni della CDFUE, purché detti giudici restassero liberi:
- di sottoporre alla Corte di giustizia, «in qualunque fase del procedimento ritengano appropriata e finanche al termine del procedimento incidentale di controllo generale delle leggi, qualsiasi questione pregiudiziale a loro giudizio necessaria»;
- di «adottare qualsiasi misura necessaria per garantire la tutela giurisdizionale provvisoria dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione»;
- di disapplicare quindi, al termine del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, la disposizione legislativa nazionale in questione che avesse superato il vaglio di costituzionalità, ove, per altri profili, ritenuta contraria al diritto dell’Unione.
L’affermazione è stata, con singolare tempism, ribadita sottolineandosi che l’art. 267, paragrafo 3, TFUE deve essere interpretato nel senso che il giudice nazionale le cui decisioni non sono impugnabili con un ricorso giurisdizionale è tenuto, in linea di principio, a procedere al rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto dell’Unione anche nel caso in cui, nell’ambito del medesimo procedimento nazionale, la Corte costituzionale dello Stato membro di cui trattasi abbia valutato la costituzionalità delle norme nazionali alla luce delle norme di riferimento aventi un contenuto analogo a quello delle norme del diritto dell’Unione[5].
La seconda premessa è la maggiore valenza, anche nel sistema multilivello[6] di tutela dei diritti (fondamentali?) della persona, di una dichiarazione di illegittimità costituzionale, siccome erga omnes e comunque il carattere fondamentale del sindacato accentrato di costituzionalità delle leggi nell’architettura costituzionale.
Ne consegue che, investita – evidentemente in via prioritaria e quindi per prima – della questione che presenti aspetti di doppia pregiudizialità, la Consulta «giudicherà alla luce dei parametri interni ed eventualmente di quelli europei (ex artt. 11 e 117 Cost.), secondo l’ordine di volta in volta appropriato, anche al fine di assicurare che i diritti garantiti dalla citata Carta dei diritti siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali, pure richiamate dall’art. 6 del Trattato sull’Unione europea e dall’art. 52, comma 4, della CDFUE come fonti rilevanti in tale ambito». E richiama l’analoga conclusione di altre Corti costituzionali nazionali di antica tradizione, come quella austriaca, con sentenza 14 marzo 2012 (U 466/11-18; U 1836/11-13).
3. Gli scenari aperti agli inizi del 2018. La Corte di Cassazione dinanzi agli immediati richiami di Lussemburgo
Anche questa pronuncia della Corte costituzionale ha suscitato vivissimi dibattiti e la Corte di cassazione italiana ha, almeno in alcune delle prime pronunce applicative, aderito al nuovo principio[7], proponendo in via prioritaria la questione di legittimità costituzionale di una norma sospettata di contrasto anche con il diritto dell’Unione e rimettendo alla Consulta la valutazione dell’opportunità di investire la Corte di giustizia del relativo rinvio pregiudiziale e sollecitandola a chiarire alcuni aspetti non del tutto chiari della precedente sentenza n. 269 del 2017 in ordine agli sviluppi del giudizio, soprattutto per la sopravvivenza anche ad una valutazione di costituzionalità (nazionale) della norma del potere del giudice nazionale di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo[8].
Con una singolare concomitanza, questa ha del resto negli stessi giorni[9] ribadito che «l’efficacia del diritto dell’Unione rischierebbe di essere compromessa e l’effetto utile dell’articolo 267 TFUE risulterebbe sminuito se, a motivo dell’esistenza di un procedimento di controllo di costituzionalità, al giudice nazionale fosse impedito di sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte e di dare immediatamente [enfasi aggiunta] al diritto dell’Unione un’applicazione conforme alla decisione o alla giurisprudenza della Corte» (§ 23); sicché «l’articolo 267, paragrafo 3, TFUE deve essere interpretato nel senso che il giudice nazionale le cui decisioni non sono impugnabili con un ricorso giurisdizionale è tenuto, in linea di principio, a procedere al rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto dell’Unione anche nel caso in cui, nell’ambito del medesimo procedimento nazionale, la Corte costituzionale dello Stato membro di cui trattasi abbia valutato la costituzionalità delle norme nazionali alla luce delle norme di riferimento aventi un contenuto analogo a quello delle norme del diritto dell’Unione».
Fino ad ora la Corte di cassazione ha tenuto un atteggiamento non univoco, muovendosi tra il formale ossequio al carattere prioritario delineato da Corte cost. n. 269/17 e la disapplicazione dei principi da questa desunti, con riaffermazione della diretta immediata applicabilità del diritto eurounitario, oppure della diretta immediata formulabilità del rinvio pregiudiziale a Lussemburgo.
Con una prima impostazione[10] si è dato pienamente seguito alle indicazioni fornite nella sentenza n. 269/2017: dinanzi ad un duplice caso di doppia pregiudizialità (concernente due distinte ed autonome disposizioni del decreto legislativo n. 58/1998, il c.d. T.U.F., entrambe sospettate di ledere diverse disposizioni della CDFUE e della Costituzione italiana), è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale[11].
Pochi mesi dopo la stessa Cassazione, con due pronunce pubblicate a pochi giorni di distanza l’una dall’altra[12], ha tracciato una strada alternativa a quella percorsa dalla Seconda Sezione della Suprema Corte, perché ha ritenuto immediatamente disapplicabile, senza necessità di sollevare l’incidente di costituzionalità, una normativa interna contrastante con il divieto di discriminazione tra uomo e donna; e tanto eludendo il tema posto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 269/17, sostanzialmente affermando che la relativa pronuncia - oltre che di per sé stessa non vincolante, in quanto espressa con obiter dictum - non era comunque rilevante nella fattispecie sottoposta al suo esame.
In altra occasione, anzi, è stato manifestato un aperto dissenso con Corte cost. n. 269/17: dubitandosi della compatibilità di una norma interna con il divieto di discriminazione per età contenuto nella direttiva 2000/78 e nell’articolo 21 CDFUE, è stato direttamente proposto il rinvio pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea, dando espressamente atto di non ritenere necessario seguire le indicazioni rivolte dalla Corte costituzionale al giudice ordinario nella sentenza n. 269/2017.
Non sono mancate diverse linee interpretative, ora tali da ricondurre la pregiudiziale eurounitaria ad una questione di legittimità costituzionale[13], ora invece, benché in ragione della peculiarità della fattispecie, tali da elidere in radice la stessa configurabilità della doppia pregiudizialità[14].
4. Gli sviluppi del 2019 della giurisprudenza della Corte costituzionale.
Anche all’esito delle sollecitazioni della Corte di cassazione, la Consulta è tornata sull’argomento a più riprese nel corso del 2019[15].
Già era stato notato[16] come la 269/17 avesse diversificato l’ambito del giudizio di legittimità a seconda che il parametro interposto nella denuncia di violazione dell’art. 117, comma 1, fosse rappresentato da una norma della CDFUE o da altra norma dell’ordinamento eurounitario: nel primo caso poteva porsi un problema di bilanciamento, «cui provvede il giudice costituzionale»; nel secondo, andava apprezzata l’esistenza di un contrasto tra norma interna e norma dell’Unione e verificata la possibilità di diretta applicazione da parte del giudice comune ovvero il suo interpello interpretativo alla Corte di giustizia, previo se del caso esito negativo del controllo di costituzionalità interno.
Già con la successiva sentenza n. 20/2019[17], la Consulta ha precisato che il giudice comune può sollevare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia anche per gli stessi profili su cui si sia già pronunciata la Corte costituzionale e non solo su altri profili, come sembrava presupporre la 269/17.
Restava ancora, tuttavia, una seria perplessità su cosa potesse succedere dopo il rinvio pregiudiziale e l’eventuale dichiarazione di collisione tra norma nazionale e parametro della Carta UE: ci si era domandati se ciò fosse sufficiente per disapplicare la norma interna o avesse imposto di rivolgersi comunque alla Corte costituzionale, così ridimensionando il ruolo della Corte di giustizia; senza tacere il sospetto[18] che fosse stato in ogni caso riaffermato il riaccentramento del sindacato di costituzionalità, perché la Corte costituzionale si era comunque pronunciata nel merito, pur in presenza di violazione di norme eurounitarie di carattere autoapplicativo.
Con la sentenza n. 63 del 2019 la Consulta si è mossa nel senso di una revisione-integrazione della problematica dei rapporti[19]; e, con l’occasione, ha affermato che non le è precluso «l’esame nel merito delle questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento sia a parametri interni, anche mediati dalla normativa interposta convenzionale, sia – per il tramite degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. – alle norme corrispondenti della Carta che tutelano, nella sostanza, i medesimi diritti; e ciò fermo restando il potere del giudice comune di procedere egli stesso al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, anche dopo il giudizio incidentale di legittimità costituzionale, e - ricorrendone i presupposti - di non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta»[20].
Si è osservato che in tal modo[21] risultano in parte neutralizzate le conseguenze più temute della sentenza n. 269, perché la facoltà di rivolgersi direttamente alla Corte di giustizia potrebbe portare, in caso di risposta volta alla disapplicazione della norma interna, a escludere un ruolo del giudice costituzionale, salvo che si prospetti una lesione dei cd. «controlimiti».
Ma si è pure prospettato[22] il rischio che il giudice comune, comunque rivolgendosi alla Corte costituzionale, entri in un cortocircuito che lo porti a dover applicare la norma eurounitaria e, contemporaneamente, a sollevare la questione di costituzionalità: argomento al quale si è contrapposta la fiducia nella saggezza del giudice costituzionale, che, in un caso del genere, dovrebbe considerare doverosa l’applicazione della pronuncia della CGUE che avesse come fondamento una violazione della CDFUE che esprime medesimi valori.
Infine, con l’ordinanza n. 117/2019 la Corte costituzionale[23] ha scelto di rivolgersi prioritariamente alla CGUE per chiederle un chiarimento sull’esatta interpretazione della norma e sulla sua validità alla luce degli artt. 47 e 48 CDFUE, nonché dell’art. 30 del regolamento (UE) n. 596/14; e lo ha chiesto anche in relazione ai richiami agli ordinamenti nazionali contenuti nella direttiva in materia. La Corte si è chiesta, per l’ipotesi in cui lo Stato possa non sanzionare chi si rifiuti di rispondere, se una eventuale propria declaratoria di incostituzionalità sia in contrasto con il diritto dell’Unione; per l’ipotesi contraria – e cioè di legittimità del mantenimento della sanzione – si interroga sulla compatibilità della sanzione del diritto di non rispondere con gli artt. 47 e 48 della CDFUE, come interpretato alla luce della giurisprudenza della Corte EDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.
In apparenza parrebbe adottata una soluzione di segno opposto a quella presa nella sentenza n. 269/2017 e che lascia, cioè, al giudice europeo l’ultima parola e risolve il quesito formativo che è stato posto sulla Carta di Nizza: a chi spetti la prima parola e l’ultima.
5. Tra le due teorie contrapposte
Il dialogo tra le Corti continua quindi intenso e gli sviluppi del 2019 della giurisprudenza della Consulta non sono ancora del tutto chiari; è seguita un’eccezionale fioritura di commenti e di interventi, divisi tra i sostenitori della primazia del controllo interno e quelli della primazia del controllo eurounitario, in un vero e proprio scontro che pare riecheggiare quello tra euroscettici ed euroentusiasti: scontro la cui eccezionale ricchezza non può adeguatamente, in questa sede, neppure essere presa in considerazione, risultando piuttosto indispensabile rinviare alle cospicue elaborazioni delle due parti, talvolta in aperta contrapposizione.
Basti solo ricordare che utili argomenti a favore dell’una e dell’altra delle conclusioni estreme possono trarsi sia dalla teoria generale del diritto che, più in particolare, dal diritto costituzionale e da quello eurounitario; ciascuna delle due è ispirata alla rivendicazione, comprensibilmente gelosa, delle rispettive prerogative ed alla difesa della propria identità ed autonomia.
Eppure, già nell’immediatezza della 269 del 2017 si era annotato[24] che la sovrapposizione delle tutele non avrebbe dovuto, per evitare un’impropria e nefasta eterogenesi dei fini, comportarne la limitazione o la compressione; pertanto, neppure un diverso ordine – logico e procedimentale – dei rimedi avrebbe dovuto consentire l’una e l’altra: in sostanza, tutte le Corti, per quanto condivisibilmente a difesa delle rispettive prerogative, dovrebbero concorrere all’effettività della tutela dei diritti fondamentali ed evitare che, per impropri conflitti tra esse, questa ne risulti sminuita o limitata.
Ove non fosse stato possibile fare ricorso a categorie generali dell’interpretazione, come la mera apparenza del conflitto tra norme o perfino il principio di specialità (visto che i diritti fondamentali hanno, in ultima analisi, un significato equivalente nella loro accezione costituzionale e in quella eurounitaria, attesa l’elaborazione dei relativi concetti e la reciproca interazione riconosciuta ad ogni livello), non era parso possibile, effettivamente e se non a prezzo di un conflitto lacerante e potenzialmente letale con l’ordinamento eurounitario, privare il giudice nazionale della potestà di sottoporre sempre e comunque la questione di conformità della norma interna alla Corte di giustizia, quindi anche prima del vaglio di costituzionalità o nonostante perfino il suo previo positivo superamento.
In termini ancora più generali, la compresenza e così la contemporanea vigenza ed operatività dei due ordinamenti e dei relativi livelli di tutela non si era ritenuta idonea ad escludere o perfino precludere la simultanea proposizione dei procedimenti finalizzati a fare valere la contrarietà dell’unica norma ai due paradigmi di riferimento, essendo davvero arduo ipotizzare una subordinazione, anche solamente cronologica, dell’uno all’altro.
E si era pure ipotizzato che, qualora fosse intervenuta la pronuncia della Corte costituzionalità nel senso della sua illegittimità costituzionale, la questione sarebbe venuta meno appunto erga omnes e neppure avrebbe avuto più senso insistervi dinanzi alla Corte di giustizia[25]; ove la Consulta non avesse espunto la norma dal nostro ordinamento, sarebbe rimasta invece pienamente operativa la giurisdizione di Lussemburgo e gli effetti del suo pronunciamento, che eventualmente avessero avuto esiti divergenti rispetto a quelli della Consulta, avrebbero vincolato di certo il giudice a quo, ma pure - con l’efficacia propria dell’interpretazione del diritto eurounitario da parte della Corte di giustizia - gli altri giudici nazionali.
Se, viceversa, fosse intervenuta prima della Consulta la decisione della Corte di giustizia, la prima avrebbe conservato ovviamente i suoi poteri di verifica della conformità alla Costituzione e, in ultima analisi ed a seconda del livello del conflitto che potenzialmente ancora ne residuasse, ai principi fondanti o alle tradizioni costituzionali proprie del nostro ordinamento, onde inferirne conseguenze analoghe a quelle tracciate ad epilogo della vicenda Taricco-bis.
Si tratta, in ultima analisi, della teoria della simultanea proposizione delle due pregiudizialità[26] e quindi dei rimedi: teoria che, a ben vedere, potrebbe costituire la via di uscita dal circolo vizioso, ancor più di quella, suggestiva ma pur sempre ancorata alla possibilità di un’interpretazione conforme favorevole, dell’integrazione delle tutele apprestate dalle fonti a loro volta tra loro integrate, dalla tensione dei diversi orizzonti ordinamentali a convergere affiancandosi senza confliggere né sovrapporsi[27].
In buona sostanza, non si discuterebbe di ordine logico o di priorità dei due ordinamenti, visto che entrambi operano su piani concorrenti, ma niente affatto mutuamente esclusivi, in quanto anzi reciprocamente integrantisi. Proprio la diversità e la contemporanea operatività dei due livelli esclude che la simultanea attivazione dei due controlli, del resto, elida in radice la funzione e neppure l’utilità di quello che fosse, per mere questioni di contingenza, risolto per secondo.
Una volta sperimentata, in applicazione dei criteri ermeneutici propri della tradizione nazionale e di quella comune agli Stati membri, l’impossibilità di un’interpretazione della norma conforme alla disciplina eurounitaria e a quella costituzionale interna di analogo ambito o contenuto, il giudice nazionale comune è infatti contemporaneamente soggetto a due obblighi, entrambi derivanti direttamente dal complessivo assetto ordinamentale in cui è inserito: quello di rivolgersi alla Corte di Lussemburgo per l’esatta definizione del contenuto della norma eurounitaria e quello di rimettere alla Corte costituzionale italiana la risoluzione della questione, non manifestamente infondata (oltre che rilevante), del contrasto della norma con la Costituzione nazionale.
L’ambito e gli effetti dei due controlli sono differenti: se è vero che l’efficacia di quello della Corte di Giustizia è solo indirettamente equiparabile a quella erga omnes, è altrettanto innegabile che l’estensione paneuropea del relativo arresto non potrebbe che giovare all’elaborazione del diritto eurounitario nel suo complesso e quindi a dare indirettamente maggior contenuto anche alla norma interna e perfino a quella costituzionale; simmetricamente, se è vero che il controllo della Corte costituzionale sarebbe ovviamente limitato ai confini nazionali, la sua elaborazione potrebbe ben concorrere a quella delle nozioni sottese agli istituti da applicarsi dalla Corte di Lussemburgo e quindi da estendersi a tutto il territorio dell’Unione.
Il dato formale non sarebbe di ostacolo, per quanto già notato nell’immediatezza di Corte cost. 269/17: a parte la possibilità di una feconda attività di interlocuzione anche reciproca, come ha dimostrato proprio la nostra Corte costituzionale e proprio con l’ordinanza n. 117/19 oppure con la celebre vicenda Taricco-bis, si potrebbe auspicare il ripensamento delle posizioni di self-restraint in caso di cessazione della rilevanza della questione (ad esempio, proprio in dipendenza della risoluzione del dubbio da parte dell’altra delle due Corti, che giunga per prima ad escludere la legittimità dell’interpretazione o della stessa norma) e l’adozione di autentici obiter dicta a valere quali autentici prospective overruling e comunque in grado di apportare significativi apporti agli sviluppi futuri del dibattito in corso.
Neppure l’ipotesi, per la verità di scuola, di un conflitto autentico tra le due interpretazioni, nel senso cioè di una contrarietà ad uno solo dei due ordinamenti non riconosciuta anche dall’altro, impedirebbe una feconda interazione tra le due Corti: ad esempio, esponendo in prevenzione le conseguenze negative nel tentativo di indurre il coprotagonista del dialogo ad un ripensamento e, in ultima analisi e quale extrema ratio o ultima Thule, non dimenticando comunque che, per l’assetto costituzionale attuale, comunque avrebbero applicazione i controlimiti (per il caso in cui il diritto eurounitario imponesse soluzioni inaccettabili per i principi irrinunciabili dell’ordinamento nazionale), attraverso beninteso la valutazione istituzionalmente riservata alla Corte costituzionale.
* Seconda parte della relazione tenuta sul tema “Rapporti tra diritto dell’Unione europea e principi fondamentali dell’ordinamento italiano nel dialogo tra le Corti” nell'ambito dell'incontro di studi organizzato dalla Struttura per la Formazione decentrata della Scuola Superiore della Magistratura in Firenze il 29/01/2020 avente ad oggetto “Il ruolo del giudice nazionale nell’attuazione del diritto dell’Unione europea”.
L’autore è consigliere della Corte suprema di cassazione, assegnato dal 2010 alla terza sezione civile e dal 2016 alle sezioni unite civili – componente, dalla sua istituzione a gennaio 2016, del gruppo dei referenti per i protocolli di intesa tra la Corte suprema di cassazione e la Corte europea dei diritti dell’Uomo e, poi, la Corte di Giustizia dell’Unione europea.
[1] F. De Stefano, Diritto dell’Unione europea e tradizioni costituzionali nel dialogo tra le Corti, in questa Rivista, in corso di pubblicazione.
[2] Corte di Cassazione, ordinanza del 16 febbraio 2018, n. 3831, che al riguardo cita, al suo punto 11.3.6.7, Corte costituzionale, ordinanza del 18 luglio 2013, n. 207, nonché Corte costituzionale, ordinanza del 2 marzo 2017, n. 48, come pure Corte costituzionale, sentenza 12 maggio 2017, n. 111.
[3] L’esordio è significativo: «Una precisazione si impone alla luce delle trasformazioni che hanno riguardato il diritto dell’Unione europea e il sistema dei rapporti con gli ordinamenti nazionali dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007, ratificato ed eseguito dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), che, tra l’altro, ha attribuito effetti giuridici vincolanti alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (da ora: CDFUE), equiparandola ai Trattati (art. 6, paragrafo 1, del Trattato sull’Unione europea)».
[4] Corte di giustizia, sentenza del dì 11 settembre 2014, A c. B e altri, causa C-112/13; Corte di giustizia, Grande Camera, sentenza del 22 giugno 2010, Melki e Abdeli in cause C-188/10 e C-189/10.
[5] Corte di giustizia, sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet, causa C-322/16).
[6] Esplicito il richiamo: «il tutto, peraltro, in un quadro di costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia, nel quale le Corti costituzionali sono chiamate a valorizzare il dialogo con la Corte di giustizia (da ultimo, ordinanza n. 24 del 2017), affinché sia assicurata la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico (art. 53 della CDFUE)». Ed esplicito anche l’ossequio, almeno formale, al primato del diritto eurounitario: «Fermi restando i principi del primato e dell’effetto diretto del diritto dell’Unione europea come sin qui consolidatisi nella giurisprudenza europea e costituzionale, occorre prendere atto che la citata Carta dei diritti costituisce parte del diritto dell’Unione dotata di caratteri peculiari in ragione del suo contenuto di impronta tipicamente costituzionale. I principi e i diritti enunciati nella Carta intersecano in larga misura i principi e i diritti garantiti dalla Costituzione italiana (e dalle altre Costituzioni nazionali degli Stati membri)».
[7] Corte di Cassazione, ordinanza del 16 febbraio 2018, n. 3831, cit..
[8] Questi i passaggi salienti, sul punto, dell’ordinanza interlocutoria.
«Residua, peraltro, una questione, destinata ad acquisire concreta rilevanza nel presente giudizio soltanto nel caso in cui la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale superi il vaglio della Corte costituzionale.
Ci si riferisce alla questione se, alla stregua del principio di effettività della tutela garantita dal diritto dell’Unione europea, il potere del giudice comune di non applicare una norma interna che abbia superato il vaglio di legittimità costituzionale (anche, eventualmente, sotto il profilo della conformità alla CDFUE quale norma interposta rispetto agli articoli 11 e 117 Cost.) sia limitato a profili diversi da quelli esaminati dalla Corte costituzionale o, al contrario, si estenda anche al caso in cui - secondo il giudice comune o secondo la Corte di giustizia dell’Unione europea dal medesimo adita con il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE - la norma interna contrasti con la CDFUE in relazione ai medesimi profili che la Corte costituzionale abbia già esaminato (senza attivare essa stessa il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE).
Dall’inciso «per altri profili», contenuto nell’affermazione con cui nella sentenza n. 269/2017 si riconosce il potere del giudice comune «di disapplicare, al termine del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, la disposizione legislativa nazionale in questione che abbia superato il vaglio di costituzionalità, ove, per altri profili, la ritengano contraria al diritto dell’Unione» (§ 5.2, penultimo capoverso), parrebbe doversi desumere che, nel sistema delineato dalla sentenza n. 269/2017, dopo il giudizio incidentale di legittimità costituzionale il potere del giudice comune di disapplicare la disposizione legislativa nazionale che abbia superato il vaglio di costituzionalità sia limitato alla ipotesi che tale giudice ravvisi - eventualmente all’esito di un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE - un contrasto con il diritto dell’Unione per profili diversi da quelli esaminati dalla Corte costituzionale».
[9] Corte di giustizia, sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet Ltd,, causa C-322/16. Può ravvisarsi una linea di continuità con le pronunzie più recenti, successive alla richiamata A. c. B. e altri del 2014, che hanno enfatizzato l’obbligo del giudice nazionale di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione europea, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione nazionale contraria, senza doverne attendere la previa soppressione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (Corte di giustizia, sentenza del 4 giugno 2015, Kernkraftwerke Lippe-Ems, causa C-5/14, punti 32 e 39; Corte di giustizia, sentenza del 5 aprile 2016, PFE, causa C-689/13, punti 40 e 41).
[10] Corte di cassazione, ordinanza del 16 febbraio 2018, n. 3831, per la quale si rinvia alla lettura datane dall’estensore in: A. Cosentino, La Carta di Nizza nella giurisprudenza delle Corti italiane, relazione al corso di formazione presso la Scuola superiore della magistratura in Scandicci il 22 novembre 2018; A. Cosentino, Doppia pregiudizialità, ordine delle questioni e disordine delle idee, in Questione giustizia on line, dal 6 febbraio 2020. Tra i numerosi commenti, L.S. Rossi, Il «triangolo giurisdizionale» e la difficile applicazione della sentenza 269/17 della Corte costituzionale italiana, in www.federalismi.it, definisce l’ordinanza in esame «atto di sfida, mascherato da atto di obbedienza».
[11] In particolare, la richiamata ordinanza:
- ha evidenziato che, alla stregua della giurisprudenza costituzionale anteriore alla sentenza n. 269/2017, nelle cause rientranti nell’ambito applicativo del diritto dell’Unione europea, la disposizione interna della quale si accertasse (eventualmente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia) il contrasto con una norma auto applicativa di diritto UE, anche di contenuto materialmente costituzionale, avrebbe dovuto essere disapplicata (con conseguente irrilevanza della questione di legittimità costituzionale di tale norma con riferimento a parametri interni);
- ha poi ritenuto che, alla luce della sentenza n. 269 del 2017, la segnalata doppia pregiudizialità andasse risolta privilegiando, in prima battuta, l’incidente di costituzionalità;
- ha comunque prospettato, nel sollevare la questione di costituzionalità, per il caso che le disposizioni sospettate di illegittimità costituzionale avessero superato il vaglio della Corte costituzionale, l’eventualità di attivare essa il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE (ove già non attivato dalla Corte costituzionale nel giudizio incidentale), sottolineando il proprio dovere di «dare al diritto dell’UE un’applicazione conforme alla decisione conseguentemente adottata dalla Corte di Giustizia»;- ha pure, per una tale evenienza, chiesto alla Corte costituzionale di precisare se il potere del giudice comune di disapplicare una norma interna che abbia superato il vaglio di legittimità costituzionale (anche sotto il profilo della conformità alla CDFUE) sia limitato a profili diversi da quelli esaminati dalla Corte costituzionale o, al contrario, si estenda anche al caso in cui (secondo il giudice comune o la Corte di Giustizia UE, dal medesimo adita) la norma interna contrasti con la CDFUE in relazione ai medesimi profili che la Corte costituzionale abbia già esaminato (senza attivare essa stessa il rinvio pregiudiziale).
[12] Corte di Cassazione, sentenza n. 12108 del 17 maggio 2018 e ordinanza n. 13678 del 30 maggio 2018. Ancora, nel gennaio 2019 la stessa sezione lavoro della Corte suprema ha (con l’ordinanza n. 451) parimenti ritenuto di rivolgersi direttamente alla Corte di giustizia in tema di diritto alle ferie, per chiedere se l’art. 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE e l’art. 31 della CDFUE debbano essere interpretati nel senso che ostino a disposizioni o prassi nazionali, in base alle quali vada perso il diritto al pagamento di indennità pecuniaria compensativa delle ferie non godute a causa della cessazione del rapporto di lavoro e dell’impossibilità del lavoratore di goderne prima, determinata da licenziamento illegittimo del datore di lavoro; ed anche in tal caso la Corte si è riferita alla natura di obiter dictum del passaggio critico di Corte cost. n. 269/17 ed ha riaffermato il proprio dovere, evidentemente poziore, di rivolgersi alla Corte europea, ove si sia in tema di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione.
[13] Corte di Cassazione (sezione lavoro), ordinanza del 17 giugno 2019, n. 16163, che ha sollevato incidente di costituzionalità dell’art. 74 dlgs n 151/2001 in relazione agli 3 Cost., 31 Cost. e 117, primo comma, Cost. quest’ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, nella parte in cui richiede ai soli cittadini extracomunitari ai fini dell’erogazione dell’indennità di maternità anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anziché la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno in applicazione dell’art. 41 d.lgs. n. 286 del 1998.
[14] È quest’ultimo il caso deciso con sentenza n. 4223 del 21 febbraio 2018, che, in seguito alla pronuncia della Corte di Giustizia, ha escluso ulteriori spazi per questioni di costituzionalità. Per la detta pronuncia, l’interpretazione del diritto dell’Unione è di competenza esclusiva della Corte di giustizia ex art. 267 T.F.U.E.; tale competenza si estende alla valutazione di legittimità delle eventuali deroghe che alla normativa nazionale è consentito apporre alle regole sovranazionali, in relazione a specifici obiettivi di politica sociale riconducibili ai Trattati.
In particolare, la Corte di cassazione, alla luce dell’art. 267 TFUE e dell’obbligo di collaborazione sancito dall’art. 4 comma terzo TUE in base al quale gli Stati membri adottano ogni misura atta a garantire l’esecuzione degli obblighi derivanti dai Trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione, nonché dello stesso art. 19 TUE, non può che attenersi a quanto accertato dalla Corte di giustizia, non avendo il potere di darne una interpretazione diversa, in quanto il giudizio di rinvio non si configura come una sede nella quale sia possibile contestare od impugnare quanto deciso dalla Corte di giustizia.
È poi esclusa la possibilità di ricorrere nuovamente in via pregiudiziale alla Corte di giustizia, per avere quest’ultima esaminato tutti gli aspetti rilevanti in sede sovranazionale della vicenda e ritenuto la disposizione oggetto di censura «appropriata e necessaria»; ed è altresì disattesa pure la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, alla luce dell’art. 3 Cost., per difetto di ragionevolezza della previsione di estinzione del rapporto: non vi sono ragioni per ritenere che la Carta costituzionale offra una tutela antidiscriminatoria più incisiva di quella derivante dalle fonti sovranazionali, soprattutto alla luce delle più recenti evenienze legislative, volte a rafforzare le politiche e gli strumenti di contrasto alla discriminazione sul lavoro, facendone un momento prioritario di regolazione da parte dell’Unione, oltre che oggetto di supervisione mediante l’Agenzia per i diritti fondamentali e i periodici Report della Commissione e del Parlamento sul rispetto della Carta dei diritti. E si prospetta che, proprio nel settore del contrasto alla discriminazione deve ritenersi verificata una «fusione di orizzonti tra il livello interno, sovranazionale ed anche quello convenzionale (attestato dalle moltissime decisioni della Corte costituzionale che hanno applicato negli ultimi anni l’art. 14 della Cedu), reso più spontaneo ed efficace dal carattere particolarmente intenso delle tutele previste dall’Unione … Pertanto non vi è alcuna evidenza e nemmeno plausibilità a favore della tesi per cui il nostro ordinamento possa offrire una diversa soluzione della questione del carattere discriminatorio (anche sotto il profilo dell’irrazionalità) della disposizione qui in discussione, non solo perché nel settore le politiche dell’Unione sono particolarmente avanzate, ma anche in quanto gli obiettivi sociali menzionati dalla Corte di giustizia sono comuni al nostro ordinamento costituzionale».
In due successive occasioni la Corte di cassazione, con sentenze del 6 dicembre 2018, nn. 31632 e 31633, è stata ritenuta possibile l’immediata e diretta applicazione della norma eurounitaria, senza necessità di sollevare questioni di legittimità costituzionale: le due pronunce sottolineano che le caratteristiche della fattispecie consentono di dare diretta attuazione al disposto dell’articolo 50 CDFUE, come interpretato dalla Corte di giustizia in esito al rinvio pregiudiziale, senza alcuna frizione col principio del controllo accentrato di costituzionalità di cui all’articolo 134 Cost., sul quale si fondano le indicazioni contenute nella sentenza C. cost. n. 269/17.
[15] P. D’Ascola, L’età dei diritti e la tutela giurisdizionale effettiva nel dialogo tra le Corti, in Questione Giustizia, Speciale ottobre 2019, L’eredità di un giudice. Scritti per Carlo Maria Verardi, reperibile (ultimo accesso 03/01/2020) all’URL http://questionegiustizia.it/speciale/pdf/QG-Speciale_2019-2_13.pdf.
[16] E. Scoditti, Giudice costituzionale e giudice comune di fronte alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea dopo la sentenza costituzionale n. 269 del 2017, in Foro it., 2018, fasc. 2, p. 406.
[17] Resa in tema di contrasto tra diritto di accesso ai dati patrimoniali dei dirigenti della pubblica amministrazione e diritto di questi ultimi alla riservatezza.
[18] A. Ruggeri, Rapporti interordinamentali, riconoscimento e tutela dei diritti fondamentali, crisi della gerarchia delle fonti, in Rivista di diritti comparati, n. 2/2019 (www.diritticomparati.it/wp-content/uploads/2019/04/Ruggeri-RDC-2-2019.pdf.).
[19] Il caso riguardava la sanzione amministrativa pecuniaria addebitata da CONSOB per abuso di informazioni privilegiate e l’esclusione di un trattamento più mite previsto dal d.lgs. 2015 rispetto all’art. 187 TUF: di qui il sospetto di incostituzionalità per mancata previsione della retroattività delle nuove disposizioni sanzionatorie.
[20] In particolare, la sentenza n. 63/19, dopo aver affermato il potere della Corte costituzionale di sindacare le questioni di c.d. doppia pregiudizialità sia con riferimento ai parametri interni sia in relazione alle norme della CDFUE che tutelano i medesimi diritti (evocate dal giudice rimettente come norme interposte nella questione riferita all’art. 117 Cost.), aggiunge come rimanga fermo, in ogni caso, «il potere del giudice comune di procedere egli stesso al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, anche dopo il giudizio incidentale di legittimità costituzionale, e – ricorrendone i presupposti – di non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta».
Tali affermazioni possono segnare un superamento dei principi enucleabili dalla sentenza n. 269 del 2017, giacché:
- per un verso, affermano (in continuità con C. cost. n. 20 del 2019) che il giudice comune può sollevare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia anche per gli stessi profili su cui si sia già pronunciata la Corte Costituzionale (e non solo per «altri profili», come pareva suggerire la sentenza n. 269/17);
- per altro verso, riconoscono espressamente al giudice comune, pur dopo che la Corte costituzionale si sia pronunciata (evidentemente giudicando la questione di costituzionalità infondata, giacché, diversamente, la disposizione interna contrastante con la CDFUE sarebbe stata espunta dall’ordinamento), il potere non soltanto di sollevare il rinvio pregiudiziale, ma anche (all’esito, sembra doversi ritenere, di tale rinvio) di disapplicare la disposizione interna dichiarata costituzionalmente legittima dalla Corte costituzionale, ove giudicata dalla Corte di Giustizia in contrasto con la CDFUE, senza necessità di un secondo incidente di costituzionalità;
- per altro verso ancora, dando espressamente atto del potere del giudice comune di procedere al rinvio alla Corte di Giustizia «anche dopo» l’incidente di costituzionalità, sembrano ammettere che il rinvio possa essere sollevato «anche prima» (e, quindi, indipendentemente) da tale incidente; se questa lettura della portata dell’inciso «anche dopo» fosse corretta, risulterebbe del tutto sovvertito il principio espresso nella sentenza n. 269/17 alla cui stregua, nei casi di doppia pregiudizialità, il giudice comune deve investire per prima la Corte costituzionale, onde garantire l’esercizio del controllo accentrato di costituzionalità di cui all’articolo 134 Cost.
[21] V. Sciarabba, intervista a cura di R.G. Conti, La Carta UE in condominio fra Corte costituzionale e giudici comuni. Conflitto armato, coabitazione forzosa o armonico ménage?, in questa Rivista, dal dì 08/05/2019.
[22] A. Ruggeri, intervista a cura di R.G. Conti, Giudice o giudici nell’Italia postmoderna?, in questa Rivista, dal 10/04/2019.
[23] Investita, in modo diretto, dalla Cassazione con l’ordinanza n. 3831/2018, su cui più ampiamente tra breve, la Consulta doveva pronunciarsi sulla legittimità di una norma che sanziona, per opera di Consob, il soggetto che non cooperi nel corso di un’indagine per abuso di informazioni privilegiate relativa alla società quotata di cui era amministratore. Il confronto tra diritto al silenzio (nemo tenetur se detegere) e gli obblighi funzionali ai procedimenti amministrativi volti a irrogare sanzioni punitive era stato inquadrato dalla Corte costituzionale nell’ambito della normativa eurounitaria, che parrebbe prevedere il dovere degli Stati membri di sanzionare il silenzio serbato in sede di audizione dall’autore delle operazioni sospette
[24] Sia consentito un richiamo a F. De Stefano, Il rapporto tra le «Carte» dei diritti fondamentali e le tradizioni costituzionali degli Stati membri nel dialogo tra le «Corti»: il quadro attuale e le prospettive, relazione al corso organizzato dalla Struttura di Formazione decentrata della Scuola superiore della Magistratura per la Corte di cassazione in data 7-9 marzo 2018.
[25] Salvo, come oggi si prospetta, a ipotizzare una fattispecie simile a quella della pronuncia nell’interesse della legge, di cui all’art. 363 cod. proc. civ., sub specie di obiter dictum o di esplicito superamento della dottrina della necessaria pregiudizialità della pronuncia di Lussemburgo in relazione ad una controversia tuttora pendente: ma v. oltre nel testo.
[26] Tale teoria è ricondotta da A. Ruggeri, Caro Roberto, provo a risponderti sulla «doppia pregiudizialità» (così mi distraggo un po’ anch’io …), in Consulta on-line fasc. III-2019, p. 683, nota 15, a: F. Sorrentino, È veramente inammissibile il «doppio rinvio»?, in Giur. cost., 2/2002, 781 ss.; C. Amalfitano, Il dialogo tra giudice comune, Corte di giustizia e Corte costituzionale dopo l’obiter dictum della sentenza n. 269/2017, in Osservatorio sulle fonti, 2/2019, 18; R.G. Conti, Giudice comune e diritti protetti dalla Carta UE: questo matrimonio s’ha da fare o no?, in questa Rivista, 4 marzo 2019, spec. § 4; M. Massa, Dopo la «precisazione». Sviluppi di Corte cost. n. 269/2017, in Osservatorio sulle fonti, 2/2019, 20 ss.; G. Martinico, L’idea di «concorrenza» fra Corti nel diritto costituzionale europeo, paper in versione provvisoria illustrato all’incontro di studi su Sofferenze e insofferenze della giustizia costituzionale, Torino 17-18 ottobre 2019, spec. § 3.
[27] V. Piccone, Diritto sovranazionale e diritto interno: rimedi interpretativi, in Questione Giustizia on line dal 27/12/2019, § 9. In particolare, dopo un’ampia disamina della situazione indotta dalla qui richiamata Poplawsky, ci si riferisce ad un «rapporto osmotico fra interpretazione e disapplicazione quale extrema ratio», come è stato ravvisato nella sentenza della Corte di Cassazione in sede di rinvio nella nota vicenda Abercrombie e Fitch (Corte di Cassazione, sentenza del 21 febbraio 2018, n. 4223).