A proposito di tutela delle “altre” situazioni di vulnerabilità da tutelare: un raffronto tra Corti costituzionali
di Beatrice Magro
Sommario: 1. Premessa - 2. L’irrilevanza dei motivi nell’art. 579 c.p. - 3. La tutela dei soggetti vulnerabili nell’art. 579 c.p. - 4. La sentenza della Corte costituzionale tedesca: l’autodeterminazione è il valore primario - 5. La decisione del Tribunale costituzionale tedesco: la tutela dei soggetti vulnerabili e la prognosi di pericolo di abuso - 6. La decisione del tribunale costituzionale austriaco - 7. Per chiudere: prove tecniche di regolamentazione a garanzia dell‘autodeterminazione nei progetti di legge tedeschi presentati da SPD e dai Verdi.
1. Premessa
La Corte costituzionale, con ordinanza n. 50 del 2022, ha dichiarato l’inammissibilità del quesito referendario che prospettava l’abrogazione parziale dell’art. 579 c.p.. La proposta, in sostanza, prendendo atto della sostanziale e cronica disapplicazione della norma, intendeva circoscrivere l’area della punibilità dell’omicidio del consenziente (parificato sotto il profilo sanzionatorio a quello comune) alle “sole” condotte di omicidio di vittima consenziente ma vulnerabile (perché di minore età, o il cui consenso è viziato a causa di infermità o per l’abuso di alcool o stupefacenti; oppure è estorto con violenza, minaccia o suggestione o carpito con inganno, così come indicato nel comma terzo; a contrario, intendeva lasciare nella sfera della atipicità (quindi della liceità penale) le condotte poste in essere su soggetto il cui consenso è espressione del suo pieno e libero arbitrio, in esplicazione della scriminante dell’art. 50 c.p., e quindi quale fattispecie concreta, sottratta all’applicazione sia dell’art. 575 c.p. sia dell’art. 579 c.p..
A questa iniziativa la Corte costituzionale ha risposto ritenendo che l’abrogazione dell’art. 579 del codice “avrebbe reso penalmente lecita l’uccisione di una persona con il consenso della stessa al di fuori dei tre casi di “consenso invalido” previsti dal terzo comma dello stesso articolo 579”. Si legge in motivazione: “Non gioverebbe opporre – come fanno i promotori e alcuni degli intervenienti – che l’abrogazione dell’art. 579 cod. pen. richiesta dal quesito referendario, non essendo totale, ma solo parziale, garantirebbe i soggetti vulnerabili, in quanto resterebbero ancora puniti gli omicidi perpetrati in danno dei soggetti indicati dall’attuale terzo comma…..Le ipotesi alle quali rimarrebbe circoscritta la punibilità attengono, infatti, a casi in cui il consenso è viziato in modo conclamato per le modalità con le quali è ottenuto, oppure intrinsecamente invalido per la menomata capacità di chi lo presta. Le situazioni di vulnerabilità e debolezza alle quali hanno fatto riferimento le richiamate pronunce di questa Corte non si esauriscono, in ogni caso, nella sola minore età, infermità di mente e deficienza psichica, potendo connettersi a fattori di varia natura (non solo di salute fisica, ma anche affettivi, familiari, sociali o economici); senza considerare che l’esigenza di tutela della vita umana contro la collaborazione da parte di terzi a scelte autodistruttive del titolare del diritto, che possono risultare, comunque sia, non adeguatamente ponderate, va oltre la stessa categoria dei soggetti vulnerabili. In tutte queste ipotesi, l’approvazione della proposta referendaria – che, come rilevato, renderebbe indiscriminatamente lecito l’omicidio di chi vi abbia validamente consentito senza incorrere nei vizi indicati, a prescindere dai motivi per i quali il consenso è prestato, dalle forme in cui è espresso, dalla qualità dell’autore del fatto e dai modi in cui la morte è provocata – comporterebbe il venir meno di ogni tutela”.
In estrema sintesi, la validità costituzionale della norma nella sua interezza e la sua tenuta in termini di efficacia sarebbero da ravvisarsi per il fatto di comprendere altre forme di vulnerabilità, diverse ed ulteriori rispetto quelle elencate nel comma 3, ovvero di tipo economico, affettivo e familiare; inoltre la norma, nella sua globalità, consentirebbe un sindacato sui motivi che spingono la vittima a prestare il suo consenso. Tali situazioni di particolare ed ulteriore vulnerabilità sarebbero quindi, secondo l’interpretazione della Corte costituzionale, tutelate dalla norma nella sua interezza, con la previsione di una sanzione più affievolita rispetto quella prevista per l’omicidio comune.
Dunque, torna incessante, a supporto della perdurante legittimità della scelta di criminalizzazione contenuta nell’art. 579 c.p., l’argomento della suicidal vulnerability, presente anche nella decisione della Corte n. 242 del 2019 in tema di suicidio assistito, ossia della necessità di porre un argine ferreo a tutela dei soggetti esposti a condotte di manipolazione e di plagio che potrebbero essere convinti e compiere scelte di cui la stessa vittima, con il senno del poi, potrebbe pentirsi. È infatti empiricamente fondato il dato che il desiderio di morte non sia, in molti casi, espressione di un’autodeterminazione libera e ben ponderata. L’abrogazione anche parziale della norma provocherebbe prevedibilmente un sensibile aumento del rischio di maggiori condizionamenti culturali, di pressioni e di interferenze psicologiche, a scapito dei soggetti più deboli e più vulnerabili, costretti a confrontarsi con la prospettiva della morte anche contro le loro reali intenzioni o condizionati da motivazioni altruistiche: la volontà di non rappresentare un peso per la famiglia o per la società potrebbe rappresentare un ulteriore fattore di condizionamento culturale e di pressione per coloro che sono già in condizioni di dipendenza. Abusi, vulnerabilità e motivi sono quindi i concetti chiave che hanno guidato il ragionamento seguito dai giudici costituzionali a sostegno della necessità della norma nella sua interezza.
Ma siamo così sicuri che l’art. 579 v.p. consenta o dia spazio ad un sindacato sui motivi dell’azione? È possibile distinguere tra situazioni di vulnerabilità, alcune delle quali richiederebbero persino un aggravamento della pena prevista per la fattispecie base, da quelle condizioni di malattia irreversibile e sofferenza, ove l’applicazione della norma sarebbe contraria ai principi enunciati dalla medesima Corte costituzionale in tema di aiuto al suicidio?
Ritengo che la norma attualmente vigente, così come è formulata e che si vuole conservare, pecca per eccesso da un lato, lì dove, nel comma 3, appiattisce il consenso di coloro che sono esposti a forme di vulnerabilità specifiche e “tipizzate” (anche quelli affetti da patologie irreversibili e che lamentano sofferenze fisiche o psicologiche insopportabili), la cui tutela è affidata alla norma generale sull’omicidio, mentre, rispetto all’istanza di tutela di situazioni di vulnerabilità atipiche, diverse ed ulteriori da quelle tipizzate, pecca per difetto, non consentendo alcun sindacato sui motivi che potrebbero indurre la vittima a prestare il consenso o che hanno animato il reo a farsi interprete della sua volontà, in quanto incapace di penetrare nelle motivazioni degli attori del fatto.
2. L’irrilevanza dei motivi nell’art. 579 c.p.
Come si diceva, le ragioni dichiarate dalla Corte costituzionale sono quelle di volere garantire i soggetti fragili e vulnerabili da ogni possibile forma di interferenza nel processo motivazionale, riconducibile “a fattori di varia natura (non solo di salute fisica, ma anche affettivi, familiari, sociali o economici”) e che verrebbe preservata proprio dal comma primo dell’art. 579 c.p.
Tuttavia una analisi attenta della norma di cui all’art. 579 c.p. non fornisce grandi elementi a supporto dell’argomento, non consentendo affatto una valutazione dei motivi che hanno indotto a vittima a prestare il consenso.
Ed infatti, a dispetto di quanto si legge nella relazione ministeriale sul progetto del codice penale, il novum legislativo proprio dell’art. 579 c.p. non riflette l’esigenza di mitigare il rigore sanzionatorio dell’omicidio pietatis causa – quindi di dare rilevanza ai motivi che hanno spinto il reo a cagionare la morte di un uomo con il suo consenso - ma, viceversa, quella di correggere la troppo indulgente prassi liberale che si era diffusa nella vigenza del precedente codice, incline a punire la fattispecie concreta come aiuto al suicidio, piuttosto che come omicidio semplice. Tra le due norme - istigazione o aiuto al suicidio e omicidio semplice- si è quindi inserita la fattispecie speciale in commento, che presenta una cornice edittale inferiore rispetto a quella prevista per l’omicidio comune, ma che viene strutturata in modo talmente residuale, a causa dei richiami alla norma generale, da ridurne sensibilmente, in via di fatto, l’applicazione.
Il chiaro intento del legislatore emerge proprio da un’attenta analisi degli elementi costituitivi. Infatti, a ben vedere, l’omicidio con il consenso della vittima tratteggiato nel primo comma dell’art. 579 c.p. è totalmente avulso da qualunque contesto sociale e relazionale che ne denoti una minore gravità e pericolosità, dai motivi e dalle condizioni che inducono la vittima a prestare il consenso, dai motivi che animano l’agire dell’autore ad assecondare tale volere e che attenuano il disvalore del suo agire. In omaggio ad una concezione tanto formale quanto vuota della libertà negoziale, ciò che la norma punisce in modo più attenuato è – semplicemente - l’omicidio realizzato con il consenso di una persona libera, capace, perfettamente sana nella mente e nel corpo che, per qualunque motivo e in qualsiasi contesto di vita, accetti lucidamente di morire per mano altrui, prestando il suo consenso.
Questa valorizzazione dell’autodeterminazione della vittima, tale da affievolire il disvalore di un fatto di omicidio, non è affatto sintomatica di una minore colpevolezza o di una minore pericolosità del reo: nulla si specifica quanto alle condizioni della vittima né a quelle del reo; nulla trapela in ordine al contesto di vita - e psicologico - in cui matura questo insolito “accordo” tra autore e vittima, lasciando ipotizzare una fattispecie concreta in cui la pericolosità e colpevolezza del reo sia persino maggiore di quella che connota l’omicidio comune e semplice, non aggravato da circostanze.
Questa conclusione è tratta dalla lettura del comma secondo. Non possiamo trarre elementi che consentano di contestualizzare e ricostruire la drammaticità della vicenda umana sottesa - sintomatica di una minore colpevolezza e capacità a delinquere del reo - neppure dalla lettura del comma secondo, che pone il divieto di applicazione delle circostanze aggravanti di cui all’art. 61 c.p., dettato unicamente dalla ragione tecnica di consentire una effettiva diminuzione della pena che non sia compensata dal bilanciamento con eventuali circostanze aggravanti. Ne segue che l’omicidio del consenziente, quale figura speciale e attenuata rispetto quella comune, così come scolpito nel primo comma dall’art. 579, ben può comprendere tanto quello animato da motivi altruistici e/o pietistici (c.d. omicidio pietatis causa messo in atto col dichiarato fine di sottrarre la vittima ad ulteriori patimenti cagionati dallo stato patologico dal quale è affetta, e dunque con l’intima ambizione di strapparla ad una gratuita ed ineluttabile sofferenza), tanto quello che si svolge in un teatro ben diverso, innescato da un’iniziativa dell’autore, mosso da motivi egoistici, di lucro, di gioco, di sfida, di onore, abbietti o futili, sintomatico di una maggiore pericolosità, anche quando sia supportato da un assai teorico consenso libero e consapevole della vittima.
Ciò a maggior riprova, nell’ambito della struttura della fattispecie attenuata, della totale irrilevanza della condizione di sofferenza in cui si trova la vittima e, in generale, di particolari contesti di vita da cui scaturisce il fine altruistico, ben potendo, viceversa, la stessa norma essere applicata in casi di un malevolo e egoistico interesse del proponente a cagionare la morte della vittima con il suo consenso, stante la neutralizzazione delle aggravanti operata dal comma 2.
Ne risulta del tutto sconfermato l’assunto della corte costituzionale, ossia che la norma consente di accedere ai contesti di vita, familiare, economico sociale, in cui si matura l’accordo tra vittima e autore. La condotta del reo sembra comprendere un quid pluris rispetto una mera obbediente esecuzione materiale della volontà della vittima, e tratteggiare un’attività di proposta, di progettazione, di blando convincimento e suggerimento, se non ancora di violenza, minaccia, induzione in errore, istigazione, determinazione e persino di suggestione– ma ciò segna i labili confini di applicabilità della norma a favore della fattispecie generale di omicidio – a conferma dell’ipotesi ricostruttiva secondo cui la condotta del reo ben può essere animata da un interesse egoistico a cagionare la morte della vittima, e non solo da motivi altruistici o pietistici, persino espressivo un maggiore disvalore, e ciononostante sottratto all’applicazione delle circostanze aggravanti.
Inoltre, come vedremo nel paragrafo successivo, come se ciò non bastasse, qualunque forma di interferenza, di dialogo, ma anche di suggestione che incida delle “altre” condizioni di vulnerabilità della vittima, segna i labili confini di applicabilità della fattispecie attenuata con quella generale, neutralizzandone di fatto l’applicazione.
3. La tutela dei soggetti vulnerabili nell’art. 579 c.p.
Occupiamoci più dettagliatamente del comma 3 che, nel trattare le situazioni di vulnerabilità tipiche, rinvia alle disposizioni relative all’omicidio.
Invero, il maggiore disvalore dell’azione connotata da violenza, minaccia, induzione in errore e suggestione, a fronte di una compromessa autodeterminazione della vittima, costituisce il discrimen tra omicidio comune e fattispecie speciale, operando come causa di esclusione della tipicità della norma speciale che, solo allora, lascia riemergere tutte le potenzialità punitive delle circostanze aggravanti previste dall’art. 61 c.p. Sono quindi ripristinate le disposizioni dell’omicidio ogni qual volta che la manifestazione di volontà del consenziente sia viziata in conseguenza di presunzione legale o di accertamento in fatto, ovvero qualora la vittima sia minore di anni 18 o sia “inferma di mente o in condizioni di deficienza psichica determinata da un’altra infermità o dall’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti”.
Inoltre, terza ipotesi di rinvio alla norma generale che punisce l’omicidio è quella in cui il consenso è l’effetto voluto dell’attività di coazione, convincimento, induzione, persuasione, promozione dell’autore, inclusa l’istigazione e la determinazione. Tra queste, si porta all’attenzione del lettore la condotta di “suggestione”, la cui genericità e vaghezza – ai limiti della costituzionalità - apre il varco ad ogni attività di interazione, qualunque forma di vulnerabilità, e la cui verifica, di fatto diabolica, ridimensiona fortemente l’applicazione del comma 1 dell’art. 579. La “suggestione”, infatti, comprende la condotta di colui che plagia e “fiacca la volontà della vittima al punto da renderla succube” (così la Relazione al codice penale, che parla di c.d. omicidio dell’apparente consenziente), in qualche modo incidendo su contesti relazionali di dipendenza e di disagio. Proprio l’inclusione delle condotte di “suggestione” - ancora più blande di quelle di istigazione o determinazione tipizzate dalla norma che punisce l’istigazione o aiuto al suicidio- sembra rimettere pericolosamente in discussione la coerenza del quadro normativo e ridefinire i rapporti tra norma generale e norma speciale, negando l’applicazione della seconda proprio ogni qual volta vi sia stata un’attività di interazione che si inneschi sulle condizioni “atipiche” di vulnerabilità della vittima, suggestionabile e persuadibile più facilmente, a prescindere da condizioni di incapacità mentale affievolita, per esempio, in ragione di condizioni di dipendenza economica, affettiva, sociale e relazionale.
Ancora una volta, risulta poco coerente l’argomento che fa perno sulla vulnerabilità e rilevanza delle condizioni della vittima, a fondamento della necessità di conservare la disposizione del primo comma.
4. La sentenza della Corte costituzionale tedesca: l’autodeterminazione è il valore primario
Dopo questa breve ricognizione della portata normativa dell’art. 579 c.p., volgiamo lo sguardo oltre l’ambito nazionale e prestiamo attenzione agli argomenti sostenuti dalle Corti costituzionali tedesca ed austriaca e i presupposti giuridico-culturali dai cui le Corti sono partite proprio in tema tutela dei soggetti vulnerabili.
Di particolare interesse è la decisione del Tribunale costituzionale tedesco del il 26 febbraio del 2020, concernente la fattispecie di aiuto negoziale al suicidio, in tema di rapporti tra autodeterminazione e tutela della vita e di soggetti vulnerabili, che ha dichiarato, senza mezzi termini, la totale illegittimità costituzionale del § 217 del StGB.
In sintesi, per il Tribunale tedesco il diritto allo svolgimento della personalità e il diritto inviolabile all’autodeterminazione offrirebbero una inequivocabile base costituzionale al diritto di morire, espressivo della decisione, assunta liberamente, di porre volontariamente fine alla propria vita e, persino, di poter fruire del supporto di terzi, che non è soggetto ad alcun sindacato, limite o condizione. Dal diritto a morire, quale estensione contenutistica dei diritti inviolabili dell’individuo, discende il diritto a stabilire le modalità della propria morte, comprese quelle che fruiscono dell’altrui assistenza. Perciò, vietare ai terzi di offrire un supporto, ponendo così l’individuo a realizzare la decisione in una condizione di inumana o irrealistica solitudine, o ad abbandonare il proposito, equivale, di fatto, a negare il diritto stesso. L’argomento centrale per affermare la incostituzionalità della norma valorizza i contenuti positivi e negativi del diritto al libero sviluppo della personalità desumibile dall’art. 2 co. 1° e 2, GG., come comprensivo, quale libertà negativa di agire, della facoltà di disporre della propria vita, quindi anche il diritto a morire. Nella sua conformazione quale diritto all’autodeterminazione alla morte il diritto generale della personalità comprenderebbe non solo il diritto dell’individuo di porre fine alla propria vita in modo autodeterminato, ma altresì la decisione di ricorrere al sostegno di terzi, che in quanto espressione dell’identità personale, non può essere sottoposto a limiti o condizioni. Si tratta di decisioni altamente personali e intimamente esistenziali, espressione dell’identità personale, connesse con il valore dell’autodeterminazione che impronta l’ordinamento. Qualunque sia il significato che l’individuo attribuisce alla propria vita, qualunque sia il motivo che induce una persona a concluderla, si tratta di rappresentazioni e di convinzioni personalissime che, in linea di principio, devono essere rispettate da parte dello Stato e della società, quale atto di autonoma autodeterminazione. Secondo la Corte costituzionale tedesca il diritto di disporre sulla propria vita non è limitato a particolari situazioni patologiche gravi od insanabili o a determinate fasi della vita e della malattia. Un restringimento dell’ambito della protezione a determinate cause e motivi equivarebbe ad una valutazione dei motivi che hanno indotto la persona a suicidarsi e ad una loro predeterminazione contenutistica, che rimane estranea alla concezione costituzionale della libertà. Al di là del fatto che tale limitazione potrebbe condurre a prassi incerte, esso si pone in contraddizione con l’idea, determinante per il Grundgesetz, della dignità dell’essere umano e del suo libero sviluppo in autodeterminazione e autoresponsabilità. Il radicamento del diritto alla morte autodeterminata nella garanzia della dignità umana di cui all’art. 1 co. 1° GG implica, appunto, che la decisione sulla conclusione della propria vita, assunta sotto la propria responsabilità, non abbia bisogno di alcun ulteriore fondamento o giustificazione.
Invero, il Tribunale costituzionale tedesco recepisce una premessa filosofico politica alla luce della quale leggere i diritti individuali tutelati nella Costituzione del 1949: il valore assoluto della autodeterminazione e della dignità (intesa in senso soggettivo e non statualistico oggettivante) dell’individuo, tanto represso e violato dal precedente assetto politico e costituzionale, perché asservito a logiche stataliste. La dignità non è un attributo ontologico e inderogabile del vivere in ogni circostanza che nessun giudizio soggettivo può mai scalfire, una dotazione coestensiva dell’essere umano che la rende un limite delle libertà, non un suo presupposto, ma la sua ragion d’essere. Questo è il leitmotiv che consente al Tribunale costituzionale di trarre, sic et simpliciter, e senza timore di incorrere in critiche, l’affermazione del diritto a morire e all’autodeterminazione alla morte quale species del generale diritto della persona, malgrado manchi nella Costituzione tedesca una esplicita base costituzionale, così come manca una espressa enunciazione del diritto a morire anche nella nostra carta costituzionale. A parità (o forte somiglianza) di norme costituzionali in tema di libertà e diritti individuali, la Corte italiana, espressione di una cultura giuridica secolare e radicata di avversione al suicidio e di repressione di ogni forma di partecipazione, ha assunto un presupposto filosofico-politico opposto, negando l’esistenza di un diritto a morire.
5. La decisione del Tribunale costituzionale tedesco: la tutela dei soggetti vulnerabili e la prognosi di pericolo di abuso
Inoltre, secondo la Corte tedesca, la libera decisione di concludere la propria vita non può rimanere confinata nella ipotetica e più assordante solitudine né relegata in una irrealistica e ristretta sfera privata. Sebbene si tratti di scelta di carattere personalissimo, essa si pone in interazione con la condotta altrui. Il diritto ad una propria morte è in stretto rapporto contenutistico e connessione funzionale con il diritto a fruire dell’aiuto e assistenza fornita da terzi perché nessuno è un’isola e l’autodeterminazione è un valore che o c’è o non c’è. L’individuo si trova in un contesto relazionale, in una fitta trama di rapporti e la vita comunitaria è il terreno di cultura dei diritti di libertà. In particolare i diritti alla personalità sono di fatto annullati se collocati fuori dal contesto sociale e relazionale.
Nell’ambito del diritto costituzionale, il sindacato sulle valutazioni prognostiche di pericolo in relazione alle condotte di abuso nei confronti dei soggetti vulnerabili, come quella posta alla base del divieto del § 217 StGB, non possono avere un valore assiologico permanente, ma puramente empirico. Quindi il legislatore è obbligato alla rettifica qualora la sua valutazione originaria qualora, in un momento successivo, alla luce dell’evoluzione del tessuto sociale, questa si rivelasse, anche solo in parte, erronea. Secondo la giurisprudenza del Tribunale costituzionale federale, un tale obbligo di monitoraggio permanente è ancor più necessario in ragione del valore dei beni giuridici coinvolti, in relazione al tipo della sua messa in pericolo e in base all’immanente cambiamento delle relazioni sociali.
La decisione suicida, nella sua attuazione, può dipendere dal coinvolgimento dei terzi nella fase della ideazione e progettazione e in quella della sua attuazione. I terzi quindi devono poter offrire liberamente quel supporto, sia morale che materiale, necessario per la progettazione e realizzazione del proposto suicida. Altrimenti, il diritto al suicidio verrebbe di fatto svuotato. Quando l’esercizio di un diritto fondamentale dipende dal coinvolgimento di terzi e da ciò dipende anche il libero sviluppo della persona, non è conforme ai principi costituzionali limitarne l’ambito di esercizio vietando a soggetti terzi di offrire un sostegno o un supporto.
Le esigenze di tutela dei soggetti vulnerabili trovano spazio all’interno di una normazione che assume a valore centrale l’autodeterminazione. Le prevedibili aggressioni all’autodeterminazione del suicida, eccetto i casi di palese vizio della volontà, possono giungere da due versanti: dall’esterno, a causa della diffusione di modelli culturali favorevoli all’assistenza al suicidio e alla morte su richiesta; nelle relazioni intersoggettive, in caso di «pericolosi conflitti d’interessi», emozionali e anche economici cui è esposto il singolo e di deficit informativi. Queste situazioni possono minacciare concretamente l’autonomia personale e il legislatore deve contrastarle. Si impone quindi come legittimo lo scopo di contrastare le decisioni di fine vita che non siano sostenute da una libera, responsabile e ponderata autodeterminazione, scevra da qualunque interferenza motivazionale, in un’ottica di valorizzazione della libera volontà quale presupposto del diritto ad autodeterminarsi anche nella morte.
6. La decisione del tribunale costituzionale austriaco
Altra importante tappa della estensione del diritto all’autodeterminazione terapeutica anche alle fasi finali della vita umana, è costituita dalla pronuncia del Verfassungsgerichtshof austriaco del 11 dicembre 2020 sulla legittimità dei § 77 e 78 del codice penale, norme che puniscono, rispettivamente, l’omicidio del consenziente (§ 77 StGB), l’istigazione al suicidio (§ 78 primo inciso StGB) e l’aiuto al suicidio (§ 78 secondo inciso StGB).
In sintesi, tutti i ricorrenti ritengono che i §§ 77 e 78 StGB sanzionino penalmente la violazione dell’obbligo a continuare a vivere, qualora l’individuo non sia in grado di porre fine alla loro vita in modo autonomo, costringendo così individui sofferenti a sopportare situazioni inumane e degradanti, privi anche del sollievo dell’idea di poter ricorrere all’assistenza sanitaria quando non si ha più la forza di resistere (c.d. 'suicidio prolungato') o - per evitare conseguenze penali a carico dei familiari o medici che li supportano - che li costringa a recarsi all’estero per realizzare la propria volontà. Nella pratica, secondo i ricorrenti, le norme penali esistenti limiterebbero l’accesso legale ad un farmaco di ultima generazione, il Pentobarbital sodico, in uso nelle cliniche svizzere, che consentirebbe la realizzazione di una morte sicura, non violenta, indolore e non degradante. Le disposizioni di cui ai §§ 77 e 78 StGB, dunque, nell’impedire ai sanitari e a coloro che offrono la loro assistenza, la prescrizione e la somministrazione di tale farmaco, in numerosi casi impediscono la possibilità di poter accedere ad una morte autodeterminata e dignitosa medicalmente assistita.
Ripercorriamo le tappe del ragionamento seguito dal giudice costituzionale austriaco, il quale, pur non proclamando una amplissima estensione del principio di autodeterminazione e non affermandone la intrinseca insindacabiltà, come ha fatto quello tedesco, neppure lo delimita a specifiche condizioni che ne tratteggiano l’area di non punibilità solo con specifico riferimento al caso sottoposto al vaglio costituzionale, come ha fatto la Corte costituzionale italiana.
Va immediatamente chiarito che il Tribunale costituzionale assume come valore guida il diritto all’autodeterminazione dell’individuo, diritto la cui effettività comprende le fasi finali della propria vita che gode di ampia estensione e riconoscimento anche a livello di legislazione secondaria, come dimostra il § 110 StGB che punisce la fattispecie di “trattamento sanitario arbitrario” , ovvero in assenza del consenso del paziente, nonchè la legge sul Testamento biologico, la quale tuttavia circoscrive validità e vincolatività del disposizioni del paziente alle sole ipotesi di interruzione o di rinuncia di terapie. Altra norma di fondamentale importanza vigente nell’ordinamento austriaco è il § 49 della legge ÄrzteG del 1998 introdotta con la novella n. 20 del 2019. Tale norma, rubricata “Assistenza ai morenti” ("Beistand für Sterbende") stabilisce nel primo comma che «il medico ha il dovere di assistere i soggetti morenti da lui assunti in trattamento garantendo la loro dignità»[1], mentre nel secondo comma, in chiusura, dispone: « ai sensi del comma 1, è anche permesso nella cornice di indicazioni di medicina palliativa, assumere misure in favore di pazienti morenti il cui uso, finalizzato a mitigare dolori e sofferenze gravi, prevalga in relazione al rischio di un acceleramento della perdita di funzioni vitali essenziali». Sostanzialmente, con la disciplina del § 49 viene previsto un obbligo espressamente normato di assistenza farmacologica e di trattamento del dolore, ed anche se l’effetto indiretto di tale condotta possa costituire la causa della sua morte. In particolare la norma consente – o meglio obbliga - il medico ad adottare trattamenti palliativi nei confronti di pazienti morenti, anche se i benefici nell’alleviare il dolore e l’agonia superino il rischio che ciò possa accelerare la perdita delle funzioni vitali fondamentali e anche in caso di irreversibile compromissione di una o più funzioni vitali, al cui verificarsi è prevedibile il sopraggiungere della morte in breve tempo. In sostanza il comma 2 del § 49 della legge sulle professioni sanitarie consente la somministrazione di farmaci palliativi finalizzati a lenire gravissimi dolori anche se comportano un’accelerazione della perdita delle funzioni vitali, in tal modo sancendo definitivamente la legittimità della c.d. eutanasia attiva indiretta ovvero quella che si verifica come effetto non voluto, indiretto ma inevitabile di una condotta lecita, consistente nella somministrazione di terapie palliative. Nel complesso, la normativa vigente nell’ordinamento austriaco consente pacificamente di ritenere come condotta socialmente adeguata non solo l‘eutanasia mediante omissione (cd. eutanasia passiva), ma anche dell’ eutanasia attiva indiretta.
Alla luce di questo quadro normativo, il Tribunale costituzionale austriaco, nel respingere la richiesta di incostituzionalità rispetto alle prime due norme concernenti l’omicidio del consenziente e l’istigazione al suicidio, ha appuntato i suoi rilievi esclusivamente verso la condotta di aiuto al suicidio, dichiarandone l’illegittimità costituzionale. L’intervento ha quindi riguardato esclusivamente l’assistenza al suicidio, lasciando indenne il reato che punisce l’omicidio del consenziente (§77) e le condotte di induzione morale al suicidio (§78 primo inciso). Con riferimento all’impugnazione della norma che punisce l’omicidio su richiesta (Tötung auf Verlangen) e dei suoi rapporti con la norma generale che punisce l’omicidio, il Giudice delle leggi dunque ha respinto le richieste dei ricorrenti, evidenziando che una sua eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale comporterebbe l’espansione della portata applicativa della norma generale costituita dall’omicidio, con conseguente effetto di aggravamento della risposta sanzionatoria e compressione della liberta di autodeterminazione, a dispetto delle richieste dei ricorrenti. Ne consegue che in caso di un’abolizione del § 77 StGB, la condotta di un aiuto a morire (Sterbehilfe) rimarrebbe ancora punibile – ai sensi del § 75 StGB – e che il risultato cui mirano i ricorrenti –la depenalizzazione dell’eutanasia attiva – non potrebbe, di conseguenza, essere raggiunto, ma frustrato posto che l’abolizione del § 77 StGB avrebbe, quale conseguenza, addirittura un inasprimento della pena, cui i ricorrenti non mirano in alcun modo.
Peraltro, già la giurisprudenza aveva richiesto nel caso di morte su richiesta ai sensi del § 77 StGB, requisiti abbastanza stringenti: non basta un mero consenso che scaturisce da uno stato d’animo temporaneo ad integrare la norma di favore, ma occorre una seria richiesta da parte della vittima, tanto che se il suicidio in sostanza concretizza un’ipotesi di omicidio commesso dalla vittima quale autore mediato (als unmittelbare Täterschaft), la condotta non può essere sussunta ai sensi del § 77 né del §78 StGB ma costituisce omicidio vero e proprio.
Il quadro normativo nazionale e interno consente quindi al giudice costituzionale austriaco di affermare che l’ordinamento attribuisce al diritto all’autodeterminazione dell’individuo in materia di cure mediche un valore centrale e che tale valore, in quanto fondamentale, in linea di principio è ostile ad una contrapposizione o ad bilanciamento con altri interessi quali ad esempio la tutela del diritto alla vita, al contrario, costituendone una sua emanazione.
Ritiene il Bundesverfassungsgericht che, dal punto di vista dei diritti fondamentali, non fa alcuna differenza in linea di principio se il paziente sia sottoposto ad un trattamento medico e si trovi, al momento della richiesta di assistenza al suicidio, nelle condizioni di intollerabilità della sofferenza e di autodeterminazione, e quindi possa disporre per l’immediato per la sua morte, o che la decisione di fine vita sia assunta nell’ambito più ampio di un testamento biologico per il futuro, ove vengano pianificate anche le decisioni in ordine al rifiuto o interruzione di cure o in ordine alla somministrazione di terapie palliative. Piuttosto, è di cruciale importanza, in ogni caso, che la decisione sia espressione della sua libera autodeterminazione, sia radicata, autentica, persistente nel tempo.
L’indicazione è stata recepita dal legislatore austriaco che ha implementato i contenuti del testamento biologico, con inclusione anche delle condotte di assistenza materiale al suicidio mediante la somministrazione del Pentobarbital sodico nei confronti dei soggetti gravemente malati e prossimi alla morte.
7. Per chiudere: prove tecniche di regolamentazione a garanzia dell‘autodeterminazione nei progetti di legge tedeschi presentati da SPD e dai Verdi
Torniamo adesso alla decisione della Corte costituzionale federale tedesca e alle sue implicazioni.
Il punto di partenza è che la decisione dell'individuo di porre fine alla propria vita è un atto di autodeterminazione meritevole di rispetto. Decisiva è quindi la volontà del richiedente rispetto qualunque valutazione basata su criteri di ragionevolezza, su valori oggettivi e generali, insegnamenti religiosi, modelli sociali e ideologici su come affrontare la vita e la morte. I requisiti di accesso alla procedura sono differenti a seconda che il richiedente si trovi in una condizione di patologia grave e irreversibile oppure che aspiri al suicidio per motivi diversi dalla condizione patologica grave, ma in ogni caso deve essere rispettata la decisione, in quanto espressione dell’autonomia individuale, senza alcuna interferenza o giudizio o pregiudizio su come vivere e come morire.
Pertanto, secondo il Tribunale costituzionale tedesco, un divieto penale avente ad oggetto un atto di estrinsecazione dell’autonomia individuale può essere tollerato o accettato legittimamente a condizione che l'ordinamento giuridico garantisca in modo sufficientemente chiaro con regolamentazione apposita i requisiti di legittimità e le procedure di accesso a forme di assistenza al suicidio, tali da garantire al massimo che la morte sia effettivamente autodeterminata del paziente. Solo a seguito dell’introduzione di una normativa di settore che disciplina e garantisce l’accesso a sostanze stupefacenti al fine di poter realizzare la propria morte, sarà legittima la previsione di norme punitive e sanzionatorie a carattere penale o e amministrativo, poste a garanzia della libertà e autodeterminazione della volontà del paziente da pressioni esterne e interessi egoistici. La ragione e il limite dell’intervento legislativo deve essere quello di garantire che la decisione di suicidio sia basata su un autentico ed autonomo libero arbitrio.
Tuttavia, anche successivamente alla pronuncia della Corte costituzionale federale e al radicarsi di una giurisprudenza favorevole del BVerwG, secondo i sostenitori del diritto all’aiuto al suicidio, in assenza di una specifica regolamentazione, esistono ancora molti ostacoli che di fatto impediscono una piena fruizione del diritto da parte di tutti gli interessati, ovvero sia coloro che aspirano ad una morte determinata sia coloro che offrono il loro supporto. Infatti, i richiedenti assistenza al suicidio devono affrontare costi ingenti e sono esposti ad un mercato senza scrupoli, e anche coloro che sono disposti a fornire il loro supporto si vedono esposti a una incertezza giuridica che scaturisce da una inadeguata regolamentazione. Ad esempio, ai medici è fatto divieto di prescrivere il pentobarbital sodico, senza incorrere nella violazione della normativa in tema di sostanze stupefacenti e molti di loro devono confrontarsi, nella maggior parte degli Stati federali tedeschi, con il divieto professionale di assistenza al suicidio.
In questo contesto culturale si collocano i due progetti di legge di regolamentazione dell’assistenza al suicidio presentati dai Verdi (BTDrucks 19Wahlp. Suizidhilfe GrünenBundnis90) e dal SPD (BTDrucks 19 Wahlp. Suizidhilfe SPD FDP) in tema di attuazione del diritto all’assistenza al suicidio, finalizzati sostanzialmente a legalizzare la prescrizione e somministrazione medicalmente assistita del pentobarbital sodico.
In particolare, il disegno di legge presentato da SPD mira a salvaguardare il diritto alla morte autodeterminata del paziente da un lato, e dall’altro anche a garantire da rischi penali colui che vuole spontaneamente e senza alcun obbligo, offrirgli assistenza, regolamentando in modo chiaro e univoco i requisiti di regolamentazione e di normalizzazione della condotta del terzo di assistenza, morale e materiale, al suicidio. L'attenzione è quindi rivolta sia all'autonomia e alla libertà e responsabilità della persona disposta a morire in modo che si formi una determinazione autonoma, consapevole, matura, informata, duratura, supportata da garanzie e scevra da interferenze di ogni tipo, in modo da limitare al massimo l’emergere di situazioni di vulnerabilità; sia ad assicurare che coloro che forniscono assistenza o consulenza, anche solo morale, non incorrano in responsabilità penale.
Inoltre, da un lato si proclama il diritto a decidere della propria morte, ma dall’altra si stabilisce che “ nessuno è obbligato ad assistere al suicidio altrui (§§ 1 e 2). Il diritto costituzionale alla morte autodeterminata assicura la libertà di fruire dell’aiuto altrui, ma non include un diritto legale positivo all'assistenza concreta da un terzo, perché non solo la decisione di morire in modo autodeterminato richiede rispetto e accettazione, anche la decisione consapevole di una persona di non assistere ad un suicidio altrui impone uguale rispetto e accettazione.
Il focus del progetto di legge parte dalla premessa che le persone che intendono porre fine alla loro vita sono attualmente in gran parte lasciate sole nel loro dolore e nelle loro decisioni di fine vita, sia all'inizio di un processo decisionale, cioè quando la volontà di voler morire non è ancora saldamente determinata, sia quando si è già manifestato nella mente un pensiero o la decisione è già stata presa.
Del resto, il progetto di legge segue le indicazioni della Corte Costituzionale Federale, la quale aveva ben posto i requisiti di validità sostanziali della decisione: che si tratti di la volontà libera e non influenzata da un disturbo psichico o una pressione esterna, che la persona interessata sia effettivamente a conoscenza di tutti gli aspetti e le informazioni rilevanti in modo che possa soppesare i pro e i contro, che possa valutare le conseguenze e prendere una decisione con cognizione di causa, permanente nel tempo e quindi convinta e radicata (BVerfG, 26 febbraio 2020 - 2 BvR 2347/15 -).
Il disegno di legge al § 4 quindi prevede l’istituzione di centri di consulenza finalizzati ad evitare, quanto più è possibile, decisioni suicidarie affrettate e non formate autonomamente, dettando requisiti e procedure volte ad assicurare che la “decisione di fine vita” si concretizzi e culmini a seguito di un processo di informazione i cui contenuti, tempistica, modalità, sono ampiamente regolamentate: che si tratti quindi di una decisione formata in modo maturo, informato, tracciabile, trasparente, persistente. Nel dettaglio è disciplinata l’attività di consulenza, la quale mai deve consistere in giudizio, pressione, indirizzo verso una soluzione o l’altra, ma deve svolgersi in modo neutrale. Le persone che vogliono morire sono spesso sole con i loro pensieri e le loro decisioni. L’istituzione di questi consultori consente loro di esternare i loro pensieri ed emozioni anche più intimi, senza pregiudizi, in modo che sia sperimentato un vero supporto nell’eventuale percorso di autodeterminazione della volontà. Non importa quale decisione qualcuno prenda, né è necessario essere d’accordo con tale decisione. C'è un solo criterio: il rispetto del diritto all'autodeterminazione di ogni individuo.
Il disegno di legge mira quindi a creare un'infrastruttura di consulenza istituzionalizzata e organizzata e obbligatoria che faccia sì che le persone abbiano l'opportunità di affrontare il tema del suicidio e dell'assistenza al suicidio tempestivamente, in modo riservato, anche anonimo, qualificato professionalmente, disinteressato, non mosso da motivi di lucro, non influenzato da una preconcetta visione ideologica, neutra sotto il profilo dei contenuti ( § 4 del progetto)[2].
Successivamente alla esecuzione di tale consulenza il medico curante potrà prescrivere il farmaco pentobarbital sodico purchè, a sua volta, fornisca la sua consulenza, in modo da convincersi dell’intimo, informato radicato volontà del paziente. È indicato espressamente che le informazioni fornite dal medico curante integrano la consulenza completa fornita dai centri di consulenza ai sensi del paragrafo 4. Il contenuto delle informazioni mediche deve includere, in particolare, la descrizione delle reazioni dell'organismo all'ingestione di un farmaco ai fini del suicidio. Inoltre, devono essere valutati i possibili rischi, tra cui il fallimento del suicidio e il verificarsi di gravi danni fisici. Se la persona suicida è affetta da una malattia, il medico deve indicare opzioni di trattamento alternative e opzioni di trattamento medico palliativo e discuterne con il paziente (§6).
La prescrizione di un farmaco ai fini del suicidio è consentita solo se il medico curante ha ottenuto il certificato di consulenza ai sensi del paragrafo 4 e che la consultazione non sia stata effettuata più di otto settimane prima. Questo periodo garantisce, da un lato, che la consulenza sia stata regolarmente effettuata e sia pertinente rispetto la condizione di vita attuale della persona che è disposta a morire e, dall'altra, che la persona che viene consigliata sia ancora a conoscenza della conversazione. Se la consulenza non è stata data o se è trascorso un periodo troppo lungo, il medico non può prescrivere il farmaco (§ 6).
Inoltre, in ossequio al principio dei il c.d. “dei quattro occhi” si impone meccanismo procedurale di garanzia che vieta che coloro che forniscono consulenza possano materialmente supportare il paziente prescrivendo o anche supportando materialmente il suicidio. La norma tende a risolvere possibili conflitti di interessi.
Un breve cenno merita anche il BTTDrucks 19Wahlp. Suizidhilfe GrünenBundnis90, presentato dai Verdi, intitolato Legge a tutela del diritto alla morte autodeterminata il quale, senza modificare la normativa in tema di stupefacenti, esplicitamente sancisce nel paragrafo 1 il diritto all’accesso controllato a stupefacenti al fine di realizzare una morte, libera, degna, autodeterminata, espressione del libero arbitrio, e che stabilisce, d’altro lato, al comma 2 che “Nessuno è obbligato ad assistere al suicidio” (§1).
Il § 2 invece stabilisce i requisiti di liceità della decisione di fine vita, e in particolare tipizza i casi in cui deve escludersi la piena consapevolezza e intima volontarietà della richiesta, rinviando alla normativa di settore, e prevendendo anche l’acquisizione di una perizia.
Particolarmente interessante è il § 3 che tratteggia la Procedura di accesso in caso di emergenza medica e che rinvia ai requisiti indicati dalla legge sull’uso di stupefacenti a scopo terapeutico, cui vengono apportate delle modifiche, in modo da consentire la prescrizione e la distribuzione del pentobarbital sodico in caso di richiesta di assistenza medica al suicidio.
La procedura richiede che la decisione di fine vita sia espressa in una dichiarazione scritta la cui efficacia nel tempo è limitata ad un solo mese e che espressamente deve recare: i motivi che supportano la decisione di morire, la durata del suo manifestarsi, l’assenza da pressioni, preoccupazioni, coercizioni e influenze simili, nonché la specifica indicazione del perché le opzioni disponibili alternative, offerte da privati o da strutture pubbliche, non siano state ritenute soddisfacenti.
Anche questo progetto prevede l’istituzione di centri di consulenza autorizzato e indipendente, anche privato, che deve sentire il richiedente almeno due volte e che certifichi l’assenza di condizioni di abusi e di vulnerabilità e eventuali dubbi. Il colloquio deve riferire delle possibili alternative e prospettive di aiuto. I richiedenti assistenza al suicidio a morire possono essere supportati dai medici o da qualsiasi terzo (persone fisiche o giuridiche) nell'attuazione della loro volontà. Tuttavia, le persone fisiche o giuridiche che offrono assistenza terminale su base professionale possono svolgere tali servizi solo se sono autorizzate dall’autorità competente e a condizione di prestare assistenza disinteressatamente. L'autorizzazione può essere revocata se vengono meno i presupposti o se i prestatori di assistenza violano le disposizioni della legge.
Il progetto mira a regolamentare la prescrizione del farmaco a scopo terapeutico in sicurezza. Pertanto è previsto un dovere di conservazione del farmaco e un divieto di cessione ad altri a carico del personale sanitario e delle persone abilitate a prestare assistenza, in modo da impedire un accesso indiscriminato da parte di terzi fuori dalla procedura.
Inoltre è previsto un dovere di restituzione dei narcotici dispensati entro quattro settimane se le persone disposte a morire si sono astenute dall’attuare il loro desiderio, o comunque entro un anno dalla somministrazione del farmaco se il suicidio non si realizza.
Particolarmente interessante è che il progetto di legge presentato dai Verdi è l’unico che prevede reati e illeciti amministrativi a garanzia della procedura di consulenza, qualora si rendano informazioni inesatte o false al fine di ottenere la prescrizione del farmaco anche per altre persone, qualora si prescriva il farmaco senza che sia stato prestato il servizio di consulenza, o qualora si fornisca assistenza al suicidio in assenza di autorizzazione.
[1] Il § 49 comma 1 ÄrzteG obbliga il medico, fra l’altro, ad assistere coscienziosamente tutti i sani ed i malati da lui accettati a fini di consulenza medica, senza differenza di persona e secondo scienza ed esperienza, così come a garantire il benessere del paziente mediante il rispetto delle prescrizioni vigenti e degli standard di qualità specifici della professione.
[2] Si riporta per comodità la traduzione del § 4 Consulenza
(1) Chiunque abbia la propria residenza o dimora abituale in Germania ha il diritto a chiedere consulenze in materia di suicidio assistito. La consulenza è a tempo indeterminato e prescinde dalla realizzazione di risultati pratici.
(2) La consulenza deve trasmettere le informazioni che consentono alla persona di essere adeguatamente informata e di acquisire una base conoscitiva per valutare realisticamente i pro e i contro della decisione di morire. Essa include soprattutto informazioni su:
1. l'importanza e la portata del suicidio;
2. l’esistenza di soluzioni alternative al suicidio, a condizione che la persona che vuole suicidarsi renda disponibili le informazioni pertinenti, anche sul proprio stato di salute e, in caso di malattia, circa la sussistenza di opzioni e alternative terapeutiche e di medicina infermieristica o palliativa;
3. i requisiti dell'assistenza al suicidio;
4. le conseguenze di un suicidio e di un tentativo di suicidio fallito anche rispetto il suo ambiente personale e familiare più stretto;
5. Opportunità di usufruire di offerte di supporto e assistenza;
6. ogni ulteriore informazione medica, sociale e legale necessaria per le circostanze.
(3) Una persona che vuole suicidarsi deve ricevere una consulenza tempestivamente.
(4) La persona disposta a suicidarsi può rimanere anonima, se lo desidera.
(5) La consulenza non può essere fornita dalla persona che in seguito è coinvolta nell'assistenza al suicidio.
(6) Per quanto necessario, viene fornita consulenza in accordo con la persona suicida
1. da medici, specialisti, psicologi, socio-pedagogici, assistenti sociali o specialisti con formazione giuridica e
2. da altre persone, in particolare i parenti stretti.
(7) Dopo che la consulenza è stata completata, il centro di consulenza deve rilasciare un certificato con nome e data attestante che la consulenza ha avuto luogo. Se il consulente nutre dubbi fondati sul fatto che il paziente agisca in modo autonomo, informato, libero arbitrio ai sensi del § 3 paragrafo 1 e paragrafo 3, deve annotarlo sul certificato.
(8) La consulenza è gratuita per la persona e per le persone coinvolte ai sensi del paragrafo 6 numero 2.