*Il contributo si inserisce nell'approfondimento del tema Accesso in magistratura, precedenti contributi Accesso alla magistratura - 1. Pensieri sparsi sul concorso in magistratura di Giacomo Fumu, Riflessioni sul concorso in magistratura di Mario Cigna Il tirocinio formativo ex art. 73 d.l. n. 69/2013 di Ernesto Aghina, Il procedimento per la nomina e selezione dei giudici e pubblici ministeri nella Repubblica Federale Tedesca di Cristiano Valle, Percorsi di accesso alla magistratura in Ungheria di Anna Madarasi, L’accesso alla magistratura francese di Antonio Musella[*] sotto la voce della rivista Ordinamento giudiziario.
Sommario: 1. Equilibrio fra i poteri dello Stato e ruolo della giurisdizione - 2. La Giurisprudenza e le sue Facoltà - 3. Un biennio (infralaurea) specializzante per le professioni legali.
1. Equilibrio fra i poteri dello Stato e ruolo della giurisdizione
1.1. La crisi della democrazia rappresentativa incide sulla legittimazione dei professionisti legali - soprattutto, ma non esclusivamente, dei magistrati - a esercitare la loro funzione di interpreti della volontà del legislatore, a sua volta espressione della volontà dei cittadini.
La difficoltà che il legislatore non infrequentemente mostra - sia nell’uso della tecnica legislativa sia nella determinazione dei contenuti delle norme - a determinare quanto necessario per una efficace regolazione rende instabile l’equilibrio fra i poteri dello Stato sia che li si concepisca secondo la loro tripartizione tradizionale, sia che li si consideri adottando uno schema più articolato e attuale.
Questo esito è evidente quando la legislazione non è preceduta da un adeguato dibattito politico e dalla ponderazione delle scelte tecniche. Soprattutto, se i contenuti della produzione legislativa derivano da mediazioni fra esigenze fra loro confliggenti, l’autosufficienza logica delle norme si riduce e questo espande il ruolo della ermeneutica giuridica con il rischio dell’affermazione di principi normativi in realtà non dettati dal legislatore ma introdotti dagli interpreti facendo leva sulla elasticità dei significati delle norme, per analogo verso, delle clausole generali che a volte si trovano sciorinate in ordine sparso persino nelle disposizioni penali incriminatrici.
Quando accade che i significati veicolati dalle disposizioni slittano verso dei nuovi contenuti confezionati dagli interpreti, l’ingranaggio giuridico non funziona più soltanto come un meccanismo per veicolare prescrizioni ma diventa trampolino di nuove prospettive delle quali può risultare difficile anche individuare i fautori e gli sviluppi, tanto più quando l’ars distinguendi degli interpreti viene avvizzita dall’aggravio dei carichi lavorativi e dal restringersi degli orizzonti culturali.
Tuttavia, resta (ovviamente) inaccettabile che la giurisdizione svolga un ruolo di supplenza politica: il rapporto tra la legislazione e la giurisdizione non deve andare oltre la concretizzazione e lo sviluppo degli obiettivi e dei contenuti che la seconda riceve dalla prima. Non basta l’autorità della posizione per giustificare i risultati della interpretazione della legge, che è una attività che richiede metodo e trasparenza per essere intellettualmente e deontologicamente adeguata. Questa è una delle varie ragioni per le quali la giurisdizione non può trascurare le elaborazioni scientifiche che soltanto la dottrina giuridica può fornire e che nell’approntarle sistema logicamente per questa via spersonalizzando le categorie e gli argomenti adoperati per le decisioni.
Invece, da qualche decennio, proprio quando il mondo è diventato più complicato, nelle università si è affermata l’idea che l’essenziale sia l’apprendimento delle leggi così identificando il diritto con la legge. La formazione universitaria si è orientata verso la legislazione di settore impinguandosi con la giurisprudenza, e lasciando la formazione ulteriore a un nebuloso post-laurea facilmente obsolescente in un tempo di trasformazioni continue, tanto più se è mancata la formazione orientata a fornire abilità più che nozioni. Al graduale maturarsi dell’acquisizione degli strumenti del mestiere si è contrapposta la ricerca della tempestività che si infrange contro la complessità di molte questioni, sicché la tensione verso le conclusioni prevale sullo sviluppo delle capacità argomentative.
2. La Giurisprudenza e le sue Facoltà
2.1. Questi mutamenti sono il prodotto di un’epoca ma i corpi professionali interessati (l’accademia e la magistratura, come anche l’avvocatura) non sono ancora riusciti a sviluppare una capacità di elaborazione che consenta loro di comprendere e gestire il cambiamento (prefigurandosi degli obiettivi) e non soltanto di subirlo con l’illusione di esserne protagonisti.
Eppure, l’attenzione degli Ordini professionali (forense e giudiziario) ai meccanismi di formazione e selezione dei propri componenti è un segno primario del loro livello di adeguatezza istituzionale e di attenzione verso la società presente e le generazioni future.
In questa direzione, la riapertura dell’accesso al concorso per la magistratura ordinaria dovrebbe stimolare qualche novità perché, mentre, certamente, come viene da più parti sottolineato, soddisfa varie esigenze pratiche immediate, risulterà miope se non sarà seguita da una seria rielaborazione della formazione ─ che deve essere comune, già durante il corso universitario ─ degli aspiranti magistrati e degli avvocati, due categorie professionali che integrano un unico sistema culturale e funzionale[1].
In questo contesto, l’art. 4. l. n. 71/2022 è importante per il suo aprire nuove prospettive quando affida alle norme di attuazione il compito di far sì che «la Scuola superiore della magistratura organizzi, anche in sede decentrata, corsi di preparazione al concorso per magistrato ordinario» per laureati che stiano svolgendo o abbiano svolto il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari previsto dall’art. 73 d.l. n. 69/2013 o abbiano prestato presso l’ufficio per il processo l’attività prevista dall’art. 14 d.l. n. 80/2021, «stabilendo che i costi di organizzazione (…) gravino sui partecipanti in una misura che tenga conto delle condizioni reddituali dei singoli e dei loro nuclei familiari». Ancor più importante è dove (lett. d) richiede che «la prova scritta del concorso per magistrato ordinario abbia la prevalente funzione di verificare la capacità di inquadramento teorico-sistematico».
A questo punto è possibile prefigurare un nuovo sistema di selezione per la magistratura con un centro unico e pubblico che, «in sede decentrata», attivi proficuamente la rete dei magistrati formatori oppure (o anche) ridia uno scopo alle Scuole di specializzazione per le professioni legali (che al momento sono destinate a estinguersi per mancanza di specializzandi) presso le Università.
Un analogo impianto potrebbe ispirare l’azione della Scuola superiore dell’avvocatura per alimentare un circuito culturale che leghi l’Accademia, l’Avvocatura e la Magistratura nella elaborazione di convergenti percorsi di formazione (che è cosa diversa è più impegnativa del mero aggiornamento) dei giuristi forensi.
2.2. Tuttavia, pare necessario rimarcare che anche riuscire nella difficile impresa di approntare soluzioni organizzative efficienti non basterebbe a renderle efficaci se si prescindesse da una riflessione preliminare sui contenuti che esse possono veicolare.
Il ruolo dei corsi universitari è insostituibile rispetto allo scopo di fornire (per tempo e con il tempo necessario a sedimentare gli apprendimenti) una preparazione ancorata alla solida conoscenza degli istituti giuridici e alla capacità di padroneggiare l’argomentazione giuridica nelle sue plurime forme.
La Facoltà di Giurisprudenza (che nell’ordinamento universitario italiano attuale non esiste più con questo nome) all’inizio del diciannovesimo secolo era collocata idealmente all’incrocio fra teologia, medicina e filosofia e destinata, come le altre, all’educazione spirituale dell’individuo.
Non molto tempo dopo, il successo del positivismo, lo sviluppo delle scienze sociali, la rivoluzione industriale e l’egemonia della mentalità borghese concorsero nel favorire un nuovo modo di concepire il rapporto tra il sapere e l’azione: la ricerca della efficienza rafforzò il profilo del sapere come capacità tecnico-funzionale, indirizzata verso la specializzazione in vari modi acquisita.
Questa tendenza è stata rafforzata dalla perdita di coesione del sistema normativo che – in parte svincolato anche dalle sovranità statali – non nasconde la sua contingenza, frutto di volontà incostanti, talvolta arbitrarie.
Così il sapere giuridico si è frantumato in una molteplicità di conoscenze settoriali e la dottrina (orfana di eccellenze) risulta timida nel razionalizzare il sistema integrandovi le (proliferanti) leggi speciali. Nel diritto forense, si appoggia alla giurisprudenza mentre dovrebbe aiutarla a chiarirsi le idee: invece, si è sparsa in piccole scuole, spesso politicizzate e dubbiose nei confronti delle finalità stesse della scienza che dovrebbero tramandare, timide nel confrontarsi fra loro.
In questo periodo di disinvoltura metodologica più che i giuristi si affermano gli esperti legali. Le tensioni principali degli interpreti più che il perfezionamento del sistema dei concetti e la coesione dei principi nutrono il sottosistema giudiziario come meccanismo di regolazione atto a fronteggiare il massiccio numero di conflitti derivanti dall’aumento delle relazioni sociali.
Allora, la ricerca dell’efficienza produttiva (che rischia di incartarsi su sé stessa) alimenta e enfatizza una vivacità mentale che cela la pigrizia intellettuale.
Il punto è che l’interpretazione del diritto non costituisce un mero compito da eseguire ma una fonte di problemi (spesso semplici, altre volte complessi) da risolvere.
Soprattutto l’elasticità dei principi normativi, come anche delle clausole generali, e delle loro composizioni consente una gamma di soluzioni diverse che possono comportare delle scelte che ampliano lo spazio del potere giudiziario. Il quale, tuttavia, non per questo può oltrepassare il suo limite: non deve produrre principi normativi diversi e nuovi rispetto a quelli offerti (esplicitamente o implicitamente) dall’insieme dei dati normativi.
Per queste ragioni, la giurisdizione non dovrebbe rinunciare alle elaborazioni scientifiche che soltanto la dottrina giuridica è in grado fornire sistemando e così oggettivando le categorie adoperate nel decidere. Invece, la cultura della semplificazione nelle università va individuando l’essenziale della formazione nell’apprendimento delle leggi favorendo l’idea che basti il fatto di essere investiti di una funzione attuativa qualificata (quella di magistrato) per giustificare i risultati della interpretazione della legge, legando l’autorità alla posizione e facendo della pratica giudiziaria la base per la formazione dei nuovi giuristi. Così i magistrati tendono a chiudersi in un orizzonte autoreferenziale (che in alcuni casi si riverbera anche negli atteggiamenti esteriori rispetto all’operato professionale).
Anche la ricostruzione dei fatti ai quali applicare le norme non costituisce un mero compito ma è fonte di problemi specifici (e in alcuni campi ardui) della epistemologia giudiziaria per la soluzione dei quali gli attuali corsi di laurea non forniscono strumenti.
3. Un biennio (infralaurea) specializzante per le professioni legali
3.2. I giuristi legali (avvocati, magistrati, processualisti) si distinguono dagli altri laureati in giurisprudenza per la necessità di possedere non solo una solida conoscenza degli istituti giuridici del settore ma anche la capacità di padroneggiare le argomentazioni senza rimanere invischiati nei meandri delle loro ramificazioni. Al riguardo diverte ricordare quello che scriveva Gotofredo Contatter qualche tempo fa ma con osservazioni ancora attuali:
«Gli Italiani, nel trattare e discutere le controversie del nostro diritto, hanno quest'uso, che dopo aver proposto qualche questione disputano tanto a favore della tesi affermativa che della negativa. In primo luogo adducono per lo più gli argomenti con i quali si corrobori e si affermi quella opinione che a loro giudizio credono falsa. Di poi vengono prese in esame le ragioni a favore della contraria ed opposta opinione; e finalmente essi rigettano e confutano la prima opinione e insieme rispondono alle contrarie leggi per lo innanzi addotte a favore di quella .......Sebbene potrebbero risolvere con tre o tutt'al più con quattro parole il punto di diritto, appena lo esauriscono disputandone per tre giorni. Aggiungasi che gli inesperti e deboli intelletti degli scolari sono aggravati e confusi da questa moltitudine e varietà di controversie, sì che non possono facilmente discernere il vero dal falso. Né ciò fa meraviglia perché spesso accade ai dottori medesimi di non sapersi districare negli stupefacenti labirinti delle dispute che portano In campo»[2].
Varie idee possono svilupparsi circa i contenuti di un indirizzo del corso di laurea in giurisprudenza relativo alle professioni legali.
Ma sembra ragionevole prospettare che i piani di studio universitari dovrebbero delineare nel secondo biennio un percorso di formazione verso le professioni legali, distinto da altri percorsi professionali, dando adeguato spazio, oltre alle materie tecniche specifiche, a discipline che offrono le basi metodologiche delle professioni legali: l’ermeneutica giudiziaria (anche per padroneggiare le conseguenze di tecniche legislative fondate sulla normazione “per principi” che si giustappone a quella tradizionale “per regole”), la logica e l’argomentazione giuridica, l’epistemologia giudiziaria (per rendere più attenti a una corretta ricostruzione dei fatti oggetto dei processi) e lo studio del diritto dell’Unione e del diritto comparato.
Per quel che specificamente riguarda il ragionamento giuridico, nell’attuale formazione i laureandi incontrano solo (peraltro implicitamente veicolati ma non esplicitamente studiati) elementi di logica classica che però non bastano a modellare tutti i ragionamenti e, particolarmente, quelli di tipo probabilistico (le cui fallacie sono meno agevolmente rinvenibili rispetto a quelle in cui possono cadere le inferenze deduttive). Inoltre, la logica matematica serve per costruire modelli dei ragionamenti e per controllarne la coerenza interna e la confidenza con i modelli logici ha un valore formativo come strumento di lavoro (solo formalizzando un ragionamento in termini logico-matematici possono cogliersene eventuali illogicità).
In generale, la formazione degli studenti italiani è approfondita sugli aspetti del diritto, ma è esclusivamente umanistica, priva di cultura scientifica. Sarebbe il caso di arricchirla. Sarebbe sbagliato scimmiottare le esperienze di altri ordinamenti ma tenerne conto è utile. Per esempio, è da considerare che negli Stati Uniti per accedere al primo livello di formazione giuridica in una law school occorre avere un bachelor degree (analogo delle nostre lauree triennali) in una qualsiasi altra materia; al primo anno di tutti i bachelor program (a prescindere da quale sia la materia principale affrontata) le università offrono insegnamenti sulle materie scientifiche. Ovviamente questo non serve a fare del giurista uno scienziato ma lo aiuta a meglio approcciarsi alle scienze, ai loro linguaggi e alle situazioni nelle quali è necessario distinguere la solida scienza dalla pseudoscienza.
In questa direzione, nel 2012 in Germania il Consiglio superiore della scienza si è espresso sulle prospettive della scienza giuridica indicando la necessità di un rafforzamento della dimensione culturale, di quella interdisciplinare e di quella internazionale della formazione giuridica. Si sottolinea la necessità di accrescere nella formazione del giurista la capacità di comprensione del contesto nel quale le norme sono poste e si auspica un accrescimento del peso dei Grundlagefächer, cioè delle basilari discipline ‘ storiche, filosofiche e comparatistiche e delle capacità di dialogo con le altre scienze, e l’allontanarsi dal tecnicismo fine a sé stesso[3].
3.3. In ogni caso, sarebbe utile che la formazione universitaria del giurista forense allenasse alla auto vigilanza psicologica e dialettica suggerendo schemi di comportamento intellettuale utili per ridurre il rischio di errori giudiziari. Tre mosse mentali risultano sempre essenziali a questo scopo: la prima consiste nell’individuare i preconcetti impliciti dubitando della oggettività dei propri giudizi e esaminando come si formano le proprie credenze; la seconda sta nel generare (o nell’ascoltare) tesi alternative a quella sostenuta, considerando imparzialmente ogni altra ipotesi plausibile (non soltanto quella opposta); la terza concerne specificamente la ricostruzione degli eventi singoli e richiede mantenersi consapevoli che la verità fattuale non è oggetto di dimostrazioni, ma solo di induzioni e di loro conferme (o mancate confutazioni), per cui la conclusione raggiunta potrebbe comunque essere falsa. Anche in questa direzione serve l’alternanza, nelle varie materie, fra i corsi teorici tradizionali e le cosiddette cliniche legali (diffuse nelle università straniere e ora praticate anche in alcune italiane) che esercitano lo studente a costruire un’argomentazione legale corretta e coerente.
3.4. Né, ormai, può trascurarsi che nel prossimo futuro inevitabilmente aumenteranno le interazioni dei giuristi forensi con gli strumenti della razionalità artificiale veicolata dalle elaborazioni informatiche. Allora pare necessario delineare dei percorsi di formazione (come del resto e avviene in alcuni corsi di laurea anche in Italia) che conducano a servirsi di questi strumenti con adeguata cognizione delle loro virtualità come anche dei loro limiti per evitare che questi divengano insidie.
Questo dovrebbe avvenire nel quadro di una generale riconsiderazione degli strumenti intellettuali di base che possono servire a professionisti che hanno il compito di applicare i discorsi del diritto alle esigenze pratiche che sorgono dalla vita reale.
* Il contributo si inserisce nell'approfondimento del tema Accesso in magistratura, precedenti contributi Accesso alla magistratura - 1. Pensieri sparsi sul concorso in magistratura di Giacomo Fumu, Riflessioni sul concorso in magistratura di Mario Cigna Il tirocinio formativo ex art. 73 d.l. n. 69/2013 di Ernesto Aghina, Il procedimento per la nomina e selezione dei giudici e pubblici ministeri nella Repubblica Federale Tedesca di Cristiano Valle, Percorsi di accesso alla magistratura in Ungheria di Anna Madarasi, L’accesso alla magistratura francese di Antonio Musella[*] sotto la voce della rivista Ordinamento giudiziario.
[1] Articolati contributi sul tema in: C. Angelici (a cura di), La formazione del giurista. Atti del convegno, Roma, 2 luglio 2004, Milano, Giuffrè, 2005; A. Giuliani – N. Picardi (a cura di), L’educazione giuridica, Bari, Cacucci, 2008; P. Costa, La formazione del giurista. A proposito di una recente collana di studi, in: Sociologia del diritto, 1, 2013, pp. 215-222; A. Pasciuta-L. Lo Schiavo (a cura di), La formazione del giurista. Contributi a una riflessione, Roma Tre-Press, 2018.
[2] Dal diario di Gotofredo Conratter, studente tedesco di giurisprudenza iscritto alla Università di Padova nel 1577-78 (A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa,( 1), Le Fonti e il pensiero giuridico, ristampa inalterata, Giuffrè Editore, 1982, pp. 143-144.
[3] Sul documento: C. Wolf, Perspektiven der Rechtswissenschaft und der Juristenausbildung. Kritische Anmerkungen zu den Empfehlungen des Wissenschaftsrats, in: Zeitschrift für Rechtspolitik, 2013, pp. 20 ss.; G. Resta, Quale formazione per quale giurista?, in: B. Pasciuta- L. Loschiavo, op. cit., pp 127-150, 139.