Il destino del pubblico ministero nel progetto di riforma costituzionale della giustizia
Sommario: 1. Introduzione – 2. Le diverse “prospettive” di pubblico ministero - 3. Obiettivi della riforma, conseguenze sistematiche e politiche - 4. Snaturamento della funzione requirente e indebolimento delle sue garanzie - 5. L’indebolimento del sistema di check and balances interno all’ordine giudiziario - 6. Scenari futuri.
1. Introduzione
Cominciamo dall’inizio. Il 10 gennaio 1947, nel corso della seduta antimeridiana della Commissione per la Costituzione - riunita in seno all'Assemblea Costituente – l’onorevole Calamandrei dichiarava di considerare il pubblico ministero come un magistrato, che deve agire secondo il principio di legalità e deve godere, al pari dei giudici, dei requisiti dell'indipendenza e della inamovibilità[1]. A questa tesi rispondeva l’onorevole Leone, affermando di ritenere che la funzione del pubblico ministero rientri nell’ambito del potere esecutivo, aggiungendo però di essere «profondamente turbato dalle difficoltà che sorgerebbero dall'accettazione della sua proposta. Facendo del pubblico ministero un organo spiccatamente dipendente dal potere esecutivo, occorrerà predisporre nella Carta costituzionale gli strumenti atti a impedire il paventato [da Calamandrei, N.d.A.] pericolo, che il principio della legalità possa essere violato». La soluzione prospettata da Leone al fine di garantire la legalità dell’azione penale, a fronte di un pubblico ministero funzionario ministeriale, consisteva nel rendere possibile, in caso di inerzia del suddetto, l’esercizio dell'azione penale da parte del giudice: soluzione evidentemente impraticabile nell'ordinamento attuale, se non a prezzo di rinunciare a quella figura di giudice terzo e imparziale, sulla quale si attaglia il sistema penale moderno; e tuttavia, rimedio pensato per prevenire ciò che anche il sostenitore della tesi che vedeva il pubblico ministero organo dell'esecutivo percepiva come un pericolo, vale a dire «che il principio della legalità possa essere violato».
Il tema della collocazione del pubblico ministero nel nostro ordinamento, ampiamente discusso dai Costituenti, si ripropone oggi nel dibattito sulla riforma proposta con d.d.l. n. 1917, attualmente in fase di discussione in Parlamento: dove deve stare, il pubblico ministero? Cosa deve rappresentare? Deve essere un funzionario di Governo, gerarchicamente dipendente dal ministro della Giustizia e dunque soggetto non soltanto alla legge, amovibile e privo (nella peggiore delle prospettive che si stanno qui delineando) delle altre garanzie che presidiano i giudici; oppure un magistrato, appartenente al pari dei giudici all’ordine giudiziario, afferente alla giurisdizione e dotato delle garanzie di autonomia e indipendenza – che, quanto alla sua funzione, massimamente si incarnano nel principio di obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost.?
2. Le diverse “prospettive” di pubblico ministero
Ognuno dei due modelli ha conseguenze logico-sistematiche che devono essere contestualizzate nella realtà della Repubblica, senza che appaiano anche solo probabili dei modelli “misti” della funzione del pubblico ministero. Il riferimento è, in primo luogo, al grande tema obbligatorietà/discrezionalità dell’esercizio dell’azione penale: come si è detto, l’obbligatorietà stabilita dall’art. 112 Cost. costituisce garanzia di indipendenza del pubblico ministero, rispetto ai suoi organi di vertice (indipendenza interna) e rispetto agli altri poteri dello Stato (indipendenza esterna, che concerne in particolare il rapporto con il potere esecutivo); ebbene, se il pubblico ministero viene “staccato” dalla giurisdizione – e la separazione “delle carriere” realizzata mediante riforma costituzionale concretizza esattamente questo obiettivo: se così non fosse, sarebbe stato sufficiente un intervento sulla legge (ordinaria) che regola l’ordinamento giudiziario – la scelta è evidentemente quella di rompere l’unità della giurisdizione stessa. A quel punto, non v’è più ragione di ritenere che le garanzie, che tipicamente presidiano l’autonomia e l’indipendenza dei giudici, si estendano anche alla magistratura requirente. E se non è più necessario che il pubblico ministero goda delle garanzie dei giudici, non si vede per quale ragione logico-sistematica dovrebbe continuare a essere obbligato all’esercizio dell’azione penale ai sensi dell’art. 112 Cost. (tanto è vero, che l’eliminazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale faceva parte della proposta di riforma costituzionale presentata dall’Unione delle Camere Penali[2]). Di lì alla sottoposizione del p.m. all’esecutivo il passo è assai breve e direi anche naturale.
3. Obiettivi della riforma, conseguenze sistematiche e politiche
A ben guardare, non v’è alcuna altra ragione che questa, alla base della riforma costituzionale in commento: se così non fosse, se la trasformazione del pubblico ministero da magistrato a funzionario amministrativo non fosse l’orizzonte (più o meno lontano) di questa proposta, che motivo ci sarebbe di separare le carriere di giudicanti e inquirenti con legge costituzionale? Quale ragione, se non quella citata, per modificare i delicati equilibri che reggono l’attuale assetto costituzionale della funzione requirente? Lo stravolgimento del modello vigente di pubblico ministero è l’elefante nella stanza che molti sostenitori della riforma non vedono o si sforzano di non vedere, forse per non essere costretti ad affrontarne le conseguenze politiche non meno che logico-giuridiche.
Veniamo dunque ad analizzare queste conseguenze: del naturale allontanamento dal principio di obbligatorietà dell’azione penale si è già detto, e mi pare che sia la prima e più importante delle conseguenze giuridiche, peraltro di matrice costituzionale (ciò anche prima e a prescindere dall’ulteriore riforma costituzionale, che sarebbe formalmente necessaria per superare la disposizione di cui all’art. 112 Cost.). Ma sono le conseguenze politiche – per intenderci: quelle che attengono all’equilibrio e alle relazioni tra i poteri e gli apparati dello Stato – che devono preoccupare maggiormente chi abbia a cuore il modello democratico disegnato dalla nostra Carta fondamentale. La riforma della giustizia (che, attenzione alle etichette, è in realtà riforma soltanto della magistratura, a funzionamento e risorse dell’apparato-giustizia invariati) non può infatti essere letta e interpretata per se stessa, ma deve necessariamente leggersi nel più ampio panorama di riforme costituzionali in programma, con particolare riferimento a quella c.d. del “premierato”: in un contesto riformatore in cui l’attuale maggioranza governativa propone di accentrare il potere esecutivo nella persona di un presidente del Consiglio eletto direttamente dal popolo, ancor più non sembra peregrino immaginare concreto il pericolo dell’attrazione delle Procure nella sfera di controllo del Governo, in piena espansione rispetto agli altri poteri dello Stato. E ciò, con l’ulteriore conseguenza – assai probabile perché coerente con il trend politico di cui sopra – dell’allontanamento della magistratura requirente, titolare delle indagini preliminari e dell’esercizio dell’azione penale, dal modello di ispirazione accusatoria che permea il nostro processo penale; e ancora, di un arretramento – complice la vicinanza, più o meno stretta, all’apparato governativo – verso un modello inquisitorio tipico degli Stati autoritari[3], in contrasto persino con uno dei motivi ispiratori dichiarati della riforma (l’evoluzione verso il sistema accusatorio del sistema processuale penale italiano), così come enunciato dalla relazione illustrativa il disegno di legge costituzionale. Non si tratterebbe, certo, di un ritorno al modello inquisitorio “classico”, nel quale il giudice svolgeva funzioni investigative che il nostro ordinamento attuale affida in via esclusiva al pubblico ministero, bensì dell’emergere di un modello nuovo, in cui il magistrato inquirente agisce come strumento del potere politico, secondo finalità proprie di quest’ultimo ed estranee a quelle che invece permeano il nostro attuale sistema penale: in tale contesto, il processo risulterebbe solo formalmente di stampo accusatorio, ma nella sostanza profondamente sbilanciato a favore di un organo d’accusa non più indipendente né imparziale (tenuto, cioè, a sviluppare le indagini acquisendo anche elementi a favore dell’indagato, e il cui obiettivo non è la condanna ma la ricostruzione della verità processuale). Sul punto, giova comunque evidenziare come non esista in realtà un modello accusatorio ideale, cui il nostro sistema processuale dovrebbe tendere e che la riforma in commento dovrebbe finalmente realizzare[4]: l’unico sistema cui far riferimento è quello vigente nel nostro ordinamento, vale a dire un sistema “misto”, nel quale il pubblico ministero e il giudice sono molto ben distinti sul piano funzionale; in un sistema siffatto, non si vede la necessità – giuridica - di distinguere le due figure anche dal punto di vista ordinamentale[5].
4. Snaturamento della funzione requirente e indebolimento delle sue garanzie
L’obiezione che più frequentemente viene opposta alle sopra esposte considerazioni è rappresentata dall’assenza, nel testo della riforma, di qualsiasi riferimento a una possibile transizione del pubblico ministero sotto l’egida dell’esecutivo; e lo stesso ministro proponente si cura di evidenziare più volte (forse troppe?), nella relazione illustrativa, che il disegno di legge lascia immutata la indipendenza della magistratura requirente, fino a dichiarare – in una sorta di excusatio non petita – che “la separazione delle carriere non intende in alcun modo attrarre la magistratura requirente nella sfera di controllo o anche solo di influenza di altri poteri dello Stato, perché anche la magistratura requirente rimane parte dell’ordine autonomo e indipendente, com’è oggi, al pari della magistratura giudicante”[6]. Che il rappresentante del Governo si sia sentito in dovere di tranquillizzare gli interpreti circa il destino del pubblico ministero, non basta certo a sedare le preoccupazioni fin qui espresse; ma al di là di questo, e al di là delle intenzioni dichiarate dai proponenti, deve osservarsi come lo snaturamento della funzione requirente stia proprio nella logica di questa riforma, che come abbiamo detto distrugge il modello unitario di giurisdizione – e lo fa perché è legge di modifica dell’assetto costituzionale della magistratura, e non di mera separazione delle carriere come il titolo vorrebbe far pensare – aprendo la via agli scenari sopra evocati.
Del resto, la preoccupazione circa le conseguenze dell’indebolimento costituzionale delle garanzie del pubblico ministero apparteneva già alle discussioni svolte in seno all’Assemblea Costituente: nella seduta citata all’inizio del presente scritto, alla dichiarazione dell’on. Leone secondo cui sarebbe stato sufficiente dire che il pubblico ministero fa parte della magistratura (senza, quindi, che ne venissero definite le garanzie di autonomia e indipendenza), il Presidente Conti replicava che il problema “sarebbe risolto solo in parte, perché un codice di procedura penale potrà sempre dare delle norme per le quali il pubblico ministero sia agganciato in qualche modo al potere esecutivo”, ricordando altresì che “molti artifici sono stati adoperati per valersi del pubblico ministero secondo il capriccio dei ministri”.
5. L’indebolimento del sistema di check and balances interno all’ordine giudiziario
La lettura del progetto che si sta delineando, viene, a mio avviso, rafforzata dall’introduzione a opera del d.d.l. di un doppio Consiglio Superiore della Magistratura, uno per la magistratura giudicante e uno per la requirente. Con lo sdoppiamento dell’organo costituzionale di autogoverno, accompagnato dall’introduzione del sorteggio come metodo di selezione dei membri togati[7], si otterrebbe, da un lato, un generale indebolimento dell’ordine giudiziario (il che, come già rappresentato, pare essere uno degli obiettivi nemmeno troppo nascosti della riforma), e dall’altro un rafforzamento di quello che è stato autorevolmente definito «un corpo separato e autoreferenziale di accusatori, sempre più astretti a un vincolo di risultato, la condanna, lontani dall’idea dell’imparziale applicazione della legge, che si addice invece a un organo di giustizia immerso totalmente nella cultura della giurisdizione»[8] . L’allontanamento del pubblico ministero dalla giurisdizione porterebbe insomma la magistratura requirente, che a quel punto sarebbe svincolata dal contrappeso di quella giudicante anche sul piano dell’autogoverno, a espandere in modo incontrollato il proprio potere d’accusa, in tal modo facendo sorgere la necessità di ricondurla nell’alveo di una responsabilità politica, il che può realizzarsi attraverso due strade: l’elezione dei rappresentanti la pubblica accusa da parte dei cittadini (modalità del tutto estranea al nostro sistema ordinamentale, e di improbabile realizzazione), o la riconduzione del “corpo” requirente sotto il controllo del ministro della Giustizia, quindi sotto l’egida del potere esecutivo.
6. Scenari futuri
Le prospettive qui tratteggiate sono certamente a lungo termine, e quelli descritti non saranno effetti immediati della riforma; e tuttavia, quando si mette mano ai cardini dell’impianto costituzionale, modificando l’assetto di uno dei tre poteri dello Stato, occorre ragionare tenendo lo sguardo sugli orizzonti lontani – lontani, ma già perfettamente visibili - non limitandosi alla visione miope dei dettagli vicini. E guardando lontano, appare chiaro all’interprete che, se la riforma costituzionale entrasse in vigore, il destino del pubblico ministero sarebbe di divenire organo dell’esecutivo, con un inaccettabile ritorno al passato: è, infatti, sufficiente qui ricordare che la figura vigente di pubblico ministero è stata scelta dai Costituenti per evitare che le funzioni requirenti potessero essere piegate alle volontà dei futuri governi, come era sistematicamente accaduto con il governo allora appena passato[9]. Da pubblico ministero, e da cittadina della Repubblica, l’orizzonte mi appare insomma denso di nubi.
[1]Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Seconda Sottocommissione, Resoconto sommario della seduta antimeridiana di venerdì 10 gennaio 1947, in Atti dell’Assemblea Costituente, www.camera.it.
[2] Il riferimento è alla proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare n. 4723, presentata il 31 ottobre 2017 dall’Unione delle Camere Penali, e ripresentata nel corso della XVIII Legislatura (Atto Camera n. 14), www.camera.it.
[3]S. Bartole, La separazione delle carriere, Lettera AIC, in Rivista AIC, 10/2024.
[4]M. Gialuz, Otto proposizioni critiche sulle proposte di separazione delle magistrature requirente e giudicante, in Sistema Penale, 9/2024.
[5]Il modello a cui guardano i fautori della riforma è, in realtà, quello statunitense, nel quale tuttavia il pubblico ministero ha un potere tale, che la giustizia penale si presenta come antiprocedura : un sistema in cui il processo è del tutto residuale rispetto al plea bargaining, la giustizia negoziata tra le parti, in cui evidentemente l’avvocato dell’accusa (che rappresenta l’interesse pubblico all’azione penale) ha un peso “contrattuale” di gran lunga maggiore rispetto alla sua controparte privata. La riforma costituzionale in commento non risolve (e sembra, anzi, favorire) questo trend dell’aumento di potere dell’accusa. Cfr., sul sistema penale statunitense, V. Fanchiotti, La giustizia penale statunitense. Procedure v. Antiprocedure, Giappichelli, Torino, 2022.
[6] Relazione illustrativa al disegno di legge costituzionale n. 1917, presentato il 13 giugno 2024 alla Camera dei Deputati, www.camera.it.
[7] Sul punto, cfr. M. Romanelli, La separazione delle carriere, tra ragioni apparenti e ragioni reali. I perché di un no, in Sistema Penale, 20 febbraio 2025, secondo il quale «il sorteggio esprime valori diversi da quelli propri della democrazia costituzionale e il CSM diventa a maggior ragione mero organo di amministrazione/gestione in senso stretto, non più l’organo costituzionale preposto alla tutela dell’autonomia e indipendenza della magistratura, come è fatto proprio dall’art. 104 Cost.».
[8] G. Silvestri, Memoria relativa all’audizione informale dinanzi all’Ufficio di Presidenza della Commissione Affari Costituzionali del Senato, avente a oggetto i d.d.l. nn. 1353 e 504 (Ordinamento Giudiziario e Corte Costituzionale), 25 febbraio 2025, www.senato.it.
[9]V. anche M. Barcellona, La riforma della magistratura, il potere e la democrazia, in Questione Giustizia, 18 marzo 2025, per quanto riguarda lo scontro ideologico tra i diversi modi di concepire la giurisdizione «come esercizio di un potere indipendente e alternativo o […] una giurisdizione qual è definita dall’art. 101 Cost., ossia una funzione esercitata nel nome del popolo e per il popolo, per garantire i diritti e le libertà a esso conferiti dalle leggi contro gli abusi e le sopraffazioni del potere, pubblico o privato che esso sia».
Immagine: Giovan Francesco Barbieri detto Guercino e bottega, Allegorie della Giustizia e della Pace, Prima metà del XVII sec., olio su tela, Padova, Museo d’Arte Medievale e Moderna (Musei Civici agli Eremitani).