ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
La rivista Giustizia Insieme esprime forte condanna circa l’estrema gravità delle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario da parte del Governo di Israele nei confronti del popolo palestinese, degli abitanti della Striscia di Gaza e della Cisgiordania.
Giustizia Insieme sostiene le ragioni del cessate il fuoco e della fine di tutti i crimini commessi a danno della popolazione palestinese, unendosi a tutte le manifestazioni di solidarietà nazionali e internazionali che condannano lo sterminio della popolazione civile, richiamando il rispetto dei diritti umani all’esistenza, a una vita dignitosa, a un’adeguata alimentazione, alle cure sanitarie, all’istruzione.
Giustizia Insieme ribadisce il principio costituzionale del rifiuto della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali.
Tenendo a mente le ordinanze della Corte internazionale di giustizia del 26 gennaio, 28 marzo e 24 maggio 2024, nelle quali la Corte indica a Israele di «take all measures within its power to prevent the commission of all acts within the scope of Article II of [the Genocide] Convention» e «take all measures within its power to prevent and punish the direct and public incitement to commit genocide in relation to members of the Palestinian group in the Gaza Strip», ravvisiamo come necessità urgenti e inderogabili:
- la cessazione immediata delle ostilità e un cessate il fuoco duraturo, anche per garantire la liberazione di tutti gli ostaggi;
- la riapertura sicura e stabile dei corridoi umanitari;
- il pieno ripristino e il rispetto del diritto internazionale umanitario e delle deliberazioni ONU;
- l’impegno dei governi coinvolti a intraprendere, con determinazione, la via diplomatica per una pace giusta e permanente, che porti alla fine della colonizzazione, alla liberazione e autodeterminazione del popolo palestinese e al riconoscimento dello Stato palestinese;
- il sostegno morale e politico agli obiettori di coscienza, renitenti alla leva, disertori, attivisti nonviolenti israeliani e palestinesi che rifiutano ogni complicità, da ambo i lati, al massacro e all’occupazione.
Nei prossimi giorni da diversi porti del Mediterraneo salperanno decine di barche appartenenti alla Global Sumud Flotilla. Si tratta di una coalizione pacifista di attiviste e attivisti provenienti da oltre quaranta paesi del mondo, centinaia di persone a bordo di queste barche con l’obiettivo di rompere l’isolamento umano e materiale della popolazione di Gaza. La più grande iniziativa indipendente organizzata finora per cercare di portare aiuti umanitari ai civili della Striscia di Gaza e rompere l’assedio navale che Israele ha imposto sulla Striscia.
Una missione umanitaria e nonviolenta.
L’idea è proprio attraccare a Gaza, per consegnare alla popolazione gli aiuti umanitari che le imbarcazioni trasportano e per creare un corridoio umanitario che consenta di rifornire la popolazione di beni di prima necessità.
Un obiettivo materialmente quasi impossibile, poiché, come è noto, l’esercito israeliano non consente a nessuna imbarcazione nemmeno di avvicinarsi alle coste della Striscia.
Come ha ricordato lo storico Alessandro Barbero, “sumud” è parola araba che indica “la capacità di resistenza, di sopportare tutto davanti alle avversità”. Guardare con speranza alla missione umanitaria della Global Sumud Flotilla - ha ricordato ancora lo storico - è sperare di portare a Gaza un po’ di dignità.
Le prime imbarcazioni partiranno dai porti di Genova e Barcellona nella mattina di oggi 31 agosto.
Per Giustizia Insieme a Barcellona c'è la dottoressa Alice Bazzichelli, che seguirà per noi i lavori della Global Sumud Flotilla.
Immaginiamo una stanza, fuori dal Tribunale. Molto diversa dalla solita struttura architettonica di questi luoghi: semplice e sguarnita, senza simboli celebrativi, come la dea bendata, la spada e la bilancia.
Due persone siedono ai lati di un tavolo: tra loro, non solo divergenze, ma storie interrotte, emozioni ferite, il peso di parole mai dette. In mezzo, silenzioso e attento, c’è il mediatore. Non un giudice, non un arbitro, ma un architetto invisibile di ponti, un restauratore di legami spezzati.
È qui che comincia la vera rivoluzione della giustizia, che oggi, grazie alle recenti riforme, scorge nella mediazione non più un semplice ingranaggio burocratico, ma una filosofia di vita, un nuovo modo di pensare al conflitto. La mediazione non è più solo un’alternativa al tribunale: è il luogo dove il dissenso si trasforma in crescita, dove la riparazione non riguarda solo oggetti, ma anime e relazioni.
Ma cos’è davvero la mediazione, e perché dovrebbe importarci? Non è una tecnica fredda, né tantomeno una scorciatoia per concludere in fretta e deflazionare il contenzioso giudiziario. È un percorso dove l’ascolto profondo e il rispetto diventano strumenti di trasformazione. Qui il conflitto viene accolto, non respinto; le differenze tra punti di vista e posizioni non sono scarti, ma risorse preziose per crescere insieme.
Chi fa da guida in questo viaggio? Il mediatore è presenza discreta, capace di muoversi tra le emozioni senza restarne travolto, pronto a illuminare le parti di luce che ognuno porta con sé e a contenere quelle d’ombra. Nel suo lavoro si intrecciano etica, umanità e una formazione che non si esaurisce mai. Dietro ogni mediazione riuscita c’è un professionista che ha imparato a coltivare il benessere personale e a custodire la resilienza, a conoscere i propri limiti e le proprie qualità, come artigiano che, giorno dopo giorno, affina la propria arte.
E le pratiche scorrette, le mediazioni svuotate che diventano solo scambi di denaro o accordi superficiali? Sono rischi reali, certo. Ma per chi abbraccia davvero questa strada, la vigilanza sulla qualità e la cura della relazione diventano principi imprescindibili. Come la società può trarre beneficio da questa rivoluzione silenziosa? Una mediazione integrata nella cultura scolastica, nella formazione di avvocati e cittadini, aprono le porte a una convivenza più consapevole, a una cittadinanza attiva che fa del dialogo e della riparazione le sue fondamenta.
C’è una metafora potente per tutto questo: il kintsugi, l’antica arte giapponese di riparare le ceramiche rotte con oro. Le crepe non vengono nascoste, ma decorate, rendendo l’oggetto unico e più prezioso di prima. Così la mediazione: trasforma le ferite in valore, le imperfezioni in punti di forza, ricucendo insieme ciò che sembrava irrimediabilmente perduto.
Se dovessi scegliere cosa portare con me da questo viaggio nel mondo della mediazione, sarebbe proprio questa certezza: ogni conflitto, se accolto e attraversato con rispetto e competenza, può diventare oro puro. Non è solo una promessa di giustizia migliore, ma anche il segreto per una società più umana e resiliente.
Forse tutti noi, la prossima volta che la vita ci metterà personalmente di fronte a una rottura, potremmo scoprire che – proprio lì, dove tutto sembra perduto – inizia la vera possibilità di rinascita. E la mediazione, con la sua sapienza antica e il suo sguardo nuovo, sarà pronta ad accompagnarci oltre la crepa, dove la luce entra e il valore si rivela.
La mediazione, infatti, non è solo un processo di risoluzione dei conflitti, ma un vero e proprio viaggio interiore. Ogni incontro di mediazione è un'opportunità per esplorare le profondità delle emozioni umane, per comprendere le radici dei conflitti e per trovare soluzioni che vadano oltre la semplice risoluzione delle controversie.
È un percorso di autoformazione alla vita che richiede coraggio, apertura mentale e una profonda empatia.
Il mediatore, in questo contesto, assume il ruolo di guida esperta, capace di navigare tra le complessità delle relazioni umane. La sua presenza è fondamentale per creare un ambiente sicuro e accogliente, dove le parti possono esprimere liberamente le proprie emozioni e i propri bisogni. La sua abilità nel facilitare il dialogo e nel promuovere la comprensione reciproca è ciò che rende possibile la trasformazione del conflitto in un'opportunità di crescita.
Inoltre, la mediazione offre un'alternativa preziosa ai tradizionali metodi di risoluzione dei conflitti, come il contenzioso legale. Mentre i tribunali si concentrano sulla determinazione della colpa e sulla punizione, la mediazione si concentra sulla riparazione delle relazioni e sulla costruzione di soluzioni sostenibili. Questo approccio non solo riduce il carico di lavoro dei tribunali, ma promuove anche una cultura di pace e di collaborazione.
La formazione dei mediatori è un aspetto cruciale di questo processo. Un mediatore efficace deve possedere una combinazione di competenze tecniche e qualità personali. Deve essere in grado di ascoltare attivamente, di comunicare in modo chiaro e di gestire le dinamiche emotive complesse. Inoltre, deve essere impegnato in un continuo processo di crescita personale e professionale, per affinare le proprie abilità e per mantenere un alto standard di etica e di integrità.
Infine, è importante riconoscere che la mediazione non è una soluzione magica per tutti i conflitti. Ci sono situazioni in cui il contenzioso legale può essere necessario, e ci sono persone che potrebbero non essere pronte o disposte a partecipare a un processo di mediazione. Tuttavia, per coloro che sono aperti a questa possibilità, la mediazione offre un percorso di trasformazione profonda, che può portare a una risoluzione più soddisfacente e duratura dei conflitti.
In conclusione, la mediazione rappresenta una rivoluzione silenziosa nel campo della giustizia. È un approccio che valorizza le relazioni umane, che promuove la comprensione reciproca e che offre soluzioni sostenibili ai conflitti. È un percorso che richiede impegno, empatia e una profonda comprensione delle dinamiche umane. Ma per coloro che sono disposti a intraprendere questo viaggio, la ricompensa è inestimabile: la possibilità di trasformare i conflitti in opportunità di crescita e di costruire una società più giusta e resiliente.
Immagine: Trionfo di Galatea (1511 circa). Affresco, 295 x 224 cm. Villa Farnesina, Roma.
Sommario: 1. Introduzione - 2. Genesi e ratio del consenso informato - 3. Il consenso informato in ambito scolastico - 4. Conclusioni.
1. Introduzione
Il mondo contemporaneo risente di tensioni e distorsioni culturali che sempre più gravemente influiscono sull’essere umano, specialmente nelle sue fasi di maggiore fragilità e vulnerabilità come il periodo degli anni di istruzione ed educazione che fin dalla più giovane età esigono invece razionalità, responsabilità e autenticità intellettuale, spirituale e umana.
Tutti i tentativi, che sempre più si moltiplicano, volti ad incidere sulla crescita e sullo sviluppo della gioventù non secondo una piena maturazione della consapevolezza integrale dell’umano, ma secondo paradigmi ideologici che tendono a riscrivere, per esempio secondo i canoni del transumano, la normatività naturale e la struttura antropologica fondamentale assurgono a momento critico e problematico di quel delicato comparto della pubblica amministrazione e della vita sociale che è rappresentata dall’esperienza scolastica.
In tal senso occorre prendere atto della distinzione strutturale tra un sistema di istruzione di uno Stato di diritto democratico e quello dei regimi totalitari che in passato hanno caratterizzato la tragica esperienza del XX secolo.
Nei regimi totalitari, proprio perché totalizzanti, cioè in grado di pervadere ogni aspetto della vita umana e di assorbire l’individuo all’interno del meccanismo sociale totalitario, il sistema di istruzione non era destinato a fornire quegli elementi conoscitivi necessari per la crescita integrale dell’essere umano, ma tutte le energie erano destinate a plasmare “l’uomo nuovo” che fosse obbediente e funzionale al regime totalitario medesimo e, dunque, alle sue finalità più o meno recondite e più o meno anti-umane.
Per ottenere questa finalità ogni regime totalitario novecentesco ha dovuto marginalizzare ed escludere il naturale ruolo educativo della famiglia ed avocare su di sé in modo esclusivo il compito di indottrinare le giovani generazioni al precipuo fine di piegarle ai propri stessi dettami ideologici.[1]
In uno Stato di diritto democratico, invece, bisogna tenere sempre ben presente la consapevolezza della distinzione tra cultura e nozionismo, tra istruzione e indottrinamento, tra verità e ideologia, tra ciò che consente un reale sviluppo intellettuale e spirituale del discente e ciò che, invece, ne potrebbe impedire la formazione nel senso più autentico e umano.
2. Genesi e ratio del consenso informato
Il diritto al consenso informato nasce, come risaputo, nell’alveo della medicina, specialmente dopo le tragiche esperienze del XX secolo in cui il regime nazionalsocialista aveva intrapreso un vasto programma di sperimentazione sugli esseri umani senza e perfino contro il loro consenso,[2] ponendo, dunque, le basi per il confezionamento di tutte quelle normative internazionali poste a tutela dell’umano, che sono giustamente fiorite subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale, come il Codice di Norimberga, la Convenzione di Oviedo, la Convenzione di Helsinki, le quali tutte hanno sostanzialmente sancito il principio per cui la ricerca bio-medica e la somministrazione farmaceutica devono sempre essere condotte rispettando la dignità umana e il consenso libero e consapevole dei soggetti che vi si sottopongono.
Il problema, tuttavia, non si è certamente esaurito con la fine del totalitarismo nazionalsocialista, essendosi registrati numerosi casi – nel cinquantennio del dopoguerra – in cui il principio del libero e consapevole consenso è stato ampiamente violato anche in contesti democratici,[3] a riprova che i diritti della persona e la sua dignità possono sempre e ovunque essere violati.
Nonostante ciò, non si può fare a meno di osservare come il riconoscimento del consenso informato nell’ambito della ricerca scientifica e delle applicazioni biomediche e farmaceutiche rappresenti un momento fondamentale dell’affermazione del principio personalistico che si propone come criterio etico guida a cavallo tra il mondo della scienza e quello del diritto.
Il consenso informato, del resto, ha segnato il superamento proprio di quelle pervasive tendenze, tipiche del paternalismo medico,[4] per le quali si doveva considerare l’essere umano come oggetto di ricerca, a favore del modello etico relazionale dell’alleanza terapeutica in cui invece sia il medico che il paziente sono pienamente riconosciuti come soggetti liberi e responsabili.
Le stesse modifiche legislative intervenute nel corso del tempo hanno sempre maggiormente rafforzato la centralità etica e giuridica del consenso informato, come testimonia quella parte della legge n. 219/2017 che di ciò si occupa, e che non a caso già da tempo è stato definito dalla Corte Costituzionale come diritto fondamentale costituzionalmente garantito in quanto sintesi di altri due diritti costituzionali quali il diritto alla libertà personale e quello alla salute.[5]
Il consenso informato, in sostanza, è esso stesso un diritto fondamentale inderogabile poiché non soltanto catalizza una migliore attuazione di altri diritti costituzionali, ma poiché la sua ratio iuris più intima consiste nell’impossibilità di reificare l’essere umano in ossequio al principio personalistico che informa non soltanto l’intera architettura costituzionale italiana, come ricordato più volte dalla stessa Consulta,[6] ma anche e soprattutto l’intera esperienza giuridica.
3. Il consenso informato in ambito scolastico
Nell’ambito scolastico il consenso informato è strettamente legato con il superiore tema della libertà di insegnamento e apprendimento che trova nell’articolo 33 della Costituzione il suo specifico fondamento.
In tal senso, infatti, si sono mosse le passate novelle legislative, come l’introduzione della legge n. 153/1969, che ha riconosciuto il diritto dei genitori di scegliere l’educazione dei propri figli con la possibilità di frequentare istituzioni scolastiche non statali, e la legge n. 62/2000 che ha equiparato le scuole non statali a quelle statali rafforzando la libertà di scelta dei genitori.
La norma che, tuttavia, più di altre risulta essere centrale è senza dubbio l’articolo 30 della Costituzione italiana il quale sancisce il dovere e diritto dei genitori di educare e istruire i figli.
Da quest’ultima disposizione costituzionale si evincono almeno tre dati imprescindibili che suggeriscono l’opportunità di disciplinare in modo espresso e sistematico tale materia.
In primo luogo, la stessa Costituzione affida all’educazione statale un ruolo sussidiario rispetto all’educazione famigliare, comportando ciò una incomprimibilità della libertà di scelta educativa che spetta alla famiglia rispetto a tutte le altre valutazioni di ordine pubblico e statale.
In secondo luogo, la stessa Costituzione riconosce una gerarchizzazione implicita tra educazione e istruzione, anteponendo la prima alla seconda, poiché contempla la prima nell’articolo 30 e la seconda nell’articolo 34, riconoscendo così alla prima una priorità e una superiorità non soltanto di ordine quantitativo, cioè inerente alla quantità di conoscenza che i figli possono apprendere, ma anche e soprattutto di ordine qualitativo, poiché l’educazione è ben più dell’istruzione, essendo cioè la crescita morale e umana dell’individuo ben al di là delle mere nozioni specifiche che si possono apprendere nel corso della vita scolastica.
In terzo e ultimo luogo, e questo è probabilmente il punto più delicato e rilevante, l’articolo 30 della Costituzione precisa in modo esplicito che quello ricadente sui genitori in merito all’educazione dei figli è prima un dovere e soltanto dopo un diritto.
La figura del dovere comporta da un lato l’inderogabilità e la creazione di un vincolo che obbliga tutti e da cui nessuno può sollevare o esimere, ma anche e soprattutto, come ha insegnato Immanuel Kant, che si agisce all’interno di un orizzonte di bene morale oggettivo e razionalmente esperibile che si traduce in una volontà buona.[7]
Tutto ciò significa che prima dello Stato sono i genitori a conoscere il vero bene per l’educazione dei figli e che proprio per questo a loro spetta il godimento della massima libertà dei tempi, dei modi e degli strumenti per assicurare che l’educazione dei figli sia corrispondente non tanto e non solo ai propri convincimenti soggettivi, ma al bene oggettivo della prole che deve essere educata e istruita.
L’introduzione di un consenso informato e perfino dell’eventuale esenzione dalla frequenza di corsi o percorsi formativi scolastici su temi attinenti all’ambito della sessualità che dai genitori sono reputati in contrasto con il bene educativo oggettivo dei propri figli, dunque, rappresenterebbe l’attuazione concreta e completa di istanze costituzionali e di principi generali della logica costitutiva dello Stato di diritto democratico.
Con tutta evidenza non ci si ritrova in quella selva di confusione teoretica costituita dalla odierna moda della moltiplicazione dei cosiddetti “nuovi diritti” da cui trova scaturigine l’incresciosa e inarrestabile inflazione del valore del diritto oggi così diffusa,[8] ma si tratta della migliore modulazione della tutela della persona attraverso un rafforzamento delle garanzie poste a salvaguardia del cosiddetto “foro interno” dei genitori e, quindi, anche della loro prole.
L’ampia griglia di carte e convenzioni internazionali che espressamente contemplano l’esigenza di tutelare una tale libertà in capo ai genitori, del resto, offre un ulteriore sostegno sulla legittimità e opportunità di una simile iniziativa legislativa.
Così, per esempio, l’articolo 2 del Protocollo 1 della CEDU e l’articolo 14 della stessa CEDU riconoscono la libertà dei genitori di educare i propri figli in adesione ai propri convincimenti filosofico-religiosi; l’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dell’ONU del 1948 sancisce che i genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai propri figli; la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo del 1989, infine, riconosce il diritto dei genitori di guidare l’educazione dei figli.
A tal fine come nell’ambito medico-sanitario il consenso informato – secondo i consolidati indirizzi della giurisprudenza costituzionale più sopra richiamata – è la sintesi dei diritti tutelati dall’articolo 13 in tema di libertà personale e dall’articolo 32 in tema di diritto alla salute, così il consenso informato in ambito scolastico non può che apparire come la sintesi del predetto diritto di libertà ex articolo 13 Cost. e del dovere/diritto sancito dall’articolo 30 della Costituzione medesima.
I genitori, dunque, devono essere informati sui tipi di corsi legati alla sessualità, poiché essa non soltanto rappresenta un tema fondamentale della crescita personale dell’individuo che deve imparare a conoscere la propria dimensione corporea, ma poiché proprio su questo tema oggi si stanno registrando le più drammatiche pagine della profonda lacerazione antropologica occidentale che si traduce, infatti, in una radicale negazione della naturale identità sessuata umana, in favore di una sua presunta molteplice declinazione culturale la quale, tuttavia, è ben poco scientifica e fin troppo ideologica,[9] come comprova – ex plurimis – la recentissima sentenza del caso For Women Scotland Ltd vs The Scottish Ministers dello scorso 16 aprile 2025 con cui si è correttamente sancita la corrispondenza dell’essere uomo o donna con il sesso biologico e non con altre costruzioni del tutto astratte dalla realtà.
Proprio sull’affermazione della libertà educativa, del resto, anche la Corte Suprema degli Stati Uniti, nel recentissimo caso Mahmoud vs Taylor del 27 giugno 2025 ha riconosciuto l’illegittimità costituzionale della legge scolastica del Maryland che non consentiva ai genitori di esentare i propri figli dalla frequenza di corsi sulla sessualità in cui venivano utilizzati testi contrari al credo religioso delle famiglie.
Nell’epoca dell’esaltazione dell’autodeterminazione soggettiva, del resto, non si comprende la ragione per cui dopo essere stata riconosciuta l’autodeterminazione procreativa, o ancora quella terapeutica, o quella eutanasica, non possa e non debba altresì essere riconosciuta l’autodeterminazione educativa che peraltro trova ben più ampio fondamento normativo e di principio rispetto alle predette forme di decisioni individuali.
L’idea, peraltro, che i corsi scolastici sulla sessualità consentano di porre le basi per contrastare gli speciosi e sempre più drammaticamente diffusi fenomeni dei femminicidi, della violenza domestica, dei maltrattamenti su minori e di altri tragici analoghi misfatti, non soltanto non è idonea a sopprimere una libertà e un dovere che per Costituzione sono riconosciuti in capo ai genitori, ma peraltro è anch’essa in contrasto con il dato di realtà.
Come ha osservato già da tempo Luca Ricolfi, infatti, occorre prendere atto del cosiddetto “paradosso nordico”, cioè quello per cui proprio nei Paesi del nord Europa come Svezia, Danimarca e Finlandia in cui da decenni si effettuano corsi di sessualità e affettività si registra il maggior incremento della violenza contro le donne.
Il problema, dunque, non è risolvibile con i corsi sulla sessualità o con un espansionismo illimitato della sfera penale, ma si tratta di un problema di ordine culturale e antropologico ben più ampio, poiché all’interno della cultura materialistica ed edonistica odierna, come giustamente evidenziato da Mauro Ronco, «invece di un pacifico benessere materiale e di una serena accondiscendenza alle regole del vivere civile è inaspettatamente comparsa una società violenta in cui la donna, liberata completamente dai vincoli della moralità sessuale tradizionale e della sua vocazione di madre, è diventata la vittima sacrificale della prevaricazione fisica e psicologica di quanti le stanno intorno, non per rispettare la sua libertà, ma per approfittare della sua eventuale fragilità».[10]
Il consenso informato in ambito scolastico, dunque, non può che garantire la tutela del minore da parte di tutti quegli insegnamenti che vengono ritenuti scientifici, ma che invece tali non sono e che si limitano ad essere soltanto un vero e proprio camouflage di istanze ideologiche che mirano al sovvertimento del dato di realtà, poiché come ha chiosato Aleksandr Zinov’ev, il più delle volte, «l’ideologia non brama altro che presentarsi in abiti scientifici».[11]
4. Conclusioni
Nell’epoca in cui si registra un acuirsi della divisione antropologica che oramai da decenni consuma la civiltà occidentale,[12] e nell’epoca in cui la scienza viene piegata alle esigenze politiche,[13] nonché alle istanze ideologico o agli interessi economici,[14] occorre sempre vigilare, specialmente nel campo dell’educazione e dell’istruzione, e quindi proprio a beneficio dei diritti delle nuove generazioni, che non intervengano corsi scolastici i quali non sono gestiti da educatori e formatori come tali interessati al bene reale e integrale dei giovani esseri umani consegnati alle loro cure, ma da veri e propri pericolosi “ingegneri di anime”.[15]
Contro tali rischi, e contro le derive totalitarie degli attuali sistemi liberali,[16] i genitori devono poter esercitare la propria libertà educativa che prende le mosse esattamente dalla consapevolezza circa i corsi proposti ai propri figli durante gli anni della frequenza scolastica.
In quest’ottica i genitori devono poter selezionare l’offerta formativa proposta ai propri figli, decidendo cosa può essere inutile, o peggio, dannoso per la loro crescita intellettuale e morale che li conduca ad essere e realizzare pienamente la propria umanità.
Si può ritenere, dunque, che non si può immaginare una libertà educativa senza una società sostanzialmente umana e democratica, come, soprattutto, non si può teorizzare una società umana e democratica senza una compiuta libertà educativa.
Del resto, in conclusione, il più importante esponente del pensiero umanista come Erasmo da Rotterdam, che larga parte delle proprie fatiche ha speso per ipotizzare sistemi pedagogici realmente rispettosi della dignità umana, oggi tuttavia fin troppo spesso dimenticato, già nel 1530 così ha avuto modo di scrivere: «La maggior parte degli uomini sbagliano qui in tre modi: o trascurano del tutto l’educazione dei figli; o cominciano tardi a modellarne gli animi secondo la norma etica; o li affidano a maestri da cui imparano cose da disimparare[…]. Una volta scelto il maestro, i genitori non saranno nel frattempo meno attenti e solleciti. Sorveglieranno maestro e figlio insieme e non deporranno questa responsabilità».[17]
Il presente testo costituisce la rielaborazione dell’Audizione tenuta dall’autore presso la VII Commissione Cultura Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati in data 1° luglio 2025 sul Disegno di Legge A.C. 2423 recante disposizioni in tema di consenso informato in ambito scolastico.
[1] Cfr. Aldo Rocco Vitale, Introduzione alla bioetica. Temi e problemi attuali, Il Cerchio, Rimini, 2019, pag. 58-59.
[2] Richard Overy, Interrogatori. Come gli Alleati hanno scoperto la terribile realtà del Terzo Reich, Mondadori, Milano, 2002; Luciano Sterpellone, Le cavie dei lager. Gli esperimenti medici delle SS, Mursia, Milano, 1978; Robert Jay Lifton, I medici nazisti, Bur, Milano, 2002.
[3] Andrew Goliszek, In the name of science. A history of secret programs, medical research, and human experimetation, St. Martin’s Press, New York, 2003. Cfr. altresì Aldo Rocco Vitale, All’ombra del Covid-19. Guida critica e biogiuridica alla tragedia della pandemia, Il Cerchio, Rimini, 2022, pag. 233-240.
[4] «Il paternalismo indica la concezione etica che prescrive di agire, o di omettere di agire, per il bene di una persona senza il suo assenso»: Piergiorgio Donatelli, voce “Paternalismo”, in Eugenio Lecaldano, Dizionario di bioetica, Laterza, Bari, 2007, pag. 212; cfr. inoltre: AA.VV., Respect for autonomy and medical paternalism reconsidered, in Theoretical Medicine, 6/1985; AA.VV., Four models of the physician-patient relationship, in Journal of American Medical Association, 16/1992; Raanan Gillon, Paternalism and medical ethics, in “British Medical Journal”, 29 giugno 1985.
[5] «Funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all'art. 32, secondo comma, della Costituzione»: C. Cost. n. 438/2008.
[6] Ex plurimis cfr: C. Cost. n. 1146/1988; C. Cost. n. 13/1994; C. Cost. n. 223/1996.
[7] «Il concetto del dovere […] contiene quello di una volontà buona»: Immanuel Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Bur, Milano, 1995, pag. 91.
[8] Aldo Rocco Vitale, Dal sorgere dei diritti al tramonto del diritto, in Archivio Giuridico, 2/2024.
[9] Aldo Rocco Vitale, Gender. Questo sconosciuto, Fede&Cultura, Verona, 2016.
[10] Mauro Ronco, L’oscillazione tra l’abolizionismo e l’espansione incongrua del diritto penale, in L’ircocervo, 2/2024, pag. 180.
[11] Aleksandr Zinov’ev, Cime abissali, Adelphi, Milano, 2015, pag. 265.
[12] Aldo Rocco Vitale, L’Occidente diviso e i due modelli antropologici, in Centro Studi Livatino, 6 febbraio 2025.
[13] Roger Pielke Jr., Scienza e politica. La lotta per il consenso, Laterza, Bari, 2005.
[14] «Nell’attuale situazione l’attività scientifica è sempre più spesso subordinata a interessi politici e le conseguenze si vedono: la corruzione dilaga e non c’è abbastanza trasparenza»: Richard Feynman, Il senso delle cose, Adelphi, Milano, 1999, pag. 113
[15] Frank Westerman, Ingegneri di anime, Iperborea, Milano, 2020.
[16] Ryszard Legutko, The demon in democracy. Totalitarian temptations in free societies, Encounter Cooks, New York-London, 2018.
[17] Erasmo da Rotterdam, Per una libera educazione, Bur, Milano, 2004, pag. 24-26.
Immagine: Thomas Brooks, Il nuovo studente, 1854
In un contesto politico altamente polarizzato, segnato da gravi tensioni tra Governo e magistratura, il Governo di Spagna ha intrapreso un ambizioso quanto controverso processo di riforma del sistema giudiziario spagnolo. Questo contributo analizza criticamente tre iniziative legislative che sollevano forti interrogativi sotto il profilo costituzionale: la limitazione dell’azione popolare nei procedimenti penali, la riforma dello Statuto Organico del Pubblico Ministero e la trasformazione del sistema di accesso alla magistratura e alla procura. L’articolo mette in luce come, pur partendo da diagnosi condivisibili – abuso della azione popolare, deficit di indipendenza della Procura, rigidità e diseguaglianze nei concorsi – le soluzioni proposte manchino del necessario consenso politico e tecnico, suscitando una diffusa opposizione nella comunità giuridica. Si sostiene che le riforme rischiano di compromettere i principi di indipendenza, merito e imparzialità che reggono lo Stato di diritto.
Sommario: 1. Introduzione: un contesto turbolento per la riforma della Giustizia – 2. Una revisione critica delle riforme della Giustizia proposte dal Governo spagnolo – 2.1. La snaturazione dell’azione popolare e la Proposta di Legge Organica di garanzia e protezione dei diritti fondamentali contro le molestie derivanti da azioni giudiziarie abusive – 2.2. Lo Statuto Organico del Pubblico Ministero e l’istruzione penale: una “indipendenza” insufficiente della Procura – 2.3. L’accesso alla carriera giudiziaria e alla procura: un problema di merito e una preoccupazione per l’indipendenza giudiziaria – 3. Conclusioni.
1. Introduzione: un contesto turbolento per la riforma della Giustizia
Nel corso dell'attuale legislatura, il Governo spagnolo ha avviato diverse riforme significative nell'ambito della giustizia, in un contesto politico e istituzionale segnato dalla polarizzazione e dalla reciproca sfiducia tra i poteri dello Stato. Va evidenziato che il primo problema irrisolto era il blocco nel rinnovo del Consiglio Generale del Potere Giudiziario (CGPJ), il cui mandato è terminato nel dicembre 2018 e non è stato rinnovato fino a quando PP e PSOE hanno raggiunto un accordo nel giugno 2024[1]. Questa situazione non solo stava minando la fiducia nella giustizia, ma aveva anche portato alcuni tribunali, in particolare il Tribunale Supremo[2], in una condizione di estrema precarietà, dato che, con la riforma introdotta dalla LO 4/2021 del 29 marzo, la cui costituzionalità è stata confermata dalla STC 15/2024 del 30 gennaio, si era limitata la facoltà del Consiglio in regime di prorogatio di effettuare nomine discrezionali per rinnovare i posti vacanti nelle alte corti e nelle cariche governative.
Come conseguenza dell’accordo per il rinnovo del CGPJ, è stata approvata la LO 3/2024 del 2 agosto, che ha introdotto modifiche alla Ley Orgánica del Poder Judicial (LOPJ) e allo Statuto Organico del Ministerio Pubblico (EOMF). L’accordo più rilevante ha previsto che il nuovo CGPJ elabori “una relazione per esaminare i sistemi europei di elezione dei membri dei Consigli della Magistratura analoghi al Consiglio spagnolo e una proposta di riforma del sistema di elezione dei membri designati tra i giudici, approvata con una maggioranza di tre quinti dei suoi componenti, conformemente a quanto disposto all’articolo 122 della Costituzione, che ne garantisca l’indipendenza e che, con la partecipazione diretta dei giudici che si stabilirà, possa essere valutata positivamente nel rapporto sullo Stato di diritto della Commissione Europea”. Il Consiglio ha adempiuto parzialmente a tale mandato, approvando la relazione nei termini previsti, che però contiene due proposte contrapposte: una che mantiene la partecipazione parlamentare nell’elezione dei venti membri (otto laici e dodici togati) e un’altra che affida l’elezione dei membri giudiziari unicamente ai giudici in servizio[3]. La Commissione Europea, nel suo ultimo rapporto sullo Stato di diritto in Spagna, ha ribadito la necessità che i membri giudiziari siano eletti dai propri pari[4].
Inoltre, il Governo ha promosso una riforma rilevante con la LO 1/2025 del 2 gennaio, contenente misure in materia di efficienza del Servizio Pubblico della Giustizia, che introduce cambiamenti significativi nell’organizzazione e funzionamento della giurisdizione spagnola. Resta da vedere se riuscirà ad affrontare il problema dei ritardi nei procedimenti giudiziari, tra le altre questioni.
Per di più, seguendo le raccomandazioni della Commissione Europea, rimangono due aspetti urgenti: rafforzare l’autonomia del Procuratore Generale dello Stato (Fiscal General del Estado), in particolare separando il suo mandato da quello del Governo; e affrontare l’eccessiva durata delle indagini penali, specialmente nei casi di corruzione, riformando a tal fine la Legge di procedura penale[5].
Questo breve scritto si concentra su tre riforme giudiziarie attualmente in fase legislativa o pre-legislativa, che rivestono particolare rilievo costituzionale e hanno suscitato ampie discussioni:
Queste riforme si inseriscono in un contesto di forte tensione politica tra Governo e magistratura e in un clima di bipolarismo polarizzato che rende impossibile il raggiungimento di accordi tra i partiti principali, ostaggio dei partiti più estremisti. L’accordo raggiunto per il rinnovo del CGPJ è stato infatti reso possibile solo sotto la tutela della Commissione Europea. Le tensioni con il Potere Giudiziario sono emerse fin dall’inizio della legislatura, quando il PSOE ha siglato un accordo con Junts, partito indipendentista catalano, il cui leader Puigdemont è latitante dopo aver guidato la ribellione in Catalogna nel 2017. In tale accordo si affermava che in Spagna esiste il fenomeno del lawfare e si proponeva l’istituzione di commissioni parlamentari d’inchiesta sugli eccessi giudiziari. Questa proposta ha provocato forti reazioni contrarie da parte del CGPJ, di tutte le associazioni giudiziarie e di gran parte della comunità giuridica spagnola[6]. Parallelamente, il Governo ha promosso la controversa legge di amnistia per esonerare gli imputati nel procés catalano, che, secondo la Commissione di Venezia, si è rivelata una legge profondamente divisiva[7]. Tale iniziativa ha generato ulteriori tensioni con il Potere Giudiziario, che ha sollevato varie questioni di incostituzionalità[8] e rinvii pregiudiziali.
Sono emerse anche indagini per corruzione che coinvolgono persone vicini al Governo, il quale ha reagito alimentando la narrazione secondo cui esisterebbe una persecuzione giudiziaria promossa da giudici conservatori. Il CGPJ ha dovuto pubblicare comunicati molto severi per esigere il rispetto dell’indipendenza giudiziaria di fronte a dichiarazioni inopportune da parte di esponenti politici. Anche la Commissione Europea ha espresso preoccupazione in merito[9].
Inoltre, le riforme proposte dal Governo sono state aspramente criticate dal CGPJ e dal Consejo Fiscal[10], nonché dalla grande maggioranza delle associazioni giudiziarie e delle associazioni di pubblici ministeri. In alcuni casi, il rigetto è stato unanime. In particolare, ad eccezione dell’Asociación de Juezas y Jueces para la Democracia e dell’Unione Progressista dei Pubblici Ministeri, tutte le altre associazioni hanno convocato mobilitazioni e uno sciopero giudiziario nel giugno 2025. Esse ritengono che le riforme possano compromettere l’indipendenza giudiziaria e i principi di merito e capacità nell’accesso alla carriera.
Passiamo quindi ad analizzare nel dettaglio ciascuna delle tre riforme e i loro punti più critici.
2. Una revisione critica delle riforme della Giustizia proposte dal Governo spagnolo
2.1. La snaturazione dell’azione popolare e la Proposta di Legge Organica di garanzia e protezione dei diritti fondamentali contro le molestie derivanti da azioni giudiziarie abusive
La Proposta di Legge Organica “di garanzia e protezione dei diritti fondamentali contro le molestie derivanti da azioni giudiziarie abusive” è stata presentata dal gruppo socialista il 10 gennaio 2025 e mira a introdurre una profonda restrizione dell’azione popolare prevista all’articolo 125 della Costituzione[11]. Nella sua esposizione dei motivi si afferma che l’obiettivo è “modulare” l’esercizio dell’accusa popolare per evitare abusi, aggiornando una regolazione definita “ottocentesca”. In particolare, si escludono i partiti politici dalla possibilità di esercitare l’azione popolare, si restringe l’ambito dei reati in cui essa è ammissibile, si limita il suo ruolo processuale, la si esclude dalla fase istruttoria e si impone che venga esercitata solo “in virtù di un vincolo concreto, rilevante e sufficiente con l’interesse pubblico tutelato nel procedimento penale”, confondendola così con l’accusa privata.
Inoltre, nella proposta normativa sono incluse altre misure, come l’abrogazione dei reati contro i sentimenti religiosi, la limitazione della possibilità di presentare querele basate su notizie giornalistiche e l’introduzione di una nuova causa di ricusazione o astensione dei giudici qualora abbiano espresso pubblicamente critiche o manifestato accordo o disaccordo con le azioni di istituzioni pubbliche o dei loro rappresentanti, o abbiano contattato privatamente gli stessi con tale finalità.
La prima critica sollevata contro questa iniziativa legislativa riguarda la sua origine, che appare, come già indicato, come una reazione alle indagini avviate in Spagna contro persone vicine al Presidente del Governo, promosse proprio grazie all’esercizio dell’azione popolare. Di fatto, la proposta include una disposizione transitoria volta a rendere inefficaci i “procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore”, il che potrebbe determinare l’arresto di tali indagini se la procura non procedesse autonomamente.
Oltre a ciò, lo stesso titolo dell’iniziativa alimenta la narrativa governativa secondo cui esisterebbero procedimenti abusivi ai quali occorre rispondere. In tal senso, il portavoce socialista Patxi López ha denunciato che organizzazioni “ultrà e fondamentaliste” abusano di questa figura per perseguitare sistematicamente creatori, giornalisti o avversari politici, violando diritti fondamentali. Tuttavia, sebbene sia vero che vi siano stati usi distorti dell’azione popolare, non si può ignorare che molte trame di corruzione in Spagna sono state smascherate proprio grazie a tale strumento – tra gli altri, il caso che ha coinvolto la figlia e il genero del re Juan Carlos – promosse da partiti, sindacati o associazioni che agirono quando il Pubblico Ministero non interveniva con la necessaria fermezza.
Infatti, come ha riconosciuto lo stesso Tribunale Costituzionale, l’azione popolare consacrata all’art. 125 della Costituzione spagnola “ha un profondo radicamento nel nostro ordinamento”, costituendo una “manifestazione della partecipazione cittadina all’amministrazione della Giustizia” (STC 50/1998). Inoltre, essa ha rappresentato anche un meccanismo di controllo sull’operato del Pubblico Ministero, al quale spetta primariamente, ma non esclusivamente, “promuovere l’azione della giustizia a difesa della legalità” (art. 124 CE).
Alla luce di ciò, si può condividere la conclusione formulata da Hay Derecho[12], in linea con alcuni tra i principali studiosi dell’istituto[13], i quali hanno messo in dubbio la legittimità costituzionale di questa riforma, ritenendo che essa implicherebbe una vera e propria snaturazione dell’istituto consacrato dalla nostra Costituzione.
Allo stesso tempo, pur dovendosi esigere un atteggiamento di prudenza da parte dei giudici quando si esprimono pubblicamente su questioni politicamente controverse, non è meno vero che, secondo i principi dell’etica giudiziaria, i giudici godono della libertà di espressione, da esercitare però preservando “la dignità delle funzioni giurisdizionali e l’imparzialità e indipendenza della magistratura” (principio 4.6)[14]; essi hanno altresì il dovere “di sollecitare quei miglioramenti legislativi che rafforzino l’indipendenza giudiziaria come garanzia per i cittadini” (principio 5)[15] e “nei rapporti con i mezzi di comunicazione, il giudice può svolgere un’importante funzione pedagogica di spiegazione della legge” (principio 20)[16]. Anzi, “quando la democrazia, lo Stato di diritto e le libertà fondamentali sono in pericolo, l’obbligo di riservatezza cede il passo al dovere di denuncia” (principio 21)[17]. Pertanto, questa nuova causa di ricusazione/astensione, vista la sua ampiezza, eserciterebbe un effetto dissuasivo contrario al legittimo esercizio delle libertà fondamentali da parte di giudici e dovrebbe essere considerata sproporzionata dal punto di vista costituzionale.
Infine, è sintomatico che la proposta sia stata presentata dal gruppo parlamentare socialista e non come progetto di legge del Governo. Scegliendo la forma della proposizione parlamentare, si è evitato di richiedere i pareri preventivi del CGPJ, del Consiglio di Stato o di altri organi consultivi, così come le consultazioni pubbliche. Una pratica elusiva che, pur non essendo censurata dal Tribunale Costituzionale come vizio di costituzionalità, merita comunque una critica dal punto di vista democratico.
Al momento, questa riforma appare bloccata in Parlamento e non ha progredito nel suo iter legislativo.
2.2. Lo Statuto Organico del Pubblico Ministero e l’istruzione penale: una “indipendenza” insufficiente della Procura
Come complemento al progetto di riforma della Legge di procedura penale attualmente in fase di elaborazione, che mira ad attribuire alla Procura l’istruzione dei procedimenti penali – finora affidata al giudice istruttore –, il Governo ha promosso un progetto preliminare di riforma dello Statuto Organico del Pubblico Ministero (EOMF). Tra i contenuti principali di questa riforma dell’EOMF (Legge 50/1981) si evidenzia un presunto rafforzamento dell’autonomia del Pubblico Ministero, in linea con le raccomandazioni europee, che tra le altre misure prevede l’estensione del mandato del Procuratore Generale dello Stato, nominato dal Governo, a 5 anni, per svincolarlo così dalla legislatura, e stabilisce cause tassative per la sua revoca anticipata; si regolano in modo più trasparente le relazioni tra Governo e Procura; e si introducono anche modifiche, tra le altre cose, nell’organizzazione interna e nei contrappesi della Procura, nonché in materia di autonomia finanziaria.
Ebbene, la parte di questa riforma che tende a rafforzare l’autonomia del Pubblico Ministero contiene alcune proposte che, come detto, vanno nella giusta direzione come richiesto dalla Commissione Europea e dal Gruppo di Stati contro la Corruzione (GRECO)[18]. Tuttavia, risultano del tutto insufficienti in vista del cambiamento di modello che si intende introdurre nell’istruzione penale. Come ha affermato il CGPJ nei suoi pareri sui progetti di riforma della Legge di procedura penale e sull’attuale riforma dell’EOMF, “il nuovo modello di processo penale, nel quale il Pubblico Ministero rappresenta l’elemento chiave della fase istruttoria, può essere attuato solo se, previamente, si procede ad una riforma ambiziosa dello Statuto Organico del Pubblico Ministero che rafforzi la garanzia istituzionale dell’indipendenza del pubblico ministero”[19].
Attualmente, il Pubblico Ministero è definito come “un organo di rilevanza costituzionale […] integrato con autonomia funzionale nel Potere Giudiziario” (art. 2 EOMF), ma non gode dell’indipendenza riconosciuta a giudici e tribunali spagnoli, la quale è garantita costituzionalmente. Inoltre, il Procuratore Generale dello Stato è nominato dal Governo con ampia discrezionalità, con il solo contrappeso della consultazione non vincolante del CGPJ e della dichiarazione di idoneità da parte del Congresso. Il Procuratore Generale ha a sua volta importantissime competenze per impartire istruzioni e per dirigere l’attività del Pubblico Ministero secondo il principio di gerarchia, nonché ampi poteri discrezionali per nominare i vertici della procura. Inoltre, il Pubblico Ministero non gode di autonomia di bilancio e le sue risorse dipendono dal Ministero della Giustizia.
Pertanto, nonostante i modesti miglioramenti introdotti dalla proposta normativa, vi sono ancora numerose carenze che impediscono di conferire alla Procura un autentico statuto di indipendenza, sia “ad extra” nei confronti degli altri poteri – in particolare del Governo –, sia “ad intra” tra gli stessi procuratori. Ad esempio, la proposta contempla una maggiore trasparenza nelle comunicazioni tra Governo e Procuratore Generale, ma “la riforma non prevede un divieto espresso e tassativo di rivolgere al Procuratore Generale dello Stato ordini, istruzioni o indicazioni di qualsiasi tipo, in linea con quanto previsto per la Procura Europea”[20]. A livello interno, inoltre, non solo non si rafforzano, ma si indeboliscono i contrappesi al potere del Procuratore Generale dello Stato, in particolare riducendo le competenze attuali del Consejo Fiscal[21]. Anche lo stesso Consejo Fiscal ha emesso un parere molto critico su questa riforma[22].
Infine, vi è una questione di fondo che richiederebbe una riforma costituzionale: il sistema di nomina del Procuratore Generale. Per quanto si voglia scollegare il suo mandato da quello del Governo e rafforzarne l’indipendenza una volta nominato, principalmente mediante l’inamovibilità, la larga discrezionalità nella scelta della persona da parte del Governo, come già segnalato, compromette seriamente la posizione istituzionale della Procura. Gli esempi delle ultime persone elette come Procuratori Generali dello Stato non hanno fatto altro che confermare questa preoccupazione. Si ricordi che la sig.ra Dolores Delgado, predecessora dell’attuale Procuratore Generale, è passata senza soluzione di continuità dal ruolo di Ministra della Giustizia a quello di Procuratore Generale, fatto che in seguito è stato proibito mediante la riforma del 2024, la quale ha introdotto un periodo di “raffreddamento” per diventare Procuratore Generale per chi ha ricoperto incarichi politici. Tuttavia, dopo la sig.ra Dolores Delgado, in 2022, è stato nominato come successore il sig. García Ortiz, che aveva occupato incarichi di rilievo per nomina della stessa Delgado. E, quando è caduto il governo in 2023, il sig. García Ortiz è stato nominato per la seconda volta Procuratore Generale nonostante il parere negativo del CGPJ circa la sua idoneità, e ciò dopo che alcune nomine effettuate durante il suo precedente mandato erano state annullate dal Tribunale Supremo, che in un caso ha persino riscontrato una “deviazione di potere”. Attualmente, il sig. García Ortiz è imputato per rivelazione di segreti in una vicenda politicamente delicata e, nonostante ciò, è rimasto in carica ed ha perfino influenzato la nomina dei pubblici ministeri che dirigono l’indagine contro di lui. In questo contesto, è difficilmente sostenibile l’idea che semplici ritocchi al funzionamento del Pubblico Ministero possano garantire l’indipendenza necessaria per assumere la conduzione delle indagini penali.
Per questo, come ha concluso Hay Derecho: “Senza garantire una maggiore indipendenza ai pubblici ministeri, attribuire autonomia finanziaria alla Procura, moltiplicare il numero di procuratori e aumentare esponenzialmente il loro bilancio non sarebbe che una copertura per aprire un canale di influenza politica nelle indagini penali. Nel nostro sistema giudiziario attuale, è il giudice istruttore a condurre l’indagine godendo di uno statuto di totale indipendenza e imparzialità, ma non sarà lui a giudicare; e se eccede nel suo operato, esiste un sistema di impugnazioni pienamente garantista. I pubblici ministeri, invece, sono soggetti ai principi di gerarchia e unità, per cui, sebbene debbano agire nel rispetto del principio di legalità e in modo imparziale, possono ricevere istruzioni dai loro superiori, il che li pone in una posizione più vulnerabile a possibili interferenze, soprattutto quando al vertice non è adeguatamente garantita l’indipendenza dal potere politico”[23].
Pertanto, anche se l’intero iter legislativo deve ancora svolgersi, sembra improbabile che, per quanto perfezionata, la riforma possa risultare soddisfacente, e inoltre è prevedibile che essa non riesca a raccogliere un ampio consenso politico.
2.3. L’accesso alla carriera giudiziaria e alla procura: un problema di merito e una preoccupazione per l’indipendenza giudiziaria
Infine, la riforma che ha suscitato la reazione più forte da parte della grande maggioranza della magistratura e della procura è stata il Progetto di Legge Organica di riforma del sistema di accesso alle carriere giudiziaria e della procura. Questo progetto modifica la Ley Orgánica del Poder Judicial (LOPJ) e l’EOMF per quanto riguarda l’ammissione e la formazione iniziale di giudici e pubblici ministeri.
Questo progetto, come avviene per gli altri, combina misure accolte molto favorevolmente – come un programma di borse di studio e di sostegno economico per candidati privi di risorse – con altre che richiederebbero un ampio dibattito, come la riforma delle prove d’esame, introducendo una nuova prova scritta e sopprimendo una delle due prove orali finora previste.
Inoltre, vi sono alcune proposte considerate potenzialmente pericolose per l’indipendenza giudiziaria. In particolare, la proposta di attribuire al Centro de Estudios Jurídicos, organismo dipendente dal Ministero, nuove competenze nella preparazione dei candidati, in sostituzione dell’attuale sistema in cui sono gli stessi giudici e pubblici ministeri a occuparsi della formazione degli aspiranti. A tal riguardo, il CGPJ ha chiesto di essere coinvolto nella gestione di questo Centro, qualora gli vengano effettivamente attribuite tali competenze, giacché finora la formazione dei giudici dopo il superamento del concorso era gestita dal Consiglio e non dal Governo.
In più, ha suscitato perplessità la riforma della Comisión de Ética Judicial, che verrebbe composta da 5 giudici e 4 giuristi di riconosciuta carriera, questi ultimi nominati dal Parlamento, con il rischio evidente di una politicizzazione dell’organismo[24].
La misura che ha però incontrato la maggiore opposizione è il processo straordinario di stabilizzazione di un migliaio di giudici e pubblici ministeri supplenti. Questi ultimi esercitano le funzioni in modo temporaneo, senza appartenere formalmente alla carriera giudiziaria o della procura, e vi accedono tramite una selezione priva di concorso o esame, molto distante dal rigore e dalla competitività delle vie ordinarie di accesso – che nel caso della magistratura sono il concorso pubblico e il cosiddetto quarto turno, riservato a giuristi di comprovata esperienza.
Con il pretesto che il Tribunale di Lussemburgo ha condannato la Spagna in diverse occasioni per l’abuso di temporalità nel pubblico impiego, si è scelto di non bandire nuovi posti da assegnare attraverso i canali ordinari, ma di predisporre un passaggio straordinario con prove riservate e criteri orientati a stabilizzare questi giudici e procuratori supplenti. Come riconosce la relazione sull’impatto economico che accompagna il progetto, lo scenario più probabile sarà che “tutti i supplenti nominati ottengano la stabilizzazione della loro posizione: in tal caso non ci sarebbero indennizzi e il costo sarebbe pari a zero euro”.
Una proposta che potrebbe compromettere gravemente i principi di merito e capacità e, persino, come ha affermato il CGPJ, il principio di uguaglianza, poiché “può implicare, di fatto, una barriera all’accesso alle prove selettive, privilegiando di fatto, rispetto a qualsiasi altro professionista giuridico, coloro che sono stati giudici supplenti o magistrati supplenti, mediante l’introduzione nella norma di criteri di valutazione dei meriti che privilegiano l’esperienza come giudici supplenti rispetto ad altri meriti professionali rilevanti”[25].
Come se non bastasse, il partito indipendentista Junts ha posto come condizione per appoggiare questa iniziativa legislativa l’approvazione di un emendamento volto a creare un Consiglio della Giustizia della Catalogna, che assumerebbe competenze attualmente attribuite al CGPJ.
Anche in questo caso, si può condividere la conclusione formulata da Hay Derecho: “crediamo nell’importanza di aprire dibattiti che consentano di progredire e dare solidità alle nostre istituzioni (così come abbiamo fatto su questo tema), e che il sistema di selezione dei funzionari pubblici – inclusi i giudici e i pubblici ministeri – possa essere oggetto di miglioramenti. Ma è evidente che la riforma proposta, priva di consenso, con l’opposizione della maggioranza di giudici e procuratori e con modifiche che, come abbiamo visto, possono compromettere gravemente la qualità e l’indipendenza della giustizia, non deve essere portata avanti”[26].
3. Conclusioni
Le riforme giudiziarie analizzate – azione popolare, Statuto del Pubblico Ministero e accesso alla carriera giudiziaria/procura – riflettono la tensione tra una presunta volontà riformista del Governo e i timori di gran parte della comunità giuridica e dell’opposizione in un contesto politico polarizzato. In astratto, ciascuna riforma cerca di rispondere a problemi reali: esistono abusi nell’azione popolare, la Procura spagnola soffre di un deficit riconosciuto di indipendenza e il sistema di selezione dei giudici presenta rigidità e disuguaglianze, mentre va affrontato il fenomeno della giustizia “interinale”. Tuttavia, le soluzioni proposte in ciascun caso sono state oggetto di contestazione a causa dei possibili effetti collaterali e delle motivazioni sottostanti.
Nella riforma dell'azione popolare, il governo invoca la tutela dei diritti fondamentali (evitare il “molestie giudiziarie” da parte degli estremisti), ma la drastica limitazione dell'accusa popolare suscita il timore di indebolire la lotta alla corruzione e di chiudere i canali di partecipazione dei cittadini all'amministrazione della giustizia. L'assenza di consenso e la coincidenza con casi che riguardano il potere politico gettano un'ombra di sospetto sulla riforma, al punto da essere vista come un movimento di autodifesa politica piuttosto che come un miglioramento oggettivo del sistema[27]. È fondamentale trovare un equilibrio: riformare l'azione popolare per prevenire gli abusi, sì, ma senza snaturarla né ridurre il controllo democratico. Un consenso potrebbe includere, ad esempio, l'imposizione di cauzioni e filtri più severi senza vietare agli attori rilevanti di presentarsi quando vi è un interesse pubblico genuino.
Per quanto riguarda la riforma dello Statuto del Ministero Pubblico, l'obiettivo di raggiungere una Procura più indipendente può essere condiviso, ma il progetto preliminare del Governo, come si è potuto osservare, ha ricevuto critiche molto rilevanti per essere insufficiente e persino per aver invertito i contrappesi interni. Il CGPJ, il Consejo Fiscal e alcune associazioni di procuratori hanno chiesto l'introduzione di garanzie più solide: dalla proclamazione esplicita dell'indipendenza e dal divieto di istruzioni politiche, fino alla restituzione di alcune competenze al Consejo Fiscal per evitare un Procuratore generale onnipotente. Senza questi adeguamenti, la riforma rischia di non raggiungere il suo scopo e persino di generare maggiore sfiducia nell'indipendenza del Ministero pubblico. In questo senso, sarebbe indispensabile dare seguito alle raccomandazioni contenute nelle relazioni consultive (CGPJ, Consejo Fiscal) prima dell'approvazione definitiva della legge.
Infine, la riforma dell'accesso alla magistratura e alla procura dimostra che modernizzare il sistema dei concorsi è possibile e auspicabile, ma richiede un delicato consenso per non minare i principi meritocratici e la percezione di indipendenza. Le misure a favore dell'effettiva uguaglianza, come le borse di studio, dell'aggiornamento del sistema selettivo (prove pratiche, più posti) e dello sfruttamento del talento con comprovata esperienza (quarto turno) sono positive in astratto. Tuttavia, il modo brusco con cui sono state introdotte, insieme a disposizioni controverse (regolarizzazione dei supplenti, intervento parlamentare nell'etica giudiziaria), ha provocato uno scontro frontale con la magistratura e la procura. Ciò dimostra che le riforme di fondo nella giustizia richiedono negoziazione e fiducia reciproca: cercare di imporre cambiamenti strutturali senza l'accordo dei giudici e dei pubblici ministeri porta al fallimento o a una contestazione permanente.
In conclusione, queste tre riforme – concepite in un contesto di “tempesta perfetta” tra l'Esecutivo e il Potere Giudiziario – sottolineano la necessità di depoliticizzare le politiche in materia di giustizia. È fondamentale che le modifiche alle regole del gioco giudiziario si basino su diagnosi tecniche condivise e visioni a lungo termine, e non su urgenze partitiche congiunturali. Solo così sarà possibile realizzare riforme legittime, efficaci e stabili. In caso contrario, qualsiasi progresso normativo sarà messo in discussione. La Spagna deve affrontare sfide importanti per rafforzare il suo Stato di diritto: ripristinare la normalità istituzionale nel CGPJ, garantire una giustizia indipendente ed efficiente e rigenerare la fiducia dei cittadini. Tuttavia, le riforme analizzate, così come sono state proposte, anziché contribuire al miglioramento della nostra giustizia, sollevano seri dubbi e possono avere effetti erosivi su pilastri essenziali come l'indipendenza giudiziaria.
[1] In Spagna, il CGPJ è l'organo di governo della magistratura (che comprende giudici, ma non i pubblici ministeri) ed è composto da 20 membri e dal presidente del Tribunale Supremo. Dei 20 membri, 8 sono giuristi di riconosciuto prestigio nominati dal Parlamento a maggioranza qualificata, mentre gli altri 12 devono essere giudici. La Costituzione non ha stabilito chi debba scegliere questi ultimi. Nella prima regolazione, i 12 membri togati erano eletti dagli stessi giudici, ma dalla riforma della Legge organica del potere giudiziario del 1985 sono stati eletti dal Parlamento. Questo sistema, in cui i 20 membri sono eletti dal Parlamento, ha ricevuto molte critiche, come si vedrà, soprattutto da parte della Commissione europea, che ha chiesto alla Spagna di adeguarlo agli standard europei, che prevedono che i membri togati siano eletti da e tra i giudici.
[2] Il Tribunale Supremo spagnolo è equivalente nelle sue funzioni alla Corte di Cassazione italiana.
[3] In Spagna, mentre i giudici assumono l'esercizio esclusivo delle funzioni giurisdizionali e godono di uno status indipendente, soggetto solo alla legge; i pubblici ministeri sono soggetti al principio di gerarchia e unità d'azione, sebbene debbano rispondere anche al principio di legalità e imparzialità. La Procura è un organo costituzionalmente “autonomo”, ma la sua indipendenza non è costituzionalmente prevista.
[4] Commissione Europea: 2024 Rule of Law Report: Country Chapter on Spain, 2025.
[5] Ibidem.
[6]Cfr. Hay Derecho: “Editorial: sobre el acuerdo PSOE-Junts”. Blog. Hay Derecho, 2023: https://www.hayderecho.com/2023/11/10/editorial-de-hay-derecho-sobre-el-acuerdo-psoe-junts/
[7] Commissione di Venezia: Opinion on the rule of law requirements of amnesties, with particular reference to the parliamentary bill of Spain “on the organic law on amnesty for the institutional, political and social normalisation of Catalonia”, Sessione n. 138, 2024. In questo rapporto, la Commissione di Venezia ha rilevato la “vivace controversia” e gli “effetti molto divisivi nella società” che l'amnistia potrebbe avere, e ha quindi raccomandato che sia espressamente disciplinata nella Costituzione e approvata da ampie maggioranze parlamentari. La Commissione europea è andata anche oltre e nelle sue osservazioni in una delle questioni pregiudiziali presentate dai giudici spagnoli contro l'amnistia davanti al Tribunale di Lussemburgo ha concluso che la legge sull'amnistia è contraria al diritto dell'UE perché non risponde a un obiettivo di interesse generale, nella misura in cui "sembra costituire un'auto-amnistia, per due motivi. In primo luogo, perché i voti dei suoi beneficiari sono stati essenziali per la sua approvazione nel Parlamento spagnolo. In secondo luogo, perché il disegno di legge fa parte di un accordo politico per l'investitura del governo spagnolo. Ebbene, se c'è un motivo per ritenere che le autoamnistie in cui chi detiene il potere politico cerca di farsi scudo garantendo la propria immunità legale siano contrarie al principio dello Stato di diritto, sembra che gli stessi criteri debbano essere applicati quando chi è al governo garantisce l'impunità ai propri partner in cambio del sostegno parlamentare".
[8] Il Tribunale Costituzionale ha dichiarato la costituzionalità di gran parte della legge di amnistia con la sentenza 137/2025 del 26 giugno. Il Tribunale si è diviso in due blocchi ideologicamente allineati, 6 a favore (progressisti) e 4 contro (conservatori), anche se ci sono stati due magistrati che non hanno partecipato alla deliberazione, uno progressista - che è stato Ministro della Giustizia nel governo di Pedro Sánchez - e un altro conservatore - che era stato membro del CGPJ - perché avevano precedentemente stabilito che l'amnistia era incostituzionale.
[9] Commissione Europea: 2024 Rule of Law Report: Country Chapter on Spain, 2025.
[10] Il Consejo Fiscal è un organo collegiale che assiste il Procuratore generale dello Stato nelle sue funzioni, svolgendo funzioni consultive e di segnalazione. È presieduto dal Procuratore generale ed è composto dal Procuratore aggiunto della Corte suprema, dal Procuratore capo ispettore e da nove procuratori eletti dai procuratori stessi.
[11] “I cittadini possono esercitare l'azione popolare e partecipare all'amministrazione della giustizia attraverso l'istituzione della giuria, nelle forme e rispetto ai procedimenti penali stabiliti dalla legge, nonché nei tribunali consuetudinari e tradizionali” (art. 125 CE).
[12] Hay Derecho: “Editorial: sobre la propuesta de reforma de la acción popular”, Blog. Hay Derecho, 2025: https://www.hayderecho.com/2025/01/13/editorial-sobre-la-propuesta-de-reforma-de-la-accion-popular/
[13] Ridaura Martínez, J.: “En defensa de la acción popular”, Blog. Hay Derecho, 2025: https://www.hayderecho.com/2025/01/20/en-defensa-de-la-accion-popular/
[14] UNODC: Principi di Bangalore sulla condotta dei giudici, 2002.
[15] CGPJ: Principios de ética judicial, 2016.
[16] Ibidem.
[17] Ibidem.
[18] In particolare, si vedano i rapporti di follow-up del IV ciclo del GRECO dedicato alla prevenzione della corruzione di parlamentari, giudici e pubblici ministeri, che hanno raccomandato di rivedere il metodo di elezione e la durata del mandato del Procuratore Generale, nonché di stabilire requisiti e procedure chiare nella legge per aumentare la trasparenza della comunicazione tra il Capo delle Procure e il Governo, e di esplorare nuovi modi per fornire una maggiore autonomia nella gestione dei mezzi delle procure.
[19] CGPJ: Informe sobre el anteproyecto de ley por la que se modifica la Ley 50/1981, de 30 de diciembre, por la que se regula el Estatuto Orgánico del Ministerio Fiscal, 2025.
[20] Ibidem.
[21] Ibidem.
[22] Cfr. Consejo Fiscal: Informe al anteproyecto de ley por la que se modifica la Ley 50/1981, de 30 de diciembre, por la que se regula el Estatuto Orgánico del Ministerio Fiscal, 2025.
[23] Hay Derecho: “Editorial: Por la "independencia" del Ministerio Fiscal”, Blog Hay Derecho, 2025: https://www.hayderecho.com/2025/05/19/editorial-por-la-independencia-del-ministerio-fiscal/
[24] La Comisión de Ética Judicial è un organo istituito con l'adozione dei principi di etica giudiziaria per fornire indicazioni sull'interpretazione di tali principi attraverso pareri e relazioni sulla base delle consultazioni ricevute. È composta da sei membri della carriera giudiziaria nominati direttamente dall'intero ordine giudiziario, che a loro volta nominano un altro membro non giudiziario, un accademico esperto di etica o filosofia del diritto.
[25] CGPJ: Informe sobre el anteproyecto de Ley orgánica por el que se modifica la Ley orgánica 6/1985, de 1 de julio, del poder judicial, y la 50/1981, de 30 de diciembre, por la que se regula el Estatuto Orgánico del Ministerio Fiscal, para la ampliación y fortalecimiento de las carreras judicial y fiscal, 2025.
[26] Hay Derecho: “Editorial: ¿Reformar el acceso a la Justicia?”, Blog Hay Derecho, 2025: https://www.hayderecho.com/2025/06/11/editorial-reformar-el-acceso-a-la-justicia/
[27] Hay Derecho: “Editorial: sobre la propuesta de reforma de la acción popular”, Blog. Hay Derecho, 2025: https://www.hayderecho.com/2025/01/13/editorial-sobre-la-propuesta-de-reforma-de-la-accion-popular/
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In un momento così difficile per il mondo e per l’Unione Europea l’ultimo libro di Pasquale Gianniti − L’antico sogno degli Stati Uniti d’Europa tra integrazione politica e dialogo delle Corti Supreme − ci porta a riflettere sulla necessità di perseguire con nuove energie l’antico sogno di realizzare gli Stati uniti di Europa (o comunque altro modello di coesione) e lo fa muovendo da una approfondita analisi di carattere storico dalla quale si desume che, fin dai tempi di Carlo Magno, è stata avvertita l’esigenza di unificare l’Europa senza successo per varie ragioni. Finché, dopo alterne vicende, nel corso della Seconda guerra mondiale, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli redassero il Manifesto per un’Europa unita e libera, che fu il punto di partenza per il Congresso europeista dell’Aia del 1948.
Il manifesto di Ventotene è quindi il primo seme dell’europeismo, inteso come volontà di superare le divisioni e i conflitti tra le nazioni europee, in particolare dopo le due guerre mondiali, per creare un’unione di pace e prosperità.
Infatti, poco dopo la Dichiarazione Schuman (1950) ha portato alla nascita di diverse istituzioni e trattati che hanno gettato le basi per l’attuale Unione Europea.
La costruzione è stata favorita e migliorata grazie soprattutto alla Corte di Giustizia e ai rapporti sempre più stretti e frequenti dei giudici europei tra loro e con la Corte di Giustizia.
Parallelamente, grazie all’istituzione del Consiglio d’Europa e al suo interno alla approvazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e quindi all’inizio del funzionamento della Corte di Strasburgo, si è perseguito l’obiettivo della salvaguardia e dello sviluppo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti i 46 Stati membri del Consiglio d’Europa.
La giurisprudenza delle suddette due Corti europee centrali è diventata sempre più importante, nel corso del tempo, per i giudici nazionali ed ha, in primo luogo, consentito di ampliare le tutele delle posizioni giuridiche soggettive, specialmente in favore di soggetti socialmente più deboli, che sono anche quelli per i quali il rischio di discriminazione e/o di violazione della pari dignità è più alto, secondo le parole dell’allora Presidente della Corte costituzionale Francesco Saja, nella presentazione dalla nota “svolta” giurisprudenziale del 1987, che ha portato la Corte ha ritenere che fosse necessario: (i) riferire l’art. 2 Cost. non soltanto ai diritti fondamentali garantiti da altre disposizioni della stessa Carta fondamentale, per affermare che il suddetto articolo contiene un «elenco aperto», di diritti fondamentali; (ii) per dare “energica attuazione in numerosissime occasioni al principio di eguaglianza enunciato dall’art. 3 Cost.” considerare l’indicazione dei fattori di possibile discriminazione di cui al primo comma dell’articolo 3 non di carattere tassativo, ma da riferire soltanto alle situazioni più frequenti.
Il dialogo con le Corti europee centrali ha consentito di potenziare la suddetta indicazione della Corte costituzionale con risultati molto importanti per la tutela della dignità umana e sociale delle persone, che è alla base delle nostre democrazie, con pronunce che non solo hanno riguardato i singoli casi ma tutto il sistema (UE e Consiglio d’Europa) di riferimento.
La tutela della dignità delle persone per entrambe la Corte deve essere effettuata nel rispetto del valore dello Stato di diritto e dei principi della separazione dei poteri e dell’indipendenza della magistratura perché non rispettare tali principi non può non avere ricadute sul rispetto della dignità umana e sociale delle persone.
Nel libro Pasquale Gianniti si sofferma sulle modalità di funzionamento della Corte di Giustizia e degli altri organi giurisdizionali UE oltre che della Corte di Strasburgo e da questa analisi, svolta con metodo storico, desumiamo molte interessanti informazioni che ci consentono di conoscere più da vicino i due suddetti sistemi giurisdizionali, molto diversi da quelli nazionali.
Viene anche sottolineato che l’azione dell’Unione ha sempre affondato le sue radici nel quadro generale della Carta delle Nazioni Unite, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dei due Patti sui diritti umani del 1966, che costituiscono il paradigma del sistema internazionale di tutela dei diritti umani. Essa, pertanto, riconosce il principio dell’universalità dei diritti umani; il principio della loro indivisibilità (che vieta, almeno in teoria, qualsiasi gerarchizzazione tra diritti civili e politici, da un lato, e diritti economici, sociali e culturali, dall’altro); il principio dell’interdipendenza tra diritti umani, democrazia e sviluppo.
Pertanto, la tutela dei diritti umani si realizza in una pluralità di livelli — tradizioni nazionali, giurisprudenza della Corte di giustizia, vincolatività della Carta dei diritti umani fondamentali e delle altre Carte e Convenzioni — e questo rende lo spazio democratico dell’Unione quello a più sicura garanzia per i loro titolari.
In questo contesto hanno molta rilevanza i principi che trovano espresso riconoscimento nei trattati, tra i quali rientrano:
— il principio di uguaglianza, che, già affermato a livello nazionale e sovranazionale e già riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte, è ora sancito: sia dal tue all’art. 2, sia dal tfue agli artt. 8 e 10, sia soprattutto dalla Carta ue, che dedica un intero titolo, il terzo, alla salvaguardia dell’uguaglianza. Va rilevato che il riconoscimento di tale principio nasce dal dialogo tra la Corte di Giustizia con i giudici nazionali dei Paesi nella cui Costituzione il principio è previsto (l’art. 3 della Cost. italiana, l’art. 1 della Cost. francese, l’art. 7 della Cost. austriaca, l’art. 9 della Cost. spagnola, l’art. 3 della Cost. tedesca, l’art. 11 della Costituzione belga). A livello sopranazionale, il principio è riconosciuto dall’art. 7 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, dall’art. 14 della Convenzione edu, da diverse disposizioni del Patto per i diritti civili e politici, dall’art. 4 della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, adottata dal Consiglio d’Europa;
— il divieto di discriminazione, già riconosciuto dalla Corte di giustizia come un corollario del principio di uguaglianza;
— il principio di sussidiarietà, in base al quale la disciplina generale è devoluta all’attività legislativa ed amministrativa degli organismi che sono più vicini alle collettività destinatarie delle disposizioni comunitarie, che costituisce dagli inizi un presupposto basilare dell’ordinamento europeo e che ora è sancito dall’art. 5 tue (già art. 5 tce);
— il principio di proporzionalità (previsto dall’art. 5 paragrafo 4 tue), secondo il quale la legittimità di un atto comunitario va valutata in base alla sua idoneità o necessità rispetto agli obiettivi dei trattati;
— il principio di leale collaborazione, in base al quale ogni istituzione deve ispirare il proprio comportamento ad atteggiamenti cooperativi, in particolare in quelle ipotesi in cui vi siano sovrapposizioni o interferenze di competenze (affermato dall’art. 4 par. 3 tue e dalla Corte di giustizia);
— i principi in materia ambientale, che sono previsti dall’art. 191 par. 2 tfue), in base al quale la normativa europea è fondata sui principi: della precauzione (per cui, laddove un’azione sia potenzialmente dannosa, chi la pone in essere è tenuto ad adottare delle misure cautelative), dell’azione preventiva (per cui deve essere intrapresa ogni azione utile a prevenire danni all’ambiente), della correzione (per cui devono essere rimossi tutti i danni arrecati all’ambiente da parte dello stesso soggetto che li ha posti in essere), nonché sul principio che chi inquina paga (alla luce del quale coloro che causano danni all’ambiente devono sostenere i costi per ripararli o per rimborsare tale danni);
— il principio della tutela dei diritti fondamentali, che, già affermato dalla Corte di giustizia con sentenza n. 29/60 Stauder c. Città di Ulm– Sozialamt e con sentenza n. 36/75, Rutili c. Ministre de l’Interieur, è ora sancito dalla Carta ue, che costituisce parte integrante dei Trattati;
— il principio di attribuzione (art. 5 e art. 13 par. 2 tue), in base al quale l’Unione (rispetto agli Stati membri) e le sue istituzioni europee (nei loro rapporti) agiscono esclusivamente nei limiti delle competenze.
Si aggiunge che molti sono i principi generali di diritto UE desunti dalla Corte di Giustizia, tra i quali il principio della certezza del diritto (per cui la normativa europea deve essere chiara e la sua applicazione prevedibile per i destinatari) e il connesso principio del legittimo affidamento (per cui vanno tutelate le situazioni soggettive che si sono consolidate in conseguenza ad atti posti in essere dalle amministrazioni pubbliche) o di rispetto dei diritti quesiti, ecc.
Dopo un ampio e interessante approfondimento sul diritto derivato UE e sulla Carta dei diritti fondamentali UE e sulla relativa interpretazione e applicazione, in un confronto tra Carta UE e Convenzione EDU viene, in primo luogo, precisato che l’art. 52 della Carta — nell’indicare i criteri che il giudice nazionale deve tener presente per stabilire il significato del diritto fondamentale garantito dalla Carta che di volta in volta viene in rilievo — apre tre possibili scenari, in quanto:
- può accadere che il diritto fondamentale previsto dalla Carta “ricalchi” una norma del Trattato (cfr. art. 52, par. 2, cdf; questo è il caso di vari diritti contenuti nel titolo V della Carta sulla “Cittadinanza”);
- può accadere infine che il diritto fondamentale previsto dalla Carta corrisponda ad una tradizione costituzionale comune agli Stati membri (art. 52, par. 4, Carta dell’Unione).
- può accadere che il diritto fondamentale previsto dalla Carta corrisponda ad un diritto garantito dalla Convenzione EDU: nel qual caso opera la regola di interpretazione di cui all’art. 52, par. 3, che si occupa per l’appunto dell’interpretazione dei diritti fondamentali della Carta che corrispondono a diritti fondamentali già garantiti dalla Convenzione EDU. In tal caso, «il significato e la portata [del diritto fondamentale in base alla Carta] sono uguali a quelli [del diritto Convenzione edu corrispondente]». Ne deriva che il giudice nazionale che applica una norma della Carta deve in primo luogo chiedersi se essa corrisponda ad un diritto convenzionale edu. Se questo è il caso, allora dovrà ricostruire il significato e la portata del diritto fondamentale previsto dalla Carta tenendo conto della sua formulazione nella Convenzione edu, e soprattutto della pertinente giurisprudenza della Corte edu. Tuttavia, lo stesso art. 52, par. 3, della Carta dell’Unione aggiunge che la regola di interpretazione parallela «non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa». Dunque, il giudice nazionale dovrà far riferimento anche alla formulazione del diritto nella Carta e alla pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia, e a questi dovrà dare preferenza ove accordino una tutela più estesa (dal punto di vista della ricostruzione del significato e/o della portata del diritto) di quanto non facciano la Convenzione edu e la Corte edu. Per assistere il giudice nazionale nell’applicazione della regola di cui all’art. 52, par. 3, della Carta, la Spiegazione di questa norma fornisce due elenchi di diritti: il primo, contenente i diritti della Carta con lo stesso significato e la stessa portata dei corrispondenti diritti cedu; e l’altro relativo ai diritti della Carta che hanno lo stesso significato dei corrispondenti diritti cedu, ma portata più ampia.
Quest’ultima evenienza è la più problematica in quanto, sulla base della giurisprudenza della Corte di Giustizia, da un lato, è consentita l’immediata efficacia della disposizione della Carta UE (che, se di derivazione cedu, non può assumere un livello di protezione inferiore a quello convenzionale) ma, dall’altro, si esclude l’immediata efficacia della norma convenzionale e la sua prevalenza rispetto al dato normativo interno con essa incompatibile.
Quanto ai rapporti tra il diritto interno e la Convenzione edu, si ricorda la sentenza n. 317 del 4 dicembre 2009, nella quale (punto 7 del Considerato in diritto) la Corte ha espressamente rilevato che: «il confronto tra tutela convenzionale e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie, anche attraverso lo sviluppo delle potenzialità insite nelle norme costituzionali che hanno ad oggetto i medesimi diritti»; e che: «nel concetto di massima espansione delle tutele deve essere compreso, come già chiarito nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2007, il necessario bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, cioè con altre norme costituzionali, che a loro volta garantiscano diritti fondamentali che potrebbero essere incisi dall’espansione di una singola tutela. Questo bilanciamento trova nel legislatore il suo riferimento primario, ma spetta anche a questa Corte nella sua attività interpretativa delle norme costituzionali».
Sentenza, peraltro, seguita dalle numerose pronunce nelle quali la Corte costituzionale ha affermato che “a differenza della Corte EDU, questa Corte … opera una valutazione sistemica, e non isolata, dei valori coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, ed è, quindi, tenuta a quel bilanciamento, solo ad essa spettante”, che, nelle singole fattispecie si traduce nelle soluzioni indicate.
Ampio spazio è dedicato alla mancata adesione della UE alla CEDU e al rapporto tra Corte costituzionale e Corte di Giustizia, nei mutamenti avutisi nel tempo.
Nella parte finale del libro, di carattere geopolitico, si affronta il tema della necessità di “ripensare all’Europa”, muovendo dalla premessa che per i c.d. Padri fondatori dell’odierna Europa, l’esito del processo di integrazione avrebbe dovuto essere la creazione di istituzioni politiche federali e, quindi, la creazione degli Stati Uniti d’Europa, sicché l’attuale unificazione europea è una opera incompiuta, anche se è stato progressivamente ampliato il numero dei settori coinvolti nel processo di integrazione e delle funzioni attribuite alle istituzioni europee ed è stata creata la moneta unica.
Vi sono però delle controindicazioni; in primo luogo, vi è la questione della scarsa democraticità dell’attuale assetto delle istituzioni europee.
Secondo lo spirito del Trattato sull’Unione, poiché sono democratici sia il circuito sovranazionale che il circuito intergovernativo, dovrebbe essere democratico anche il prodotto dei due circuiti, cioè il funzionamento complessivo dell’Unione.
Tuttavia, osserva l’Autore, questa democraticità, per così dire indiretta, non sembra sufficiente:
- per il Parlamento europeo è sì un organo politico decisionale, che è composto di rappresentanti dei cittadini dell’Unione (art. 14 tue) e, quindi, vanta un collegamento elettorale diretto con quest’ultimi il Trattato non chiarisce se ciascun parlamentare europeo rappresenta tutti i cittadini dell’Unione (come dovrebbe essere in linea con le tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, che prevedono quasi tutte il divieto di mandato imperativo) ovvero soltanto quelli dello Stato membro, nel cui collegio è stato eletto (come sembra doversi desumere dal fatto che i seggi vengono assegnati agli Stati membri, secondo il criterio della proporzionalità degressiva rispetto alla popolazione, nonché dal fatto che cittadini di diversi Stati votano necessariamente in diversi collegi elettorali);
- i governi degli Stati membri esercitano collettivamente, nel Consiglio Europeo, la funzione legislativa, approvando così collettivamente regole che sono immediatamente efficaci e prevalenti su quelle deliberate dai parlamenti nazionali. Ma ciascun componente del Consiglio, pur contribuendo all’assunzione di provvedimenti efficaci nei confronti di tutti i cittadini europei, rappresenta soltanto una sola parte di essi — i cittadini di un singolo Stato membro — e solo a quella parte risponde;
- la Commissione UE, che in un certo qual modo è il governo dell’Unione, opera nell’interesse generale dell’Unione, ma è composta da 27 commissari (uno per ciascun Paese dell’Unione) a ciascuno dei quali viene attribuita la competenza per uno specifico settore tematico, insieme all’autorità sui relativi servizi amministrativi. Quindi vi è il pericolo che ciascun Commissario non abbia la visione generale dei problemi da risolvere, ma si occupi solo dello specifico settore tematico di competenza. Inoltre, il Presidente della Commissione rappresenta sì l’Unione, ma trae la propria legittimazione esclusivamente da un organo intergovernativo. E ciò rappresenta un ulteriore profilo del deficit democratico;
- infine, singolare è la posizione della Banca Centrale Europea, che, pur governando la politica monetaria dell’Unione (e, dunque, pur gestendo un forte potere), può rimanere, anche a lungo, irresponsabile del proprio operato dal punto di vista politico. Sotto questo profilo, è necessario non soltanto un governo economico, preludio di un governo politico, al quale la bce possa fare riferimento ma anche che la Banca sia responsabile del suo operato dinanzi ai Parlamenti nazionali ed al Parlamento europeo.
Per evitare derive antieuropeiste che possono manifestarsi in questa situazione di scarsa democraticità interna l’Autore auspica la formazione di organi decisionali che — rappresentando l’Unione nel suo insieme, e, nel contempo, avendo un collegamento elettorale con i cittadini europei — siano autenticamente sovranazionali.
Da anni l’Unione Europea non riesce ad affrontare in modo adeguato alcune questioni di grande rilievo, a partire dalla immigrazione e dalla creazione di una capacità fiscale europea, dotata di indipendenza e rilevanza, espressione di una nuova sovranità europea da affiancare a quella degli Stati nazionali.
Queste sono tra le più rilevanti questioni strategiche, con importanti ricadute economiche, ma da anni non si riesce a risolverle come meriterebbero.
Ma la controindicazione maggiore è rappresentata dal fatto che oggi i governi degli Stati membri hanno una diversa visione del futuro dell’integrazione europea. A fronte di alcuni Paesi favorevoli ad una maggiore integrazione (come Francia, Spagna, Portogallo, Slovenia, Slovacchia, Malta), ve ne sono altri che sostengono il mantenimento dello status quo, pur con qualche aggiustamento (come la Germania, la Finlandia, i Paesi Bassi); e c’è poi il blocco dei Paesi sovranisti (Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca); e ve ne sono altri ancora (come l’Italia, che è peraltro un Paese Fondatore) la cui linea politica è decisamente incerta.
Però per fare fronte all’emergenza COVID e per deliberare le sanzioni nei confronti di Putin dopo l’invasione dell’Ucraina la risposta di tutti i Paesi UE è stata unitaria.
Con questo stesso spirito andrebbe affrontata l’attuale congiuntura che richiede coesione perché solo a questa condizione, nello scenario internazionale, l’Unione Europea potrebbe avere un posto di rilievo non solo come mercato ma anche come portatrice di un modello culturale di organizzazione della vita sociale, che è astrattamente suscettibile di estendersi in ogni parte del globo e che si articola in tre fondamentali idee madri: la democrazia rappresentativa, il mercato ed il c.d. rule of law.
In particolare, sul terreno del diritto e dei suoi strumenti l’Unione europea rappresenta un esempio a livello globale. Ne fanno fede la sua Carta dei diritti, i suoi Trattati, l’efficacia immediata nel diritto nazionale delle sue direttive, la presenza di due Corti che emanano decisioni importanti, nuovi strumenti quali la nuova Procura europea, il mandato di arresto e tutti gli altri istituti di cooperazione.
La fissazione di regole condivise e di organi di giustizia comuni hanno consentito il formarsi di una “cultura giuridica europea” sempre più integrata, che pone al centro la persona umana.
Questo modello culturale di riferimento rappresenta la grande, impareggiabile, forza dell’Unione, che tutto il mondo ci invidia.
Ma l’integrazione tra gli Stati membri dell’Unione non può procedere soltanto attraverso la giurisprudenza e le nomofilachie delle corti supreme (nazionali ed europee), perché richiede decisioni politiche da parte delle competenti istituzioni, rappresentative sul piano nazionale di ciascuno Stato membro.
Sotto questo profilo, l’auspicio è che, sulla scena politica europea vi siano statisti, che sappiano integrare i singoli interventi in progetti politici unitari, superando sovranismi nazionali e impostazioni individualistiche (come accadde negli anni Cinquanta del secolo scorso con Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Robert Schuman).
Questo è l’auspicio di fondo che l’Autore formula come messaggio di un libro denso di informazioni storiche, geopolitiche, giuridiche condite da acute osservazioni nel quale viene affrontato, con serietà e con uno stile letterario fluido, un argomento di cui si parla da decenni ma che oggi, nell’era Trump, è diventato di stringente attualità perché se l’Unione Europea in ambito internazionale non si pone come un unico soggetto forte rischia l’irrilevanza.
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