ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Per non dimenticare Palermo. Ricostruire il dialogo fra i giudici di merito e di legittimità di Roberto Conti
Il ruolo della Corte di cassazione rispetto al giudice di merito è strettamente connesso al tema oggetto del convegno, appunto collegato alla tutela dei diritti.
La prospettiva che tende ad “isolare” la Corte di cassazione in un ambito estraneo a quello della giustizia di merito mi sembra emergere da diversi indicatori, più o meno evidenti e percepiti, univoca e pare a me pericolosissima sia sul piano interno che su quello esterno.
Da un lato tende ad enfatizzare una diversità “di casta” fra merito e legittimità che chi vive in Corte sa non esistere. Prospettiva che, invece, viene da più parti enfatizzata e cavalcata per creare frizioni, muri e contrapposizioni e con esse idee di supremazia della Corte e di subordinazione del giudice di merito.
Dall’altro, può instillare nella collettività l’idea che in Corte si troverà un giudice a Berlino capace di rivoltare il verdetto dei giudici “minori” o, al contrario, quella di un giudice che, nel ribaltare le sofferte e laboriose decisioni di merito, imbracci con troppa leggerezza la clava, dimenticandosi della concretezza delle vicende spesso dolorose.
Troppo e troppo spesso la visione offerta, anche a livello associativo, della Corte di cassazione è risultata sbiadita e poco attenta, a mio avviso, a segnarne e sottolinearne il ruolo e la valenza di sistema per la tutela dei diritti delle persone. Dibattito che quando si comincia a ragionare sul ruolo della Corte di Cassazione sembra non affascinare affatto il merito, a volte più favorevole a guardare alla Cassazione o come mera banca dati o come giudice che dall’alto cassa, dispensando le proprie pillole di saggezza, peraltro spesse volte dimostrative di vere e proprie “cappellate”- uso l’espressione che un accademico ha utilizzato in un recente convegno della formazione decentrata sotto il tetto dell’Aula magna della Corte di cassazione -.
La prospettiva che credo anche Area debba intraprendere sia quella di “portare la Corte” nelle corti di merito, farne conoscere il modo con il quale opera, segnalare le linee portanti del proprio “fare nomofilachia” e al contempo portare dentro la Corte i dubbi e le incertezze che la giurisprudenza di legittimità produce nell’operare concreto dei giudici di merito.
Riattivare un dialogo fra merito e legittimità mi pare oggi essenziale per realizzare quello che è e deve essere il comune obiettivo, teso a rendere una giustizia che sia celere tanto quanto inscindibilmente collegata alla protezione dei diritti della persona.
In questa prospettiva l’introduzione di due recenti strumenti della revisione dei giudicati penali (628 bis cpp) e della revocazione del giudicato in materia civile per contrasto con parametri convenzionali accertati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (391 quater cpc) mi pare sia una spia di quanto questo ragionare comune fra merito e legittimità sia assolutamente imprescindibile per condividere una cultura dei diritti che deve camminare insieme a quella della tempestività, efficacia e effettività delle tutele.
Il “rischio” – o, forse, l’opportunità - che i giudicati interni, di merito e di legittimità, possano essere rivisti e rivisitati per effetto delle violazioni convenzionali, sia civili che penali, rende ancora di più necessario un passo in avanti della Corte di cassazione, in una prospettiva che il dialogo a distanza voluto dal legislatore della riforma processuale civile con l’introduzione del rinvio pregiudiziale alla Corte da parte del giudice di merito (art.363 bis c.p.c.- possa essere appieno compreso in tutte la sua ricchezza e le sue potenzialità.
Ciò in una prospettiva tesa non già a favorire l’idea della sovraordinazione piramidale della giustizia e dunque della Corte, quanto quella della fiducia reciproca e cooperazione che può rendere al meglio i suoi frutti se si approfondiscono in una chiava di crescita comune le conoscenze tanto delle tecnicalità quanto dei rispettivi ruoli di sostanza.
Nel settore civile lo strumento del rinvio pregiudiziale del giudice di merito alla Corte di cassazione, sul quale ci si è soffermati in diverse occasioni ed in modo più completo, sembra dunque costituire uno strumento di grande utilità per rafforzare il legale ed il dialogo fra merito e legittimità, facendolo uscire dalle sacche aride del suprematismo giudiziario della Cassazione sul merito ed invece conducendo per mano i protagonisti verso un esercizio della giurisdizione sempre più carico di contenuti, sempre più cooperante e collaborativo, al netto delle caratteristiche proprie del merito e della legittimità che rimangono inalterate.
Il diritto è un fenomeno in continuo movimento. È la carnalità delle vicende che lo rende a seconda dei casi interessante piacevole sgradevole o orrendo ma questo è. Appunto lo specchio di quella carnalità o di quel fango di cui parla Paolo Grossi: Spicca qui tutta l’insoddisfazione pos-moderna per l’astrattezza, per il lavorare unicamente su dei semplici modelli; e spicca, in positivo, l’esigenza di calarsi nel folto dell’esistenza quotidiana del quisquis de populo, tra i fatti, che saranno pure un fango ma che è il fango nel quale il cittadino – soprattutto il più debole – è immerso. L’attenzione per la fangosità dei fatti ha un significato profondo: è il ritrovare la storicità dell’uomo e del diritto, facendo di essa il perno attorno a cui deve modellarsi l’intiero ordine giuridico. Solo in tal modo si rende veramente il diritto una reale e imprescindibile risorsa dell’uomo concreto.
Ora, questo essere del diritto che sembra tarato sul giudice di merito lo è, a ben considerare, per l’intera giurisdizione ordinaria ed anche per quella di legittimità, proprio a causa e per effetto della necessità di salvaguardare e fornire sempre maggiore tutela alla persona ed ai suoi diritti.
In questa prospettiva, l’avvento della tutela di beni e valori considerati primari- solo per fare un esempio, il superiore interesse del minore- conduce spesso la Corte di cassazione a valutare in modo particolarmente accentuato l’attività valutativa del giudice di merito, anche per effetto di orientamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo che impongono allo Stato ed ai suoi organi di salvaguardare in maniera effettiva i diritti in gioco. Basti pensare agli obblighi positivi di protezione di matrice convenzionale, che compiano ripetutamente nella giurisprudenza convenzionale e che hanno contribuito a realizzare tutele più forti in ambito nazionale soprattutto nei confronti dei soggetti fragili e vulnerabili. Tutto questo deve essere compreso dal giudice di merito in modo che esso non appaia una indebita intrusione ma, piuttosto, la necessaria risposta del sistema giudiziario alla centralità dei diritti che spesso campeggia nelle controversie.
In questa prospettiva di cooperazione sembra utile favorire un interscambio continuo e periodico fra Cassazione e merito anche sulle giurisprudenze sovranazionali, avendo la Corte di cassazione un gruppo specificamente costituito per monitorare la giurisprudenza interna e quella sovranazionale in tema di protezione dei diritti umani, costituito pionieristicamente alcuni anni fa.
Il gruppo del protocollo di dialogo con la Corte edu va diffuso e disseminato, quanto all’attività che svolge, ancora una volta non in una prospettiva bieca e chiusa di tentativo di sovraordinazione della Corte sul merito, ma di aperta condivisione di materiali , osservazioni e riflessioni che riguardano soprattutto e prima di tutto il merito
Palermo può dunque rappresentare l’occasione perchè la Corte di Cassazione sia compresa dal giudice di merito, nel senso di essere capita ma anche di essere considerata parte della giurisdizione che vive anche e soprattutto nel giudice di merito.
Il ruolo del giudice ai fini della effettività dei precetti posti dalla legge di Giacomo Fumu
Appunti sui numeri della Cassazione di Pierpaolo Gori
Il passaggio dalla requisitoria orale a quella scritta di Pasquale Serrao D'Aquino
SETTORE CIVILE
- 1) ISCRIZIONI E DEFINIZIONI. Dieci anni fa nel 2012 ci sono state 29.128 iscrizioni di nuovi ricorsi e 25.015 definizioni; nel 2022, a fronte di un numero simile di iscrizioni, 29.915, le definizioni sono state 36.284, circa un terzo in più rispetto al 2012. Il numero di iscrizioni nel decennio è giunto sino al picco di 38.725 nel 2019 e le definizioni sino al numero di 40.778 nel 2021, oltre un terzo in più rispetto al 2012.
- 2) NUMERO DI UDIENZE. Nel decennio 2012-22 il numero di udienze è aumentato, ma di poco: nel 2012 le udienze tenute sono state 1.054 mentre nel 2022 sono state 1.230, il che significa, combinato il dato con quello del punto precedente, che ogni udienza nel 2022 è molto più pesante di quanto non fosse 10 anni prima essendo aumentate le definizioni in modo massiccio.
- 3) CRISI DELL’ORALITÀ. La natura delle udienze è stata rivoluzionata, nel 2012 per il 77,6% erano pubbliche udienze e dunque i ricorsi erano oggetto di discussione davanti agli Avvocati e alla Procura Generale in contraddittorio, mentre solo il 22,4% delle decisioni erano adottate in camera di consiglio; il dato è esattamente invertito dieci anni dopo, in quanto nel 2022 le pubbliche udienze sono state il 23,3% del totale mentre le camerali il 76,7%.
- 4) CRISI DELLA MOTIVAZIONE. Egualmente si assiste ad una regressione della motivazione, strumento tradizionale di controllo della decisione soprattutto di quella del giudice di ultima istanza: c'è stata una contrazione delle sentenze, la cui motivazione è maggiormente estesa, ridotte ad appena un terzo del dato originario (da 14.692 sentenze del 2012 si è passati a 3.881 del 2022), mentre le ordinanze sono quadruplicate (da 7.328 del 2012 a 28.180 del 2022) nel decennio. I decreti definitori, ossia provvedimenti totalmente non motivati o con motivazione estremamente concisa, sono passati da 1.666 del 2012 a 3.975 del 2022 e le ordinanze interlocutorie, la cui motivazione è pure normalmente molto succinta, da 473 (2012) sono passate a 2.148 (2022).
- 5) INCONTENIBILE INDICE SMALTIMENTO. L’indice di smaltimento è così passato nel 2012 dal 85,9% al 121,3% del 2022, essendo giunto nel 2021 addirittura al 129,3%; il fatto che l’indice sia diminuito nel 2022 è anche un segno di stanchezza e di non sostenibilità della performance.
- 6) MATERIE PARTICOLARI. Nella protezione internazionale i flussi sono molto variabili di anno in anno: es. 6.026 iscrizioni nel 2018, 10.366 iscrizioni nel 2019, 1.495 nel 2022. Questione centrale è quella tributaria, contenzioso nel quale i primi due gradi di giudizio si collocano al di fuori della giurisdizione ordinaria: vi è stata un’esplosione delle definizioni per frenare l’aumento del grave carico di lavoro arretrato, da 5.966 definizioni (2012) a 12.109 (2022), con un acuto di 15.518 nel 2021. I ricorsi tributari sono circa 50% dell’intero contenzioso civile che, per la prima volta da molti anni, nel 2023 dovrebbe collocarsi al di sotto della soglia psicologica dei 100.000 ricorsi pendenti a fine anno (erano 104.872 al 31.12.2022).
Fonte: Ufficio Statistica Corte di Cassazione, Annuario statistico 2022
SETTORE PENALE
In tema di cassazione: Il ruolo del giudice ai fini della effettività dei precetti posti dalla legge di Giacomo Fumu
Il passaggio dalla requisitoria orale a quella scritta di Pasquale Serrao D'Aquino
sommario: 1. Premessa - 2. Alcune domande - 3. Rivedere il rapporto fra merito e legittimità: creare un confronto circolare - 4. La rilevanza del rinvio pregiudiziale come strumento istituzionale di avvio del rapporto sinergico
1. Premessa
La riforma recentemente approvata (attraverso il Dlgs 149/22 di attuazione della legge delega n. 206/2021) prospetta un cambiamento del volto della giustizia Italiana, richiesto dall’Europa in termini acceleratori: la Corte di cassazione è pienamente coinvolta nel progetto riformatore complessivo che si innesta sull’evoluzione del giudizio di legittimità, rappresentato dal susseguirsi di numerose riforme che sono intervenute nel 2006[1], nel 2009[2] e nel 2016[3], attraverso le quali il ruolo nomofilattico della Corte di cassazione, deputato a garantire l’uniformità della legge e la prevedibilità delle decisioni, è stato, in teoria, notevolmente rafforzato.
C’è da chiedersi se la doppia anima del giudizio di legittimità (“vertice ambiguo”) riuscirà, attraverso quest’ultima riforma, a ritrovare una funzione unica: ma, soprattutto, c’è da chiedersi quale sarà tale funzione.
Da tempo, infatti, i problemi ( soltanto amplificati dalla pandemia che, si spera, sia conclusa) e le ricadute dei più evidenti fattori di crisi della giurisdizione di legittimità - e cioè i tempi eccessivamente lunghi, i contrasti inconsapevoli di giurisprudenza e, complessivamente, la scarsa prevedibilità delle decisioni – erano oggetto della ricerca di una soluzione, senza riuscire a fornire una risposta all’interrogativo concernente la funzione attuale del giudizio di legittimità.
A tale istanza, la riforma recentemente approvata, potrà riuscire a dare una risposta? La questione che si pone è se il mero obiettivo acceleratorio è compatibile con un sistema fondato su una disposizione costituzionale, e cioè l’art. 111 Cost, che consente, comunque, l’accesso alla giurisdizione di legittimità di tutte le istanze, a prescindere dalla natura e dal valore, in quanto ciò implica, necessariamente, che la Corte si trovi a fronteggiare un numero di ricorsi così ingente da rendere assai difficile la produzione di una giurisprudenza coerente e ordinata, volta all’affermazione di principi stabili nel tempo: l’altissimo numero di sopravvenienze rischia fatalmente di compromettere la sua funzione nomofilattica e la possibilità di coniugarla effettivamente con la tutela dello ius litigatoris.
Di fronte a una tale proliferazione di ricorsi, il cui aumento e la cui diminuzione nelle specifiche materie oscilla e dipende anche da decisioni di natura politica [4], una Corte destinata ad una funzione di giustizia del caso concreto, essendo costretta ad operare contemporaneamente attraverso decine e decine di collegi giudicanti per affrontare un carico diversamente non sostenibile, difficilmente può garantire una sufficiente uniformità di indirizzi giurisprudenziali e tempi accettabili di definizione delle controversie.
2. Alcune domande
A Costituzione invariata, la scelta obbligata di introdurre misure acceleratorie – che hanno anche una condivisibile funzione di razionalizzazione del lavoro dei consiglieri – riuscirà a preservare la funzione nomofilattica, o rappresenta soltanto un varco per una definitiva apertura ad un giudizio di Cassazione come terzo grado, con la rinuncia, pertanto al compito di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme applicazione della legge nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale?
Oppure è lecito pensare che tale cambiamento possa essere declinato unitamente a quello dell’intera giurisdizione e debba prevedere una riscrittura sostanziale del rapporto fra merito e legittimità, nell’ottica di focalizzare dal basso le istanze di giustizia?
La previsione è incerta ma alcune misure, se attuate con capacità proattiva anche dai magistrati della Corte, potranno certamente consentire, nel tempo, un alleggerimento del carico: l’ufficio per il processo, ad esempio, rappresenta una struttura organizzativa già esistente in molti paesi europei, ed anche in Italia, gli uffici di merito che lo hanno realizzato hanno raccolto positivi frutti sia in termini acceleratori sia rispetto alla qualità del prodotto giurisprudenziale.
Anche l’attuazione sinora sviluppata in Corte di Cassazione ha dato buoni frutti, rimanendo come “fattore di crisi” soltanto la temporaneità della misura, la cui realizzazione è affidata a contratti a termine che, non garantendo una stabilità occupazionale, hanno determinato numerosi esodi degli addetti all’UPP assunti.
La stessa previsione favorevole può essere ragionevolmente formulata rispetto alla soppressione della sezione filtro ed alla creazione di una accurata fase di ”spoglio” delle controversie, supportata dall’ufficio per il processo, direttamente veicolate nelle sezioni con risparmio dei “tempi morti” che l’Europa ci chiede di eliminare.
Chiaramente il risultato di tale operazione strutturale è affidato ad una piena realizzazione di soluzioni che la Corte di Cassazione sta ricercando, attraverso l’ acquisizione, invero solo recente, sia di quella cultura dell’organizzazione già da tempo diffusa negli uffici di merito come elemento indispensabile per il loro funzionamento, sia della completa informatizzazione dell’ufficio attraverso l’obbligatorietà del processo telematico.
3. Rivedere il rapporto fra merito e legittimità: creare un confronto circolare
Una relazione sinergica con gli uffici di merito rappresenta uno strumento fondamentale per aggiornare la funzione pilota della Corte di Cassazione assegnandole una dimensione verticistica ma inclusiva delle istanze di giustizia che, partendo dai Tribunali e dalle Corti, prospettano con immediatezza i problemi interpretativi sopraggiunti, rispetto ad una realtà in costante e rapidissimo mutamento. In relazione a ciò, sarebbe opportuno creare un confronto stabile con le Corti territoriali e con i Tribunali ( per le materie per le quali è escluso il grado d’appello) attraverso un sistema di conferenze istituzionalizzato e finalizzato a mettere a fuoco le questioni sulle quali si rende necessario un rapido aggiornamento degli orientamenti: in questo modo la prevedibilità delle decisioni, sulla quale la Corte di Cassazione ha fatto registrare un punto di crisi difficilmente superabile, potrebbe essere agevolata.
4. La rilevanza del rinvio pregiudiziale come strumento istituzionale di avvio del rapporto sinergico
Un strumento introdotto, di grande rilevanza per la creazione della sinergia fra merito e legittimità è il rinvio pregiudiziale.
L’art. 363bis cpc ha introdotto un’altra rilevante novità per il processo in cassazione, già sperimentata in altri ordinamenti [5].
È previsto, più in dettaglio, che «il giudice di merito» quando deve decidere una questione di diritto, la possa sottoporre d’ufficio direttamente alla Corte di cassazione per la sua risoluzione.
Per esercitare il rinvio pregiudiziale, anzitutto, il giudice deve prima avere sottoposto la questione al contraddittorio delle parti.
Sono poi espressamente codificati i presupposti della questione che può essere oggetto di rinvio. Più in dettaglio la questione deve essere:
a) esclusivamente di diritto;
b) nuova, non essendo stata ancora affrontata dalla Corte di cassazione;
c) di particolare importanza;
d) con gravi difficoltà interpretative;
e) tale da riproporsi in numerose controversie.
Il procedimento di rinvio pregiudiziale prevede che l’ordinanza del giudice remittente vada trasmessa – a cura della cancelleria – alla Corte di cassazione.
Si prevede, inoltre che, ricevuti gli atti, il Primo presidente dichiari inammissibile la richiesta qualora risultino insussistenti i presupposti descritti in precedenza, a riprova che non si tratta di un mezzo di impugnazione e, dunque, non vi è un obbligo della Corte di provvedere; e che se non dichiara l’inammissibilità, assegni la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice tabellarmente competente per l’enunciazione del principio di diritto, ma sempre all’esito di una pubblica udienza.
Il rinvio pregiudiziale in cassazione sospende il giudizio di merito ove è sorta la questione oggetto di rinvio; il provvedimento con il quale la Corte di cassazione decide sulla questione è ovviamente vincolante nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione.
La riforma estende il vincolo del precedente della Corte, qualora il processo si estingua, anche nel nuovo processo che sia stato instaurato, con la riproposizione della medesima domanda, nei confronti delle medesime parti.
Tale strumento, sta avendo una positiva attuazione nell’ottica di anticipare i principi di diritto non ancora affremati: se continuerà ad essere applicato allontanando i sospetti di un possibile atteggiamento defatigatorio da parte dei giudici di merito, rappresenta una forma istituzionalizzata di “allerta” sulle questioni giuridiche nuove e potrà incidere positivamente sulla prevedibilità delle decisioni, a vantaggio sia dei tempi della giurisdizione di merito sia della deflazione della domanda di giustizia nella giurisdizione di legittimità.
5. Ultima notazione: valutare la sostenibilità dell'art.111 Cost. nella sua attuale interpretazione e applicazione
Probabilmente sarà necessario riflettere anche sulla sostenibilità della scelta di mantenere immutato l’art. 111 co. 7 Cost. e valutare se, al fine di evitare una rischiosa modifica costituzionale, possa ipotizzarsi una limitazione del dovere della Corte di pronunciarsi nel merito, attraverso la dichiarazione di l’irricevibilità del ricorso per cause di modestissimo valore purché non riguardino i diritti fondamentali della persona, le quali rappresentano, comunque, una percentuale non trascurabile delle pendenze attuali.
[1] Cfr. Dlgs 2.2.2006 n° 40, Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80, che, fra le altre cose, ha introdotto la decisione in camera di consiglio per i casi di inammissibilità e manifesta fondatezza o infondatezza.
[2] Cfr. L. 18 giugno 2009 n. 69, Disposizioni per lo sviluppo economico e la competitività nonché in materia di processo civile che, fra le altre cose, ha introdotto la sezione filtro.
[3] Cfr. DL 168/2016 conv. nella L. 25.10.2016 n. 197, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168, recante misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione, per l'efficienza degli uffici giudiziari, nonche' per la giustizia amministrativa, di cui si parlerà in seguito.
[4] Nella materia protezione internazionale, e cioè una di quelle che maggiormente da alcuni anni fa registrare altissime sopravvenienze, la modifiche normativa che le ha determinate è rappresentata dalla L. 46/2017 che ha previsto l’eliminazione del grado d’appello con la conseguenza che il provvedimento di merito, reso a seguito di un solo grado di giudizio, viene impugnato direttamente dinanzi alla Corte di Cassazione.
[5] L’ordinamento francese conosce la cd. saisine pour avis.
Approfondimenti sul tema:
Il ruolo del giudice ai fini della effettività dei precetti posti dalla legge di Giacomo Fumu
Appunti sui numeri della Cassazione di Pierpaolo Gori
Il passaggio dalla requisitoria orale a quella scritta di Pasquale Serrao D'Aquino
Sommario: 1. La fattispecie. - 2. Precisazioni sulla relazione intercorrente fra regione e struttura commissariale. - 3. La natura (ampiamente) discrezionale del potere amministrativo in materia di ripartizione delle risorse e determinazione dei tetti di spesa in ambito sanitario. - 4. I limiti del sindacato giurisdizionale tra ponderazione degli interessi e razionalità della decisione amministrativa.
1. La fattispecie
La sentenza in nota[1] offre l’opportunità di riflettere sull’ampia discrezionalità amministrativa in materia di ripartizione delle risorse e determinazione dei tetti di spesa in ambito sanitario, con la precisazione – non priva di risvolti anche sotto il profilo della legittimazione processuale – che il giudizio concerne atti emanati dal Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi della Regione Calabria.
Con ricorso principale è stato impugnato il decreto[2] recante la determinazione dei livelli massimi di finanziamento alle Aziende Sanitarie Provinciali per l’acquisto di prestazioni erogate dalla rete di assistenza ospedaliera privata accreditata con oneri a carico del Servizio Sanitario Regionale per il triennio 2022-2024, come rettificato[3]; con motivi aggiunti la ricorrente titolare di una struttura sanitaria accreditata ha agito avverso il successivo decreto commissariale[4]volto a esplicitare il criterio seguito per detta ripartizione del budget, di portata tale da superare il provvedimento censurato in via principale[5].
L’articolazione delle censure può riassumersi nei seguenti termini.
In primo luogo, nel riferirsi in via esclusiva al valore della produzione effettuata in un certo periodo pregresso senza distinzioni fra prestazioni erogate nel rispetto dei limiti negoziali pattuiti e prestazioni rese extra budget, l’amministrazione consentirebbe l’attribuzione di risorse più cospicue nei confronti di strutture convenzionate che, in modo sistematico, avrebbero disatteso le linee programmatiche e i limiti di spesa imposti. Da qui gli asseriti profili di illogicità, arbitrarietà e ingiustizia del criterio impiegato che premierebbe taluni operatori inadempienti rispetto a un assetto predeterminato a scapito di quanti, come la ricorrente, vi hanno diligentemente ottemperato.
In secondo luogo, il dato della produzione storica delle singole strutture sarebbe, in ogni caso, inidoneo ad assicurare i fabbisogni sanitari a livello territoriale, né risolverebbe il problema della mobilità passiva regionale[6], donde ulteriori profili di irragionevolezza dell’azione commissariale incapace di considerare imprescindibili aspetti quali la localizzazione delle strutture, le carenze territoriali, l’accessibilità, il bacino e il tipo di utenza, la vocazione, le tecnologie e, soprattutto, il numero di posti letto disponibili.
A quest’ultimo riguardo merita fin d’ora precisare che, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, la determinazione del budget non può ritenersi commisurata all’insieme dei posti letto esistenti nella provincia di riferimento, né ai posti letto accreditatati, ma è condizionata dalle risorse effettivamente a disposizione e dalla razionalità dei criteri fissati per la loro suddivisione[7]. Infatti, le esigenze di contenere la spesa pubblica, per quanto stringenti, non escludono che le scelte operate dallo stesso commissario ad acta debbano estrinsecare in maniera coerente e intellegibile le ragioni sottese alla determinazione adottata[8].
2. Precisazioni sulla relazione intercorrente fra regione e struttura commissariale
Ricostruita nei suddetti termini la fattispecie, prima di analizzare le statuizioni inerenti al merito della controversia, è opportuno concentrare l’attenzione sulla questione riguardante la legittimazione passiva al ricorso della Regione Calabria. Il difetto all’uopo riscontrato dal giudice di prime cure potrà comprendersi all’esito di un conciso inquadramento della relazione intercorrente fra regione e struttura commissariale.
I programmi operativi di riorganizzazione, riqualificazione e potenziamento del servizio sanitario regionale, ridenominati piani di rientro[9], istituiti dalla legge finanziaria 2005[10] contengono sia le misure di riequilibrio del profilo di erogazione dei LEA, per renderli conformi con la programmazione nazionale e con il vigente d.P.C.M. riguardante la loro definizione[11], sia le misure per ottenere l’equilibrio di bilancio sanitario. In Calabria, l’accordo sul piano di rientro dal disavanzo è stato perfezionato il 17 dicembre 2009 e recepito con DGR n. 97 del 12 febbraio 2010.
La disciplina dei piani di rientro introduce significative innovazioni nel rapporto tra unitarietà e differenziazione in materia sanitaria[12]. Le regioni sottoposte alla procedura di risanamento perdono parte della loro autonomia decisionale, fino alla nomina governativa di un commissario ad acta per l’attuazione del piano, essendo legate all’adozione di misure organizzative e provvedimenti condizionanti l’offerta assistenziale rivolta agli utenti del servizio. Il commissariamento si giustifica in ragione dell’omessa realizzazione degli obiettivi prefigurati nel piano di rientro, cioè sopraggiunge all’esito di una persistente inerzia degli organi regionali che, in tal modo, si sottraggono a un’attività imposta sia da esigenze di finanza pubblica connesse alla necessità di assicurare la tutela dell’unità economica della Repubblica, sia dai livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto alla salute[13].
Il riconoscimento di significativi spazi di intervento alle regioni in relazione alle politiche sanitarie rinviene un limite indefettibile nell’esigenza di garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale i LEA, prestazioni necessarie per rispondere ai bisogni fondamentali di promozione, mantenimento e recupero della tutela della salute[14], in coerenza con gli artt. 3, comma 2, e 117, comma 2, lett. m), Cost.[15], rispetto ai quali il tema della differenziazione si pone soprattutto in termini di efficiente erogazione del servizio. Le regole del d.P.C.M. sopra richiamato, tuttavia, non hanno trovato applicazione omogenea nelle diverse aree del Paese, con conseguente attivazione di interventi sostitutivi riconducibili all’art. 120, comma 2, Cost.
Il potere sostitutivo che tale norma riconosce al Governo mira a salvaguardare, al netto dei criteri di allocazione delle competenze[16], taluni interessi unitari che il sistema costituzionale affida alla responsabilità dello Stato[17] cui spetta, nel particolare ambito dei piani di rientro dai deficit di bilancio in materia sanitaria, il compito di «risolvere nel minor tempo possibile la crisi dissipativa di un certo ente autonomo, sì da rimetterlo in condizione di tornare a garantire i beni da questo, invece, al momento compromessi»[18]. La giurisprudenza costituzionale, in tal senso, consente di evidenziare l’inscindibile legame tra il conferimento di una determinata attribuzione e la previsione di un intervento sostitutivo volto ad assicurare che la finalità cui essa è preordinata non sacrifichi l’unità e la coerenza dell’ordinamento[19].
Nell’ambito in questione, quindi, la garanzia dei livelli essenziali di assistenza si intreccia con il fine di garantire la tenuta del quadro complessivo delle risorse pubbliche. È il piano di rientro dai deficit di bilancio, insieme ai connessi programmi operativi[20], a orientare le strategie regionali di spesa e di programmazione sanitaria, circostanza non sconfessabile neppure dal legislatore regionale[21]. Una diversa soluzione rischierebbe di pregiudicare la tenuta del sistema fondato sull’art. 120, comma 2, Cost., costituendo un grave ostacolo non solo alla piena attuazione dell’autonomia finanziaria regionale, ma anche al superamento dei divari territoriali nell’erogazione di prestazioni inerenti a diritti sociali[22] e, nello specifico, a un diritto (alla salute) fondamentale della persona umana, in scia all’art. 2 Cost., che si dispiega sia nei rapporti fra privati, sia nelle relazioni giuridiche fra questi ultimi e la pubblica amministrazione[23].
Esiste, infatti, una “componente essenziale” ad assicurare l’effettività dei diritti sociali[24], ossia un “nucleo indefettibile” di garanzie[25] incomprimibile e intangibile che consente di precisare, ulteriormente, come «la dialettica tra Stato e Regioni sul finanziamento dei LEA dovrebbe consistere in un leale confronto sui fabbisogni e sui costi che incidono sulla spesa costituzionalmente necessaria, tenendo conto della disciplina e della dimensione della fiscalità territoriale, nonché dell’intreccio di competenze statali e regionali in questo delicato ambito materiale»[26]. Ciò per garantire una programmazione effettiva e la reale copertura finanziaria dei servizi sanitari che, in virtù della natura della situazione da tutelare, deve riguardare sia la quantità che la qualità di prestazioni costituzionalmente necessitate, in uno scenario improntato alla riduzione dei divari territoriali e all’equità[27].
L’incapacità dell’amministrazione territoriale di raggiungere determinati standard meritevoli di tutela (anche) in ambito sanitario, pertanto, giustifica una temporanea surroga nell’esercizio di funzioni assegnate alla titolarità di enti sub-statali. Dunque, la relazione intercorrente fra la struttura commissariale e la Regione è di tipo intersoggettivo e non interorganico[28]. Ciò significa che provvedimenti commissariali come quelli esaminati nella sentenza in nota non sono imputabili all’ente territoriale[29] che, di conseguenza, non ha legittimazione passiva, ossia il ricorso è inammissibile nei suoi confronti[30].
3. La natura (ampiamente) discrezionale del potere amministrativo in materia di ripartizione delle risorse e determinazione dei tetti di spesa in ambito sanitario
Il modello di SSN delineatosi a partire dal d.lgs. n. 502/1992 si ispira alla coniugazione del principio di libertà dell’utente con il principio di programmazione delle prestazioni a carico del servizio sanitario. Sotto il primo aspetto rileva il diritto alla scelta della struttura di fiducia, pubblica o privata, per la fruizione dell’assistenza sanitaria. Il perseguimento del principio della necessaria programmazione sanitaria è stato, invece, perseguito tramite l’adozione di piani annuali preventivi finalizzati a un controllo tendenziale sul volume complessivo della domanda quantitativa delle prestazioni mediante la fissazione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria e l’elaborazione di protocolli diagnostici e terapeutici che, inizialmente previsto per le sole aziende ospedaliere[31], è stato poi esteso a tutti i soggetti, pubblici e privati, accreditati[32].
Si è registrata, inoltre, la progressiva accentuazione del carattere autoritativo della programmazione sanitaria[33]. In particolare, a norma dell’art. 32, comma 8, della l. 27 dicembre 1997, n. 449, le Regioni, in attuazione di tale programmazione e in coerenza con gli indici di cui all’art. 2, comma 5, della l. n. 549/1995, s.m.i., individuano preventivamente per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, compresi i presidi ospedalieri, o per gruppi di istituzioni sanitarie, i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario e i preventivi annuali delle prestazioni, nonché gli indirizzi e le modalità per la contrattazione di cui all’art. 1, comma 32, della l. n. 662/1996[34].
Alle regioni, quindi, è stato affidato il compito di adottare determinazioni di natura autoritativa e vincolante in materia di limiti alla spesa sanitaria, in linea all’esigenza che l’attività dei soggetti operanti in ambito sanitario si svolga nel rispetto di una pianificazione finanziaria. In altri termini «spetta a un atto autoritativo e vincolante di programmazione regionale la fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario per singola istituzione o per gruppi di istituzioni, nonché la determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni»[35].
La giurisprudenza amministrativa ha considerato detta funzione programmatoria un dato ineludibile per assicurare una corretta gestione delle risorse disponibili, affermando, in linea di principio, la legittimità dei tetti di spesa nei confronti di strutture private accreditate date le insopprimibili esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica[36], per quanto il diritto fondamentale alla salute, come anticipato, non possa essere scalfito nel suo nucleo essenziale. Al di là della questione più specifica della legittimità dei tetti di spesa fissati in corso di esercizio finanziario[37], ciò significa che le regioni godono di un ampio potere discrezionale nell’esercizio della predetta funzione, dovendo individuare un punto di sintesi in esito alla comparazione di interessi quali il contenimento della spesa pubblica, il diritto alla fruizione di adeguate prestazioni sanitarie, le aspettative di operatori orientati dalla logica imprenditoriale e l’efficienza delle strutture sanitarie[38].
In una Regione come la Calabria interessata dal regime “emergenziale” – che, invero, si protrae da oltre un decennio[39] – del piano di rientro dal disavanzo e dal successivo commissariamento, in base a quanto già osservato, l’individuazione delle somme destinate all’acquisto delle prestazioni sanitarie erogate dalle strutture accreditate spetta al Commissario ad acta, così da «rendere stringenti i criteri di fissazione del tetto massimo di spesa posto a monte dell’erogazione dei singoli budgets destinati alle strutture private»[40].
In tale prospettiva, si è precisato che «la ragionevolezza delle scelte operate in materia di tetti di spesa e ripartizione del budget, trattandosi di determinazioni che tengono conto della ponderazione tra i diversi tipi di interessi e prestazioni eterogenee, come tali riservate ad una sfera di discrezionalità politico-amministrativa particolarmente ampia, (…) non emerge guardando al singolo interesse e al concreto effetto lesivo che la stessa comporta per il singolo operatore economico, ma solo considerando tale interesse insieme agli altri, valutando le alternative possibili e realistiche per contemperarle»[41]. Si è inoltre evidenziato che «chi intende operare nell’ambito della sanità pubblica deve pur accettare i limiti in cui la stessa è costretta, dovendo comunque e in primo luogo assicurare, persino in presenza di restrizioni finanziarie, beni costituzionali di superiore rango quali i livelli essenziali relativi al diritto alla salute. Le strutture private, che operano e cooperano in regime di accreditamento all’erogazione del servizio sanitario, non possono ignorare questa fondamentale esigenza pubblica (…) sottesa alla previsione di stringenti tetti di spesa»[42].
Alla stregua di simili statuizioni, la sentenza in nota afferma che un criterio – come quello in esame – di distribuzione delle risorse basato sul valore medio della produzione effettuata in un certo periodo, quand’anche eccedente il budget fissato dall’amministrazione[43], non può ritenersi palesemente illogico o irrazionale, poiché idoneo a rappresentare uno degli elementi utili ad apprezzare l’efficienza degli operatori nel mercato di riferimento, senza pregiudizio per la concorrenzialità tra singole strutture sanitarie.
4. I limiti del sindacato giurisdizionale tra ponderazione degli interessi e razionalità della decisione amministrativa
Il principio di parificazione e di concorrenzialità tra strutture pubbliche e private, dunque, deve conciliarsi con il principio di programmazione[44] volto ad assicurare razionalità al sistema sanitario. È necessario ora precisare se le prestazioni eccedenti il budget prefissato dall’amministrazione possano legittimamente rilevare, come ritenuto dalla sentenza in nota, ai fini della determinazione delle risorse spettanti alle strutture accreditate. Nel caso di specie, infatti, la p.a. ha optato per il criterio della produzione effettiva nel riparto delle risorse disponibili, sì da ottimizzare pro futuro le potenzialità delle strutture nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, mentre per la ricorrente una simile opzione avrebbe valorizzato una forma di illecito contrattuale.
In base a tali premesse è opportuno chiarire, innanzitutto, il regime delle prestazioni extra budget e, successivamente, la ragionevolezza del menzionato criterio in relazione ai poteri decisori del giudice amministrativo.
In merito al primo profilo, dagli artt. 8-quinquies e 8-sexies del d.lgs. n. 502/1992 si desume la regola per cui non è consentita la remunerazione delle prestazioni in argomento, in quanto la funzionalità del sistema di programmazione sanitaria si fonda sul rispetto dei tetti di spesa preventivati. Anche la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare, al riguardo, che l’osservanza di questi tetti costituisce un vincolo ineludibile che stabilisce la misura delle prestazioni che il SSN può erogare e permettersi di acquistare[45], al punto di giustificare l’omessa previsione dei criteri remunerativi riguardanti le prestazioni extra budget, circostanza ritenuta coerente con il fine di perseguire obiettivi di equilibrio finanziario attraverso un’attività di programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante[46] e, come anticipato, connotata da significativi margini di discrezionalità.
In questa parte del ragionamento si innesta il secondo profilo relativo al tipo di sindacato giurisdizionale che può svolgersi in riferimento all’esercizio di tale potere, il quale risulta circoscritto agli aspetti del provvedimento idonei a rivelare un’evidente illogicità, irragionevolezza o erroneità[47]. Una volta escluso che l’amministrazione sia incorsa in un simile vizio della funzione[48], il giudice amministrativo non può sostituire il proprio giudizio alle valutazioni spettanti alla p.a.
Ciò non implica, ovviamente, preclusioni in ordine alla verifica della congruità delle valutazioni strumentali ad assicurare la razionalità della decisione amministrativa[49]. La vigenza di un canone generale di ragionevolezza[50], del resto, è stata da tempo affermata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato[51], che attraverso il sindacato sull’eccesso di potere ha fatto emergere un obiettivo di adeguamento sostanziale dell’agire pubblico rispetto alla funzione esercitata[52].
Tale sindacato sulla “accettabilità” della scelta schiude significativi spazi al giudice amministrativo, e ciò costituisce la ragione della “forza intrinseca” del giudizio sull’eccesso di potere[53] che ha imposto una rilettura della teoria della validità provvedimentale con il passaggio dalla legittimità formale a quella sostanziale[54]. Spetta, tuttavia, alla parte ricorrente dimostrare la palese ingiustizia, irrazionalità o illogicità di una scelta, come quella in contestazione, basata sulla produzione effettiva ai fini del riparto delle risorse fra strutture private accreditate; il che non è avvenuto: «non appare, infatti, del tutto irrazionale che l’Amministrazione, non disponendo di specifiche evidenze sulla qualità delle prestazioni offerte dai vari soggetti accreditati, abbia deciso di distribuire le risorse finanziarie disponibili prendendo a riferimento il dato della produzione effettiva, quale indice della capacità delle singole strutture sanitarie di erogare prestazioni sanitarie»[55].
La considerazione delle prestazioni erogate extra budget, in tal senso, consente di apprezzare pienamente l’efficienza delle imprese sanitarie e, nella prospettiva secondo cui il perseguimento degli interessi pubblici coesistenti in materia non può sottostare agli interessi privati, cedevoli e recessivi rispetto ai primi[56], si dimostra coerente con il fine ultimo di tutelare il diritto fondamentale alla salute.
[1] Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 20 marzo 2023, n. 435.
[2] DCA 17 ottobre 2022, n. 133.
[3] DCA 18 ottobre 2022, n. 137.
[4] DCA 9 dicembre 2022, n. 185.
[5] Da cui discende l’improcedibilità del ricorso principale.
[6] Cfr. il Report Osservatorio GIMBE 1/2023 Il regionalismo differenziato in sanità (Fondazione GIMBE: Bologna, febbraio 2023, disponibile sul sito www.gimbe.org/regionalismo-differenziato-report). La mobilità sanitaria interregionale avvera spesso forme di “turismo” sanitario non sovrapponibili a quelle considerate dalla giurisprudenza amministrativa e, in linea di principio, non consentite anche in ragione di «intuibili esigenze di natura economico-finanziaria a tutela dell’erario e di parità di trattamento dei cittadini/utenti» (Cons. Stato, sez. III, 7 gennaio 2014, n. 19; Id. 22 gennaio 2014, n. 296; Id. 11 marzo 2014, n. 1146; Id. 17 marzo 2014, n. 1320; Id. 21 luglio 2014, n. 3881), in considerazione della richiesta di autorizzazione a effettuare cure specialistiche all’estero, né con il consolidato principio di libera scelta del paziente che comprende la scelta della struttura, pubblica o privata, a cui rivolgersi.
[7] Cfr., ex multis, Tar Sicilia, Palermo, sez. III, 17 maggio 2017, n. 1351.
[8] Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 17 giugno 2020, n. 2020, che sul punto richiama Id. 26 settembre 2018, n. 1636.
[9] L’art. 1, comma 796, della l. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), istitutiva un fondo per il triennio 2007-2009 da ripartirsi fra le regioni interessate da elevati disavanzi, ne ha subordinato l’accesso «alla sottoscrizione di apposito (…) piano di rientro dai disavanzi» puntualizzando il relativo contenuto.
[10] E resi effettivi con l’Intesa fra Stato e Regioni del 23 marzo 2005.
[11] Il d.P.C.M. 12 gennaio 2017 recante «definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza» di cui all’art. 1, comma 7, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, ha sostituito il d.P.C.M. 29 novembre 2001. La “griglia LEA” si compone di 22 indicatori, in base ai quali viene elaborato un unico risultato che riassume la valutazione dei servizi erogati in ciascuna delle tre aree assistenziali (prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera): sono adempienti le regioni che conseguono un risultato complessivo pari o superiore a 160. Diversamente da tale sistema valutativo, il monitoraggio fondato sul Nuovo Sistema di Garanzia (NSG), introdotto in via sperimentale con d.m. 19 marzo 2019 e operativo dal 1° gennaio 2020, è basato su 88 indicatori, dei quali 22 “core”, ossia impiegati per valutare l’erogazione dei LEA in ciascuna delle suddette aree assistenziali, che sostituiscono la “griglia LEA” in vigore fino al 2019, e 66 “no core” che non concorrono alla formazione dei punteggi finali, bensì costituiscono una base informativa per la valutazione complessiva dei SSR e dei loro fabbisogni assistenziali. Il NSG attribuisce un punteggio ad ogni area assistenziale e considera adempiente la regione che totalizza un punteggio, per ciascuna area, pari almeno a 60 (con valore massimo di 100). L’ultima verifica adempimenti LEA disponibile si riferisce all’anno 2019. Per un confronto tra i risultati della Griglia LEA per il periodo 2015-2019 e il monitoraggio sperimentale per il 2019 in base al NSG, si veda il Referto al Parlamento sulla gestione finanziaria dei Servizi Sanitari Regionali (esercizi 2020-2021) elaborato dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti, deliberazione n. 19/SEZAUT/2022/FRG, 74 ss.
[12] Cfr. V. Antonelli - E. Griglio, Tutela della salute, in L. Vandelli - F. Bassanini (a cura di), Il federalismo alla prova: regole, politiche, diritti nelle Regioni, Bologna, 2012, 52 s.
[13] Cfr., ex multis, Corte cost. 19 gennaio 2017, n. 14; Id. 22 novembre 2016, n. 266; Id. 11 novembre 2015, n. 227. Riecheggia qui il monito della dottrina secondo cui «il tema del commissario ad acta, o ad actus, si iscrive prevalentemente nel vasto panorama dell’inefficienza nell’esercizio di attività che rilevano anche – o soltanto – nell’interesse alieno ed in particolare di funzioni della pubblica amministrazione» (V. Caputi Jambrenghi, Commissario ad acta, in Enc. dir., agg. VI, 2002, 285).
[14] Cfr. V. Antonelli - E. Griglio, Tutela della salute, cit., 46.
[15] Cfr. E. Pesaresi, La “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni” e la materia “tutela della salute”: la proiezione indivisibile di un concetto unitario di cittadinanza nell’era del decentramento istituzionale, in Giur. cost., 2, 2006, 1733 ss. Pone in evidenza il nesso tra i principi di unità, uniformità e uguaglianza anche D. D’Orsogna, Principio di uguaglianza e differenziazioni possibili nella disciplina delle autonomie territoriali, in F. Astone - M. Caldarera - F. Manganaro - A. Romano Tassone - F. Saitta (a cura di), Principi generali del diritto amministrativo ed autonomie territoriali, Torino, 2007, 8 e 22.
[16] Non è superfluo ricordare che ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost. tutela della salute e coordinamento della finanza pubblica rappresentano materie di potestà legislativa concorrente.
[17] Cfr. Corte cost. 27 gennaio 2004, n. 43, con nota di F. Merloni, Una definitiva conferma della legittimità dei poteri sostitutivi regionali, in Le Regioni, 4, 2004, 1074 ss.
[18] Corte cost. 23 luglio 2021, n. 168, con nota di A. Carosi, Risanamento finanziario, garanzia dei livelli essenziali e poteri sostitutivi: riflessioni a margine della sentenza della Corte Costituzionale n. 168 del 2021, in Bilancio com. persona, 2, 2021, 50 ss.
[19] Cfr. V. Antonelli, Livelli essenziali, materie trasversali e altri fattori unificanti, in Il federalismo alla prova, cit., 395.
[20] Ai sensi dell’art. 2, commi 88 e 88-bis, della l. 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010), i programmi operativi costituiscono «prosecuzione e necessario aggiornamento degli interventi di riorganizzazione, riqualificazione e potenziamento del piano di rientro al fine di tenere conto del finanziamento del servizio sanitario programmato per il periodo di riferimento, dell’effettivo stato di avanzamento dell’attuazione del piano di rientro, nonché di ulteriori obblighi regionali derivanti da intese fra lo Stato, le regioni e le province autonome». Sulla configurazione dei programmi operativi come atti di esecuzione dei piani di rientro dal disavanzo della spesa sanitaria, fonte di attribuzione di potere e limite alle prerogative del commissario ad acta, S. Villamena, Il Commissariamento della sanità regionale. Conflittualità ed approdi recenti anche con riferimento al c.d. decreto Calabria, in www.federalismi.it (osservatorio di diritto sanitario), 2019, 7.
[21] Cfr. Corte cost. 20 ottobre 2020, n. 217, e, da ultimo, Id. 14 febbraio 2023, n. 20.
[22] Cfr. Corte cost. 26 novembre 2021, n. 220, la quale, nel solco già tracciato da Id. 1 giugno 2018, n. 117, sottolinea che i livelli essenziali delle prestazioni «costituiscono un elemento imprescindibile per uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali».
[23] Cfr. R. Ferrara, L’ordinamento della sanità, Torino, 2007, 62 ss. Si veda già R. Ferrara, Salute (diritto alla), in Dig. disc. pubbl., vol. XIII, Torino, 1997, spec. 531: «mentre il diritto alla salute sembra conservare, tutto sommato, caratteri di assolutezza e di inviolabilità nei rapporti interpersonali fra privati, alla luce dell’art. 32 Cost. interpretato come norma precettiva, questo stesso principio costituzionale evapora e degrada al rango di mera disposizione programmatica allorchè si applichi alle relazioni intersoggettive fra i cittadini-utenti e la pubblica amministrazione». Sulla connotazione del diritto alla salute come “diritto finanziariamente condizionato” si veda F. Merusi, I servizi pubblici negli anni '80, in Quad. reg., 1985, 54. Spetta al legislatore svolgere un bilanciamento che tenga conto dell’esigenza di equilibrio della finanza pubblica e, in tal senso, il diritto alle prestazioni sanitarie non può ritenersi illimitato e assoluto (cfr. N. Aicardi, La sanità, in S. Cassese, a cura di, Trattato di diritto amministrativo, tomo I, Milano, 2000, 382), ma la ristrettezza dei mezzi e delle risorse non potrebbe, comunque, incidere su tale diritto sociale al punto di comprometterne il “nucleo essenziale” (Corte cost. 17 luglio 1998, n. 267).
[24] Come espressamente riconosciuto da Corte cost. 16 dicembre 2016, n. 275, in relazione al diritto all’istruzione del disabile consacrato nell’art. 38 Cost.
[25] Cfr. Corte cost. 26 febbraio 2010, n. 80.
[26] Corte cost. 12 luglio 2017, n. 169.
[27] Sul valore dell’uguaglianza e, in particolare, sulla forza acquisita da quella sostanziale «e quindi dalla necessità di trattare in modo uguale gli uguali, ma in modo diseguale i diseguali», G. Amato, Le istituzioni della democrazia. Un viaggio lungo cinquant’anni, Bologna, 2014, 196. Sul nesso fra tutela della salute e uguaglianza sostanziale, C. Bottari, Principi costituzionali e assistenza sanitaria, Milano, 1991, 49 ss. Sul rapporto fra art. 3 Cost., Stato sociale e fondamento dei diritti sociali, senza pretesa di esaustività, G. Corso, I diritto sociali nella Costituzione italiana, in Riv. trim. dir. pubbl., 1981, 757; F.A. Roversi Monaco, Compiti e servizi. Profili generali, in L. Mazzarolli - G. Pericu - A. Romano - F.A. Roversi Monaco - F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, II, Bologna, 2005, 7.
[28] Tar Molise, sez. I, 15 febbraio 2013, n. 119, secondo cui «dal punto di vista organizzativo la struttura commissariale, nonostante sia organo statale, si avvale degli uffici e del personale della regione inadempiente che ne è anche tenuta a sopportare i costi di funzionamento (…). La rilevata autonomia organizzativa e l’esercizio di poteri propri e non delegati nell’attuazione del piano di rientro induce pertanto a ritenere la struttura commissariale unico legittimato passivo nei giudizi aventi ad oggetto la legittimità degli atti adottati dal commissario ad acta. I ricorrenti eccepiscono che la notifica alla Regione Molise sarebbe idonea a garantire la regolare costituzione del contraddittorio in quanto gli atti adottati dal commissario ad acta dovrebbero imputarsi alla Regione medesima; in senso contrario deve osservarsi che la relazione che intercorre tra la regione e la struttura commissariale è di tipo intersoggettivo e non interorganico».
[29] Come precisato da Cons. Stato, sez. III, 10 aprile 2015, n. 1832, rientra nella competenza esclusiva del commissario ad acta la realizzazione del mandato conferito con la nomina sostitutiva ai sensi dell’art. 120, comma 2, Cost. Si legge, ancora, nella citata sentenza del Tar Molise n. 119/2013 che il commissario ad acta è l’unico soggetto titolare di legittimazione passiva, in quanto «centro di imputazione autonomo sia rispetto alla regione, i cui uffici operano a supporto organizzativo della struttura commissariale in relazione di mero avvalimento (cfr. Tar Molise, 23 dicembre 2010, n. 1565), sia rispetto alla Presidenza del Consiglio dei ministri (…) cui compete il solo procedimento di nomina e la prodromica attività istruttoria relativa all’accertamento della sussistenza dei presupposti normativi di cui all’art. 8 della legge n. 131 del 2001, di attuazione dell’art. 120 Cost., per disporre l’intervento sostitutivo». Sull’autonomia operativa, decisionale e organizzativa della struttura commissariale rispetto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, cfr. anche Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5424.
[30] Cfr. G. Avanzini, Il commissario straordinario, Torino, 2013, 113, che ricorda la pronuncia del Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 25 giugno 2013, n. 712, secondo cui il ricorso avverso i decreti assunti dal Presidente della Giunta in qualità di commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro non va notificato presso la Regione Calabria, bensì la competente Avvocatura dello Stato ex art. 1 della l. 25 marzo 1958, n. 260, richiamato per i giudizi amministrativi dall’art. 10, comma 3, della l. 3 aprile 1979, n. 103, trattandosi di atti riconducibili all’amministrazione statale.
[31] Ai sensi dell’art. 6, comma 5, della l. 23 dicembre 1994, n. 724.
[32] Ai sensi dell’art. 2, comma 8, della l. 28 dicembre 1995, n. 549. Il principio della pianificazione preventiva è stato confermato, con modifiche, dall’art. 1, comma 32, della l. 23 dicembre 1996, n. 662.
[33] È quanto si legge nella pronuncia del Cons. Stato, ad. plen., 12 aprile 2012, n. 3, e, nello specifico, nel § 2.1 della parte in diritto che sta orientando la ricognizione normativa in argomento.
[34] Ibidem.
[35] Così sempre Cons. Stato, ad. plen, n. 3/2012 per cui «l’atto programmatorio regionale rappresenta, in definitiva, un primo e fondamentale strumento di orientamento per le strutture sanitarie pubbliche e private».
[36] Cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. I, adunanza del 26 gennaio 2022, n. 1077/2022; Tar Campania, Napoli, sez. I, 29 novembre 2022, n. 7423; Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 31 ottobre 2022, n. 3053; Tar Lazio, Roma, sez. III-quater, 2 maggio 2022, n. 5401.
[37] In relazione alla quale è sorto un contrasto giurisprudenziale dovuto a due diversi orientamenti. Per il primo la fissazione di tetti di spesa in via retroattiva, soprattutto intervenendo in un periodo avanzato dell’anno, sarebbe illegittima poiché idonea a sottrarre a operatori del SSN la possibilità di programmare, con ragionevole anticipo e congrua ponderazione, la propria attività (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29 marzo 2004, n. 1667; Id. 31 gennaio 2003, n. 499). In base al secondo orientamento, già avallato da Cons. Stato, ad. plen., 2 maggio 2006, n. 8, la fissazione in corso d’anno di tetti che dispieghino i propri effetti anche sulle prestazioni già erogate non potrebbe considerarsi, in quanto tale, illegittima, giacchè essa rappresenta la conseguenza fisiologica dei tempi non comprimibili che permeano le diverse fasi procedimentali previste dalla legge rispetto alla definizione dei fondi utilizzabili (cfr. gli artt. 32, comma 8, l. n. 449/1997, 12, comma 3, d.lgs. n. 502/1992 e 39, comma 1, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, da leggere in combinato con l’art. 115 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112). Questo secondo orientamento è stato confermato da Cons. Stato, ad. plen., n. 3/2012 con la precisazione che «la fissazione di tetti retroagenti impone l’osservanza di un percorso istruttorio, ispirato al principio della partecipazione, che assicuri l’equilibrato contemperamento degli interessi in rilievo, nonché esige una motivazione tanto più approfondita quanto maggiore è il distacco dalla prevista percentuale di tagli. Inoltre, la considerazione dell’interesse dell’operatore sanitario a non patire oltre misura la lesione della propria sfera economica anche con riguardo alle prestazioni già erogate fa sì che la latitudine della discrezionalità che compete alla regione in sede di programmazione conosca un ridimensionamento tanto maggiore quanto maggiore sia il ritardo nella fissazione dei tetti».
[38] Così, oltre alla sentenza in nota, Cons. Stato, sez. III, 7 dicembre 2021, n. 8161; Id. 4 novembre 2018, n. 6427; Id. 4 luglio 2017, n. 3274.
[39] E solo per questa Regione ha determinato l’adozione, in rapida successione, di due atti con forza di legge, meglio noti come “decreti Calabria”, ossia il d.l. 30 aprile 2019, n. 35, convertito con modificazioni dalla l. 25 giugno 2019, n. 60, e il d.l. 10 novembre 2020, n. 150, convertito con modificazioni dalla l. 30 dicembre 2020, n. 181. L’art. 2, comma 1, del d.l. 8 novembre 2022, n. 169, come convertito dalla l. 16 dicembre 2022, n. 196, ha disposto con alcune eccezioni la proroga delle misure per il SSR calabrese in questione, in origine applicabili per ventiquattro mesi, di sei mesi. Un’ulteriore proroga, fino al 31 dicembre 2023, è stata disposta dall’art. 3 del d.l. 10 maggio 2023, n. 51, recante «disposizioni urgenti in materia di amministrazione di enti pubblici, di termini legislativi e di iniziative di solidarietà sociale», convertito con modificazioni dalla l. 3 luglio 2023, n. 87.
[40] Cons. Stato, sez. III, 25 marzo 2016, n. 1244.
[41] Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2018, n. 3859.
[42] Cons. Stato, sez. III, 21 luglio 2017, n. 3617.
[43] Vedi infra.
[44] Cfr. Corte cost. 26 maggio 2005, n. 200.
[45] Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2020, n. 13884.
[46] Cass. civ., sez. III, 31 ottobre 2019, n. 27997.
[47] Cfr., ex multis, Tar Campania, Napoli, sez. I, 5 giugno 2019, n. 3054.
[48] La ricostruzione dell’eccesso di potere quale vizio della funzione, come noto, è stata elaborata da F. Benvenuti, Eccesso di potere amministrativo per vizio della funzione, in Rass. dir. pubbl., 1950, 1 ss.
[49] Cfr. F. Trimarchi Banfi, Ragionevolezza e razionalità delle decisioni amministrative, in Dir. proc. amm., 2, 2019, 313 ss.
[50] Cfr. F. Levi, L’attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino, 1967, 514, e ancor prima, con riferimento al rapporto fra eccesso di potere e sindacato sul ragionevole perseguimento del fine, E. Presutti, I limiti del sindacato di legittimità, Milano, 1911, 78.
[51] Cfr. A. Romano, Art. 26 (t.u. Cons. St. r.d. 26 giugno 1924, n. 1054), in Id., Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, 1992, 266 (II ed., 2001, 195), il quale evidenzia l’emersione, nel panorama giurisprudenziale, del principio di ragionevolezza per le scelte discrezionali amministrative che «ben presto ha assunto tutta l’ampiezza che deve essergli riconosciuta: come limite non solo intrinseco, ma anche altrettanto generale della loro legittimità; e, in tal modo, il giudice amministrativo che lo ha elevato a tanta portata, lo ha formato come strumento mediante il quale poter operare un sindacato parimenti generale di quelle scelte discrezionali medesime, senza peraltro travalicare i limiti della propria giurisdizione detta, appunto, di (sola) legittimità (…). Il principio di ragionevolezza delle scelte discrezionali amministrative viene a porsi come l’angolo visuale più comprensivo dal quale poter valutare tutte le numerosissime ipotesi che si riconducono all’eccesso di potere, come vizio appunto generale della discrezionalità amministrativa». Sulla ragionevolezza come «elemento fondamentale del processo decisorio della pubblica amministrazione nell’esercizio del suo potere discrezionale», si veda anche F. Astone, Il principio di ragionevolezza, in M. Renna - F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, 372.
[52] Cfr. G. Pastori, Discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, in Foro amm., 11, II, 1987, 3170.
[53] Cfr. A. Police, Amministrazione di “risultati” e processo amministrativo, in M. Immordino - A. Police (a cura di), Principio di legalità e amministrazione di risultati (Atti del Convegno, Palermo, 27-28 febbraio 2003), Torino, 2004, 112.
[54] Per ulteriori sviluppi, cfr. i contributi di A. Pajno, Ciò che resta dell’eccesso di potere, F.G. Scoca, Qual è il problema dell’eccesso di potere? e F. Merusi, L’eccesso di potere è morto? E se è morto, chi l’ha ucciso? in F. Francario - M.A. Sandulli (a cura di), Profili oggettivi e soggettivi della giurisdizione amministrativa. In ricordo di Leopoldo Mazzarolli, Napoli, 2017, 233 ss.
[55] Così la sentenza in nota. Non si discute la possibilità di optare per un diverso criterio e neppure si tratta di verificare se il criterio prescelto sia il più idoneo a contemperare gli interessi in gioco. Occorre, invece, appurare un’eventuale irrazionalità, illogicità o ingiustizia della decisione amministrativa, la cui dimostrazione rappresenta un onere per la parte ricorrente.
[56] Come è stato pure evidenziato da Cass. civ., sez. III, n. 13884/2020.
Sommario: 1. Premessa. L’evoluzione del ruolo del Ministero della Giustizia nell’esercizio della funzione giurisdizionale. 2. I recenti interventi normativi che sembrano andare oltre i limiti dell’art. 110 Costituzione. 3. La conseguente odierna posizione degli uffici giudiziari e dei giudici a fronte di queste novità. 4. Alcune osservazioni di sintesi, la necessità che non si smarrisca il senso della giurisdizione e che i giudici non si trasformino in burocrati.
1. Ai sensi dell’art. 110 Cost. al Ministro della Giustizia spetta l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.
L’esercizio della funzione giurisdizionale spetta invece, e come è noto, ai singoli giudici, che la esercitano in modo indipendentemente e autonomo da ogni altro potere (art. 104 Cost.), e la esercitano altresì individualmente, poiché i magistrati si distinguono solo per funzioni (art. 107 Cost.) e costituiscono (alcuni ritengono questo) un potere diffuso necessario alla democrazia del paese (art. 101 Cost.).
In questo contesto non spettano al Ministro della Giustizia, bensì al Consiglio Superiore della Magistratura, le scansioni della professione di giudice, ovvero le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari (art. 105 Cost.).
Orbene, questo assetto del funzionamento della giustizia, fortemente voluto dai nostri costituenti all’uscita del fascismo, a me sembra oggi entrato in crisi.
A me sembra, infatti, che a seguito della pandemia e del successivo PNRR, si avverta invece sempre più come necessaria una maggiore efficienza, un maggiore rigore.
Prima l’efficienza, poi l’assetto costituzionale.
Questa maggiore efficienza necessita a cascata di una maggiore uniformità, e questa maggiore uniformità tende inevitabilmente a valorizzare il ruolo del Ministro della Giustizia.
La giurisdizione è così sempre meno un potere diffuso, il pluralismo rischia di porsi in contrasto con il PNRR, e una certa gerarchizzazione della magistratura è vissuta oggi non tanto come un ritorno al passato, bensì come qualcosa che ci chiede l’Europa per ridurre l’arretrato.
Desidero quindi esternare queste mie preoccupazioni e ricordare in primo luogo alcuni recenti interventi normativi sul punto.
Essi sono solo degli esempi di un quadro più ampio, che comunque gli addetti ai lavori ben conoscono.
2. Questi gli interventi che mi paiono degni di segnalazione.
2.1. La Circolare ministeriale 22 dicembre 2021 del Dipartimento organizzazione giudiziaria (DOG), trasmessa a tutti i presidenti degli uffici giudiziari italiani, ha ritenuto prioritaria la creazione di una “Unità di Staff” dedicata “al monitoraggio statistico e deputata a creare il controllo sulla correttezza dell’inserimento dei dati nei registri, al controllo delle false pendenze, ed alle verifiche dell’andamento dei ruoli dei singoli magistrati”.
Detta “Unità di staff” è oggetto di specifica formazione da parte del Ministero (“La formazione sarà curata dal Ministero della giustizia”) e sarà composta anche da addetti non magistrati con specifiche competenze nelle discipline economiche e manageriali.
Detta Unità di Staff, inoltre, avrà il compito di “rendere maggiormente efficiente l’attività di gestione dei carichi di lavoro e di analisi delle politiche di riduzione dell’arretrato e dell’adozione di sistemi idonei a garantire la ragionevole durata dei processi”.
Il tutto deve tendere al “risultato atteso in termini di miglioramento della performance dell’ufficio”
Ciò considerato, prosegue la circolare, le SS.LL., ovvero i capi degli uffici giudiziari, dovranno provvedere “ad istituire come primo servizio quello inerente alle attività di monitoraggio statistico e di andamento organizzativo del lavoro” e “il personale addetto ai servizi di monitoraggio terrà i contatti diretti con la direzione generale di statica”.
Ed ancora: “La direzione generale di statica fornirà periodicamente il KIT statistico, che tra le varie cose contiene altresì il “disposition time”.
2.2. Ancora, il Ministero della Giustizia, con adozione del direttore generale del 26 luglio 2022, ha approvato un progetto per l’implementazione di modelli innovativi per lo smaltimento dell’arretrato.
Questo progetto, che mira ad “adeguare l’offerta formativa alle esigenze del sistema giudiziario” e a “rafforzare le sinergie tra il sistema della giustizia e il sistema della formazione e della ricerca universitaria” vede coinvolte anche le Università, le quali si sono dichiarate disponibili nella “redazione di progetti pilota per l’ufficio per il processo, analisi dell’arretrato e classificazione dei flussi, analisi, studio, realizzazione e miglioramento degli strumenti di conoscenza a disposizione della giurisdizione” ecc………, ma anche altresì ad occuparsi di “analisi, studio e sperimentazione di strumenti automatizzati per l’individuazione dei precedenti, analisi, studio e sperimentazione di strumenti di supporto alla scrittura della motivazione, redazione di modelli di provvedimento e/o atti a disposizione del sistema giudiziario, individuazione di aree di intervento per nuovi servizi verso l’utenza, individuazione di elementi critici a livello territoriale idonei a produrre domanda giudiziale al fine di proporre protocolli di intesa con gli stakeholder per intervenire sulle cause che generano flussi anomali di carichi di lavoro, individuazione di modelli previsionali dei carichi di lavoro al fine di aumentare la resilienza degli uffici giudiziari, elaborazione di linee guida per il change management”.
Premesso ciò, e considerato che per il raggiungimento di questi obiettivi è necessario che gli uffici giudiziari inviino i propri provvedimenti alle Università interessate affinché queste possano lavorare i dati ricevuti, e premesso che si rende conseguentemente necessario avere uno schema contrattuale di accordo, il Ministero della Giustizia ha elaborato un contratto standard di collaborazione tra uffici giudiziari e università.
Gli uffici giudiziari, così, e in base a tale contratto, trasmettono i loro provvedimenti alle università, e le università aiutano gli uffici giudiziari ad aumentare la loro produttività “migliorare la qualità del lavoro dei giudici” “supportare il processo di digitalizzazione ed innovazione tecnologica” “individuare metodi uniformi per ridurre l’arretrato civile” “aumentare l’utilizzo delle tecnologie ed in particolare dei software utilizzati dai giudici”.
2.3. Con l’avvento del processo telematico, inoltre, la libertà dei giudici di comporre liberamente i propri provvedimenti è andata sostanzialmente persa, ed oggi, preferibilmente, direi necessariamente, gli atti e i provvedimenti giurisdizionali devono inquadrarsi in schemi preconfezionati.
Questi schemi da utilizzare per rendere giustizia sono i software preparati dal Ministero della Giustizia, e molti incontri di studio sono stati organizzati per spiegare ai magistrati l’utilizzazione corretta di questi programmi.
Qui ricordo le schede del Ministro della Giustizia, FN163 e FN164, CARTABIA 2023 – SICID, sulle modifiche relative alla riforma Cartabia per gli uffici giudiziari di merito.
Queste schede, complete di grafici e di indicazioni alle quali i magistrati si devono attenere, evidentemente non incidono sulla libertà di decisione, ma in alcuni casi il rischio che, indicando una modalità di utilizzo, si indichi altresì contemporaneamente una modalità interpretativa, non è da escludere.
Nell’intervento tenuto dal dr. Marcello Basilico, quale componente del CSM, nell’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario a Genova (28 gennaio 2023) egli evidenziava che: “In un corso illustrativo delle innovazioni apportate al processo civile telematico in conseguenza dell’entrata in vigore dal primo gennaio di parte del decreto legislativo n. 149 del 10 ottobre 2022, la Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero ha di fatto illustrato ai giudici l’interpretazione corretta del nuovo art. 127 ter c.p.c., necessitata in base alla funzionalità degli applicativi a disposizione loro e delle cancellerie”.
2.4. Ricordo, ancora, il Questionario del Ministero della Giustizia per il Monitoraggio integrato UPP e digitalizzazione dei fascicoli del 30 giugno 2023, ovvero il questionario per conoscere il funzionamento dei nuovi uffici per il processo.
In esso si leggono le seguenti domande: “- L’Ufficio ha previsto un numero minimo di bozze che gli addetti all’Ufficio per il processo devono redigere periodicamente? – E’ prevista, ai fini di monitoraggio dell’andamento complessivo dell’Ufficio, un’attività periodica di rilevazione del numero di bozze di provvedimenti definitori redatti dagli AUPP? - E’ prevista, ai fini di monitoraggio dell’andamento complessivo dell’Ufficio, un’attività periodica di rilevazione del numero di bozze che sono diventate provvedimenti definitori?
2.5. Addirittura per il processo penale il Ministero della giustizia ha predisposto più circolari aventi ad oggetto le nuove norme a seguito della riforma c.d. Cartabia.
In particolare ricordo tre circolari: a) la circolare n. 212208 del 20 ottobre 2022 avente ad oggetto l’udienza di comparizione predibattimentale a seguito di citazione diretta; b) la circolare n. 213319 del 21 ottobre 2022 avente ad oggetto il processo in assenza; c) e infine la circolare n. 216881 del 26 ottobre 2022 avente ad oggetto le indagini preliminari.
Queste circolari sono state inviate a tutti i capi degli uffici giudiziari e sono presenti nel sito del Ministero della giustizia.
Tutt’e tre le circolari sono giustificate con queste parole: “Il Ministero ha inteso accompagnare gli uffici giudiziari nell’avvio dell’attuazione concreta della riforma predisponendo un corredo di circolari tematiche che, con uno stile espositivo volutamente sintetico e graficamente orientato sui punti fondamentali possano costituire una sorta di “manuale d’uso” delle novità della riforma”.
Le circolari sono infatti per lo più espositive, un manuale d’uso; tuttavia, direi, le stesse non mancano in alcuni momenti di fornire altresì la corretta interpretazione dei punti dubbi della riforma.
A titolo di esempio riporto alcuni passi della circolare del 20 ottobre 2022: “L’adozione delle suggerite soluzioni consentirà, ecc……..La nuova disciplina processuale dovrà trovare piena applicazione in tutti i casi in cui l’azione penale non risulti ancora esercitata…….analogamente, dunque, l’incompatibilità andrà esclusa per le similari situazioni che si dovessero verificare nell’udienza predibattimentale………Laddove, invece, venga avanzata richiesta di rito abbreviato condizionato ad attività istruttoria, il giudice ben potrà rinviare il procedimento per l’incombente e per la decisione alla prima udienza utile…….L’esame sull’attitudine del materiale d’indagine a sostenere una pronuncia di condanna deve essere particolarmente penetrante….”ecc………….
2.6. Non può, poi, e evidentemente, essere dimenticato il decreto del Ministro della Giustizia più noto in questo momento, ovvero quello recante il Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo del 7 agosto 2023 n. 110.
Con esso il Ministro della Giustizia ha fissato i criteri e i limiti degli atti giudiziari ai quali giudici e avvocati si devono attenere; e oggi, così, le modalità di esercizio di essi è regolata con un decreto del Ministro della Giustizia.
E non si replichi che il decreto è stato emanato in quanto previsto dallo stesso art. 46 delle disp. att. c.p.c. per come scritto dal decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149 in attuazione della legge delega 26 novembre 2021 n. 206, poiché, par evidente, se la Costituzione attribuisce al Ministro della Giustizia solo compiti relativi ai servizi, e tutto ciò non rientra nel concetto di “servizi”, nessuna legge può attribuire questo potere al Ministro della Giustizia.
2.7. Non sono mancati infine nemmeno interventi di normativa primaria.
Tra questi ricordo per tutti la nuova class action di cui agli artt. 840 bis e ss. c.p.c..
L’azione può essere proposta “esclusivamente dalle organizzazioni e dalle associazioni iscritte in un elenco pubblico istituito presso il Ministero della giustizia” (art. 840 bis c.p.c.), e le parti, per intervenire nel giudizio, devono predisporre “un modulo conforme al modello approvato con decreto del Ministero della giustizia, che stabilisce anche le istruzioni per la sua compilazione”.
Inoltre, per ben sette volte, la legge fa riferimento all’area pubblica del portale dei servizi telematici gestito dal Ministero della Giustizia, dove tutto viene pubblicato, e dove da detta pubblicazione assai spesso decorrono i termini processuali: lo fa la prima volta con l’art. 840 ter c.p.c., la seconda con l’art. 840 quater c.p.c., la terza con l’art. 840 quinquies c.p.c., la quarta con l’art. 840 sexies c.p.c., la quinta con l’art. 840 septies c.p.c., la sesta con l’art. 840 decies c.p.c., la settima con l’art. 840 quaterdecies c.p.c.
3. La situazione sembra dunque essere questa:
a) l’esercizio della funzione giurisdizionale deve darsi all’interno di schemi predeterminati da software, e questi software sono standardizzati dal Ministero della Giustizia.
Se un giudice volesse muoversi in libertà, l’esercizio di questa libertà sarebbe oggi difficile, e comunque in contrasto alla logica del processo telematico e della ragionevole durata dei processi.
I giudici sono tenuti quindi a lavorare all’interno degli schemi dati loro dal Ministero.
b) I provvedimenti giurisdizionali veri e propri devono anch’essi, se non altro per esigenze di celerità, rispondere a schemi predefiniti, basarsi su bozze di atti.
Queste bozze sono preconfezionate da altri.
Qualcuno che magistrato non è, ovvero qualche addetto all’ufficio per il processo, predispone la bozza, che poi deve essere convertita nel provvedimento del giudice.
Non importa che il provvedimento abbia funzione interinale (ad esempio un’ordinanza ammissiva dei mezzi di prova) o definitiva (ad esempio una sentenza che chiude il processo); in ogni caso il provvedimento deve corrispondere alla bozza predisposta, poiché solo così si riesce ad accelerare i tempi del processo.
Anche questa è l’espressa raccomandazione del Ministero della Giustizia, che nel questionario fornito agli uffici giudiziari chiede preoccupato: l’ufficio del processo prepara le bozze? Ne prepara a sufficienza? Si convertono in veri e propri provvedimenti definitivi?
c) L’idea di fondo è infatti quella che i magistrati non siano in grado di gestire, ne’ individualmente ne’ collettivamente, il loro lavoro; e, attesa questa incapacità, essi vanno dunque aiutati da soggetti estranei, che in qualche modo indicano loro la strada da percorrere.
Questi soggetti estranei alla magistratura, e chiamati a dare il loro necessario aiuto alla magistratura in Unità di Staff, sono voluti e formati dal Ministero della Giustizia.
Lo Staff si occuperà, principalmente, di verificare lo andamento dei ruoli dei singoli magistrati, le tecniche di miglioramento della produzione pro capite e collettiva, le false pendenze, le decisioni inutili o sovrabbondanti, gli schemi decisionali preferibili.
Gli uffici giudiziari, inoltre, e come abbiamo visto in questo contesto, devono altresì trasmettere tutti i loro atti alle università come gli scolari consegnano i compiti agli insegnanti; e le università provvedono a studiare i provvedimenti, a rilevare le incongruenze, le criticità, e indicare le soluzioni; soluzioni organizzative, ma non solo, poiché l’impegno che discende dalla sottoscrizione dei contratti predisposti in tal senso dal Ministero della Giustizia ha ad oggetto anche il supporto alla scrittura della motivazione e i modelli di provvedimenti e/o atti.
d) Ma, inoltre, i magistrati non solo non sanno organizzare il loro lavoro, ma preferibilmente devono essere aiutati anche nella lettura delle novità normative, guidati nella loro interpretazione.
E’ per ciò, direi, che il Ministero della Giustizia invia a tutti i capi degli uffici delle circolari, con le quali spiega le riforme, le analizza, ne illustra le ragioni.
Normalmente queste circolari non contengono vere e proprie esegesi dei testi, e non indicano, fra più soluzioni, qual è quella che preferibilmente deve essere adottata.
Ciò in verità qualche volta avviene, ma non spesso, normalmente si tratta di mere esposizioni; normalmente si tratta di un “manuale d’uso”, come le stesse circolari si definiscono.
Ma anche l’idea che ai giudici debba esser dato un manuale d’uso da parte del Ministero della Giustizia per far sì che comprendano una riforma, costituisce fatto, a mio sommesso parere, non meno grave.
Si tratta di una sorta di infatilizzazione della magistratura che non necessita commenti.
e) Posizione delicata hanno poi oggi i capi dell’ufficio, sovraccaricati da una serie di adempimenti prima inesistenti, che sono tenuti a svolgere, piaccia o non piaccia.
Sia consentito un esempio.
La legge 190 del 2014 trasferiva dai comuni al Ministero della Giustizia la gestione degli immobili adibiti a palazzi di giustizia.
Si tratta di un compito, questo sì, riconducibile ai servizi di cui all’art. 110 Cost.
Ma, sempre più, il Ministero della Giustizia delega questi adempimenti ai capi dell’ufficio.
I capi degli uffici devono in questo modo occuparsi di qualcosa che non li riguarderebbe, e si trovano così in evidente difficoltà e fastidio.
Magari, chissà, qualcuno dirà a breve che i capi degli uffici sono inadeguati al loro ruolo; e qualcuno aggiungerà che vanno allora sostituiti, e qualcun altro proporrà l’ovvia conseguenza di sostituirli proprio con dei manager.
Tutto è possibile, perché no?
f) E poi emerge sempre più un’ultima idea, che è quella che il Ministro della Giustizia debba rendersi soggetto partecipe dei momenti salienti della giurisdizione: e allora indica a giudici ed avvocati i criteri e i limiti della stesura degli atti giudiziari, e in taluni casi crea portali e altri strumenti di conoscenza delle liti.
4. Alcune osservazioni di sintesi, la necessità che non si smarrisca il senso della giurisdizione e che i giudici non si trasformino in burocrati.
Ovviamente qualcuno potrebbe dare di questo insieme di norme una diversa lettura, ed altri potrebbero addirittura contrapporre a ciò diverse fonti normative per giungere a opposte conclusioni, ed escludere ogni violazione, anche lato sensu, dell’art. 110 Costituzione.
Come diceva Salvatore Satta, infatti, il bello del diritto, a differenza della matematica, è proprio quello di non essere una scienza esatta.
Quindi, nel bene o nel male, un po’ tutto è possibile.
Io credo, però, che nessuno, in onestà intellettuale, possa escludere l’esistenza (quanto meno) di un intrapreso percorso verso una trasformazione del nostro quadro costituzionale della giustizia.
I mutamenti, nelle democrazie, avvengono un po’ alla volta, passo dopo passo; e che vi siano in atto dei passi per immaginare dei nuovi giudici, più uniformi, più gerarchizzati, e meglio diretti dal Ministro della Giustizia, credo sia dato difficilmente contrastabile.
Ma ciò che a me soprattutto preoccupa non è tanto l’esistenza di questa nuova tendenza, quanto il fatto che questa prenda forza nella più totale apatia degli stessi operatori del diritto.
V’è, su ciò, un sorta di assuefazione, di adattamento, oggi diremmo di resilienza, che fa sì che tutto venga vissuto come normale, come corretto e inevitabile, una semplice evoluzione, e non una rottura, della nostra tradizione e/o della nostra storia repubblicana, che vuole al contrario che l’esercizio della funzione giurisdizionale avvenga in modo indipendente dagli altri poteri dello Stato, e soprattutto dal Governo.
Un esempio per tutti.
Questa estate la Corte di Cassazione ha pronunciato un’ordinanza innovativa in tema di sospensione dei termini feriali, escludendola con riferimento a tutte le controversie familiari in materia di mantenimento del coniuge debole e dei minori (Cass. 23 giugno 2023 n. 18044).
L’avvocatura, con più di una associazione, spaventata per questa novità, non si è limitata a criticare l’orientamento ma ha ritenuto di investire di ciò il Ministro della Giustizia e gli ha chiesto di intervenire con un decreto legge.
Io non ho mai visto un decreto legge che interviene per correggere un orientamento giurisprudenziale; in ogni caso ritengo che la cosa contrasti con il principio della separazione dei poteri e con l’art. 110 della Costituzione.
Ma non è poi nemmeno questo il punto; il punto è che evidentemente la stessa avvocatura considera oggi il Ministro della Giustizia come un riferimento al quale rivolgersi per ottenere giustizia, quasi a dire: ci sono i giudici, ma sopra i giudici (forse per qualcuno, per fortuna) c’è il Ministro.
E’ un quadro che sinceramente mi preoccupa.
Ed è un tema sul quale invito tutti ad ogni più ampia riflessione e dibattito.
Ognuno di noi ha il dovere di difendere l’indipendenza della magistratura, poiché l’indipendenza della magistratura è il pilastro primo della nostra democrazia e delle nostre libertà.
[1] Intervento tenuto a Palermo il 30 settembre 2023 in occasione del IV Congresso nazionale dei magistrati di AREA democratica per la giustizia.
To install this Web App in your iPhone/iPad press icon.
And then Add to Home Screen.