ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Sommario: 1. Il Decreto Legislativo n. 106/2006: l’affermazione della gerarchizzazione delle procure - 2. Le Risoluzioni del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009: la ‘resistenza’ del CSM alle spinte gerarchiche -3. La Circolare del 16 novembre 2017: dalla ‘direzione gerarchica’ alla ‘direzione funzionale’ delle procure - 3.1. I contenuti più significativi - 3.2. I risultati conseguiti: l’attenuazione della verticalizzazione - 4. La circolare del 16 dicembre 2020 e s.m.: un ulteriore passo verso la ‘direzione funzionale’ delle procure - 4.1. Gli aspetti rilevanti della circolare del 16 dicembre 2020 - 4.2. Le modifiche alla circolare del 16.12.2020: la delibera del 16 giugno 2022 sulla permanenza temporanea nei gruppi di lavoro.
1. Il Decreto Legislativo n. 106/2006: l’affermazione della gerarchizzazione delle procure
Per poter illustrare e comprendere le scelte consiliari adottate mediante atti di normazione secondaria è necessario contestualizzarle e, quindi, quantomeno accennare alla normativa primaria con cui il Consiglio si è dovuto confrontare.
Come noto, si deve al Decreto legislativo n. 106 del 2006 – adottato in attuazione dell'articolo 1, comma 1, lettera d), della legge 25 luglio 2005, n. 150, come modificato dalla legge n. 269 del 2006 – quella che siamo soliti chiamare la “gerarchizzazione degli uffici requirenti”: essa rappresenta il risultato finale di un complesso di regole volte a disciplinare in senso verticistico l’ambito organizzativo ed alcuni aspetti più squisitamente giurisdizionali degli uffici requirenti. Si tratta di regole che, attribuendo al procuratore l’esclusivo potere organizzativo generale dell’ufficio, prendono le distanze dalla condivisione delle scelte fra tutti i soggetti coinvolti, dall’esercizio diffuso delle prerogative di organizzazione, da ogni forma di controllo dell’organo di autogoverno locale e riducono il Consiglio a mero destinatario di atti e informazioni sui quali non è prevista alcuna autentica verifica.
I principali aspetti innovativi possono così essere sintetizzati:
* il Procuratore della Repubblica è «il titolare esclusivo dell’azione penale» (art. 1, c. 1) e ne «assicura il corretto, puntuale ed uniforme esercizio» (art. 2, c. 1); in origine persino «sotto la sua personale responsabilità» (poi eliminata dalla legge 269/06);
* la titolarità esclusiva e personale dell’azione penale in capo al Procuratore si concretizza con l’assegnazione (che la legge n. 269/2006 sostituisce all’originaria delega al sostituto) e trova completa espressione nei suoi amplissimi poteri organizzativi:
* viene abrogato l’art. 7-ter, c. 3, dell’O.g. (art. 7)[1], sottraendo gli uffici di Procura all’applicazione del ‘metodo tabellare’, e quindi ai poteri di controllo e di approvazione, rispettivamente, dei Consigli giudiziari e del Consiglio Superiore; sottraendo al Consiglio la prerogativa di fissare i criteri generali di organizzazione che viene rimessa in via esclusiva al Procuratore, l’organo di autogoverno diviene destinatario di una mera comunicazione dei progetti organizzativi e delle eventuali modifiche sopravvenute, sui quali si pronuncia con una “presa d’atto”, dunque, senza un potere di intervento che subordini l’efficacia del progetto ai rilievi dell’organo di autogoverno;
* viene abrogato l’art. 3 d.att. c.p.p., che disponeva la tendenziale concentrazione degli atti di un procedimento in capo al medesimo magistrato, consentendo di affermare la parziale autonomia, organizzativa e investigativa, del sostituto nella fase delle indagini (art. 7);
* il contrasto tra Procuratore e Sostituto viene disciplinato nel senso che «… se il magistrato non si attiene ai principi e criteri definiti in via generale o con l’assegnazione, ovvero insorge tra il magistrato ed il procuratore della Repubblica un contrasto circa le modalità di esercizio, il procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocare l’assegnazione; entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca, il magistrato può presentare osservazioni scritte al procuratore della Repubblica» (art. 2, c. 2, come modificato dalla l. n. 269/2006, che ha eliminato la trasmissione degli ‘atti del contrasto’ al titolare dell’azione disciplinare); l’organo consiliare non è destinatario neppure di una ‘informazione’ e la soluzione del contrasto è ridotta ad un ‘fatto interno’, al contrario di quanto accadeva nel sistema pre-riformato, laddove, a fronte della revoca della designazione, il magistrato ben poteva adire il Csm e richiederne un intervento.
Il risultato è un controllo pieno su modalità ed esiti dell’indagine e sul sostituto che se ne occupa, cui non corrisponde per legge alcuna responsabilità, ma neppure alcun bilanciamento, alcun ‘controllo’, preventivo e successivo, alcun rimedio in caso di abuso: un concentrato di poteri che costituisce un unicum non ravvisabile in qualsivoglia altro settore della funzione pubblica.
2. Le Risoluzioni del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009: la ‘resistenza’ del CSM alle spinte gerarchiche
Per attenuare gli effetti gerarchici della riforma, il CSM, sin dal 2007, è intervenuto con atti volti a contenere i poteri del Procuratore, seppur con il limite insuperabile della preminenza della legge sulla sua eventuale eterointegrazione di fonte secondaria.
L’organo di autogoverno ha giustificato tale prerogativa facendo leva sul proprio ruolo di “vertice organizzativo” dell’ordine giudiziario, deputato pertanto ad esercitare i poteri di indirizzo (nel caso di specie, nei confronti dei titolari degli uffici di procura in relazione alla formazione del progetto organizzativo) allorquando «sono in gioco attribuzioni che concorrono ad assicurare il rispetto delle garanzie costituzionali», espresse dagli artt. 105 e 112 della Costituzione.
Con questi presupposti, ha pertanto adottato due Risoluzioni (del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009) – che formalmente rappresentano atti tesi a regolamentare le proprie attribuzioni - riconducendo a ragionevolezza funzionale i poteri gerarchici, assicurando l’indipendenza interna del singolo sostituto e garantendo un certo equilibrio tra esercizio delle prerogative organizzative e la sua verifica in sede di autogoverno.
In questo senso vanno letti i principi affermati nelle predette risoluzioni, che possono essere riepilogati nei seguenti termini:
E’ bene ricordare, peraltro, che nel frattempo, sopravviene la legge n. 111 del 30.7.07 che, tra l’altro, modificando l’art. 19 d.lvo 160/06[2], introduce la previsione della permanenza temporanea del P.M. nei gruppi di lavoro, da stabilirsi a cura del CSM tra un minimo di 5 e un massimo di 10 anni come per gli uffici giudicanti. Il CSM, con il regolamento adottato con delibera del 13.3.2008 (poi modificato in data 11.2.2015), ha fissato il termine di permanenza massima in 10 anni, limitandone l’applicazione ai soli uffici con più di 8 magistrati compreso il Procuratore.
3. La Circolare del 16 novembre 2017: dalla ‘direzione gerarchica’ alla ‘direzione funzionale’ delle procure
3.1. I contenuti più significativi
La ‘circolare’ del 16.11.2017 - atto ben diverso dalla ‘risoluzione’ cui il Consiglio aveva fatto ricorso fino a quel momento[3] - rappresenta «un nuovo, organico e sistematico intervento nella materia dell’organizzazione degli uffici requirenti», teso a dare attuazione ai principi espressi nella normativa primaria, completato dopo oltre due anni di lavoro e dopo il capillare monitoraggio dei progetti organizzativi di tutti gli uffici requirenti italiani, con l’individuazione e l’analisi delle prassi più diffuse.
Un insieme di regole di funzionamento precise, chiare, certe e prevedibili che, comunque, si pongono in continuità e progressione rispetto alle precedenti risoluzioni del 2007 e del 2009, tanto che nella relazione introduttiva si specifica che resta valido quanto contenuto nelle risoluzioni del 12.7.2007 e del 21.7.09.
Le innovazioni più rilevanti – in quanto espressive della diffusa esigenza di contenere la verticalizzazione, indirizzandola verso obbiettivi di funzionalità dell’ufficio e partecipazione orizzontale – riguardano in via generale:
Più in dettaglio, l’articolato (ben 25 disposizioni) fornisce maggiore chiarezza, prevedibilità ed omogeneità dei modelli gestionali e organizzativi attraverso le seguenti previsioni:
3.2. I risultati conseguiti: l’attenuazione della verticalizzazione
Quanto sinteticamente esposto nel precedente paragrafo consente di affermare che la circolare del 16.11.2017 ha attenuato significativamente i profili verticistici della riforma gerarchica del 2006[10]: il potere organizzativo del Procuratore, sebbene ancora di tipo verticale, è funzionalmente orientato, in quanto esplicitamente finalizzato ad intenti condivisi dall’ufficio, ispirato da un preciso quadro di valori di riferimento e destinato a manifestarsi in provvedimenti controllabili, attraverso precisi passaggi procedimentali. La originaria direzione gerarchica, pertanto, è divenuta direzione funzionale, la gerarchia direttiva ha lasciato il passo alla gerarchia funzionale. Insomma, l’idea di una forte verticalizzazione degli uffici di procura, che probabilmente aveva ispirato il legislatore del 2006, esce fortemente attenuata.
Resta, tuttavia, fermo il dato che il progetto organizzativo, a differenza delle tabelle degli uffici giudicanti, non è più soggetto ad approvazione (è perciò immediatamente esecutivo): è questo il “profilo gerarchico” più rilevante introdotto dalla riforma del 2006 e che, in quanto imposto dalla norma primaria (che ha abrogato l’art. 7 ter, comma 3, Ord. Giud.), il CSM ha potuto solo attenuare.
Il Consiglio, invero, con la circolare del 2017, per un verso ha provveduto a perimetrare e contenere entro limiti di legittimità, ragionevolezza e coerenza, l’ambito di operatività della prerogativa, esclusivamente rimessa al Procuratore, di determinare i criteri generali di organizzazione dell’ufficio (con il progetto organizzativo); per altro verso, ha introdotto un rigoroso controllo, successivo all’adozione del progetto, che tuttavia non può che concludersi con una delibera di presa d’atto, di natura non vincolante (a differenza dell’approvazione).
Nello stesso periodo e sotto la vigenza del medesimo ordinamento giudiziario, quindi, per gli uffici giudicanti, il Consiglio determina i criteri generali di organizzazione (con la circolare sulle tabelle) e le tabelle sono soggette all’approvazione consiliare, con obbligo di conformazione nel caso di non approvazione; per gli uffici requirenti, invece, il Consiglio non può far altro che assumersi l’onere di “contenere” e “limitare” il potere del procuratore di determinare i criteri generali di organizzazione (con la circolare del 2017) e i progetti organizzativi sono soggetti alla mera presa d’atto, cui non segue e non può seguire alcun obbligo conformativo, neppure in caso di gravi rilievi.
Tale impostazione, come vedremo nel prosieguo, è stata di recente stravolta dalla Riforma Cartabia[11].
Anche la tematica dei criteri di priorità assume estrema rilevanza sotto il profilo dell’impostazione verticistica: la riforma del 2006 non prevede esplicitamente i criteri di priorità che, introdotti nel 2008 (con l’art. 132 bis d.att. c.p.p. che riguarda gli uffici giudicanti), vengono considerati della circolare del 2017 quale contenuto solo eventuale del progetto organizzativo. Il difficile equilibrio tra i criteri di priorità e l’obbligatorietà dell’azione penale, come l’arduo compromesso tra potere diffuso dell’azione penale e logiche verticistiche delle scelte imposte dalle priorità[12] viene trovato e regolato dal CSM con diverse delibere. Si tratta di atti consiliari in cui si afferma sostanzialmente che, al di fuori dei criteri legali di priorità (ex art. 132 bis rimessi ai dirigenti degli uffici giudicanti), quelli ultra legali devono essere determinati nell’ambito di procedure condivise, possono consistere nella posticipazione della trattazione di taluni affari (giammai nell’accantonamento) e non hanno carattere strictu sensu vincolante.
Con la Riforma Cartabia (D.lvo n. 71/2022) e la Riforma penale (D.lvo n. 150/2022) assistiamo ad un’inversione di rotta: i criteri di priorità, per un verso, sono assoggettati ai criteri generali indicati dal Parlamento con legge; per altro verso, divengono parte integrante del contenuto necessario del progetto organizzativo e, come tali, sono determinati dal Procuratore della Repubblica nell’ambito dei principi generali stabiliti dal Consiglio (con circolare) e vincolano i sostituti.
Questo è il grande tema su cui confrontarsi oggi: il rischio, infatti, non è più il potere gerarchico del Procuratore (comunque contenuto nei limiti dei criteri generali del Parlamento e dei principi generali del Consiglio), ma la direzione verticistica del legislatore che orienterà la trattazione prioritaria di alcuni affari negli uffici requirenti (cfr paragrafo 6.2.1).
4. La circolare del 16 dicembre 2020 e s.m.: un ulteriore passo verso la ‘direzione funzionale’ delle procure
4.1. Gli aspetti rilevanti della circolare del 16 dicembre 2020
L’analisi dei progetti organizzativi del triennio 2017/2019, elaborati in sede di prima applicazione della circolare del 16.11.2017, e l’esame dei rilievi mossi da alcuni Consigli Giudiziari ha consentito alla Settima Commissione del CSM di individuare specifici punti sui quali intervenire al fine di chiarire o rafforzare le indicazioni della circolare vigente, sempre allo scopo di garantire i principi di trasparenza e responsabilità nella direzione dell’Ufficio di Procura, di autonomia, anche interna, dei magistrati dell’Ufficio e il ruolo di controllo e verifica del circuito del governo autonomo.
Con questi obiettivi, la circolare del 16.12.2020 ha:
*nell’assegnazione ai gruppi di lavoro;
*nell’assegnazione dei compiti di coordinamento ai procuratori aggiunti (e ai sosttuti);
*nell’assegnazione dei compiti di collaborazione;
*nell’assegnazione dei magistrati alla DDA;
* la previsione della natura eccezionale e temporanea dell’attribuzione di funzioni proprie dei semidirettivi a sostituti procuratori, in presenza di procuratori aggiunti in pianta organica;
* la previsione dell’obbligo per i procuratori aggiunti di svolgimento di ulteriori funzioni aggiuntive rispetto alle concorrenti competenze di direzione e coordinamento (con la indicazione espressa nel progetto organizzativo della percentuale della riduzione del lavoro giudiziario “ordinario”);
* il divieto di esonero per i magistrati sostituti coordinatori;
* l’onere del procuratore di provvedere ad idonee modalità di conservazione della documentazione relativa ai provvedimenti di assegnazione in deroga (auto assegnazioni, coassegnazioni successive, assegnazioni in deroga ai criteri stabiliti); e la connessa possibilità per il Consiglio di accedere a tale documentazione ai fini della valutazione del dirigente (in sede di conferma nell’incarico direttivo ovvero di procedura di conferimento di altro incarico);
* il dovere del procuratore di esplicitare nel progetto organizzativo i criteri con cui intende procedere alle co-assegnazioni dei procedimenti di competenza della DDA (con l’onere di custodire in modo idoneo presso l’ufficio la documentazione relativa ai provvedimenti di co-assegnazione a magistrati esterni alla DDA);
* le variazioni ‘non rilevanti’ (se ritenuto necessario dal Procuratore o dal CSM);
* i provvedimenti attuativi ‘rilevanti’ (il CSM può chiedere parere);
* i provvedimenti attuativi ‘non rilevanti’ (se ritenuto necessario dal CSM):
* i provvedimenti di revoca dell’assegnazione di un procedimento in caso di contrasto (art. 15) (il CSM può chiedere il parere in presenza di osservazioni);
* i provvedimenti di designazione alla DDA e di mancato rinnovo al termine del biennio della designazione di un magistrato alla DDA (art. 22 e 24) (il CSM può chiedere il parere).
La nuova circolare, infine, ha accorpato le regole di funzionamento della DDA, che va intesa come articolazione speciale posta all’interno di un ufficio unitario e ha introdotto una specifica disciplina per la DNA, che ricalca, da un lato, le articolazioni di una procura della Repubblica ed in particolare di una DDA; dall’altro, tiene conto di alcune delle scelte già ampiamente sperimentate nel corso degli anni e sviluppate con i più recenti progetti organizzativi dell’ufficio.
4.2. Le modifiche alla circolare del 16.12.2020: la delibera del 16 giugno 2022 sulla permanenza temporanea nei gruppi di lavoro
L’esame dei progetti organizzativi del triennio 2020/2022, iniziato nel gennaio 2022, ha consentito, per un verso, di constatare criticità nell’applicazione della previsione dell’art. 7 circ. proc., nella parte relativa alla permanenza temporanea nei gruppi di lavoro: l’indicazione si presentava generica e sembrava sovrapporsi alla ulteriore disposizione riguardante i termini massimi di permanenza (10 anni) nelle articolazioni in cui era organizzato l’ufficio, con riferimento al regolamento del 2008[14]; per altro verso, ha permesso di verificare la eterogeneità delle prassi applicative adottate nei progetti organizzativi, non sempre giustificate dalle dimensioni o da esigenze di funzionalità dell’ufficio.
La materia, pertanto, ha formato oggetto di una specifica modifica della circolare, adottata dal Consiglio con delibera del 16.6.2022, che ha innovato l’art. 7, comma 4, lettere a) e b), circ. proc., che oggi così dispone:
“Il progetto organizzativo costituisce il documento programmatico ed organizzativo generale dell’ufficio e contiene, in ogni caso:
a) la costituzione dei gruppi di lavoro per gli uffici composti da almeno otto sostituti e, ove possibile, anche per quelli con organico inferiore;
b) i criteri per la provvisoria assegnazione dei magistrati di nuova destinazione, nonché le regole per lo svolgimento dell’interpello, volto all’assegnazione dei Procuratori Aggiunti e dei sostituti procuratori ai gruppi di lavoro;
b.1) le regole sulla mobilità interna, prevedendo la permanenza temporanea nei gruppi di lavoro, per un periodo compreso tra un minimo ed un massimo ed in particolare: un anno, per le assegnazioni d’ufficio, due anni, per le assegnazioni a domanda, estensibili fino a tre anni, e per comprovate esigenze di servizio; dieci anni, per il periodo massimo;
b.2) i criteri di computo del periodo minimo di permanenza sopra indicato alla lettera b).1, così determinato: la decorrenza è dal giorno in cui il magistrato ha preso effettivo possesso nel gruppo specializzato da cui chiede di essere spostato; il termine finale è la data di scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione come prevista nell’interpello;
b.3) i criteri da applicare per l’assegnazione, a domanda, dei Procuratori Aggiunti e dei sostituti procuratori ai gruppi di lavoro, volti a garantire le esigenze di funzionalità dell’ufficio, nonché a valorizzare le specifiche attitudini dei magistrati;
b.4) i criteri da applicare per l’individuazione dei Procuratori Aggiunti e dei sostituti procuratori da assegnare d’ufficio ai gruppi di lavoro, per garantire la copertura dei posti rimasti senza aspiranti all’esito dell’interpello o per far fronte ad eccezionali e straordinarie esigenze di funzionalità dell’ufficio, da indicare con specifica motivazione;”.
Si è, dunque, colta l’occasione per:
[1] L’art. 7 ter, comma 3, o.g., prima della sua abrogazione, prevedeva che “Il Consiglio Superiore della magistratura determina i criteri generali per l’organizzazione degli uffici del pubblico ministero e per l’eventuale ripartizione di essi in gruppo di lavoro”
[2] In materia di permanenza nell'incarico presso lo stesso ufficio, l’art. 19 del d.lvo 160/2006 prevede che:
“1. I magistrati che esercitano funzioni di primo e secondo grado possono rimanere in servizio presso lo stesso ufficio svolgendo le medesime funzioni o, comunque, nella stessa posizione tabellare o nel medesimo gruppo di lavoro nell'ambito delle stesse funzioni, per un periodo stabilito dal Consiglio superiore della magistratura con proprio regolamento tra un minimo di cinque e un massimo di dieci anni a seconda delle differenti funzioni; il Consiglio superiore può disporre la proroga dello svolgimento delle medesime funzioni limitatamente alle udienze preliminari già iniziate e per i procedimenti penali per i quali sia stato già dichiarato aperto il dibattimento, e per un periodo non superiore a due anni.
2. Nei due anni antecedenti la scadenza del termine di permanenza di cui al comma 1, ai magistrati non possono essere assegnati procedimenti la cui definizione non appare probabile entro il termine di permanenza nell'incarico.
2-bis. Il magistrato che, alla scadenza del periodo massimo di permanenza, non abbia presentato domanda di trasferimento ad altra funzione all'interno dell'ufficio o ad altro ufficio e' assegnato ad altra posizione tabellare o ad altro gruppo di lavoro con provvedimento del capo dell'ufficio immediatamente esecutivo. Se ha presentato domanda almeno sei mesi prima della scadenza del termine, può rimanere nella stessa posizione fino alla decisione del Consiglio superiore della magistratura e, comunque, non oltre sei mesi dalla scadenza del termine stesso”.
[3] La Risoluzione, secondo il Regolamento Interno del Consiglio, può avere ad oggetto la disciplina dell’esercizio delle proprie attribuzioni, cui devono attenersi le Commissioni e tutte le articolazioni consiliari, nell’esercizio delle rispettive attribuzioni, sinché non siano state modificate con successiva risoluzione.
La Circolare, invece, è emanata “per dare esecuzione o interpretazione alla legge e ai regolamenti, nonché per fornire criteri di orientamento sull’esercizio delle attribuzioni e della discrezionalità del Consiglio”.
[4] L’interpello è previsto, di regola, per l’assegnazione dei magistrati ai gruppi di lavoro; per la designazione degli aggiunti o dei sostituti al coordinamento dei gruppi; per gli incarichi di coordinamento e collaborazione.
[5]Specifiche e dettagliate procedure sono previste per: la designazione degli aggiunti o dei sostituti al coordinamento dei gruppi di lavoro (procedimento delle variazioni al progetto organizzativo di cui all’art. 8, comma 2); per la revoca della delega conferita all’aggiunto (procedimento di revoca dell’assegnazione di cui all’art. 15); la elaborazione del progetto organizzativo e delle relative variazioni; gli incarichi di coordinamento e collaborazione (come variazioni al progetto organizzativo); i provvedimenti attuativi del progetto organizzativo; la revoca dell’assegnazione di un procedimento.
[6] Il provvedimento motivato è previsto per: l’assegnazione dell’incarico di coordinamento del gruppo di lavoro; la revoca della delega di funzioni all’aggiunto; la nomina del Vicario (eventuale); la conferma del progetto organizzativo previgente; i provvedimenti attuativi adottati in deroga ai criteri del progetto organizzativo; la coassegnazione in una fase successiva alla prima assegnazione del procedimento; l’assegnazione di un procedimento in deroga ai criteri generali indicati nel progetto; la sostituzione del magistrato designato alla trattazione dell’udienza; la definizione del contrasto sull’assenso in materia di misure cautelari; la rinunzia all’assegnazione da parte del magistrato.
La motivazione è prevista, altresì, nei casi di auto assegnazione e di revoca dell’assegnazione o designazione, ma si tratta di ipotesi già contemplate dalle precedenti risoluzioni.
[7] Ai sensi dell’art. 8, comma 8, nel Fascicolo dell’organizzazione della Procura sono inseriti il progetto organizzativo, le sue conferme, le modifiche e variazioni, i provvedimenti sulle assegnazioni dei magistrati ai gruppi di lavoro e quelli che incidono sulle assegnazioni dei procedimenti ed ogni altro documento avente significativo riflesso sulla organizzazione interna, secondo le modalità informatiche disciplinate dal C.S.M..
[8] La relazione illustrativa della circolare in esame sottolinea che “proprio la natura del programma organizzativo, inteso quale regola generale dell’Ufficio e di attuazione delle scelte di autonomia direttiva, reclama una sua stabilità”. Solo attraverso la “stabilità organizzativa”, infatti, può essere garantita la riconoscibilità delle scelte organizzative da parte dei cittadini e degli operatori giudiziari nel loro complesso (avvocatura, uffici giudicanti, amministrazione). Del resto, i singoli magistrati componenti l’Ufficio, “devono poter confidare su uno strumento organizzativo stabile, comprensibile, agile e soprattutto funzionale alle strategie processuali e procedimentali imposte dal codice di rito e dalle prassi giudiziarie”.
Una frequente e sistematica emenda di tali regole, non dettata da concrete e comprovate esigenze e successiva alla predisposizione iniziale dell’assetto dell’Ufficio, sarebbe, al contrario, poco in linea con i principi ai quali il programma organizzativo deve essere ispirato, determinando “regole del caso concreto”, potenzialmente disfunzionali rispetto alla logica del riconoscimento delle prerogative direttive in capo al Procuratore della Repubblica e che, come tale, lungi dall’essere attuazione delle prerogative riconosciute al dirigente dal Legislatore, rappresenterebbe una sostanziale vanificazione della sua ratio ispiratrice.
E’ per questo che il contenuto, la tipologia, la frequenza, la motivazione delle successive modifiche, da adottarsi secondo la procedura di cui all’art. 8, sono sintomatiche dell’autentica capacità organizzativa del Dirigente ed espressione del regolare (o irregolare) andamento dell’ufficio.”.
[9] Si tratta delle norme della circolare sulle tabelle su: esoneri, tutela della genitorialità, maternità, malattia, tutela delle esigenze familiari e dei doveri di assistenza, collaborazione di un magistrato delegato, referente informatico, referente per la formazione, componente della STO, componente dei consigli giudiziari, benessere organizzativo.
[10] E’ indubbio, invero, che la circolare del 16.11.2017 abbia temperato i più seri aspetti gerarchizzanti che connotavano il D.lvo n. 106/2006, quali: l’individualismo decisorio (che oggi deve fare i conti con l’assemblea generale); l’assoluta separatezza con l’organizzazione tabellare dei giudici (di cui invece si assume la medesima valenza triennale); l’assenza originaria di controlli, ristetti alla vigilanza degli stessi vertici requirenti (superata da una rigorosa procedura di valutazione del Consiglio); l’inesistenza di procedure di gestione dell’ufficio (colmata dall’inserimento di molteplici fasi procedimentalizzate); la distanza dall’organo di autogoverno ed il difetto di ogni interlocuzione con esso (bilanciati da diverse ipotesi di interlocuzione nei casi di maggiore “frizione”); la carenza di ogni trasparente rimedio per le ipotesi di contrasto irrisolto tra dirigente e singolo sostituto (che ha lasciato il posto ad una articolata procedura volta alla soluzione); la mancanza di collegamento con scopi e valori costituzionali (collegamento che invece la circolare assicura orientando le forme di manifestazione del potere organizzativo del Procuratore al principio del buon andamento e imparzialità (97 cost.); ai principi di autonomia e indipendenza (101 e 104 cost.); a quello di inamovibilità per sede e funzione e pari dignità dei magistrati (107 cost.); ai principi di obbligatorietà dell’azione penale (112 cost.), giusto processo e ragionevole durata del processo (111 cost.), come espressamente previsto negli artt. 1 e 2, comma 1, e implicitamente affermato in altri moduli organizzativi regolati in altre disposizioni).
[11] La legge n. 71/2022, infatti, non solo ha riproposto per le procure il sistema esistente ante riforma 2006, ripristinando la prerogativa consiliare di fissare i criteri generali di organizzazione cui il Procuratore deve attenersi nella elaborazione dei progetti organizzativi, ma ha anche espressamente previsto che questi ultimi sono soggetti all’approvazione del CSM (ante 2006, l’approvazione era una conseguenza del controllo sulla conformità dei progetti ai criteri generali stabiliti dal Consiglio ma non era esplicitamente prevista come per le tabelle).
[12]Ci si riferisce alla questione della possibilità di coniugare il modello della direzione funzionale delle procure con le scelte in termini di criteri di priorità: può esserci il modello del primus inter pares, e quindi la totale indipendenza, all’interno di un ufficio in cui si devono operare scelte su cosa perseguire prima (o su cosa abbandonare in un armadio) o su cosa costituisce emergenza criminale per quella determinata area geografica?
[13] “Rilevanti” sono considerate le variazioni (o i provvedimenti attuativi) inerenti ai gruppi di lavoro, alla assegnazione agli stessi di sostituti e aggiunti, alla assegnazione di procedimenti in deroga, a revoca, assenso e visto. Con la nuova circolare sono state ritenute rilevanti anche le previsioni in materia di turni di servizio.
“Non rilevanti” sono le variazioni (o i provvedimenti attuativi) riguardanti ogni altro diverso ambito.
[14] Si ricorda che il Regolamento in materia di permanenza nell’incarico presso lo stesso ufficio (Delibera del 13 marzo 2008 e succ.mod. all’11 febbraio 2015), con l’art. 1, esclude l’applicazione della normativa sul divieto di permanenza ultradecennale, al sostituto procuratore della Repubblica presso un ufficio di procura composto da magistrati in numero fino a otto unità compreso il procuratore della Repubblica e al sostituto procuratore generale presso la corte di appello.
L’art. 2, comma 1, stabilisce il termine massimo di permanenza di dieci anni nella stessa posizione tabellare o nel medesimo gruppo di lavoro per i magistrati che svolgono, tra le altre, le funzioni:
- nelle procure della Repubblica composte da magistrati in numero superiore a otto unità compreso il procuratore della Repubblica;
- nella direzione distrettuale antimafia presso la procura della Repubblica.
L’art. 2, comma 2, prevede che “Il magistrato trasferito a seguito del superamento dei termini massimi di cui all’art. 2 può tornare nella medesima posizione tabellare o nello stesso gruppo di lavoro soltanto dopo che siano trascorsi cinque anni dalla presa di possesso nel nuovo incarico”.
Leggende metropolitane. Il Pm è il bersaglio di populisti e garantisti. Lo stesso giorno e sullo stesso caso possiamo leggere critiche al Pm inefficace, garantista peloso, per taluno, e, per altri, giustizialista forcaiolo.
Il Pm è oggetto privilegiato di leggende metropolitane.
Leggenda metropolitana n.1.
E' una peculiarità italiana il ruolo centrale assunto dal Pm e dalla magistratura tutta.
“Vi sono stati tempi e luoghi nei quali i protagonisti centrali della giustizia penale […] sono stati i giudici. Oggi le figure centrali nei sistemi di giustizia penale in gran parte del mondo appaiono essere sempre più i pubblici ministeri.[2]
Così si apre un recentissimo studio coordinato da due professori americani dal titolo Prosecutors and democracy. Quanto allo strapotere della magistratura italiana, risale a 30 anni fa uno studio coordinato da un professore americano e da uno svedese intitolato The global expansion of judicial power[3].
Guardare appena fuori dai confini dello stivale non sarebbe difficile e questa “peculiarità italiana” evaporerebbe.
Leggenda metropolitana n.2.
Parte da questo pseudo sillogismo. Premessa maggiore: il “modello del processo accusatorio” prescrive la regola a); premessa minore: l’Italia ha adottato quel modello; conclusione: la regola a) deve essere prescritta in Italia.
Sillogismo perfetto nel mondo dei concetti, ma su questa terra non si triva il “modello del processo accusatorio”.
Un esempio di scuola di fallacia sillogistica. Poi a seguire questi pseudosillogismi si dovrebbe introdurre l’obbligo di assumere la posizione di testimone per l’imputato che intendesse rendere dichiarazioni.
Una grande studiosa francese, recentemente scomparsa, Mireille Delmas-Marty già qualche anno fa scriveva che ormai si deve considerare superata la vecchia disputa, di tipo ’teologico’, tra i sostenitori del modello accusatorio e i sostenitori del modello inquisitorio, a vantaggio di un modello ‘contraddittorio’”.[4]
Il modello accusatorio puro non esiste neppure nel mondo anglosassone, che è sempre più differenziato. Nei film di Perry Mason la difesa distrugge la tesi dell’accusa e la giustizia trionfa: happy end. La realtà è altra Negli Stati Uniti circa il 97% dei casi è definito con patteggiamenti tra il prosecutor, che ha una discrezionalità illimitata persino sulla qualificazione del reato e l’indagato, con un intervento del tutto marginale del giudice. Lo “splendore” del processo dinanzi ai giurati ove accusa e difesa si fronteggiamento in leale battaglia nell’interrogatorio e controinterrogatorio dei testimoni è riservato al 3% dei casi, per di più con una discriminazione economica decisiva in favore di coloro che possono permettersi la costosissima difesa dell’avvocato privato. Si dice che in Italia vi siano 50 milioni di Commissari Tecnici pronti a dettare la formazione della Nazionale di Calcio. Non 50 milioni ma sono in molti ad essersi improvvisati esperti di ordinamento giudiziario e processuale penale comparato. Sono disponibili agevolmente disponibili diversi testi in inglese e anche in italiano. Ma un esercizio più facile e gradevole è rivedere qualche buon vecchio film, oggi facilmente scaricabile sul proprio pc con modica spesa.
Due famosi film del 1957 ci mostrano il rito accusatorio declinato in modo marcatamente diverso nel mondo anglosassone nei due lati dell’oceano: La parola ai giurati (Twenty Angry Men) di Sidney Lumet protagonista Henry Fonda ambientato a New York e Testimone d’accusa (Witness for the Prosecution) di Billy Wilder con Charles Laughton e Marlene Dietrich ambientato a Londra.
A New York un aggressivo e superficiale procuratore distrettuale, che deve rispondere ai suoi elettori vuole comunque un colpevole per la sedia elettrica. A Londra l’accusa è rappresentata da un avvocato barrister del libero foro in toga e parrucca.
Nei film di Perry Mason la giustizia trionfa: happy end. Non sempre purtroppo la giuria, “fa giustizia”: il difensore, impersonato da Gregory Peck può smontare tutte le tesi dell’accusa, ma vince il pregiudizio come vediamo nel drammatico finale del film del 1962 Il Buio oltre la siepe di Robert Mulligan.
Leggenda metropolitana n.3.
L'assetto italiano del PM è anomalia assoluta rispetto al "modello" di Pm comune a tutte le altre democrazie occidentali.
Il modello Statunitense del District attorney statale, per lo più eletto in lista di partito insieme al sindaco e allo Sceriffo, capo della polizia locale e dell’Attorney General federale di nomina poltica è unico all’interno dello stesso mondo anglosassone. La figura della pubblica accusa ha subìto in Inghilterra una innovazione sostanziale con la creazione nel 1986 del Crown Prosecution Service, sempre molto distante dal sistema americano. Ma a chi da Londra volesse muoversi per trovare un processo penale con significative varianti e addirittura residui del sistema inquisitorio basterebbe spostarsi poco più a nord nell’isola britannica e raggiungere Edimburgo. Il sistema del Pm di Inghilterra e Galles non si applica in Scozia. Il Regno Unito è alquanto disunito sulla figura del Pm.
Lo studio tuttora più approfondito sul Pm in Europa esordisce con la constatazione “Il pubblico ministero rimane l’istituzione più diversificata in Europa”.[5]
“Quante figure di pubblico ministero…” è il titolo del capitolo sul Pm di un volume sulle procedure penali d’Europa, pubblicato anche in versione italiana[6].
Semplicemente, un modello di Pm comune alle democrazie occidentali non c’è. Vi sono molteplici figure di pm, riti processuali tendenzialmente accusatori e tendenzialmente accusatori e non necessariamente i secondi sono più garantisti dei primi. La comparazione non è scienza di modelli ma richiede attenta considerazione e degli assetti costituzionali ed istituzionali complessivi e del “diritto vivente”, spesso diverso da quello dei testi. Nella comparazione non vi è spazio per dilettantismi
Problemi aperti.
Pm, “avvocato dell’accusa” si dice. La ulteriore forzatura polemica “avvocato della polizia” è del tutto incompatibile con il nostro sistema processuale e, ancor prima, con i principi costituzionali. Il Pm può essere definito” avvocato dell’accusa” solo che si precisi “avvocato della pubblica accusa” e dunque con ruolo e doveri radicalmente distinti dall’ “avvocato della difesa”. Il Pm ha un duplice volto: costruisce e sostiene l’accusa, ma come parte pubblica ha un dovere di verità che lo differenzia radicalmente dall’avvocato difensore.
L’obbiettivo del processo penale è ovunque quello di stabilire la verità. A far giustizia di sbrigative posizioni che taluno ha voluto trarre dai principi del processo accusatorio, giova una citazione da un testo del 2001 di Lord Justice Auld (all’epoca presidente di un Royal Commission sulla riforma del processo penale inglese):Il processo penale non è un gioco. E’ la ricerca della verità secondo la legge, attraverso una procedura accusatoria nella quale l’accusa deve provare la colpevolezza secondo uno standard particolarmente elevato.[7]
Con la riscrittura nel 1999 dell’art. 111 della Costituzione si è costituzionalizzato non il mitico modello del “processo accusatorio”, ma il metodo del contraddittorio che, come ha scritto Glauco Giostra “costituisce uno strumento, ancor oggi il meno imperfetto, per la ricerca della verità, o, meglio, per ridurre il più possibile lo scarto tra la verità giudiziale e la verità storica”.[8]
Nel processo di fronte al giudice nel dibattimento accusa e difesa concorrono nel confronto contraddittorio alla raccolta delle prove.
Per il difensore, ferme le regole procedurali, unico obbiettivo e insieme rigoroso obbligo deontologico è la difesa del cliente; per il Pm, a livello di regola processuale e di obbligo deontologico, unico obbiettivo è la ricerca della verità, anche se contrasti con la sua iniziale tesi accusatoria e si traduca in acquisizioni a favore dell’imputato.
“Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità” (art.111 co. 2 Costituzione).
Ma il principio di parità non opera a tutto campo: il Pm nella richiesta al Giudice dell’Indagine Preliminare di emettere una misura cautelare è tenuto a presentare “gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell'imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate” (art. 291 codice di procedura penale). Ovviamente al difensore è precluso rendere noti elementi a carico dell’imputato.
L’inevitabile asimmetria tra accusa e difesa ci richiama il concetto di Pm come “parte imparziale”, spesso sbrigativamente liquidato come ossimoro: “quintessenza del fariseismo giuridico”, “più il pubblico ministero è parte e più il cittadino è garantito” così si esprime un noto avvocato penalista.[9]
Se qualche magistrato nella foga polemica si spinge a dire che il mondo invidia il modello italiano di Pm dice una evidente sciocchezza. Ma la nostra Costituzione è stata lungimirante: il tema della imparzialità ovunque è visto come nodo centrale nella definizione della figura del Pm. Non è un caso che negli ultimi decenni vi sia stata una straordinaria proliferazione a livello internazionale di testi, tra i quali lo Statuto della Corte Penale Internazionale, che pongono il principio dell’imparzialità del Pm (declinata talora con il termine “obbiettività” in lingua inglese). [10]
Il regolamento istitutivo della Procura Europea (Eppo) richiama il principio di imparzialità all’art 5.4:” L’Eppo svolge le indagini in maniera imparziale e raccoglie tutte le prove pertinenti, sia a carico che a discarico”.[11]
In un lavoro di due noti avvocati torinesi, Gianaria e Mittone, il concetto di ossimoro è rivisitato proprio con riferimento al ruolo del difensore. La sua è una “lealtà divisa” vissuta quotidianamente rispettando tanto lo Stato quanto chi è accusato di averne violato le regole. Può sembrare un ossimoro che vuol nascondere ambiguità, ma praticare con rigore dedizione la “lealtà divisa” significa manifestare l'identità forte della professione di avvocato. Questi non può avere perplessità: il suo posto è accanto al cittadino coinvolto nelle strettoie della giustizia, la sua fatica consiste nello studiare e praticare le scelte a questo più favorevoli”.[12]
Il bel saggio dei due avvocati torinesi da cui ho tratto questa citazione è intitolato “L’avvocato necessario”. In un ordinamento penale democratico l’avvocato è necessario a rappresentare l’istanza di “libertà” contro la pretesa di “autorità” delle istanze che esprimono il legittimo monopolio della forza da parte dello Stato, su cui si regge la civile convivenza.
Nel processo l’avvocato non è solo necessario, ma indispensabile. Per il Pm è “indispensabile” il confronto con un avvocato difensore, agguerrito che sia capace di convincerlo della infondatezza della tesi di accusa, inducendolo richiedere la archiviazione della indagine o l’assoluzione all’esito del dibattimento; ma capace anche di stimolarlo ad argomentare la sua tesi nel modo più convincente davanti al giudice, quando il Pm rimanga fermo della sua impostazione di accusa
Difesa e accusa, avvocati e pubblici ministeri: principi comuni, ruoli e regole deontologiche specifici. Semplificazioni ed elusioni di temi difficili non giovano all’analisi.
L’indebito “protagonismo”, la scarsa professionalità di alcuni Pm, sono patologie che vanno affrontate. La questione del ruolo del Pubblico Ministero, che in Italia, come ovunque nel mondo, ha assunto un ruolo centrale nel sistema della giustizia penale, non la si risolve con gli slogan e le scorciatoie semplicistiche o surreali.
Vi è stato chi, muovendo da regole di galateo nei rapporti tra giudici e Pm che non dovranno più “darsi del tu” si è avventurato addirittura sul terreno dell’edilizia giudiziaria: “gli studi professionali non sono nel palazzo di giustizia. Non deve esistere un palazzo di giustizia ma uno della giurisdizione e l'altro degli uffici della pubblica accusa”. [13] Dovranno forse i futuri piani regolatori delle città prevedere distanze minime tra i rispettivi palazzi di giudici e Pm e magari “zone verdi cuscinetto”? Una alternativa al Superbonus per sostenere l’edilizia?
Il Presidente dell’Unione delle Camere penali in una recente intervista alla domanda “Come replica a chi dice che, con la separazione e i due Csm, i Pm avrebbero ancora più potere?” non ha esitato a rispondere: Bisogna smetterla di prendere in giro le persone. Questo non è un argomento serio. Chi ci garantisce dal pubblico ministero è il giudice. Il Pm può essere anche un poliziotto allo stato puro, un appartenente ad uno squadrone della morte, cosa che comunque non avverrebbe, ma non potrebbe fare nulla perché, se il giudice non è d'accordo, non può arrestare, non può sequestrare, non può adottare misure di prevenzione patrimoniale.[14]
Un Pm “poliziotto allo stato puro”, dotato di discrezionalità illimitata lo conosciamo già: è quello dell’ordinamento statunitense, che penso nessuno, proprio nessuno, auspichi di replicare da noi. E poi dove sono finite tutte le giuste osservazioni sul grande potere che il Pm esercita nella fase iniziale segreta delle indagini, fuori del controllo del giudice e senza contraddittorio con la difesa?
La foga polemica porta fuori strada e altrettanto le battute sull’arbitro che, si dice “indosserebbe la stessa maglia di una delle due squadre in campo”. Ma il processo non è una partita in cui uno perde e uno vince e non vi sono due simmetriche squadre in campo, tanto diversi sono principi, ruoli e deontologia di accusa e difesa. Il singolo Pm o il singolo difensore potrà ritenersi non appagato dalla decisione del giudice che non ha accolto la rispettiva richiesta e potrà fare appello. Ma in quanto figure processuali la pubblica accusa ha “vinto la causa” anche se l’imputato è stato assolto, dopo che l’accusa è stata anche appassionatamente (e correttamente) sostenuta e la privata difesa ha “vinto” la causa anche se l’imputato è stato condannato dopo che la difesa è stata appassionatamente (e correttamente) sostenuta. L’obbiettivo comune è che vinca la verità, o meglio, per riprendere le parole già citate di Glauco Giostra che “sia ridotto il più possibile o scarto tra la verità giudiziaria e la verità storica”.
Questioni complesse non sopportano ricette semplicistiche o battute che muovono da una premessa inesistente.
Per il Pubblico ministero oggi il cantiere aperto è quello della professionalità, della accountability e della deontologia. Sono temi che toccano tutti e tre gli attori della giustizia: giudici, avvocati e pubblici ministeri. Piuttosto che separare, dividere occorre impegnarsi per unire, nella costruzione di una comune cultura tra tutti gli esponenti delle professioni giuridiche, Università compresa. Un progetto ambizioso, ma ineludibile. Questo è il vero cantiere aperto su cui devono misurarsi le diverse istituzioni della magistratura e dell’avvocatura e le rispettive associazioni nell’interesse della giustizia e della garanzia dei diritti.
[1] Intervento al IV Congressi Nazionale di Area Democratica per la Giustizia Palermo 30 settembre 2023
[2] M. Langer, D.A.Sklansky (edit.), Prosecutors and Democracy. A Cross-National Study, Cambridge University Press,2018, p.1
[3]C.N. Tate, T. Vallinder (edit),The global expansion of judicial power, New York University Press, 1995
[4] ”M. Delmas-Marty, Introduzione in Procedure penali d’Europa, a cura di M. Delmas-Marty, II ed. italiana a cura di M. Chiavario, Cedam, Padova, 2001, pp.10 e 21
[5] A. Perrodet, Etude pour un ministère public européen, LGDJ, Paris 2001, p.1 Le ministère public reste l’institution la plus diversifiée en Europe
[6] Procedure penali d’Europa, a cura di M. Delmas-Marty, II ed. italiana a cura di M. Chiavario, Cedam, Padova, 2001
[7]In A rewiew of the Criminal Courts of England and Wales, september 2001, www.criminal-courts-rewiew.org.uk, p. 11: «The criminal process is not a game. It is a search for truth according to law, albeit by an adversarial process in which the prosecution must prove guilt to a heavy standard»
[8] G. Giostra, Prima lezione sulla giustizia penale, Laterza, Bari-Roma 2020, p. 45
[9] G.Benedetto, Non diamoci del tu. La separazione delle carriere, Rubettino, Soveria Mannelli 2022, p.33 e 31
[10] M. Robert,Quale imparzialità per il pubblico ministero?, in Questione giustizia, 2005, 2, p. 402 ss...
[11] Regolamento (Ue) 2017/1939 del Consiglio del 12 ottobre 2017 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea («EPPO»
[12] F. Gianaria, A. Mittone, L’avvocato necessario, Einaudi, Torino 2007 p. 49
[13] G.Benedetto, Non diamoci del tu, La separazione delle carriere, Rubettino, 2022 p 68
[14] Intervista di V. Stella all’ avv.Gian Domenico Caiazza, Il Ministro ascolti i cittadini e non i veri dei pm in congedo, Il Dubbio, 22 agosto 2023, p.1-2
“I diritti sotto attacco”. Introduzione di Egle Pilla Palermo, 29 settembre 2023
sommario: 1. premessa - 2 -Il tema delle riforme costituzionali - 3. Il lavoro - 4. La libertà di stampa - 5. L’immigrazione-6. I diritti. - 6.1 La famiglia -6.2. Il Carcere - 6.3. Il fine vita- 6.4 La violenza sulle donne.
1.Premessa.
Vorrei solo offrire qualche riflessione quanto alle ragioni che ci hanno spinto ad organizzare la Tavola rotonda “I diritti sotto attacco.”
Come avrete avuto modo di verificare dalla lettura del programma, quello di oggi pomeriggio è l’unico panel congressuale, al quale seguirà - sin da oggi e nei giorni a seguire - il dibattito libero che darà voce ai colleghi ed amici che vorranno intervenire e ad autorevoli esponenti della politica, dell’avvocatura, dell’accademia, dell’associazionismo, del giornalismo.
Questo momento preliminare di confronto tra esperti, dunque, rappresenta nelle nostre intenzioni, un’ideale linea di partenza per il percorso a seguire, un luogo per ragionare insieme dello stato di salute della nostra democrazia e dunque dei diritti fondanti lo stato democratico.
Li abbiamo definiti “diritti sotto attacco”, operando già in tal modo una scelta di campo, manifestando preoccupazione e nutrendo timore per la salvaguardia degli stessi.
Ma quali diritti? Quale attacco?
C’è un filo rosso che lega indissolubilmente i diritti di cui oggi discuteremo, che li annoda con forza e li rafforza: è la nostra Costituzione.
La Costituzione nel suo nucleo fondante e quindi nei valori tradotti in principi si anima quando, ponendosi a contatto con i casi della vita, ci aiuta a risolverli.
La Costituzione è sopra di noi, oltre le diverse sensibilità e non può cedere ad interessi particolari; il momento attuale, tuttavia, è un momento di grande incertezza e di fragilità e quando la Costituzione da luogo di concordia diventa terreno di controversia; quando la Costituzione non è più difesa, ma ritenuta non adeguata e dunque da modificare, occorre interrogarsi se e in che modo quei diritti in essa consacrati, valori fondativi di una identità democratica siano in pericolo.
Partendo da questa premessa, e non dimenticando la cornice più ampia che ha dato titolo al nostro congresso (Il ruolo della giurisdizione al tempo del maggioritarismo), abbiamo affidato a ciascuno dei nostri ospiti un tema che, nell’attuale contesto sociopolitico, rappresenta in maniera, più o meno dichiarata, il bersaglio di questi attacchi.
2. Il tema delle riforme costituzionali.
Uno dei punti più evocati nell’agenda di governo è sicuramente quello delle riforme istituzionali e del progetto di riforma costituzionale relativo al sistema di governo nelle forme del presidenzialismo o del premierato.
È atteso il testo di un disegno di legge, che ha visto una previa consultazione formale con i gruppi parlamentari delle opposizioni, cui ha lavorato il Ministero per le riforme istituzionali, per una svolta presidenzialista o molto più verosimilmente di premierato forte da intendersi quale elezione diretta del capo del Governo con potere di nomina e revoca dei ministri. Il progetto di riforma segue parallelamente quello dell’autonomia differenziate delle Regioni.
Il rischio di torsione del sistema costituzionale e di squilibrio tra i poteri dello Stato è forte quanto all’alterazione dei rapporti di forza tra Capo del Governo e Presidente della Repubblica, quest’ultimo visibilmente colpito nel suo ruolo di garante rispetto alla forza politica di un premier con un mandato diretto degli elettori.
Senza contare le ricadute in tema di delegittimazione dei partiti politici e di esautoramento del ruolo e delle funzioni del Parlamento quale luogo privilegiato di esercizio della vita democratica di un Paese.
Abbiamo pensato che sul punto l’avv. Anna Falcone, giurista ed esperta sugli specifici temi potesse rappresentarci criticità e scenari, fornendo spunti interessanti per il nostro successivo dibattito.
3. Il tema della riforma dell’ordinamento giudiziario
Il 9 settembre 2023. esattamente venti giorni fa, il Comitato Direttivo Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati ha deliberato un documento con il quale ha espresso grande preoccupazione per i disegni di legge in discussione dinanzi alla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati laddove, nel riprodurre fedelmente la proposta di iniziativa popolare presentata dalle Camere Penali nella XVII legislatura si propone:
- di cambiare la composizione dei Consigli Superiori della Magistratura, sia giudicante che requirente, aumentando i membri di nomina politica sino alla metà;
- di consentire la scelta per sorteggio dei componenti togati; di vietare ai Consigli superiori della magistratura di aprire pratiche a tutela dell’indipendenza dei singoli magistrati e di esprimere pareri sulle riforme in tema di giustizia;
- di abolire l’art. 107 Cost. comma terzo della Costituzione secondo il quale i magistrati si distinguono fra loro solo per diversità di funzioni;
- di ridurre il principio di obbligatorietà dell’azione penale, limitandolo ai soli casi e modi previsti dalla legge, modificando l’art.112 Cost.
L’intervento sulla Carta costituzionale è duplice: quanto alla separazione delle carriere e quanto ai casi e ai modi per l’esercizio dell’azione penale.
Quanto alla separazione delle carriere, considerata dal primo firmatario della proposta quale “riforma fondamentale per avere finalmente una giustizia efficiente giusta e trasparente”, in questa sede non penso sia il caso di sottrarre tempo alla discussione se non per evidenziare le altre preoccupanti indicazioni contenute nel disegno di legge relative ad un doppio consiglio della magistratura in cui i membri di nomina politica aumenteranno sino alla metà e all’interno del quale sarà vietato aprire pratiche a tutela della indipendenza dei magistrati e interloquire sulle riforme in tema di giustizia.
Due gli organi di autogoverno, due le magistrature con un evidente assoggettamento al controllo politico: i contrappesi e le garanzie del sistema costituzionale volte proprio ad assicurare l’indipendenza e l’autonomia della magistratura sono poste fortemente in crisi da una modifica di siffatta portata.
E quel principio di obbligatorietà dell’azione penale, custodito e difeso dall’art.112 della Costituzione, a garanzia non solo della indipendenza del PM, ma anche dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, è fortemente fiaccato allorquando una legge ordinaria può, per ragioni legate alle contingenze politiche più varie, stabilire chi e cosa perseguire.
Abbiamo pensato di parlarne con il Prof. Enrico Grosso, avvocato e ordinario di Diritto Costituzionale presso l’università di Torino.
3. Il lavoro
Abbiamo avvertito la necessità di confrontarci con il tema del diritto al lavoro nella sua duplice declinazione:
Il presidente Mattarella in occasione delle recenti tagiche morti dei cinque operai a Brandizzo ci ha detto che: “Morire sul lavoro è un oltraggio ai valori della convivenza civile; Il luogo di lavoro deve essere il posto da cui si ritorna. Sempre.”
Non si tratta solo di discutere dei singoli provvedimenti legislativi ed in particolare del “DL Lavoro” che hanno acceso il dibattito su alcuni temi controversi: la fine della stagione del reddito di cittadinanza, soppiantato dall’assegno di inclusione e dal supporto per la formazione e lavoro, la liberalizzazione dei contratti a tempo determinato e la estensione dei voucher.
Si tratta di analizzare la complessità del mondo del lavoro attuale, confrontandosi con l’assoluta esigenza di ridurre il tasso di disoccupazione in particolar modo quello giovanile, contrastando il lavoro sommerso e irregolare, e allo stesso tempo tutelare con un adeguato salario quelle categorie di lavoratori, per lo più in possesso di istruzione medio bassa, che appaiono i più fragili.
A fronte della capacità di individuare misure condivise per tutelare i lavoratori meno abbienti, come ad esempio quella del taglio del cuneo fiscale che sembra ormai accettato non solo dalle forze politiche, ma da tutte le organizzazioni datoriali e sindacali, vuoti di tutela e frizioni permangono nell’ adozione di misure di politiche attive che consentano per le categorie più deboli della nostra società l’ingresso nel mondo del lavoro.
Abbiano scelto quale nostro interlocutore l’onorevole Giuseppe Provenzano, deputato del Partito democratico di cui è stato vicesegretario sino al marzo scorso, nonché ex ministro per il Sud e della coesione.
4. Libertà di stampa
Conosciamo tutti il portato dell’art. 21 Costituzione e del diritto ad una informazione libera che trova il suo limite nella sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza, nel rispetto dell’altrui reputazione.
C’è un rapporto diretto tra il grado di democraticità di un sistema politico e la quantità di informazioni rilevanti che circolano al suo interno.
La sfida è proprio quella di garantire la massima tutela per il mondo giornalistico, cooperando per il raggiungimento di un pluralismo di opinioni e di una piena libertà di espressione svincolata da censure e da condizionamenti politici ed economici che possa garantire ai cittadini una reale conoscenza dei fatti e un libero accesso alle informazioni.
E’ chiaro che queste considerazioni così limpide e condivisibili- come si potrebbe affermare il contrario – devono fare i conti con il clima politico e con le censure più o meno esplicite che raggiungono i giornalisti.
E’ sotto gli occhi di tutti lo spoil system del “servizio pubblico” televisivo.
Una tempesta perfetta che ha privato la società civile d'ogni partecipazione diretta effettiva nella programmazione delle risorse al fine di evitare un regime di “monopolio informativo”.
Occorre essere sempre molto attenti a quanto accade al mondo della stampa e della informazione e ai segnali che da quel mondo ci arrivano.
Ne parleremo con il giornalista Giuseppe Salvaggiulo che ha cortesemente accettato il nostro invito, sempre attento al tema delle libertà e dei diritti.
5. L’immigrazione
E’ il tema del dibattito politico odierno; l’ossimoro emergenza strutturale lo definisce, svelandone tutta la sua drammaticità. Nessuno di noi si può chiamare fuori.
Fra qualche giorno saranno trascorsi 10 anni da quel tragico 3 ottobre 2013 che vide morire nel Mar Mediterraneo 368 persone.
E’ del 14 giugno 2023 il nostro comunicato che nel richiamare l’art. 10 comma 3 della Costituzione italiana e l’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sul diritto di asilo, dopo l’ennesima strage in mare sollecitava l’Europa e l’Italia quanto alle responsabilità nell’ostacolo agli accessi legali.
Aumentano gli sbarchi: dal primo gennaio ad oggi sono sbarcate in Italia 133.000 persone. Di gran lunga inferiori i rimpatri forzati: 2770.
Gli ormai tristemente famosi CPR (Centri di permanenza per i rimpatri) attorno ai quali l’attuale governo ha costruito la politica per l’immigrazione sono luoghi terrificanti in cui, oltre alle condizioni di degrado, la mancata conoscenza della lingua e l’assenza di mediatori culturali impediscono anche l’esercizio dei diritti dei richiedenti asilo per l’accesso alle procedure di protezione internazionale.
Il ruolo della magistratura è stato decisivo rispetto alle pronunzie di incostituzionalità dei Decreti sicurezza nel tentativo di fornire risposte alle molteplici istanze che l’hanno investita rispetto ad un sistema di tutela multilivello del diritto alla protezione dello straniero.
Richiamo solo il decreto ministeriale del 14 settembre pubblicato nella G.U del 21 settembre 2023 che prevede la richiesta di una cauzione pari a4.938 euro quale alternativa al trattenimento nel Centro di permanenza per il reimpatrio
Ne parleremo con Marco Tarquinio, giornalista e direttore dell’Avvenire sino alla primavera scorsa, profondo conoscitore dei molteplici temi richiamati.
6. I Diritti
La tutela dei diritti civili è nel patrimonio genetico della magistratura progressista ed è il fondamento di tante riflessioni. Guardando all’attualità, introduco il tema che sarà ripreso nella tavola rotonda.
6.1 La famiglia
A marzo 2023 una circolare del ministero dell’Interno si è rivolta ai Comuni italiani per interrompere il riconoscimento e le registrazioni all’anagrafe dei figli di coppie omogenitoriali, richiamando una sentenza pronunciata nel 2019 dalla Corte di Cassazione secondo cui le anagrafi italiane non possono trascrivere gli atti stranieri di bambini nati attraverso la gestazione per altri.
L’Eurocamera ha successivamente condannato l’Italia rispetto allo stop imposto dal Governo per le registrazioni delle adozioni delle coppie omogenitoriali.
Nello stesso mese di marzo la commissione Politiche europee del Senato ha bocciato l’adozione di un certificato europeo di filiazione, un documento unico in grado di provare la filiazione dei minori e garantire ai genitori residenti in Unione europea il diritto ad essere riconosciuti come madri e padri dei propri figli in tutti gli Stati membri.
Il tema delle trascrizioni è legato a quello della gestazione per altri (GPA) che come sappiamo in Italia è una pratica vietata: coloro che desiderano avere un figlio ricorrendo a questa procedura si recano all’estero.
Il 31 maggio 2023 la Commissione Giustizia della Camera ha concluso il voto degli emendamenti alla proposta di legge che dichiara la gestazione per altri reato universale, ossia perseguibile anche se commesso all’estero (modifica legge 40/2004):.
6.2 Il carcere
Da magistrati e da magistrati di Area democratica per la giustizia a fronte dei decessi di due detenuti in sciopero della fame nel carcere di Augusta o in occasioni dei suicidi abbiamo richiamato ancora una volta l’attenzione sul condizione di crescente disagio manifestato dalle persone detenute, sulla carenza ormai cronica di risorse umane e materiali per potervi dare adeguata risposta e sulla stessa difficoltà di comunicazione e relazione con l’esterno, tanto da vedere sempre più persone utilizzare il proprio corpo per rivendicare condizioni detentive migliori o ascolto.
La pena non perda mai la propria finalità rieducativa e non si traduca in pura afflizione.
6.3 Il fine vita
Attendiamo dopo la sentenza 242/19 della Corte Costituzionale legata alla morte assistita di DJ Fabo che ha fissato le condizioni in presenza delle quali l’aiuto al suicidio non è punibile, una legge sulla eutanasia
6.4 La violenza sulle donne
Abbiamo detto il 25 novembre scorso che occorre che “maturi la piena consapevolezza che ogni forma di violenza contro le donne è in realtà una violazione dei diritti umani, non lede solo il corpo e la psiche di chi ne è bersaglio, ma impoverisce la collettività e mina lo stesso fondamento della dignità di ogni essere umano”.
Accanto alla produzione normativa quanto mai feconda in tema di contrasto alla violenza di genere e in attuazione delle direttive comunitarie, occorre una visione più complessiva che crei una rete di competenze qualificate e condivise, anelli di un’unica catena che agiscano sin dalla formazione nelle scuole, per proseguire attraverso i servizi sociali e strutture sul territorio che aiutino a crescere rifiutando ogni forma di violenza psicologica e fisica nei confronti di chi è diverso da noi.
1. Legge e diritto non sono sinonimi, ma concetti complementari, sono entità reali che si fondono nel crogiuolo dell’interpretazione. Il nostro sistema giurisdizionale, di tipo c.d. “continentale”, non cristallizza la giurisprudenza dei giudici con lo stare decisis, ma prevede un organo di nomofilachia centrale -la Corte di Cassazione- che in questi giorni festeggia i suoi 100 anni.
2. Un secolo è tanto e poco. In un secolo la Corte ha avuto una mutazione progressiva, da luogo esclusivo per i magistrati “eletti” e per un’utenza elitaria a contenitore di esperienze giudicanti/requirenti le più varie e ricettore di un flusso enorme di cause civili e penali. Conseguentemente si è accentuata l’ “ambiguità” e la precarietà dell’equilibrio del suo ruolo, geneticamente e costituzionalmente spartito tra produzione di diritto oggettivo “vivente” (c.d. jus constitutionis) e risoluzione di controversie concrete (c.d. jus litigatoris), tra controllo di legalità dei provvedimenti giurisdizionali e assicurazione dell’ uniforme interpretazione della legge.
3. Negli ultimi decenni e sempre di più, questo quadro operativo, di per sé a complessità crescente, è stato ed è ulteriormente implementato, ma complicato, dall’ingresso in scena delle Corti sovranazionali e dalla correlata ermeneutica multilivello, con tutti i conseguenti vincoli preventivi e postumi.
4. L’attualità della funzione di nomofilachia è dunque profondamente condizionata da questa tensione funzionale o, per essere più chiari, prima e soprattutto, dai suoi “numeri”. Le esigenze produttivistiche hanno assunto una chiara preponderanza, le ordinanze prevalgono di gran lunga sulle sentenze, il “dominio statistico” ha compresso enormemente il ruolo della motivazione. Il trend è: sempre più definizione di liti, sempre meno orientamento interpretativo, sempre maggiori rischi di oscillazione e contrasto giurisprudenziali. E’ questa una deriva di difficile governo, astretto com’è e come è giusto che sia dal dovere istituzionale ineludibile di preservare l’essenza stessa del giudizio accentrato di legittimità, che, al fondo, è quello di rendere concreto il principio supremo dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge.
5. E’ essenziale a tal fine l’attuazione di prassi che prevengano l’adozione da parte della giurisprudenza di merito di soluzioni interpretative difformi o ondivaghe.
In quest’ottica occorre valorizzare quanto più possibile il lavoro dell'ufficio del Massimario e assicurare la massima diffusione delle sue relazioni presso gli uffici di merito per prevenire il rischio di soluzioni interpretative difformi.
Per evitare il formarsi di deleteri contrasti di giurisprudenza all'interno della corte, occorre invece percorrere la via preventiva del confronto tra i giudici della Cassazione attraverso riunioni, sezionali e intersezionali, nonché il confronto periodico, del quale si sente la mancanza, con la Procura generale.
6. Deve essere poi considerato che la Cassazione non è esente dal rischio derivante da sollecitazioni, mediate dai giudici di merito, a guardare al “fenomeno” piuttosto che alla corretta applicazione del diritto, e così a privilegiare, di fatto, la libertà interpretativa a scapito della certezza giuridica.
L’attenzione al "fenomeno", ne occorre consapevolezza, trasfigura il ruolo e la funzione della Cassazione.
Il rischio può essere evitato solo attraverso il coordinamento interno e lo sforzo costante di tutti i magistrati della Cassazione e della Procura generale ad astenersi dal controllo sul fatto nella consapevolezza che non c’è danno peggiore di quello derivante dall’imprevedibilità della decisione perché condizionata dal fatto.
7. Al fine di garantire l’efficienza e l’uniformità della funzione di legittimità è essenziale valorizzare al massimo momenti di effettivo coordinamento tra Cassazione e Procura generale affinché le funzioni di legittimità siano coerentemente esercitate da tutti i magistrati della Cassazione e della Procura , e ciò al fine di prevenire la difformità delle decisioni e altresì garantite l’utile utilizzo delle risorse assai “scarse” rispetto al carico di lavoro.
8. D’altro canto l’importanza della comune appartenenza alla giurisdizione di legittimità dei consiglieri e dei pubblici ministeri della Cassazione tanto più deve essere riaffermata in questo momento, per la "difficile" attualità della politica giudiziaria ove si "aggira lo spettro" della separazione delle carriere. La Procura Generale presso la Corte non è collocata in una "zona franca". Il rischio, già per molti versi attuale a causa della limitazione nei mutamenti di funzioni tra giudicante e requirente, è la sua trasformazione progressiva in un -indesiderabile- pubblico ministero di ultimo grado.
9. Da questo contesto problematico, al netto di improbabili e forse nemmeno auspicabili modifiche costituzionali, la Corte può uscire soltanto “in avanti”, provando a governare cum modo i flussi degli affari e, allo stesso tempo, aprendo nuovi e forti canali di dialogo con i giudici di merito, così come è prassi consolidata con le Corti europee, nella consapevole prospettiva di avviare una necessaria linea di continuità giurisprudenziale a tutela dei diritti fondamentali.
Strumenti decisivi in questo senso sono la piena valorizzazione dell’Ufficio del processo e il rinvio pregiudiziale nel civile. Ma ovviamente non basta. Bisogna pensare a forme innovative, strutturate ed efficaci, di coordinamento giurisprudenziale preventivo, che si basino sull’attività formativa ed organizzativa della SSM, sia centrale sia decentrata. Un’idea – specifica - è quella di prevedere l’istituzione di conferenze (almeno) annuali Corte/Corti territoriali, Procura generali/Procure generali territoriali.
10. Dopo cento anni di Cassazione nazionale è dunque arrivato il tempo di un rapporto nuovo tra giurisdizione di merito e giurisdizione di legittimità. E’ indispensabile un profondo “cambio culturale”: bisogna pensare alla giurisprudenza come un’ azione comune, strutturata nello scambio e nel confronto tra i suoi “produttori”, che sono tutti i magistrati, giudicanti e requirenti. Bisogna concepire l’organizzazione dell’ interpretazione giudiziale in termini “circolari” e quindi riconoscere il plesso Corte di Cassazione/Procura Generale non più solo, in termini formali/oggettivi, quale “vertice funzionale” della giurisdizione nazionale, ma, in termini sostanziali/soggettivi, quale “centro” di un agire comunicativo corale, costante, osmotico, dunque autenticamente costituzionale.
approfondimenti sul tema:
Il ruolo del giudice ai fini della effettività dei precetti posti dalla legge di Giacomo Fumu
Un cambiamento del volto della giustizia Italiana di Antonella Di Florio
Appunti sui numeri della Cassazione di Pierpaolo Gori
Il passaggio dalla requisitoria orale a quella scritta di Pasquale Serrao D'Aquino
Il passaggio dalla requisitoria orale a quella scritta di Pasquale Serrao D'AquinoBrevi note sul dimenticato art. 110 Cost.* Di Giuliano Scarselli
Il passaggio dalla requisitoria orale a quella, di regola, scritta consente alla Procura Generale di lasciare sistematicamente una traccia del suo orientamento sulle diverse questioni, pur con le difficoltà di conciliare uniformità di indirizzo dell’Ufficio e autonomia dei Sostituti Procuratori Generali.
È un cambiamento di prospettiva che amplifica il contributo nomofilattico dell’Ufficio requirente.
Si tratta di un'opportunità, come spesso avviene, nata dalla drammatica necessità dell’emergenza pandemica, che va sfruttata al meglio. Occorre, infatti, che questi contributi interpretativi non siano circoscritti nella fruizione al solo Collegio del singolo procedimento ma, oltre che per esigenze di coerenza interna dell’Ufficio e di ineludibile dialettica processuale, anche per opportune trasparenza e informazione degli Uffici giudiziari e degli Avvocati, inserite nelle banche dati di fruizione pubblica, quanto meno per le requisitorie che hanno rilevanza nomofilattica o che riguardano casi di rilievo sociale, da collegarsi alle sentenze che decidono sul ricorso.
La separazione delle carriere in atto, frutto dell’intervento già operato sull’art. 13 del d.lgs. n. 160/2006 da parte dell’art. 12 della legge n. 71 del 2022 deve mettere la magistratura in allarme rispetto al destino della Procura Generale. Il suo profilo ordinamentale rischia di allontanarsi dal modello dell'Avvocato Generale delle Corte di giustizia dell'UE, ridimensionando tanto il suo contributo alla nomofilachia quanto la sua funzione di tutela del cittadino nel giudizio di ultima istanza, per trasformarla in un pubblico ministero nel terzo grado. Occorre resistere a questa involuzione e ribadire la necessità, per garantire la maggiore ricchezza di esperienze professionali di legittimità, di garantire sul piano ordinamentale una permanente circolarità di funzioni, non solo tra quelle di merito e di legittimità, ma anche tra funzioni di legittimità giudicanti e requirenti.
* sull'argomento Cassazione
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