di Raffaello Belli
Sommario: 1. L’“accomodamento ragionevole” - 1.1. L’“accomodamento” - 1.1.1 Società vivibile per tutti - 1.2. L’“accomodamento ragionevole" e l’assistenza personale - 1.3. L’onere sproporzionato o eccessivo - 1.3.1. L’onere sproporzionato o eccessivo nella Convenzione - 1.3.2. La legge n. 67 del 2006 - 2. Le “risorse disponibili” - 2.1. Una sfida concreta - 3. La “vita indipendente” - 4. Il “progetto di vita individuale” - 4.1. Non prendersi in giro - 5. Alcune altre questioni - 5.1. Il Garante - 5.2. Il “modello sociale della disabilità” - 5.3. Revisioni delle prestazioni - 5.4. La “presa in carico” - 6. Conclusioni.
Nella Legge 22 dicembre 2021, n. 227, “Delega al Governo in materia di disabilità” (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 309 del 30-12-2021)[1], vengono stabiliti i criteri in base ai quali, entro il mese di agosto del 2023, il Governo è autorizzato ad emanare uno o più decreti legislativi attuativi in materia di disabilità.
1. L’“accomodamento ragionevole”
Nella Legge n. 227 qui in esame, contro la discriminazione dei disabili, è previsto il cd. “accomodamento ragionevole”, ripreso espressamente dalla “Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità”[2]. Innanzitutto va sottolineato che il rifiuto di un “accomodamento ragionevole” costituisce discriminazione “soltanto se” e quando le necessarie e appropriate modifiche e adeguamenti, che vengono richiesti e che sono negati, in realtà sono necessari per garantire la parità di godimento o di esercizio di un diritto umano o di una libertà fondamentale[3].
Va subito tenuto ben presente che la non discriminazione è il punto centrale di tutti i trattati sui diritti umani[4], che i precetti egualitari stabiliti nell’art. 3 Cost. non si sottraggono certamente a questo ruolo e che il divieto di discriminazione non è soltanto il principio generale dell’ordinamento giuridico (almeno in Italia), ma, secondo la Convenzione cit., è anche un vero e proprio diritto, se non altro nei confronti dei disabili, e deve essere rispettato sia dagli enti pubblici che dai soggetti privati[5].
Inoltre, almeno in Italia, non c’è dubbio che pure ai disabili deve essere garantita la possibilità concreta di esercitare pienamente almeno i diritti fondamentali. Pertanto, quando è finalizzato a tale scopo, l’“accomodamento ragionevole” non può avere un contenuto compromissorio.
1.1. L’“accomodamento”
La lingua inglese è una delle lingue ufficiali della Convenzione dell'Onu sui disabili, la lingua italiana non lo è. La legge italiana n. 18 del 2009 ha disposto la ratifica della Convenzione nel testo in lingua inglese. In questa Convenzione ha un ruolo rilevante la parola “accommodation”. Qui la si traduce in italiano con la parola “accomodamento”[6], sia perché cosi è stato fatto ufficialmente dall’Unione Europea[7] e nella Legge n. 227 cit. e sia perché con tale traduzione si sottolinea l’importanza del dialogo e della comodità.
Ebbene, sia nella lingua inglese la parola "accommodation” e sia nella lingua italiana la parola “accomodamento”, hanno due significati, che possono essere anche molto diversi fra loro, soprattutto nel caso di gravi disabilità. E cioè in ambedue le lingue queste parole vogliono dire “comodo”, ma significano anche trovare un accordo, fare un compromesso.
Ebbene, per tutto quello che discende dalla Legge n. 227 qui in esame, la parola “accomodamento”, fra i due diversi significati, per quanto riguarda i suoi diritti fondamentali, va intesa comunque come “comodo” in concreto per il singolo disabile. Questo, se non altro, perché:
- la parola “compromesso” indica che fra due entità c’è una lite, un contrasto di interessi diversi, ed è quindi necessario che ognuno ceda un po’. È vero che al mondo d’oggi, sia la Repubblica italiana, tutt’altro che da sola, che troppi privati, nei rispettivi ruoli, fanno quanto più possono per riconoscere il minor numero possibile di agevolazioni a chi viene costretto a vivere da disabile, e quindi queste persone vengono costrette a contrapporsi con battaglie di vario genere. Però, se ci si attenesse scrupolosamente ai propri doveri, si dovrebbe agire fino all’assoluto affinché tutte le persone (anche disabili) vivano pienamente la propria vita, senza disparità di ricchezze tali che nulla hanno a che vedere con il diritto di vivere di tutti. Tanto più che le risorse per vivere tutti pienamente ci sarebbero in abbondanza, senza necessità di costringere i disabili a cedere tutto o in parte il proprio diritto concreto di vivere. Quindi si dovrebbe agire in modo da non essere necessarie liti e riducendo perciò i compromessi con i disabili al minor numero possibile. Di conseguenza, ai fini della Legge n. 227, per quanto dipende dalle risorse sia della Repubblica che dei privati, l’“accomodamento”[8] implica un compromesso soltanto quando, nella sua realizzazione concreta, la soluzione ottima richiederebbe inevitabilmente un sacrificio di diritti inviolabili altrui maggiore del sacrificio dei diritti inviolabili che deriverebbe al disabile dalla mancata adozione di quella soluzione ottima[9];
- in base all’art. 2 Cost. italiana ci deve essere sempre e inderogabilmente la solidarietà, da parte sia della Repubblica che delle singole persone. Quindi verso i disabili non devono esserci ingiustificate liti e ingiustificati interessi contrapposti, bensì vicinanza e soluzioni non disagevoli;
- tutto quanto di specifico è necessario alle persone disabili, spesso è indispensabile per consentire a loro il concreto esercizio dei diritti fondamentali e inviolabili e la facoltà di porre limiti in materia di diritti inviolabili è sottratta alle assemblee elettive, che pure hanno il potere/dovere di approvare i bilanci pubblici. E quindi le asserite esigenze dei bilanci pubblici e/o l’efficienza economica non devono e non possono prevalere sul nucleo dei diritti umani in gioco[10]. Anche perché limitare l’inviolabilità dei diritti fondamentali alla mera titolarità in astratto dei medesimi è incompatibile con l’inclusione nell’eguaglianza di chi ha gravi difficoltà fisiche-psichiche-sensoriali-mentali;
- in base all’art. 3 Cost. i disabili devono poter vivere in concreto come tutti. E questo non è realizzabile se la Repubblica mira a interessi contrapposti a quelli dei disabili;
- l’“accomodamento” deve essere costituito da adattamenti “appropriati”[11], cioè adeguati a far sì che il singolo disabile possa beneficiare della parità di godimento o di esercizio di un diritto umano o di una libertà fondamentale. E, in relazione a tale parità, non posso esserci compromessi.
Dunque non si può che essere d’accordo con Maria Rita Saulle (già giudice della Corte costituzionale) quando scrisse come questo “accomodamento” sta a significare che, per la singola persona disabile vittima di una discriminazione, deve essere trovata una soluzione comunque comoda per lei. Di conseguenza, nei decreti legislativi attuativi che verranno, il Governo è vincolato a disporre che venga realizzato in maniera comoda tutto quanto è necessario per superare la disabilità, almeno nella parte in cui è indispensabile ad assicurare a queste persone la concreta possibilità di esercitare pienamente i propri diritti inviolabili. Il che richiede, come minimo, che tali decreti legislativi attuativi siano scritti da chi conosce a fondo l’argomento e ha la capacità di avere il doveroso ossequio per la dignità di tutte le persone.
1.1.1 Società vivibile per tutti
Se non altro nei primi tre articoli, la Costituzione italiana impone la costruzione di una società pienamente vivibile da tutti. Ancora più chiara e specifica è la Convenzione dell'Onu sui disabili, la quale, fra l’altro all’ultimo capoverso dell’art. 2, stabilisce che “per “progettazione universale” si intende la progettazione di prodotti, strutture, programmi e servizi utilizzabili da tutte le persone, nella misura più estesa possibile, senza il bisogno di adattamenti o di progettazioni specializzate. La “progettazione universale” non esclude dispositivi di sostegno per particolari gruppi di persone con disabilità ove siano necessari”[12]. E nel successivo art. 3 sono stabiliti una serie di principi fondamentali anche a tal fine.
Perciò la “progettazione universale” è interesse dell’intera collettività, sia perché si è visto che spesso è più comoda anche per chi è, o appare, normodotato, sia perché si vive meglio tutti se si vede che il nostro simile, con ridotte capacità fisiche-sensoriali-mentali-psichiche, può vivere tranquillamente, senza incontrare particolari difficoltà, e si vive meglio tutti se si è in una società accogliente, dove, qualunque evento della vita dovesse accaderci, sarà possibile continuare a vivere tranquillamente. Di conseguenza la “progettazione universale” è un dovere ex ante[13] che deve essere seguito ogniqualvolta si progetta qualcosa (un edificio, una struttura, un’attrezzatura, un contenitore, un indumento, un parco, un servizio ecc.). In subordine a questo, nel doveroso ossequio per l’eguale diritto di tutti di sviluppare pienamente la propria personalità, per chi ha particolari necessità, che richiedono specifiche soluzioni non estendibili, allora si ricorre all’“accomodamento ragionevole”, fermo restando che questo, per le specifiche persone, deve essere esaustivo quanto lo è la “progettazione universale” per tutti. E con la consapevolezza che, quanto più la “progettazione universale” viene realizzata in maniera compiuta, tanto minore è il numero di “accomodamenti ragionevoli” necessari e tanto più si vive in una società per tutti.
Dunque la grande forza innovativa, e giuridicamente cogente, di questa ”progettazione” sta nel fatto che devono essere affrontate e prevenute in concreto le necessità egualitarie anche di chi incontra difficoltà nel vivere attualmente comune. E l’innovatività e la cogenza dell’“accomodamento” vuol dire trovare comunque una soluzione adeguata a qualcosa che non è stato fatto in maniera pienamente vivibile da quella/e persona/e specifica/he. Se questo è accaduto perché non è stata rispettata la normativa vigente, allora è necessario utilizzare i rimedi previsti, o non vietati, dall’ordinamento per costringere alla piena applicazione di tale normativa. Se invece quella cosa o servizio non fossero costruiti in maniera pienamente vivibile da tutti perché nulla prevede in tal senso la normativa vigente, allora, oltre a fare qualcosa per consentire comunque la vivibilità nell’immediato, è necessario agire per far sì che questa lacuna normativa venga colmata.
Quando poi si tratta di una situazione concreta talmente particolare e rara da non poter essere regolamentata nel dettaglio da chi ha scritto la normativa, allora, e solo in questo caso, è doveroso e legittimo ricorrere all’“accomodamento”.
Dunque, l'“accomodamento” è soltanto per una singola situazione “particolare”. Tant’è vero che ci deve essere quando necessario non per casi particolari al plurale, ma “per un caso particolare” al singolare[14]. In tal senso è perciò significativo che nella Legge n. 227 cit. viene stabilito di introdurre nella legge-quadro sull’handicap l’“accomodamento ragionevole” e di disporlo al singolare[15].
Tuttavia, nella Legge n. 227 qui in esame, è del tutto assente il precetto che la “progettazione universale” deve essere talmente diffusa e accurata da far sì che soltanto in casi particolari sia necessario ricorrere all’“accomodamento” e non c’è neppure il fatto che deve trattarsi di adattamenti “appropriati”[16], cioè adeguati a soddisfare le esigenze egualitarie del singolo soggetto. Ma il fatto che l’“accomodamento” non è un rimedio, tanto meno approssimativo, contro discriminazioni diffuse verso i disabili, non può essere legittimamente trascurato dal Governo almeno perché, nella stesura dei decreti legislativi attuativi, la Legge delega n. 227 va letta e interpretata alla luce, se non altro, della Convenzione dell’Onu cit.
In tal senso si osserva pure che, nella versione ufficiale in lingua inglese della Convenzione cit., la parola “accommodations” al plurale c’è solo 1 volta e per il resto c’è sempre la parola “accommodation” per 7 volte al singolare, mentre nella Legge n. 227 italiana la parola “accomodamenti” è 3 volte al singolare e 4 volte al plurale. Cioè, nella Convenzione, pure sotto questo profilo, l’“accommodation” prevale nettamente al singolare e si riferisce solo ad ogni singola situazione “particolare”. Nella Legge italiana si è scelto di non fare riferimento alla situazione “particolare”. Si è invece deciso di far prevalere “accomodamenti” al plurale.
In primo luogo si osserva che è stato stabilito in maniera vincolante anche per l’Italia che gli “accomodamenti ragionevoli” non devono e non possono essere numerosi perché la “progettazione universale” è un dovere ex ante, mentre l’“accomodamento ragionevole” è un dovere ex nunc[17], ovvero deve essere solo integrativo di ciò che non è stato fatto in modo da poter essere utilizzato da tutti. Per cui, fin da subito, l’unico modo corretto per interpretare queste scelte del legislatore sembra quello per cui il plurale prevalente sta ad indicare che possono essere necessari più “accomodamenti” differenti perché esistono più persone con differenti disabilità fra loro. Tant’è che, nel caso di persone che presentano disabilità rare, di cui non si è tenuto conto al momento dell'elaborazione degli standard di accessibilità o che non utilizzano tali standard, allora possono e devono essere applicati “accomodamenti ragionevoli”[18]. E i casi in cui possono essere necessari “accomodamenti” sono multipli solo perché sono multiple disabilità rare, ma si tratta comunque di rarità, come pure sono appunto pochissime le persone con ogni specifica disabilità rara.
Dunque l’utilizzo di detti “accomodamenti” al plurale non vuol affatto dire che questa Legge italiana delega il Governo ad emanare decreti legislativi attuativi talmente generici e/o discriminatori da rendere poi necessari molti “accomodamenti” per far fronte alle specifiche necessità di molte persone con differenti disabilità. Da una lettura non costituzionalmente orientata della Legge in esame potrebbe risultare invece che gli “accomodamenti” vengono considerati il rimedio diffuso per la disabilità. Dato l’alto numero di volte in cui questa dizione è presente nella Legge n. 227 cit., è probabile che ciò accada. Però questo va comunque evitato perché, se saranno necessari molti “accomodamenti”, allora vorrà dire essere in una società chiusa, con leggi, decreti ecc. che non terranno conto delle necessità di tutti, emarginando ed escludendo molte persone. Viceversa, come esaminato più sotto, sia la Costituzione italiana che la Convenzione dell'Onu sui disabili, impongono una società inclusiva, nella quale tutte le persone possono vivere pienamente senza necessità di “accomodamenti” per loro.
Inoltre gli “accomodamenti ragionevoli” sono ammessi dalla Convenzione cit. soltanto per “un caso particolare”[19] per cui uno scorretto ricorso ad essi susciterebbe rilevanti perplessità, che vedremo più avanti, pure in relazione alla legge n. 67 del 2006[20]. Perciò nella Legge n. 227 questo uso esteso del plurale “adattamenti” fa nascere il legittimo timore che non si voglia puntare ad una società inclusiva.
In tal senso si noti che, nell’Introduzione al primo numero del nuovo e promettente periodico promosso dall’Università di Leeds, “International Journal of Disability and Social Justice”, è stata correttamente riportata con rilievo la frase secondo cui per i disabili può esserci giustizia sociale soltanto in una società pienamente a misura di tutte le persone in modo tale da non esserci più necessità di "accomodamenti" per chi al mondo d’oggi viene costretto a vivere da disabile.
È da ritenere che, pure in una società pienamente inclusiva, e con una “progettazione universale” estremamente avanzata, qualche "accomodamento", sebbene non complesso, sia comunque necessario perché le differenze fra gli individui, e quindi anche le “menomazioni”, sono tendenzialmente infinite. Però, come si è accennato più sopra, tanto più una società è pienamente inclusiva e tanto più ha una “progettazione universale” sviluppata quanti meno “accomodamenti” sono necessari, rendendo la vita dei “disabili” più semplice e meno costosa.
Il punto pare recepito dal Comitato dell’Onu cit. nell’osservazione secondo cui le riforme strutturali progettate per migliorare l'accessibilità complessiva all'interno della comunità possono ridurre la domanda di servizi specifici per la disabilità[21], salvo specificare che quel “possono” è riferito ai singoli casi concreti. Questo, se non altro perché, come abbiamo visto poco sopra, “per “progettazione universale si intende [...] senza il bisogno di adattamenti o di progettazioni specializzate”[22].
E ancora l'obbligo di “accomodamento ragionevole” non è soggetto alla “realizzazione progressiva”[23], bensì va attuato subito, per cui sarebbe inammissibile, anche sotto il profilo economico, progettare (in senso ampio, quindi non solo architettonicamente, ma anche in termini di servizi e prestazioni) un futuro in cui può essere necessario provvedere poi a molti ulteriori adattamenti per i disabili.
Il fatto che l’“accomodamento ragionevole” non può essere un “rimedio” a cui far ricorso in maniera diffusa è confermato dal fatto che l’obbligo di attuare l'accessibilità generalizzata è incondizionato, ovvero chi è obbligato a fornire tale accessibilità non può giustificare la propria omissione facendo riferimento all'onere eccessivo da sostenere per fornire l'accesso alle persone con disabilità, nel senso che si tratta di una rilevante priorità, e quindi non si possono porre limiti di onere. Il dovere di “accomodamento ragionevole”, al contrario, sussiste solo se l'attuazione non costituisce un onere eccessivo per chi lo deve sostenere[24], nel senso che, se costa molto, è necessario impegnarsi a trovare altre soluzioni egualmente soddisfacenti per il soggetto disabile perché sui diritti fondamentali non è lecito transigere.
Di conseguenza c’è poi il fatto che, se una persona disabile manifesta la necessità di un “accomodamento ragionevole”, chi è tenuto a realizzarlo può sottrarsi a tale obbligo soltanto se riesce a dimostrare che non può esistere alcuna soluzione specifica tale da evitare che il relativo costo sia “sproporzionato o eccessivo”[25] in relazione sia al rilievo che alcuni precetti hanno nella Costituzione e sia considerando le enormi ricchezze e le rilevanti conoscenze tecnico-scientifiche attualmente esistenti. Tutto questo può non essere semplice da provare. Se poi, per via della mancata “progettazione universale”, dovesse accadere che più persone disabili manifestassero la necessità di differenti “accomodamenti ragionevoli”, allora ben difficilmente risulterebbe ancora più evidente la convenienza pure economica di tale “progettazione universale”.
Questo punto dell’“onere della prova” è di un qualche rilievo almeno per altri due motivi:
- molto spesso il disabile è “parte debole” per cui doversi “limitare” ad affermare la necessità dell’“accomodamento, senza entrare nei costi e nelle eventuali difficoltà tecnico-scientifiche, alleggerisce il suo svantaggio;
- nel contesto specifico è particolarmente importante che al disabile venga sottratto l’“onere della prova” perché, essendo “parte debole”, la possibilità di esercitare in concreto i diritti fondamentali deve poter essere affermata con facilità,
Inoltre nell’art. 19 lett. b) e c) della Convenzione cit. il diritto di accedere a validi servizi di supporto individualizzati e il diritto di accedere a molti servizi fondamentali sono diritti economici, sociali e culturali e la loro progressiva realizzazione comporta l'obbligo immediato di progettare e adottare strategie, piani d'azione e risorse concrete per sviluppare i servizi di supporto[26]. Più nello specifico gli “accomodamenti ragionevoli” vanno invece realizzati immediatamente, seppur senza oneri sproporzionati[27]. Per cui la cd. “inversione dell’onere della prova” riduce l’eventuale contenzioso e accelera i tempi.
1.2. L’“accomodamento ragionevole" e l’assistenza personale
Va anche tenuto presente il fatto che, secondo l’UNCRPD, l’“accomodamento ragionevole" non deve essere confuso con "misure specifiche". Sebbene entrambi i concetti mirino a raggiungere l'eguaglianza de facto, un “accomodamento ragionevole” è un dovere di non discriminazione, mentre misure specifiche implicano un trattamento preferenziale delle persone con disabilità rispetto ad altre per affrontare l'esclusione storica dall'esercizio dei diritti. Esempi di misure specifiche includono programmi di sostegno per aumentare il numero di studenti con disabilità nell'istruzione. Parimenti l’“accomodamento ragionevole" non va confuso con il sostegno necessario per esercitare la capacità giuridica[28].
Dunque l’“accomodamento ragionevole” può essere richiesto solo per modificare o adeguare ciò che esiste già[29]. Non si può invece invocare l’“accomodamento ragionevole” per avere, accessibile anche ai disabili, ciò che non esiste neanche per chi è normodotato. Ovvero, ad esempio, se in un paese il cinema è inaccessibile ai disabili, allora si può chiedere l’“accomodamento ragionevole”. Ma, se in quel paese non c’è alcun cinema, allora in astratto non si potrebbe invocare l’“accomodamento ragionevole” per avere un cinema, ovviamente accessibile a tutti.
Parimenti, se in un paese manca del tutto il servizio postale, in astratto non si potrebbe invocare l’“accomodamento ragionevole” per avere il servizio postale per tutti. Viceversa, se il servizio postale c’è, ma il postino suona il campanello e va via quasi subito senza dare ad un disabile un tempo ragionevole per rispondere, allora si può invocare l’“accomodamento ragionevole”. E fino a qui il ragionamento logico-giuridico astratto è corretto perché, se una cosa o servizio manca per tutti, allora non c’è discriminazione.
Va tuttavia osservato che, in concreto, una mancanza per tutti può svantaggiare maggiormente una persona disabile: ad esempio, rispetto a chi è normodotato, per chi è disabile può essere più difficile, o impossibile, andare al cinema nel paese vicino. Per cui la mancanza del cinema in quel paese di fatto discrimina i disabili.
Non è infatti ammissibile affermare che i disabili gravi devono vivere e poi non assicurare loro la certezza di poter esercitare in concreto nemmeno i diritti fondamentali in una realtà come quella italiana in cui esistono ampiamente (ad esempio applicando in modo costituzionalmente corretto la progressività al sistema fiscale) le risorse per garantire ciò.
Il fatto che i disabili gravi “liberi”, per quanto riguarda una buona parte dei diritti fondamentali (e astrattamente inviolabili) hanno la certezza di poterne essere titolari soltanto per quanto riguarda la loro versione astratta non è un dettaglio, bensì è utile, ma non è risolutiva, mentre l'eguaglianza sostanziale è quella che combatte la discriminazione indiretta[30], è contenuta, oltre che nell’art. 3 Cost., anche nella Convenzione sui disabili cit.[31] ed è recepita nella legge n. 67 del 2006 cit.[32].
Di frequente eliminare le barriere esistenti costa molto denaro; inoltre, e spesso soprattutto, per un disabile grave è costosissimo avere adeguata assistenza personale e, rispetto a chi è normodotato, dover sostenere anche altre spese in più. E questo, oltretutto, mentre in media i disabili gravi hanno redditi e situazioni patrimoniali inferiori alla media delle persone normodotate. Per cui, sotto vari punti di vista, per consentire ai disabili gravi di vivere in concreto i propri diritti fondamentali, è necessario e doveroso l’intervento della collettività, soprattutto attraverso la Repubblica, e in ogni caso passando dalla non discriminazione e dal riconoscimento in concreto dei diritti.
E allora, per tornare all’astrattezza menzionata poco sopra, quando l’assistenza personale per la vita indipendente dei disabili manca del tutto, ad esempio in un’intera regione, la situazione concreta cambia moltissimo fra disabili gravi e normodotati. Questi ultimi non hanno comunque necessità di assistenza personale, quindi per loro non cambia niente se l’assistenza personale c’è o meno e continuano ad esercitare normalmente i loro diritti fondamentali anche se tale assistenza non c’è in quella regione. Viceversa i disabili gravi, senza assistenza personale, di solito non possono esercitare nemmeno i diritti fondamentali più vitali, quali alzarsi la mattina, andare in bagno, bere ecc., e quindi sono vittime della più pesante delle discriminazioni di fatto perché, quando viene negata la possibilità concreta di esercitare questi diritti basilari, ogni altra discriminazione diventa irrilevante in concreto. Questo perché di fatto è ininfluente essere discriminati, ad esempio, per accedere all’autobus, al posto di lavoro ecc. se prima non c’è in concreto l’assistenza personale adeguata per alzarsi la mattina, andare in bagno ecc. E in concreto la mancanza, anche in assoluto, di assistenza personale costituisce discriminazione perché, a differenza dei disabili gravi, di fatto, chi è normodotato continua ad esercitare normalmente tali diritti fondamentali.
E ancora: se in una zona due persone, con identiche difficoltà e le stesse necessità, ricevono due diverse quantità/qualità di assistenza personale, è evidente che c’è una classica discriminazione.
Abbiamo già visto che, contro la discriminazione, la Convenzione cit. prevede l’“accomodamento ragionevole”[33] e che la stessa Convenzione mira all’eguaglianza de facto[34].
Per cui parrebbe logico che la mancanza o l’insufficienza di assistenza personale costituisca una pesante discriminazione e si possa quindi richiedere l’“accomodamento ragionevole” essendo l’unico rimedio previsto dalla Convenzione stessa contro le discriminazioni. Viceversa è stabilito che l’“accomodamento ragionevole” non deve essere confuso con la fornitura di sostegno, come gli assistenti personali, nell'ambito del diritto di vivere in modo indipendente e di essere inclusi nella comunità[35].
Il fatto che l’assistenza personale venga posta fra diritti economici, sociali e culturali e vada finanziata per tutto il necessario fino al massimo delle risorse disponibili[36] perché è una prestazione essenziale, è un grande riconoscimento per chi non può vivere senza tale assistenza. E rappresenta un preciso precetto per il legislatore, importante perché c’è estrema urgenza di un intervento generale in tema di assistenza personale per la vita indipendente.
Tuttavia è un grande palazzo costruito su piedi d’argilla.
Il fatto è che, per il disabile esemplificativo di cui sopra, la mancanza, o l’insufficienza, dell’assistenza personale per la “vita indipendente”, costituisce una situazione in cui non è possibile esercitare in concreto i diritti fondamentali, quindi vi è una realtà di enorme discriminazione, se non altro di fatto, pure perché se il disabile muore (per assenza o enormi carenze nell’assistenza personale) ogni suo diritto viene meno. È perciò evidente l’essenzialità dell’intervento immediato[37], e pienamente adeguato a specifiche necessità, da parte della Repubblica, per cui, stando alla lettera della Convenzione cit.[38], non rimarrebbe che ricorrere all’“accomodamento ragionevole” essendo l’unico rimedio concretamente immediato ivi previsto contro le discriminazioni. Sennonché, abbiamo visto poco sopra, per quanto riguarda l’assistenza personale, da parte del Comitato dell’Onu cit. non è ammesso l’“accomodamento ragionevole”[39], per cui al disabile grave disperato, o comunque in enormi difficoltà, verso il quale è doverosa una tutela prioritaria, in realtà non rimarrebbe che attendere la morte precoce o i tempi ben più lunghi della “realizzazione progressiva”[40].
È vero che pure per questa “realizzazione” è prevista l’immediatezza, ma è ben diversa da quella stabilita per l’“accomodamento ragionevole” perché riguarda i progetti e le strategie, e non l’intervento. D’altra parte, per un argomento così cruciale, costoso e complesso come l’assistenza personale, per i motivi accennati in precedenza sarebbe ampiamente insufficiente limitarsi all’“accomodamento ragionevole”.
Lo scioglimento di questo nodo è indispensabile anche per evitare che possano verificarsi situazioni sia drammatiche che paradossali, quali, ad esempio, quella di una lunga agonia del disabile privo di assistenza personale oppure quella in cui un disabile grave può chiedere al giudice che gli venga assicurata in concreto la possibilità di entrare in un cinema, ma non può chiedere al giudice che gli venga assicurata in concreto l’assistenza personale indispensabile per non morire, ovvero per potersi alzare dal letto, nutrirsi ecc., attività propedeutiche per poter poi andare al cinema.
Probabilmente, riflettendo sul fatto che l’assistenza personale deve essere un servizio ordinario per tutta la collettività[41], si arriva alla soluzione nel senso che l’assistenza personale deve essere parte della “progettazione universale”[42], e quindi deve diventare pure corretto poter ricorrere all’“accomodamento ragionevole” per ottenere subito l’assistenza mancante, sia in attesa di tale “progettazione” e sia come adattamento alle specifiche necessità di ciò che eventualmente esiste. Salvo aggiungere che, se questa è la via da seguire, allora, ancora una volta, sono stati i disabili stessi a far fare un balzo in avanti alla Convenzione cit.
Abbiamo poi approfondito che il diritto all’“accomodamento ragionevole” introduce nell’ordinamento il fondamentale precetto che ogni supporto deve essere fornito al singolo disabile tenendo conto delle sue specifiche necessità. L’assistenza personale è uno dei supporti per il quale ciò è particolarmente essenziale. Per cui la non applicabilità ad essa dell’“accomodamento ragionevole” risulta inadeguata.
Sia la Convenzione dell’Onu sui disabili che la Legge n. 227 non usano la parola “accomodamento” da sola, bensì essa è insieme alla parola “ragionevole”, cioè l’espressione è “accomodamento ragionevole” (“reasonable accommodation” in inglese).
Va chiarito che “accomodamento ragionevole” è un termine unico e "ragionevole" non deve essere frainteso come clausola di eccezione; il concetto di “ragionevolezza” non dovrebbe fungere da qualificatore o modificatore distinto del dovere. Non è un mezzo attraverso il quale è possibile valutare i costi dell'“accomodamento” o la disponibilità di risorse: ciò avviene in una fase successiva, quando viene intrapresa la valutazione dell’"onere sproporzionato o eccessivo". Piuttosto, la ragionevolezza di un “accomodamento” è un riferimento alla sua rilevanza, adeguatezza ed efficacia per la persona con disabilità. Un “accomodamento” è ragionevole, quindi, se raggiunge lo scopo (o gli scopi) per cui è stato realizzato ed è adeguato alle esigenze della persona con disabilità[43]. Tanto più che, abbiamo visto, subito dopo la Convenzione cit. specifica che gli “adattamenti” devono essere “appropriati”[44].
Questo punto fondamentale è affrontato nella Legge n. 227 cit. soltanto indirettamente mediante rinvio alla Convenzione cit. Per cui, nei decreti legislativi attuativi, il Governo deve prestare molta attenzione a tener conto di quanto stabilito in proposito dalla Convenzione dell'Onu sui disabili ovvero l’“accomodamento”è “ragionevole” soltanto se eliumina la discriminazione.
1.3. L’onere sproporzionato o eccessivo
Nell’art. 2 della Convenzione dell'Onu sui disabili cit. viene poi stabilito che l’“accomodamento” non deve consistere in un “onere sproporzionato o eccessivo”.
Innanzitutto questo dovrebbe essere inteso come un unico concetto che fissa il limite dell'obbligo di fornire soluzioni ragionevoli. Entrambi i termini sono da considerarsi sinonimi in quanto rimandano alla stessa idea: che la richiesta di “accomodamento ragionevole” deve essere vincolata ad evitare un eventuale onere eccessivo o ingiustificato a carico del soggetto che deve provvedere[45].
1.3.1. L’onere sproporzionato o eccessivo nella Convenzione
Solo che, stando all'“accomodamento” stabilito nella Convenzione dell'Onu sui disabili, nel singolo caso "particolare" la collettività interviene per le relative spese “soltanto se” l’onere non è “eccessivo o sproporzionato”.
Allora, in primo luogo, si deve aver chiaro che il fatto se un costo è “eccessivo o sproporzionato” va misurato in relazione al fine per cui è necessario sostenerlo e richiede una valutazione del rapporto proporzionale tra il mezzo impiegato e la natura del diritto in questione[46]. Questo anche perché la Repubblica, per le questioni davvero importanti, le risorse le deve trovare comunque e, quando “così vuolsi colà ove si puote”, vengono sempre trovate. Si pensi, fra l’altro, alla rapidità con cui sono state trovate ingenti risorse per le armi per la guerra in Ucraina, sebbene la Costituzione ripudi la guerra. E quindi, in tema di disabilità, per misurare se la spesa è eccessiva o meno, è doveroso basarsi sul fatto che il concreto esercizio di diritti fondamentali deve essere sempre garantito.
Ovvero, ad esempio, un conto sono i valori costituzionali da considerare per stabilire se è “eccessivo o sproporzionato” spendere € 1.000 in più per consentire ad un Parlamentare di dormire in hotel a 4 stelle anziché in uno comodissimo a 3 stelle. Altro conto sono i valori costituzionali da considerare per stabilire se è “eccessivo o sproporzionato” spendere € 1.000 in più al mese per consentire ad un disabile grave, ad esempio, di uscire tutti i giorni di casa, oppure di andare a scuola, o di avere un lavoro, o di formarsi una famiglia ecc. Tant’è che, nella sentenza n. 215 del 1987, la Corte costituzionale italiana stabilì che non possono essere messi limiti di spesa per l’inserimento scolastico dei disabili. Ed è la stessa Convenzione cit. a stabilire che l’”accomodamento ragionevole” serve proprio a garantire in concreto alle persone con disabilità il godimento o l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali[47].
E qui iniziano le difficoltà. Per l'“accomodamento” stabilito nella Convenzione dell'Onu sui disabili ci vuole che, nello specifico caso particolare, l’onere non sia “eccessivo o sproporzionato” e ci vuole chi decide in tal senso. Ovvero, ad esempio, un ergastolano normodotato in ogni caso va comunque in bagno, beve l’acqua ecc. quando vuole senza dover avere l’approvazione di nessuno, e questo gli può essere impedito solo con colpo di Stato. Viceversa, sempre stando all'“accomodamento ragionevole”, una persona disabile grave in situazione "particolare", pur rimanendo pienamente titolare in astratto dei diritti fondamentali al pari di chi è normodotato, in concreto può andare in bagno, può bere l’acqua ecc., “soltanto se” la Repubblica accerta che la soluzione adottata ha un costo non eccessivo e non sproporzionato. Quindi nella vita reale è una condizione di enorme inferiorità concreta a cui l'“accomodamento”, e quindi anche la Legge n. 227 in esame e la Convenzione dell'Onu sui disabili, costringono il singolo disabile grave in situazione "particolare".
Il problema è che la decisione sul fatto se l’“accomodamento” è “ragionevole” e se il suo costo non è “eccessivo o sproporzionato”, ovvero se al disabile viene consentito di esercitare in concreto i propri diritti fondamentali, in pratica si basa su chi viene preposto a decidere (e quindi pure, volenti o nolenti, sulla sua intelligenza), sulle regole da seguire per arrivare a tale decisione e sull’entità dei fondi a disposizione. Solo che quasi tutto ciò dipende non dalla Volontà Divina (se esiste), o da altre cause soprannaturali o da limiti naturali insuperabili, ma dalle decisioni del Parlamento, dei Consigli regionali ecc. Sennonché, in tempi migliori degli attuali, in queste assemblee le decisioni dipendevano dalle maggioranze politiche, e, per non vanificare l’inviolabilità e/o l’art. 3 Cost. (nel senso di rendere concretamente violabili i diritti fondamentali dei disabili), già risulta inammissibile il fatto che la possibilità di esercitare in concreto i diritti inviolabili dipenda da dette maggioranze.
Attualmente poi tali assemblee elettive sono ormai ridotte a meri organi di ratifica di decisioni prese da pochissime persone ben più in alto nella gerarchia del potere reale. Inoltre il dimezzamento del numero dei parlamentari e altri fattori riducono il pluralismo, e questo comprime anche la possibilità che i disabili hanno di far sentire la propria voce in Parlamento. Voce che, ad esempio, è stata essenziale per scrivere la Convenzione dell'Onu sui disabili[48] al punto che potrebbe essere interessante esaminare le differenze fra come viene inteso l’“accomodamento ragionevole” nella Convenzione cit. e come viene invece inteso dall’Unione Europea[49].
E, sempre ad esempio, non si può non pensare agli effetti devastanti che ci sono stati a seguito dei grandi tagli fatti ai servizi sociali in nome del cd. principio supremo dell’equilibrio di bilancio imposto dall’alto e al successivo brusco abbandono di questo principio per altre priorità decise durante vertici ristretti sottratti al controllo degli elettori.
Partendo un po’ più da lontano, diventa allora rilevante il fatto che ogni persona (normodotata o disabile) è titolare di tutti i propri diritti inviolabili e questo non può essere intaccato da nessuno, neanche dal Parlamento quando rivede la Costituzione, e neppure da altri poteri più o meno occulti, salvo che ci sia un colpo di Stato.
Inoltre, sia per chi è normodotato e sia per chi è disabile, non può essere toccata da nessuno neppure la facoltà di esercitare in concreto (entro i limiti stabiliti dalla Costituzione) quei diritti inviolabili per il cui godimento non è necessaria la collaborazione della società. Dunque, almeno nell’Italia contemporanea, sotto questo profilo non c’è, e non può esserci, legittimamente discriminazione neanche dei disabili. Il problema sta però tutto nella differenza fra “facoltà” e “possibilità” di esercitare in concreto i diritti inviolabili.
Innanzitutto il fatto è che, nelle società contemporanee, anche per le persone normodotate, la possibilità di esercitare in concreto una parte dei rispettivi diritti “inviolabili” richiede l’intervento della collettività, e quindi dipende dalle decisioni di chi conta veramente nella società. Così, ad esempio, se i trasporti pubblici funzionano male, la possibilità di esercitare in concreto la libertà di circolazione viene compressa o espansa da chi ha veramente il potere di decidere di farli funzionare male. Parimenti, la facoltà di esercitare il diritto supremo (perché chi muore perde tutti i diritti) a morire solo quando è davvero inevitabile, nel concreto viene compressa o espansa da chi ha veramente il potere di decidere di far funzionare male il servizio sanitario.
Dunque, sia per le persone normodotate che per le persone disabili, anche la possibilità concreta di esercitare i diritti fondamentali non è totalmente inviolabile, bensì dipende, in misura rilevante, dalle scelte di chi ha il potere di decidere. Perciò, pure fino a qui, non ci sono differenze fondamentali fra persone normodotate e persone disabili, e quindi non c’è discriminazione strutturale. E si tratta di una realtà che dovrebbe ulteriormente indurre a riflettere sul fatto che, alla fin fine, nella vita vera non siamo poi su barche molto diverse fra loro.
Sennonché, basta andare un millimetro più avanti in questa analisi che iniziano a vedersi le diversità strutturali fra le possibilità che hanno le persone normodotate di esercitare in concreto i propri diritti inviolabili e le possibilità che hanno in concreto le persone disabili di esercitare tali diritti. E qui iniziano le realtà e i rischi di discriminazione.
Sotto questo profilo, fra persone normodotate e persone disabili, ci sono almeno due differenze fondamentali:
- rispetto alle persone normodotate, le persone disabili hanno necessità dell’intervento della collettività per l’esercizio concreto di un maggior numero di diritti inviolabili (ad esempio l’ergastolano normodotato è sicuro di andare da sé in bagno tutte le volte che vuole, il disabile grave “libero”, molto spesso, può andare in bagno “soltanto se” è privo di barriere e/o nei brevi periodi di tempo in cui ha adeguata assistenza personale);
- per il concreto esercizio di una parte delle libertà fondamentali per la singola persona disabile grave può essere indispensabile un intervento della collettività maggiore di quello necessario a chi è normodotato (ad esempio: a chi è normodotato è sufficiente che l’autobus passi regolarmente, di frequente e non sia troppo affollato, mentre per le persone disabili è necessaria anche l’assenza di barriere).
Dunque, ai fini del concreto esercizio dei diritti fondamentali, rispetto a chi è normodotato, le persone disabili sono più soggette alle decisioni di chi ha il potere, quindi la loro possibilità concreta di esercitare i propri diritti fondamentali è più violabile, e da qui nasce il rischio di gravissime discriminazioni (oltre a quelle, non meno gravi, legate al pregiudizio generalmente figlio dell’ignoranza) e sono perciò doverose almeno mille attenzioni.
Le discriminazioni, soprattutto in tema di diritti fondamentali, sono comunque inammissibili anche se riguardano una sola persona. A ben maggior ragione sono inammissibili se riguardano moltissime persone. Il fatto è che molte delle specifiche esigenze, originariamente nate come necessarie ai disabili, in realtà riguardano quasi tutta la popolazione. Si pensi a due questioni fondamentali per l’autodeterminazione dei disabili: le barriere e l’assistenza personale. In realtà la presenza delle prime e la mancanza o insufficienza della seconda penalizzano gravemente (anche fino alla morte) tutti i bambini, chi ha infortuni temporanei anche nel pieno della gioventù e molte delle persone che non muoiono giovani. Dunque, anche per questi motivi, sono più che mai necessarie molte attenzioni per evitare discriminazioni verso i disabili.
Ebbene, per rimediare alle discriminazioni concrete nei confronti del singolo disabile in situazione "particolare", la Convenzione dell'Onu prevede l'“accomodamento” purché però questo non comporti un “onere sproporzionato o eccessivo”. Abbiamo già visto che ciò vuol però dire sottoporre quel singolo disabile al potere di chi deve decidere se quell'“accomodamento” costa troppo. E questo, a livello di principio, pone comunque il disabile in una condizione di inferiorità rispetto a chi è normodotato, e quindi discrimina. Infatti, ad esempio, un ergastolano normodotato esce comunque di cella per l’ora d’aria, un disabile “libero” esce di casa “soltanto se” non costa troppo eliminare le barriere (oppure cambia casa, “soltanto se” la trova accessibile ad un prezzo sostenibile).
È da ritenere che l’“accomodamento” individuato dal disabile di regola debba essere considerato ragionevole purché, per individuarlo, il disabile stesso abbia avuto a disposizione adeguati supporti tecnici e, solo se indispensabili, decisionali. Tutto questo salvo diversa decisione adeguatamente motivata da parte di chi è tenuto a dirimere eventuali controversie. Decisione da adottare comunque con moltissime cautele perché non si è comunque mai “nei panni” di quello specifico disabile ed è impossibile capire fino in fondo tutte le difficoltà, anche più minute, che deve affrontare quotidianamente.
È anche da ritenere che un “accomodamento ragionevole” così individuato non comporti un “onere sproporzionato o eccessivo” a meno che non ne venga indicato un altro meno oneroso, ma altrettanto adeguato da quella specifica persona disabile, oppure a meno che l’adozione di quell’“accomodamento ragionevole” comporti un sacrificio dei diritti fondamentali di chi deve adempiere almeno altrettanto grave, per non dire maggiore, di quello che deriverebbe a quella specifica persona disabile dalla mancata adozione di tale “accomodamento”.
Va comunque osservato che nella Legge n. 227 italiana qui in esame non è previsto che si possa ricorrere all’“accomodamento” “soltanto se” non comporta un “onere sproporzionato o eccessivo”.
Da un lato va prestata molta attenzione per evitare che questo fatto dell’“onere sproporzionato o eccessivo” non venga poi in qualche modo infilato, magari malamente, nei decreti legislativi attuativi di tale Legge. Tanto più in considerazione sia del fatto che, come vedremo qui sotto, in questa Legge, davanti alle parole “risorse disponibili”, non è stato messa la parola “massimo”, che invece c’è nella Convenzione dell'Onu sui disabili[50] e sia per evitare il pericolo che venga erroneamente applicato il fatto che in questa Legge n. 227 c’è un rinvio agli “accomodamenti” molto più esteso di quello stabilito dalla Convenzione. Salvo osservare che questo pericolo dovrebbe essere inesistente in considerazione del fatto che, nella Legge qui in esame, per quanto riguarda l’“accomodamento ragionevole” ci sono ripetuti rinvii alla Convenzione cit.
Dall’altro lato invece l’assenza dell’“onere sproporzionato o eccessivo” nella Legge n. 227 cit. non sembra essere affatto un’omissione del legislatore perché risulta pienamente coerente con la legge n. 67 del 2006 cit.
1.3.2. La legge n. 67 del 2006
Dunque, riassumendo, la Convenzione cit. stabilisce in maniera ampia e precisa il contenuto della discriminazione verso i disabili[51] e per prevenirla e rimuoverla impone la “progettazione universale”[52] che è un dovere ex ante[53]. Poiché però la sua realizzazione non è certo immediata, e comunque non comprende per intero tutte le specifiche necessità di ogni persona disabile, come rimedio per consentire ai disabili di non soccombere, è previsto l’“accomodamento ragionevole” che è, in teoria, solo un dovere ex nunc[54] (ovvero solo ad integrazione di ciò che non è stato possibile fare in modo da poter essere pienamente vivibile da tutti), ma, in pratica, non può essere inutilizzabile per far vivere le persone in attesa della piena realizzazione della “progettazione universale”. E quindi, in pratica, prima di allora, “caso particolare” è qualunque disabile che non possa esercitare pienamente i propri diritti fondamentali per via della mancata universalità della progettazione.
Accanto agli indubbi e fondamentali pregi dell’“accomodamento ragionevole”, qui sopra abbiamo però esaminato anche i limiti e pericoli nella sua errata applicazione pratica, i quali sono ancor più rilevanti in considerazione dei tempi, realisticamente biblici per non dire infiniti, necessari per la realizzazione in concreto della “progettazione universale”. Di conseguenza in Italia l’“accomodamento ragionevole” va applicato soltanto in funzione migliorativa della legge italiana contro la discriminazione dei disabili[55], nonché più in generale della normativa esistente a tutela dei disabili, e, per quanto riguarda la vita indipendente, in combinato disposto con un punto fondamentale[56], che verrà esaminato più avanti.
Infatti, a miglioramento dell’“accomodamento ragionevole”, nella legge italiana n. 67 del 2006, fra l’altro, viene consentito al giudice di ordinare la “rimozione” degli effetti della discriminazione (che è cosa più netta dell’“accomodamento”), non viene imposto al giudice il limite dell’“onere sproporzionato”, a livello normativo non viene esclusa l’assistenza personale dall’azione discriminatoria e viene consentito al giudice di condannare al risarcimento del danno derivante dalla discriminazione.
Inoltre, e non di poco conto, l’“accomodamento ragionevole” esiste solo per modificare o adeguare ciò che esiste già[57]. Viceversa la legge n. 67 cit., con le parole “un comportamento apparentemente neutro” mette “una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone”[58], a differenza dell’“accomodamento ragionevole”, colpisce anche le omissioni assolute nei confronti dei disabili: ad es. l’assistenza personale non esiste per niente e questo pone la persona disabile in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone normodotate. E ancora, almeno in teoria, potrebbero ricorrere all’“accomodamento ragionevole” soltanto i disabili discriminati, che si trovano in situazione particolare[59] rispetto agli altri disabili. Viceversa alla legge n. 67 cit. possono ricorrere tutti i disabili discriminati.
E questa legge non deve essere abrogata dai decreti legislativi attuativi della Legge n. 227 cit., sia per non tornare indietro e sia perché si tratta di norma di ordine generale.
Va tuttavia rilevato che, almeno in teoria, è possibile ricorrere all’“accomodamento ragionevole” senza doversi rivolgere al giudice, mentre, per avere i benefici di cui alla legge n. 67 cit. è comunque necessario rivolgersi al giudice.
2. Le “risorse disponibili”
Nella Convenzione dell'Onu sui disabili viene stabilito che a queste persone deve essere destinato il “massimo delle risorse disponibili”[60]. Omettendo alcune importanti questioni di ordine più generale, va tuttavia osservato che, in tale Convenzione, detta parola “massimo” in ogni caso sta a significare che il Parlamento, il Governo, le Regioni ecc. devono fare ogni sforzo per destinare più risorse possibili alla disabilità.
Il fatto è però che, a differenza della Convenzione dell'Onu sui disabili, nella Legge n. 227 italiana qui in esame viene stabilito soltanto il limite delle “risorse disponibili”, cioè senza la parola “massimo”. La mancanza di tale parola in questa Legge non può non avere un preciso significato giuridico e politico. Questa mancanza, insieme ad altri elementi visti in questo scritto, sta a significare che, nella Legge n. 227 italiana, il Parlamento delegherebbe il Governo a non sforzarsi poi troppo a cercare risorse per i disabili, che devono invece “accontentarsi di quel che passa il convento”.
Tuttavia, per certi versi meno esplicitamente nella Costituzione italiana e un po’ più esplicitamente nelle decisioni della Corte costituzionale italiana, il contenuto della parola “massimo” è comunque ben presente. Inoltre è stato ribadito che, in tema di disabilità, per “attuare la progressiva realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali, gli Stati parti devono adottare misure al massimo delle loro risorse disponibili”[61]. E il Governo deve tenerne conto nell’emanare i decreti legislativi attuativi che seguiranno alla Legge n. 227 perché si tratta di precetti di ordine più generale che stanno al di sopra di questa Legge.
2.1. Una sfida concreta
In definitiva, è necessario far sì che la soluzione adottata per il singolo “accomodamento” sia comoda, efficace e utile per il singolo disabile, e, al tempo stesso, conciliare questo con il fatto che non ci sia un “onere sproporzionato o eccessivo” (nel senso esaminato in questo scritto) e con il fatto che non ci siano costi a carico del disabile[62].
Ebbene tutto ciò è possibile solo affrontando la materia con adeguata preparazione tecnica e senza conflitti d’interesse. Ecco perché è allora fondamentale il fatto che l’“accomodamento ragionevole” deve essere negoziato caso per caso con il/i richiedente/i e necessita che il soggetto obbligato faccia in concreto tutto il necessario per entrare in dialogo con la persona con disabilità[63]. Questo se non altro perché quasi sempre la persona disabile interessata è l’unica che può aiutare a progettare e stabilire con certezza qual’è la soluzione più economica adeguata alle sue necessità. Oltre al fatto che, nella pur lunga Legge n. 227 cit., non viene indicato l’organo preposto a valutare l’“accomodamento” richiesto[64], se non per i servizi sociali e in maniera da far sorgere le enormi riserve che vedremo.
Si tratta di una questione di cruciale importanza per non discriminare in concreto i singoli disabili perché in materia, soprattutto in Italia, l’incompetenza tecnica e le violazioni della normativa sono dilaganti. E il Governo deve tenerne adeguatamente conto nei decreti legislativi attuativi.
Solo per citare due esempi di carattere generale fra molti, basti pensare ai numerosi e costosi interventi per l’“accessibilità” fatti senza un minimo di conoscenze tecniche, senza il rispetto della normativa vigente e senza un minimo di banale buon senso per cui in concreto si risolvono in spreco di risorse per creare ulteriori barriere. Oppure si può pensare alle intermediazioni imposte, anche solo di fatto mediante omissioni, in tema di assistenza personale, che fanno aumentare i costi e peggiorare le prestazioni.
Il punto, che pare trascurato nella Legge n. 227 qui in esame, è invece rilevante al fine di garantire che l'“accomodamento ragionevole” sia idoneo a raggiungere l'obiettivo essenziale della promozione dell'eguaglianza e dell'eliminazione della discriminazione nei confronti di tutte le persone con disabilità[65]. Al punto da venir indicato in dettaglio nella Convenzione sia che l’“accomodamento” deve risolvere la discriminazione e sia che potenziali fattori da considerare per valutare la fattibilità dell'“accomodamento ragionevole” includono gli oneri finanziari, le risorse disponibili (comprese le sovvenzioni pubbliche), la dimensione del soggetto ospitante (nella sua interezza), l'effetto della modifica sull'ente o sull'impresa, i benefici di terzi, gli impatti negativi su altre persone e ragionevoli requisiti di salute e sicurezza. Per quanto riguarda lo Stato parte, inteso nel suo insieme, e gli enti del settore privato, devono essere considerati i beni complessivi piuttosto che le sole risorse di un'unità o di un dipartimento all'interno di una struttura organizzativa[66]. Considerando lo Stato nel suo insieme è comunque da escludere che non sia seriamente possibile disporre di risorse sufficienti.
In ogni caso, qualunque sia l’interpretazione che si vuol dare al co. 2 art. 3 Cost., esso vieta di tornare indietro nel percorso di inclusione dei disabili.
3. La “vita indipendente”
Secondo il Comitato dell’Onu cit. “vita indipendente” significa avere tutti i mezzi necessari per prendere tutte le decisioni riguardanti la propria vita compreso l'accesso ai trasporti, all'informazione, alla comunicazione e all'assistenza personale, al luogo di residenza, alla routine quotidiana, alle abitudini, al lavoro dignitoso, ai rapporti personali, all'abbigliamento, all'alimentazione, all'igiene e alla salute, alle attività religiose, attività culturali e diritti sessuali e riproduttivi compreso decidere dove viviamo e con chi, cosa mangiamo, se ci piace dormire o andare a letto la sera tardi, stare dentro o fuori, avere una tovaglia e candele accese al tavolo, avere animali domestici o ascoltare musica. Inoltre non va interpretata unicamente come capacità di svolgere le attività quotidiane[67].
È una definizione di “vita indipendente” notevole ed è vincolante per l’Italia. Dunque si può affermare che, ogniqualvolta una persona disabile non ha la possibilità di esercitare in concreto tutto quanto riportato qui sopra, ciò significa che la Repubblica italiana non ha adempiuto al proprio obbligo di assicurare la “vita indipendente” ai disabili. Il che, salvo successivi approfondimenti, non esclude necessariamente che siano stati rispettati i tempi stabiliti nella Convenzione cit.
Sempre in breve, e limitandoci solo ad alcuni cenni, la “vita indipendente” dei disabili è innanzitutto tutelata dall’art. 1 Cost. italiana quando stabilisce che la sovranità appartiene al popolo. Cioè a dire che il popolo è composto da tante persone singole, che decidono da loro stesse della propria vita. Quindi, se non si vuole discriminare, questo potere di decidere da se stessi della propria vita appartiene anche ai singoli disabili gravi.
La “vita indipendente” dei disabili è poi tutelata dalla Costituzione italiana, se non altro, nell’art. 2 laddove stabilisce che i diritti fondamentali sono inviolabili e nell’art. 3 laddove stabilisce, fra l’altro, che tutti abbiamo gli stessi diritti.
E ancora: l’essenza della “vita indipendente” dei disabili gravi dipende dalla possibilità di poter esercitare in concreto prima di tutto i propri diritti fondamentali e inviolabili. Questo esercizio “in concreto” dei diritti, anche da parte dei disabili gravi, è tutelato, se non altro, dall’art. 2 Cost. con le parole “doveri inderogabili di solidarietà” (strettamente connessi con l’inviolabilità dei diritti fondamentali) e dall’art. 3 co. 2 Cost. con le parole “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Inoltre, e non meno importante, tutti gli studi, anche a livello internazionale, sulla Convenzione dell'Onu sui disabili cit., oscillano fra lo scrivere che la “vita indipendente” è l’aspetto centrale della Convenzione e lo scrivere che è uno degli aspetti centrali della medesima.
Nell’art. 1 co. 1 di questa Legge italiana n. 227 è prevista la necessità di “garantire alla persona con disabilità [...] il diritto alla vita indipendente […] nel rispetto dei principi di autodeterminazione e di non discriminazione”.
Dunque, nel primo articolo di questa Legge, c’è una tutela molto importante per la “vita indipendente” perché viene stabilito che si tratta di “garantire [...] un diritto”. Tuttavia, andando avanti nella Legge n. 227, le cose cambiano parecchio.
Innanzitutto, nel lungo testo di questa Legge n. 227, l’espressione “vita indipendente” viene usata soltanto altre due volte e in maniera al quanto defilata.
Inoltre in questa Legge n. 227 viene stabilito di “prevedere […] ipotesi in cui […] possa essere autogestito”[68]. Quindi in questa Legge n. 227 l’autogestione (che è l’essenza della “vita indipendente”) è solo una possibile ipotesi, e non un dovere fondamentale da garantire da parte della Repubblica e tanto meno un diritto fondamentale della persona.
Parimenti in questa Legge viene stabilito di “prevedere che, nell'ambito del progetto di vita individuale [...] possano essere individuati [...] modelli di assistenza personale autogestita che supportino la “vita indipendente” delle persone con disabilità in età adulta”[69]. Quindi anche in questo punto della Legge n. 227 in esame la “vita indipendente” è forse una possibilità fra altre. E poi quel “possano” mette la “vita indipendente” dei disabili gravi in una situazione ben diversa dall’essere quel diritto garantito di cui all’art. 1 di questa stessa Legge ora in esame, e ben diversa anche da quanto stabilito nella Costituzione italiana e dalla Convenzione dell'Onu sui disabili cit.
Poiché per i disabili gravi la “vita indipendente”, con tutti gli accorgimenti individuati per consentire la massima inclusività, è l’unica soluzione sinora individuata per garantire la maggiore possibilità di esercitare in concreto i diritti fondamentali, la dizione costituzionalmente corretta dovrebbe essere esattamente l’opposto, e cioè, più o meno: “Soluzioni diverse dalla vita indipendente possono essere individuate soltanto quando strettamente indispensabili”. Questo anche perché pure l’Onu stabilisce correttamente che la vita indipendente è per tutti i tipi di disabilità[70].
Inoltre il punto della Legge n. 227 citato poco sopra prevede la “vita indipendente” soltanto per le “persone con disabilità in età adulta”[71]. Viceversa l’Onu stabilisce che la “vita indipendente” è per le persone con disabilità di tutte le età[72], quindi anche per i bambini, perché è fondamentale che, coerentemente con le esigenze naturali della crescita, si abituino a giocare anche senza i genitori. E parimenti è fondamentale che gli adolescenti minorenni vivano la loro indipendenza fisiologica dai genitori. Questo aspetto della vita indipendente per i disabili minorenni è completamente assente dalla Legge n. 227 cit. Al punto che le parole “età adulta”, viste sopra, paiono rinnegare le parole “of all persons with disabilities”[73].
In questa Legge n. 227 viene stabilito di “assicurare che, su richiesta della persona con disabilità o di chi la rappresenta, l'elaborazione del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato coinvolga attivamente anche gli enti del Terzo settore”[74].
Con questa disposizione in primo luogo il coinvolgimento del “Terzo settore”, quando richiesto e necessario, non è più solo consentito, bensì deve essere “assicurato” dai servizi sociali. E di conseguenza questa disposizione stabilisce il dovere per i servizi sociali di tener sempre presente che il “Terzo settore” esiste fra i possibili supporti per i disabili.
Il fatto è però poi che per un disabile grave, soprattutto se vive da solo in un’abitazione, la vulnerabilità può essere estrema, per cui è particolarmente importante che questa persona possa tutelarsi in concreto e con facilità. Viceversa, nella realtà della vita, può accadere di frequente che, per il singolo disabile grave, nell’avere a che fare con il “Terzo settore”, non sia per niente agevole tutelare in maniera adeguata la propria vulnerabilità. In questo senso, nel complesso, sono superiori gli strumenti di tutela del disabile grave concretamente disponibili laddove esistono esperienze consolidate di “vita indipendente”.
Ecco allora che la disposizione qui in esame acquista tutta la sua ulteriore, e per certi versi centrale, importanza nel divieto di coinvolgere il “Terzo settore” quando non c’è la “richiesta della persona con disabilità” e “legalizza” la cautela con cui è necessario avvicinarsi a questo settore, se non altro per talune necessità. Il fatto è però che, una volta aperta espressamente la porta al “Terzo settore” da un punto di vista legislativo, nella realtà concreta della vita può essere facile per i servizi sociali fare una serie di pressioni per “convincere” il singolo disabile grave, concretamente privo di tanti supporti essenziali, a “richiedere” l’intervento del “Terzo settore”. Questa opera di “convincimento” è particolarmente agevole per via della cronica e vasta mancanza di risorse pubbliche per la vita indipendente dei disabili gravi.
Ed è perciò necessario che nei decreti legislativi attuativi vengano adeguatamente sviluppati sia il divieto di far intervenire il “Terzo settore”, se non c’è la richiesta del disabile, e sia il fatto che in pratica questo divieto può essere facilmente aggirato.
C’è poi un’altra questione. In questa Legge n. 227 viene stabilita “la possibilità di effettuare controlli, che contengano anche le informazioni relative ai benefici eventualmente spettanti ai familiari o alle persone che hanno cura della persona con disabilità”[75]. Cioè a dire che un punto centrale della “vita indipendente” è non dover dipendere dai genitori, come accade per l’autodeterminazione di tutte le persone normodotate adulte. Oltre a poter togliere ai genitori il fatto che l’assistenza al figlio disabile grave pesi su di loro per tutta la vita. Il che pare essenziale in termini sia di solidarietà che di non discriminazione. Viceversa la Legge n. 227 qui in esame stabilisce che la Repubblica entri nel denaro di cui hanno disponibilità le persone che si sono trovate e/o si trovano costrette ad aiutare il disabile grave.
Insomma nemmeno un minimo di rispetto e di respiro neppure per quei genitori, magari anziani, che dedicano, o hanno dedicato, la vita all’impegnativo compito di assistere i figli con gravi disabilità. E neppure un po’ di rispetto per il/la partner, che, pur nell’ambito del proprio meraviglioso amore, adempie comunque anche a compiti il cui onere sarebbe intelligente e doveroso rispettare e condividere da parte di tutta la collettività. Oltre al fatto che questa intromissione della Repubblica negli “averi” di familiari ecc. è, se non altro, una gravissima violazione dell’indipendenza della persona (disabile).
Andando avanti in questa Legge n. 227, per quanto riguarda la “programmazione strategica” viene stabilito di “prevedere la partecipazione dei rappresentanti delle associazioni delle persone con disabilità maggiormente rappresentative”[76]. Personalmente sono contrario alle “dittature della maggioranza”. Nel caso specifico poi il fatto qui previsto di far partecipare soltanto le associazioni più rappresentative sembra ancora più inammissibile perché “vita indipendente” vuol dire pure avere a che fare con i diritti personalissimi e più inviolabilissimi ai quali spetta la massima tutela, anche se riguardano le peculiarità di una sola persona. Per cui è essenziale quella competenza specifica che non è necessariamente data dall’essere maggioranza. Oltre al fatto che, escludere le minoranze dalle decisioni riguardanti il concreto esercizio dei diritti fondamentali, vuol dire pure uccidere anche qualche residuo barlume di democrazia.
Un ringraziamento particolare a Beniamino Deidda per il consueto rigore con cui ha puntualizzato alcune questioni fondamentali sviluppate in questo scritto.
[1] In https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2021-12-30&atto.codiceRedazionale=21G00254&tipoDettaglio=multivigenza&qId=6b81d058-cf5d-45ee-8e02-c4029af188d2&tabID=0.8029187744006283&title=Atto%20multivigente&bloccoAggiornamentoBreadCrumb=true.
[2] United Nations, Convention on the Rights of Persons with Disabilities, art. 2 cpv. 4°, in https://www.un.org/development/desa/disabilities/convention-on-the-rights-of-persons-with-disabilities/convention-on-the-rights-of-persons-with-disabilities-2.html, in italiano in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=OJ:JOL_2010_023_R_0035_01&from=IT, ratificata dall'Italia con Legge 3 marzo 2009 n. 18. Si ricorda che l’Italia ha ratificato anche il “Protocollo Opzionale”, in https://www.un.org/development/desa/disabilities/convention-on-the-rights-of-persons-with-disabilities/optional-protocol-to-the-convention-on-the-rights-of-persons-with-disabilities.html. Di conseguenza i “General comments” del “Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità” hanno valore giuridico in Italia che è tenuta ad adeguarsi e il contenuto di tali “Comments” può essere fatto valere nei giudizi davanti alla magistratura.
[3] United Nations Committee on the Rights of Persons with Disabilities (UNCRPD), General comment No. 6 (2018) on equality and non-discrimination, in https://docstore.ohchr.org/SelfServices/FilesHandler.ashx?enc=6QkG1d%2fPPRiCAqhKb7yhsnbHatvuFkZ%2bt93Y3D%2baa2qtJucAYDOCLUtyUf%2brfiOZckKbzS%2bBsQ%2bHx1IyvGh6ORVZnM4LEiy7ws5V4MM8VC4khDIZJSuxotVqfulsdtPv, punto 18: “(c) “Denial of reasonable accommodation”, according to article 2 of the Convention, constitutes discrimination if the necessary and appropriate modification and adjustments (that do not impose a “disproportionate or undue burden”) are denied and are needed to ensure the equal enjoyment or exercise of a human right or fundamental freedom”. In italiano: La negazione di un “accomodamento ragionevole”, ai sensi dell'art. 2 della Convenzione, costituisce discriminazione se le necessarie e appropriate modifiche e adeguamenti (che non impongono un “onere sproporzionato o eccessivo”) sono negati e sono necessari per garantire il pari godimento o esercizio di un diritto umano o una libertà fondamentale.
[4] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 4, “Equality and non-discrimination are among the most fundamental principles and rights of international human rights law. Because they are interconnected with human dignity, they are the cornerstones of all human rights.” e punto 5 “Equality and non-discrimination are the core of all human rights treaties.” In italiano: L'eguaglianza e la non discriminazione sono tra i principi dei diritti fondamentali del diritto internazionale dei diritti umani. Poiché sono interconnessi con la dignità umana, sono le pietre miliari di tutti i diritti umani”. e punto 5: “Eguaglianza e non discriminazione sono il fulcro di tutti i trattati sui diritti umani.
[5] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 13: “Article 5 of the Convention, like article 26 of the International Covenant on Civil and Political Rights, provides in itself an autonomous right independent from other provisions. It prohibits de jure or de facto discrimination in any field regulated and protected by public authority. Read together with article 4 (1) (e), it is also evident that it extends to the private sector.” In italiano: L'art. 5 della Convenzione, come l'art. 26 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, prevede di per sé un diritto autonomo e indipendente da altre disposizioni. Vieta la discriminazione de jure o de facto in qualsiasi campo regolato e protetto dalla pubblica autorità. Letto insieme all'art. 4, paragrafo 1, lett. e), è anche evidente che si estende al settore privato.
[6] Anziché: soluzione, sistemazione.
[7] Convenzione cit., in Italiano in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=OJ:JOL_2010_023_R_0035_01&from=IT cit.
[8] Indispensabile al disabile per il concreto esercizio dei propri diritti inviolabili.
[9] In particolare, per quanto riguarda l’onere a carico della Repubblica, va tenuto ben presente che è spalmato fra tutto il popolo italiano, e dovrebbe essere a carico soprattutto di chi ha situazioni economiche molto floride, e che tanto più viene adottata la “progettazione universale” e tanti meno “accomodamenti” sono necessari.
[10] UNCRPD, General comment No. 5 (2017) on living independently and being included in the community, in https://docstore.ohchr.org/SelfServices/FilesHandler.ashxenc=6QkG1d%2fPPRiCAqhKb7yhsnbHatvuFkZ%2bt93Y3D%2baa2q6qfzOy0vc9Qie3KjjeH3GA0srJgyP8IRbCjW%2fiSqmYQHwGkfikC7stLHM9Yx54L8veT5tSkEU6ZD3ZYxFwEgh, punto 36: “support service (...) are often offered to persons with disabilities on the premise of cost efficiency. However, while this premise itself can be rebutted in terms of economics, aspects of cost efficiency must not override the core of the human right at stake”. In italiano: “i servizi di supporto (...) sono spesso offerti alle persone con disabilità sulla base dell'efficienza della spesa. Tuttavia, mentre questa stessa premessa può essere confutata in termini economici, gli aspetti dell'efficienza della spesa non devono prevalere sul nucleo dei diritti umani in gioco”.
[11] Convenzione cit., art. 2 co. 1 cpv. 4°: ““Reasonable accommodation” means necessary and appropriate modification and adjustments”. In italiano: “Accomodamento ragionevole" significa modifiche e adeguamenti necessari e appropriati.
[12] Convenzione cit., art. 2 co. 1 cpv. 5°: ““Universal design” means the design of products, environments, programmes and services to be usable by all people, to the greatest extent possible, without the need for adaptation or specialized design. “Universal design” shall not exclude assistive devices for particular groups of persons with disabilities where this is needed.”
[13] UNCRPD, General comment No. 2 (2014) Article 9: Accessibility, in https://tbinternet.ohchr.org/_layouts/15/treatybodyexternal/Download.aspx?symbolno=CRPD%2fC%2fGC%2f2&Lang=en, punto 25: “Accessibility is related to groups, whereas reasonable accommodation is related to individuals. This means that the duty to provide accessibility is an ex ante duty.”
[14] Convenzione cit., art. 2 co. 1 cpv. 4° cit.
[15] Legge n. 227 cit., art. 2 co. 2 lett. a) punto 5): “introduzione nella legge 5 febbraio 1992, n. 104, della definizione di «accomodamento ragionevole», prevedendo adeguati strumenti di tutela coerenti con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità”.
[16] Convenzione cit., art. 2 co. 1 cpv. 4° cit.
[17] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 24: “Reasonable accommodation duties are different from accessibility duties. Both aim to guarantee accessibility, but the duty to provide accessibility through universal design or assistive technologies is an ex ante duty, whereas the duty to provide reasonable accommodation is an ex nunc duty”. In italiano: I doveri di accomodamento ragionevole sono diversi dai doveri di accessibilità. Entrambi mirano a garantire l'accessibilità, ma il dovere di fornire l'accessibilità attraverso la progettazione universale o le tecnologie assistive è un dovere ex ante, mentre il dovere di fornire una sistemazione ragionevole è un dovere ex nunc.
[18] UNCRPD, General comment No. 2 (2014) Article 9: Accessibility, cit., punto 25: “In the case of individuals who have rare impairments that were not taken into account when the accessibility standards were developed or who do not use the modes, methods or means offered to achieve accessibility (not reading Braille, for example), even the application of accessibility standards may not be sufficient to ensure them access. In such cases, reasonable accommodation may apply.” In italiano: Nel caso di individui che hanno menomazioni rare, che non sono state prese in considerazione quando sono stati sviluppati gli standard di accessibilità o che non utilizzano le modalità, i metodi o i mezzi offerti per ottenere l'accessibilità (non leggono il Braille, per esempio), anche l'applicazione degli standard di accessibilità potrebbe non essere sufficiente per garantire loro l'accesso. In tali casi, può essere applicata una sistemazione ragionevole.
[19] Convenzione, art. 2 co. 1 cpv. 4° cit.
[20] Legge 1 marzo 2006, n. 67, "Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni", così come modificata dal Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, in https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2006-03-06&atto.codiceRedazionale=006G0090&tipoDettaglio=multivigenza&qId=3f74ad30-9e7b-4a40-818b-b47b1290b429&tabID=0.655380874705416&title=Atto%20multivigente&bloccoAggiornamentoBreadCrumb=true.
[21] UNCRPD, General comment No. 5 (2017) on living independently cit., punto 33 ultima frase: “Structural reforms designed to improve overall accessibility within the community may reduce the demand for disability-specific services”.
[22] Convenzione dell’Onu cit., art. 2 ultimo cpv.
[23] UNCRPD, General comment No. 5 (2017) on living independently cit., punto 10 ultima frase: “The duty to provide reasonable accommodation (art. 5 (3)) is ... not subject to progressive realization” e UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 12: “Promoting equality and tackling discrimination are cross-cutting obligations of immediate realization. They are not subject to progressive realization.”.
[24] UNCRPD, General comment No. 2 (2014) Article 9: Accessibility, cit., punto 25: “The obligation to implement accessibility is unconditional, i.e. the entity obliged to provide accessibility may not excuse the omission to do so by referring to the burden of providing access for persons with disabilities. The duty of reasonable accommodation, contrarily, exists only if implementation constitutes no undue burden on the entity.” In italiano: L'obbligo di attuare l'accessibilità è incondizionato, ovvero l'ente obbligato a fornire l'accessibilità non può giustificare l'omissione facendo riferimento all'onere di fornire l'accesso alle persone con disabilità. Il dovere di accomodamento ragionevole, al contrario, sussiste solo se l'attuazione non costituisce un onere eccessivo per chi lo deve sostenere.
[25] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 26: “Ensuring that the burden of proof rests with the duty bearer who claims that his or her burden would be disproportionate or undue.” In italiano: Garantire che l'onere della prova spetti al soggetto obbligato che sostiene che il suo onere sarebbe sproporzionato o eccessivo.
[26] UNCRPD, General comment No. 5 (2017) on living independently cit., punto 39: “Article 19 (b), the right to access individualized, assessed support services, is an economic, social and cultural right. Article 19 (c), the right to access service facilities, is an economic, social and cultural right, as many mainstream services, such as accessible information and communications technologies, websites, social media, cinemas, public parks, theatres and sports facilities, serve both social and cultural purposes. Progressive realization entails the immediate obligation to design and adopt concrete strategies, plans of action and resources to develop support services”. In italiano: L'art. 19, lett. b), il diritto di accedere a servizi di supporto individualizzati e valutati, è un diritto economico, sociale e culturale. L'art. 19, lett. c), il diritto di accedere alle strutture di servizio, è un diritto economico, sociale e culturale, così come molti servizi tradizionali, come le tecnologie dell'informazione e della comunicazione accessibili, i siti web, i social media, i cinema, i parchi pubblici, i teatri e gli impianti sportivi, servire a scopi sia sociali che culturali. La progressiva realizzazione comporta l'obbligo immediato di progettare e adottare strategie concrete, piani d'azione e risorse per lo sviluppo dei servizi di supporto.
[27] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 41 (b).
[28] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 25: “(c) “Reasonable accommodation” should also not be confused with “specific measures”, including “affirmative action measures”. While both concepts aim at achieving de facto equality, reasonable accommodation is a non-discrimination duty, whereas specific measures imply a preferential treatment of persons with disabilities over others to address historic and/or systematic/systemic exclusion from the benefits of exercising rights. Examples of specific measures include temporary measures for countering the low numbers of women with disabilities employed in the private sector and support programmes to increase the number of students with disabilities in tertiary education. Similarly, reasonable accommodation should not be confused with the provision of ... support to exercise legal capacity”.
[29] Ibidem: “25.The duty to provide reasonable accommodation in accordance with articles 2 and 5 of the Convention can be broken down into two constituent parts. The first part imposes a positive legal obligation to provide a reasonable accommodation which is a modification or adjustment that is necessary and appropriate where it is required in a particular case to ensure that a person with a disability can enjoy or exercise her or his rights. The second part of this duty ensures that those required accommodations do not impose a disproportionate or undue burden on the duty bearer.”. In italiano: Il dovere di fornire un accomodamento ragionevole ai sensi degli articoli 2 e 5 della Convenzione può essere suddiviso in due parti costitutive. La prima parte impone un obbligo legale positivo di fornire un accomodamento ragionevole che è una modifica o un adeguamento necessario e appropriato laddove sia richiesto in un caso particolare per garantire che una persona con disabilità possa godere o esercitare i propri diritti. La seconda parte di questo obbligo garantisce che gli adattamenti richiesti non impongano un onere sproporzionato o eccessivo al portatore di obblighi.
[30] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality on equality cit., punto 10: “Formal equality seeks to combat direct discrimination by treating persons in a similar situation similarly. It may help to combat negative stereotyping and prejudices, but it cannot offer solutions for the “dilemma of difference”, as it does not consider and embrace differences among human beings. Substantive equality, by contrast, also seeks to address structural and indirect discrimination and takes into account power relations.” In italiano: L'eguaglianza formale cerca di combattere la discriminazione diretta trattando allo stesso modo le persone in una situazione simile. Può aiutare a combattere stereotipi e pregiudizi negativi, ma non può offrire soluzioni al “dilemma della differenza”, poiché non considera e non abbraccia le differenze tra gli esseri umani. L'eguaglianza sostanziale, al contrario, cerca anche di affrontare la discriminazione strutturale e indiretta e tiene conto delle relazioni di potere.
[31] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 11: “It embraces a substantive model of equality”. In italiano: Abbraccia un modello sostanziale di eguaglianza.
[32] Legge n. 67 del 2006 cit., art. 2 co. 3: “Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone”.
[33] Convezione, art. 2 cpv. 4° cit.
[34] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 13 cit., Ibidem, punto 25 c).
[35] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 25: “(c) “... Similarly, reasonable accommodation should not be confused with the provision of support, such as personal assistants, under the right to live independently and be included in the community ...”.
[36] UNCRPD, General comment No. 5 (2017) on living independently cit., punto 41: “In order to achieve the progressive realization of economic, social and cultural rights, States parties must take steps to the maximum of their available resources.” In italiano: Al fine di conseguire la progressiva realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali, gli Stati parti devono attivarsi al massimo delle loro risorse disponibili.
[37] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 12: “Promoting equality and tackling discrimination are cross-cutting obligations of immediate realization. They are not subject to progressive realization.” In italiano: Promuovere l'eguaglianza e combattere la discriminazione sono obblighi trasversali di immediata realizzazione. Non sono soggetti alla realizzazione progressiva.
[38] Convezione, art. 2 cpv. 3° cit.
[39] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 25: “(c) “... Similarly ...”.
[40] UNCRPD, General comment No. 5 (2017) on living independently cit., punto 39: “Progressive realization entails the immediate obligation to design and adopt concrete strategies, plans of action and resources to develop support services as well as making existing, as well as new, general services inclusive for persons with disabilities.” In italiano: La realizzazione progressiva”comporta l'immediato obbligo di progettare e adottare concrete strategie, piani di azione e risorse per sviluppare servizi di supporto e rendere inclusivi per le persone con disabilità i servizi generali esistenti, così come quelli nuovi.
[41] Al convegno “Exploring the Future of Independent Living”, Bruxelles, 28 settembre 2022, da più parti si è sottolineato che l’assistenza personale deve essere un servizio normalmente disponibile per tutta la popolazione.
[42] Convenzione, art. 2 co. 1 cpv. 5° cit., nella “progettazione universale” sono inclusi anche i servizi.
[43] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 25: “(a) “Reasonable "accommodation” is a single term, and “reasonable” should not be misunderstood as an exception clause; the concept of “reasonableness” should not act as a distinct qualifier or modifier to the duty. It is not a means by which the costs of accommodation or the availability of resources can be assessed — this occurs at a later stage, when the “disproportionate or undue burden” assessment is undertaken. Rather, the reasonableness of an accommodation is a reference to its relevance, appropriateness and effectiveness for the person with a disability. An accommodation is reasonable, therefore, if it achieves the purpose (or purposes) for which it is being made, and is tailored to meet the requirements of the person with a disability”.
[44] Convenzione cit., art. 2 co. 1 cpv. 4° cit.
[45] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 25: “(b) “Disproportionate or undue burden” should be understood as a single concept that sets the limit of the duty to provide reasonable accommodation. Both terms should be considered synonyms insofar as they refer to the same idea: that the request for reasonable accommodation needs to be bound by a possible excessive or unjustifiable burden on the accommodating party”.
[46] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 26: “(d) ... the determination of whether a reasonable accommodation is disproportionate or unduly burdensome requires an assessment of the proportional relationship between the means employed and its aim, which is the enjoyment of the right concerned”. In italiano: ... la determinazione del carattere sproporzionato o indebitamente oneroso di un accomodamento ragionevole richiede una valutazione del rapporto proporzionale tra i mezzi impiegati e il suo scopo, che è il godimento del diritto in questione.
[47] Convenzione cit., art. 2 co. 1 cpv. 4° cit.: ““Reasonable accommodation” means [...] to ensure to persons with disabilities the enjoyment or exercise on an equal basis with others of all human rights and fundamental freedoms”. In italiano: per “accomodamento ragionevole” si intendono [...] per garantire alle persone con disabilità il godimento o l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali.
[48] Monia Paré, Dipartimento degli Affari economici e sociali dell’Onu cit. in T.M. Collingbourne, Realising Disability Rights? Implementation of the UN Convention on the Rights of Persons with Disabilities in England – A Critical Analysis, PhD thesis, School of Law of The University of Sheffield, 2012, pp. 68-9 e Don Mckey, presidente del Comitato ad Hoc per la stesura della Convenzione cit. in Ibidem, p. 70.
[49] Ad esempio: “Direttiva (UE) 2019/882 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019 sui requisiti di accessibilità dei prodotti e dei servizi”, in https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&ved=2ahUKEwj9tOuylZ_7AhUXVfEDHdcDAtYQFnoECA0QAQ&url=https%3A%2F%2Feur-lex.europa.eu%2Flegal-content%2FIT%2FTXT%2FPDF%2F%3Furi%3DCELEX%3A32019L0882%26from%3DEN&usg=AOvVaw1vjeRRaXJ3uz0Mjuq-BI3i.
[50] Convezione cit., art. 4 co. 2 e UNCRPD, General comment No. 5 (2017) on living independently, punto 41 cit.
[51] Convenzione, art. 2 cpv. 3° cit.: ““Discrimination on the basis of disability” means any distinction, exclusion or restriction on the basis of disability which has the purpose or effect of impairing or nullifying the recognition, enjoyment or exercise, on an equal basis with others, of all human rights and fundamental freedoms in the political, economic, social, cultural, civil or any other field. It includes all forms of discrimination, including denial of reasonable accommodation”. In italiano: per “discriminazione fondata sulla disabilità” si intende qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo. Essa include ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole.
[52] Convenzione, art. 2 co. 1 cpv. 5° cit.
[53] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 24: “... the duty to provide accessibility through universal design or assistive technologies is an ex ante duty ...”.
[54] Ibidem, “... the duty to provide reasonable accommodation is an ex nunc duty”.
[55] Legge n. 67 del 2006 cit.
[56] UNCRPD, General comment No. 5 (2017) on living independently cit., punto 16 (a).
[57] Ibidem: “25.The duty to provide reasonable accommodation in accordance with articles 2 and 5 of the Convention can be broken down into two constituent parts. The first part imposes a positive legal obligation to provide a reasonable accommodation which is a modification or adjustment that is necessary and appropriate where it is required in a particular case to ensure that a person with a disability can enjoy or exercise her or his rights. The second part of this duty ensures that those required accommodations do not impose a disproportionate or undue burden on the duty bearer.”. In italiano: Il dovere di fornire un accomodamento ragionevole ai sensi degli articoli 2 e 5 della Convenzione può essere suddiviso in due parti costitutive. La prima parte impone un obbligo legale positivo di fornire un accomodamento ragionevole che è una modifica o un adeguamento necessario e appropriato laddove sia richiesto in un caso particolare per garantire che una persona con disabilità possa godere o esercitare i propri diritti. La seconda parte di questo obbligo garantisce che gli adattamenti richiesti non impongano un onere sproporzionato o eccessivo al portatore di obblighi.
[58] Legge n. 67 cit., art. 2 co. 3.
[59] Convenzione cit., art. 2 co. 1 cpv. 4°.
[60] Convezione cit., art. 4 co. 2.
[61] UNCRPD, General comment No. 5 (2017) on living independently cit., punto 16 (a).
[62] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 26: “Key elements that guide the implementation of the duty to provide reasonable accommodation include: ... (f) Ensuring that the persons with a disability more broadly do not bear the costs”. In italiano: Gli elementi chiave che guidano l'attuazione dell'obbligo di fornire un accomodamento ragionevole includono: (f) garantire che le persone con disabilità in generale non sostengano i costi.
[63] UNCRPD, General comment No. 6 (2018) on equality cit., punto 24: “(b) Reasonable accommodation must be negotiated with the applicant(s). ...... Reasonable accommodation requires the duty bearer to enter into dialogue with the individual with a disability” e Ibidem, punto 26: “(e) A case-by-case approach based on consultations with the relevant body charged with reasonable accommodation and the person concerned is therefore required.” In italiano: Un accomodamento ragionevole deve essere negoziato con il/i richiedente/i [...] e il soggetto obbligato entri in dialogo con la persona con disabilità”, e Ibidem, punto 26: “(e) È quindi richiesto un approccio caso per caso basato su consultazioni fra la persona interessata e l'organo competente incaricato di provvedere all’accomodamento ragionevole.
[64] Ibidem, punto 26: “e) [...] based on consultations with the relevant body charged with [...]”. in Italiano: sulla base di consultazioni con l'organo competente incaricato .
[65] Ibidem, “(e) Ensuring that the reasonable accommodation is suitable to achieve the essential objective of the promotion of equality and the elimination of discrimination against persons with disabilities”.
[66] Ibidem, “(e)... Potential factors to be considered include financial costs, resources available (including public subsidies), the size of the accommodating party (in its entirety), the effect of the modification on the institution or the enterprise, third-party benefits, negative impacts on other persons and reasonable health and safety requirements. Regarding the State party as a whole and the private sector entities, overall assets rather than just the resources of a unit or department within an organizational structure must be considered.”
[67] UNCRPD, General comment No. 5 (2017) on living independently cit., punto 16: “(a) Independent living. Independent living/living independently means that individuals with disabilities are provided with all necessary means to enable them to exercise choice and control over their lives and make all decisions concerning their lives. Personal autonomy and self-determination are fundamental to independent living, including access to transport, information, communication and personal assistance, place of residence, daily routine, habits, decent employment, personal relationships, clothing, nutrition, hygiene and health care, religious activities, cultural activities and sexual and reproductive rights. These activities are linked to the development of a person’s identity and personality: where we live and with whom, what we eat, whether we like to sleep in or go to bed late at night, be inside or outdoors, have a tablecloth and candles on the table, have pets or listen to music. Such actions and decisions constitute who we are. Independent living is an essential part of the individual’s autonomy and freedom and does not necessarily mean living alone. It should also not be interpreted solely as the ability to carry out daily activities.” In italiano: Vita indipendente/vivere in modo indipendente significa che alle persone con disabilità vengono forniti tutti i mezzi necessari per consentire loro di esercitare la scelta e il controllo sulla propria vita e prendere tutte le decisioni che la riguardano. L'autonomia personale e l'autodeterminazione sono fondamentali per una vita indipendente, compreso l'accesso ai trasporti, all'informazione, alla comunicazione e all'assistenza personale, il luogo di residenza, la routine quotidiana, le abitudini, il lavoro dignitoso, le relazioni personali, l'abbigliamento, l'alimentazione, l'igiene e l'assistenza sanitaria, le attività religiose , attività culturali e diritti sessuali e riproduttivi. Queste attività sono legate allo sviluppo dell'identità e della personalità di una persona: dove viviamo e con chi, cosa mangiamo, se ci piace dormire fino a tardi o andare a letto tardi, stare in casa o all'aperto, avere una tovaglia e candele accese a tavola, avere animali domestici o ascoltare musica. Tali azioni e decisioni costituiscono ciò che siamo. La vita indipendente è una parte essenziale dell'autonomia e della libertà dell'individuo e non significa necessariamente vivere da soli. Inoltre, non dovrebbe essere interpretato esclusivamente come la capacità di svolgere le attività quotidiane.
[68] Legge n. 227 cit., art. 2 co. 2 lett. c) punto 9).
[69] Ibidem, punto 12).
[70] Convenzione cit., art. 19: “... recognize the equal right of all persons with disabilities ...”. In italiano: riconosce il diritto di tutte le persone con disabilità [alla “vita indipendente”]. UNCRPD, General comment No. 5 (2017) on living independently cit., punto 8: “The right to live independently and be included in the community refers to all persons with disabilities, irrespective of [...] birth and age, or any other, status.” In italiano: Il diritto a vivere in modo indipendente e ad essere inclusi nella comunità si riferisce a tutte le persone con disabilità, indipendentemente da [...] nascita ed età, o qualsiasi altro stato.
[71] Legge n. 227 cit., art. 2 co. 2 lett. c) punto 12).
[72] Convenzione cit., art. 19: “recognize” cit.; UNCRPD, General comment No. 5 (2017) on living independently cit., punto 8: “The right to live independently” cit.
[73] Art. 19 della Convenzione cit.
[74] Legge n. 227 cit., art. 2 co. 2 lett. c) punto 8).
[75] Ibidem, lett. d).
[76] Ibidem, lett. e).