Tragic choices, 42 anni dopo. Philip Bobbitt riflette sulla pandemia.
Intervista di Roberto Conti
1.La scelta del tema. 2. Le risposte 3.Le conclusioni. 4.Versione in lingua inglese. 5.Documento integrale in pdf
1.La scelta del tema.
Giustizia Insieme ha chiesto a Philip Bobbitt, coautore insieme a Guido Calabresi del libro divenuto un classico - come lo ha giustamente indicato Stefano Rodotà nella prefazione alla traduzione italiana Scelte tragiche, a cura di C.M.Mazzoni e V. Varano, Milano, 2006 di rivisitare gli scenari allora proposti sul tema delle decisioni dilemmatiche alla luce della recente crisi pandemica da Covid-19.
Lo spunto offerto dal saggio, già sviluppato nell’intervista a più voci (L. Eusebi, L. Ferrajoli, A. Ruggeri, G. Trizzino, L. Eusebi) raccolta dalla rivista su Scelte tragiche e Covid-19 quando il nostro Paese era nel pieno dela fase 1 dell'emergenza pandemica, ha dato il “la” ad una riflessione generale sulle vicende che in Italia e negli Stati Uniti, come in molti altri Paesi, hanno riguardato la gestione della crisi epidemiologica e del passaggio alla c.d. fase 2, orientando l’attenzione dapprima sulle scelte operate dal personale medico in ragione della scarsa disponibilità di presidi salva-vita e, progressivamente, sulle decisioni dei singoli Paesi in tema di allocazione delle risorse in ambito non solo sanitario, ma anche rispetto all’intera popolazione divenuta destinataria, a vari livelli, di fortissime limitazioni delle proprie libertà, comprese quella di iniziativa economica.
Un fascio di tragicità avvertite, fin dai primi giorni dell’epidemia, dai singoli operatori per la consapevolezza di non potere offrire contemporanea assistenza sanitaria a tutti i malati che ricorrevano alle cure mediche, a causa dell’insufficienza delle strutture sanitarie.
Drammaticità che, nella gestione dell’emergenza, ha correlativamente orientato le scelte primarie dei governanti volte, da una parte, a predisporre, spasmodicamente, nuove terapie intensive , poiché quelle esistenti si erano rivelate insufficienti a coprire le richieste di cure dei malati più gravi in vista dell’ulteriore previsto aggravamento degli effetti prodotti dall’emergenza epidemiologica, e dall’altra, a disporre la forzata riduzione delle attività economiche per ridurne la diffusione, con evidenti ricadute sulle condizioni di vita di una parte della popolazione. Ma senza che ciò abbia potuto eliminare la parimenti difficile condizione dei medici che, impossibilitati ad offrire le terapie a tutti i malati, hanno per un certo periodo di tempo verosimilmente dovuto “scegliere” a chi aprire le porte delle terapie intensive, trovandosi di fronte ad un dilemma destinato, una volta risolto, a condurre a morte quasi certa qualcuno e a dare un’opportunità di vita a qualcun altro.
Erano stati, del resto, Calabresi e Bobbitt a chiedersi se realtà ordinamentali e sociali diverse, come quelle italiana e statunitense, potessero considerare le stesse scelte come tragiche ed affrontare i dilemmi medesimi nello stesso modo (Scelte tragiche, cit., pag.174).
Da qui nasce la griglia di domande rivolte a Bobbitt, non più solo orientata ad indagare il tema sotto il versante medico-sanitario, ma considerando il fascio di scelte tragiche che in diversi settori la pandemia continua a determinare negli USA e in Italia.
Un particolare ringraziamento va a Guido Calabresi che, contattato grazie alla preziosa intermediazione del Prof. Enrico Al Mureden, ha con generosa disponibilità facilitato la realizzazione dell’intervista ed ha poi revisionato la traduzione in italiano resa dal Dott. Calogero Ferrara, da Lui molto apprezzata per essere riuscita ad esprimere in modo fedele e preciso il pensiero di Philip Bobbitt, al quale Giustizia Insieme rivolge un caloroso grazie!
3. Le risposte.
1.Professore Bobbitt, il suo celebre libro, scritto insieme al Prof. Guido Calabresi, ha costituito la base di studi in campo etico, economico e giuridico. Cosa cambierebbe e cosa confermerebbe, oggi, dopo la pandemia che ha colpito il mondo, rispetto alle conclusioni alle quali eravate giunti?
Penso che ancora oggi l'analisi complessiva effettuata in Tragic Choices regga: che le società mascherino con vari sotterfugi sia il razionamento che gli scambi che sono inevitabili per preservare un senso di inestimabilità di determinati valori; che poiché le società hanno un eccesso di valori, ad un tale livello che neppure i loro valori più profondi possono essere protetti simultaneamente, le scelte tragiche sono inevitabili; che questo eccesso di valori si riflette nel circuito dei vari metodi di allocazione, con la conseguenza che alcuni valori vengono dapprima esaltati e in seguito scartati o declassati; che non esiste un "punto di equilibrio" che bilanciando i diversi valori in competizione riesca a massimizzarli tutti contemporaneamente; e forse, soprattutto, che è proprio il modo in cui una società risolve le sue tragiche scelte che definisce quella stessa società.
Penso che la nostra esperienza con la crisi del coronavirus conferma questa analisi. Tuttavia ci sono enfatizzazioni che io personalmente potrei cambiare. Ad esempio, il ruolo della leadership politica potrebbe essere sottoposto a pressione in misura maggiore. Abbiamo fatto riferimento al capro espiatorio e persino alla xenofobia, ma dubito che qualcuno di noi avrebbe potuto immaginare la profondità del fallimento del leader politico che questa crisi avrebbe svelato.
2. Nel vostro libro voi fate una bipartizione fra decisioni di primo e di secondo grado. Ritiene che questa distinzione possa essere applicata all’emergenza epidemiologica in corso?
Ritengo di si. Tragic Choices ha descritto due diversi tipi di decisioni: scelte di primo grado come quanti test produrre, quanti ventilatori e così via, e scelte di secondo grado che equivalgono ai protocolli che stabiliscono le varie priorità -- chi avrà accesso ai ventilatori, chi viene testato e dove, chi deve essere messo in quarantena, chi viene rianimato, chi viene vaccinato e chi deve essere tirato fuori dall'intubazione.
Va da sé che prendere le decisioni di primo grado solo a condizione che comportino un miglioramento delle prospettive politiche del capo del governo è insopportabile, ma non sarebbe da meno prendere decisioni di secondo grado solo nei confronti di quelle regioni o di quelle città in cui i destinatari di quella decisione siano ritenuti più favorevoli in funzione di una particolare agenda politica.
3.I processi di allocazione delle risorse in ambito sanitario nei paesi del mondo occidentale hanno visto confrontarsi diversi modelli. Quello italiano è fondato, essenzialmente, sul criterio universalistico ma ha mostrato grandissima difficoltà a reggere l’emergenza pandemica per il divario esistente tra diverse aree del Paese. Cosa può dirci del modello statunitense rispetto all’emergenza? Come ha retto?
Non sono sicuro che gli Stati Uniti abbiano un "approccio". Il nostro sistema politico è così decentralizzato e la nostra leadership nazionale è stata così indecisa che penso che sarebbe un errore ritenere che esista un piano americano. L'approccio che sembra emergere, guidato principalmente da alcuni Stati, è quello di una strategia di isolamento, con vari gradi di rigore, che mira a rallentare il ritmo delle nuove infezioni. Le scuole e le imprese sono state chiuse in modo che gli ospedali e le infrastrutture mediche non venissero travolti. Inoltre, forse, c'è stata la speranza che se fossimo riusciti a guadagnare tempo con queste misure, sarebbe potuto emergere un vaccino o addirittura una cura.
L'America è una società molto ricca e può darsi che possa permettersi una strategia così costosa; ma l'America è anche una società piuttosto stratificata e se pure questa strategia potrebbe avere successo nel suo insieme non significa che certi gruppi - gli anziani nelle case di cura, le persone nelle carceri, i poveri nei quartieri densamente popolati e sottoccupati e vari gruppi razziali ed etnici che sono strutturalmente sfavoriti - non siano costretti a sopportare una percentuale maggiore ed ingiusta del peso di queste scelte.
E questo può anche significare che non ne verremo fuori come società "nel suo insieme".
4.Il divario fra strutture sanitarie esistenti nel nostro Paese ha messo a dura prova quelle del Nord Italia, meno quelle del sud. Esistono negli Stati Uniti fenomeni analoghi fra i diversi Stati federali?
Il contrasto tra le varie regioni degli Stati Uniti ha mostrato che alcune aree sono state maggiormente colpite - - New York in particolare - - ma il vero contrasto è stato nel modo in cui i diversi Stati hanno reagito alla crisi. Questo si è tradotto nella proposta di Accordo interstatale che ha visto stati diversi proporre le stesse strategie generali di contrasto. Pertanto, le regioni costiere del Nordest, tra cui in particolare New York e gli stati circostanti, hanno lavorato attraverso i loro governatori per collegarsi con gli stati costieri occidentali, in particolare con la California e Washington. Questi stati hanno introdotto i programmi più aggressivi per ridurre il contatto interpersonale. Allo stesso tempo, gli Stati del Midwest e del profondo Sud hanno proposto piani tra loro simili che si basano su normative un po' meno rigide. Queste differenze rispecchiano affinità più profonde che il sistema federale tende a coltivare e temo che, a seguito dell'esperienza del coronavirus, tali alleanze potranno determinare una perdita di coerenza nazionale.
5. In Italia, ma anche in Spagna e in Francia, si è acceso il dibattito sulle prassi esistenti negli ospedali che non sono in grado di reggere alla domanda di pazienti da inviare nelle unità di terapia intensiva. Rispetto ai criteri in astratto utilizzabili per queste scelte dilemmatiche – criterio utilitarista, criterio cronologico (c.d. first come, first served) criterio casuale (c.d. lottery), criterio terapeutico correlato alle maggiori probabilità di successo dell’intervento medico o della maggiore speranza di vita (i.e. Le 'Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili) – cosa si è fatto negli Stati Uniti?
Anche negli Stati Uniti si è avuto lo stesso dibattito. Diversi ospedali, anche nella stessa città, hanno adottato protocolli diversi; alcuni protocolli, una volta resi pubblici, sono stati ritirati a seguito delle proteste del pubblico. Alcuni medici hanno rifiutato di applicare i protocolli prescritti. Ma generalmente non c’è stato un insieme coerente di priorità. Né credo che alcuno dei criteri descritti nella sua domanda sopravvivrebbe a lungo al controllo pubblico negli Stati Uniti.
6. Se un medico si trovasse a dovere scegliere a chi destinare le cure intensive tra il luminare che sta scoprendo il vaccino del covid-19 ed un giovane con maggiore speranza di vita cosa dovrebbe fare un medico statunitense. E un medico italiano?
Anche se ho viaggiato a lungo in Italia e ho persino scritto un libro su uno dei suoi più grandi pensatori (The Garments of Court and Palace: Machiavelli and the World that He Made *), e sebbene gli italiani mi abbiano sempre fatto sentire a casa quando sono stato in loro compagnia, non ho la presunzione di dire quale dovrebbe essere la decisione di un medico italiano nelle circostanze che mi ha sottoposto nella sua domanda.
Se fossi un medico americano - un vero medico, un MD e non un semplice dottore di ricerca - immagino che preferirei salvare la persona di qualsiasi età che sta scoprendo il vaccino contro il covid-19 rispetto a qualcuno anche molto più giovane perché, così facendo, potrei essere in grado di salvare in futuro la vita di molti uomini più giovani anziché quella solamente di uno. Chiamiamolo "pragmatismo americano", se vi piace.
Ma se il giovane fosse mio figlio, Pasha di 7 anni, io scapperei da questa decisione.
7. Lei pensa che le scelte tragiche di cui discutiamo debbano essere prese dai medici liberamente, ovvero occorrono dei protocolli che prendano in esame le posizioni di varie professionalità in campo medico etico filosofico e giuridico?
Come ho sottinteso nella mia risposta a una domanda precedente, credo che un pluralismo di protocolli troverà attuazione, anche se uno di questi sarà quello di rinviare alle decisioni individuali prese dai singoli medici. Le scelte tragiche sono per loro natura insoddisfacenti e instabili, ma devono essere fatte.
Le decisioni lasciate ai singoli dottori devono far fronte a quello che potrebbe essere chiamato il paradosso di Ippocrate: prendersi cura instancabilmente del paziente che ha immediato bisogno potrebbe portare alla lunga a gravi disuguaglianze basate su ricchezza, razza, etnia, posizione sociale e così via e quindi sacrificare il benessere della società considerato nel suo insieme.
Per molte ragioni culturali e storiche, gli Stati Uniti sono una società il cui rispetto verso sé stessa è diventato sempre più dipendente da come vengono trattati i più deboli e i più vulnerabili.
8.Quanto le scelte della politica sulle allocazioni delle risorse in materia sanitaria vanno lasciate al mercato e quante devono essere riservate alla sfera pubblica?
Penso che sarebbe un esercizio deprecabile del potere statale se una società dovesse rinviare interamente al mercato la decisione sulla distribuzione di beni di primaria importanza.
Anche se si potesse dimostrare che, in linea di principio, tale rinvio al mercato crea una maggiore ricchezza, che a sua volta potrebbe essere utilizzata per compensare quelle persone che non possono avere accesso a quel bene primario, in pratica tali forme di compensazione raramente si verificano e, in ogni caso, l'impronta del materialismo che rimarrebbe su una siffatta società sarebbe indelebile.
Stavo tentando di distinguere tra uno stato che semplicemente rinuncia al suo ruolo per deferenza verso il mercato --- come hanno fatto per larga parte gli Stati Uniti in tema di assistenza sanitaria e prima dell'amministrazione Johnson che ha adottato Medicare (per gli anziani) e Medicaid (per i poveri) --- in contrasto con i programmi statali che utilizzano il mercato, come ha fatto l'amministrazione Obama rispetto all'Affordable Health Care Act che ha tentato di ampliare la copertura assicurativa medica.
Un altro esempio potrebbe porre in contrasto la opzione di acquistare un proprio "sostituto" durante la guerra civile americana da parte di persone che volevano evitare la leva militare, con il passaggio negli anni '70 dalla coscrizione obbligatoria al solo arruolamento volontario per reclutare il personale militare. Nel primo caso, lo stato rinvia al mercato permettendo a una persona arruolata di acquistare la sua via d'uscita, scavalcando il meccanismo politico della leva; nell'altro caso, lo stato sta usando il mercato per aumentare la forza dell’esercito così come usa il mercato per acquistare armi.
9. Professore Bobbitt, qual è il valore economico di una vita umana nel suo Paese?
Questa domanda è senza risposta, almeno da parte mia, perché ritengo che il termine "valore economico" sia sottostimato. Come ho scritto al mio caro amico e coautore giudice Calabresi, sarebbe come porre la seguente domanda: - date alcune variabili sulla velocità delle automobili, il consumo di carburante, la abilità e la fatica del conducente, limiti di velocità e così via, quanto tempo sarà necessario alla macchina per viaggiare dalla Casa Bianca alla sua destinazione?
"Valore economico" significa - almeno nella tua domanda - il prezzo più efficiente di un particolare bene (vita umana). Ma non posso determinare ciò che è più efficiente se non viene specificato l'obiettivo. È la vita più lunga? La vita più soddisfacente? La vita che contribuisce maggiormente alla società?
10. Quanto l’universalismo dei valori e il principio di eguaglianza possono condizionare le scelte primaria dei decisori politici in materia sanitaria?
Temo di avere una difficoltà simile con il principio di uguaglianza. Senza un valore preventivamente specificato l'uguaglianza, come è stata osservata alcuni anni fa da Peter Westen, è un'idea vuota.
Dobbiamo prima determinare "uguali rispetto a che cosa" tra i molti tipi di uguaglianza che entrano tra loro in competizione. Ad esempio, quando parliamo di uguaglianza davanti alla legge, facciamo affidamento sulle molte differenze che la legge fa (colpevoli o non colpevoli, responsabili o non responsabili, aventi diritto o meno) tra persone che teoricamente sono uguali. Una lotteria è più rispettosa della uguaglianza perché è casuale (e tratta tutti alla cieca e quindi allo stesso modo) o è probabile che sia considerata meno equa, come metodo di allocazione, perché senza un insieme predeterminato di priorità, tratta invariabilmente persone di condizioni molto diverse come se fossero uguali?
11. La scelta del lockdown per salvare da morte quasi sicura una parte consistente di popolazione per l’assenza di strutture sanitarie adeguate incide in maniera decisiva su fattori economici vitali. Essa rischia di determinare effetti collaterali anche “mortali” per un’altra fetta di popolazione. Può anch’essa definirsi una scelta tragica di primo grado? Dove è il punto di equilibrio fra le due esigenze?
Sì, tale decisione è nella nostra terminologia una determinazione di "primo grado ". Non ho un algoritmo che determina il giusto equilibrio tra la protezione della salute di varie persone in una società rispetto alla produttività dell'economia di quella stessa società. Sono propenso, tuttavia, a pensare che non esista una regola. Vale a dire che la regola su cui si fonda una società sarà invariabilmente imperfetta.
12. L’emergenza pandemica ha riacceso il dibattito su Stato sociale e mercato. In Italia, dalla dichiarazione dello stato di emergenza di fine gennaio 2020 non vi è ancora oggi la possibilità di dotare la popolazione di mascherine perché le imprese italiane non ritenevano conveniente la produzione. Secondo lei l’intervento statale quando è in gioco la salute pubblica è una possibilità o un dovere?
Ritengo che esistono pochi doveri che possono ritenersi più importanti della protezione da parte dello stato del benessere della sua gente.
* Che, a proposito, è dedicato al giudice Calabresi.
4.Le conclusioni
La riflessione che Giustizia Insieme ha inteso rilanciare nel pieno della crisi pandemica a proposito delle scelte tragiche alle quali i sanitari sono stati ripetutamente chiamati nei confronti dei malati più fragili e vulnerabili, dapprima con le riflessioni di Eusebi, Ferrajoli, Ruggeri e Trizzino già ricordate all’inizio e, oggi, con quelle di Bobbitt rappresenta il punto di inizio di un ragionamento che è partito da casi specifici ed ha quasi inevitabilmente visto ampliarsi, nel corso del tempo della pandemia l’orizzonte, dispiegandosi in modo chiara la consapevolezza che la tragicità delle decisioni in situazioni di emergenza avrebbe condotto i plurimi decisori ad affrontare dilemmi non agevolmente risolvibili, destinati ad essere esaminati, criticati, condivisi od osteggiati. A monte di tutto questo un bisogno estremo di agganciarsi a qualcosa capace di dare un senso, una giustificazione, una razionale spiegazione del perché quella scelta fosse stata o non fosse stata presa.
Il rinvio al corpo dei diritti fondamentali è apparso tanto naturale quanto complicato, comprendendosi fin dall’inizio che al sacrificio dell’uno avrebbe fatto la contrappeso l’espansione dell’altro. Da qui l’amara constatazione di quanto fosse agevole evocare il quadro dei valori fondamentali ma assai più oneroso applicarlo sul campo, sacrificarne uno in nome dell’altro.
Nihil sub sole novi, si potrebbe dire rispetto alle ordinarie operazioni di bilanciamento alle quali i decisori sono chiamati quotidianamente.
Ma il punto è che le scelte tragiche di cui si è detto hanno con la crudezza che si è verificata cagionato la fine della vita dei malati impossibilitati ad accedere nelle terapie intensive insufficienti.
Questa immediatezza della tragicità delle decisioni si è andata poi solo lievemente dissolvendo quando l’emergenza ha determinato la necessità di adottare scelte solo in apparenza meno traumatiche nella c.d. fase 2, via via che il problema delle terapie intensive si andava attenuandosi per effetto delle misure di contenimento della pandemia adottate a livello nazionale.
Solo in apparenza, si diceva, meno traumatiche poiché quelle ulteriori scelte, destinate a regolare la vita di una intera collettività nel persistente rischio di contagio del virus, hanno progressivamente messo in evidenza la capacità delle misure stesse di colpire al cuore, nel breve o medio tempo, gli interessi ed i diritti di un numero ancora superiore di persone, imprese, attività, coinvolte dalle misure emergenziali.
Conferma autentica di quanto fin qui affermato e della centralità dell’analisi di Calabresi e Bobbitt è venuta, qualche giorno fa, dall’esplicito riferimento operato dal Presidente del Consiglio dei Ministri al Senato della Repubblica alla tragicità delle decisioni incidenti sulla ripresa del Paese ed alla figura di Guido Calabresi- G. Conte, Una sfida epocale per l’Europa, in Ilsole24ore, 28 marzo 2020-.
Ora, le articolate e argute risposte di Bobbitt hanno offerto, per un verso, uno spaccato irripetibile sulla gestione della crisi epidemiologica da parte delle autorità statunitensi e, per altro verso, confermano l’estrema attualità delle intuizioni espresse nel volume edito molti anni fa.
Emergono, forse in modo inaspettato, fortissime analogie fra quanto è accaduto e continua ad accadere nel nostro Paese, nel quale le relazioni fra misure nazionali disposte a livello centrale e provvedimenti regionali hanno fatto emergere notevoli criticità – già sfociate in contenziosi giudiziari non ancora esauriti- v., a titolo meramente esemplificativo, TAR Calabria 9 maggio 2020, n.841, sul tema dei rapporti fra potere centrale e potestà regionale – e la situazione americana, in cui ci si interroga, allo stesso modo, sui rischi e le conseguenze che possono derivare dalle varie politiche adottate -dall’autorità centrale piuttosto che dalle singole “regioni” - sulla diverse fasce della popolazione- anziani, detenuti, lavoratori, senza casa-. Ciò che conferma che anche il metodo politico per la gestione di alcune scelte di primo grado e l’opzione fra decentramento e centralizzazione delle scelte di cui si è appena detto- Scelte tragiche, cit., 52 ss.- ha un coefficiente di dilemmaticità non indifferente in società pur diverse quali sono quelle italiana e statunitense.
Nella ricerca delle scelte ottimali, rese spesso difficili dalla scarsità dei beni disponibili, le opzioni che si delineano presuppongono un apprezzamento in forma per così dire graduata di valori meritevoli di essere protetti integralmente e simultaneamente.
Questo complesso bilanciamento, che risente delle scelte politiche e del giudizio dell’opinione pubblica, che indiscutibilmente le condiziona sembra, nelle parole di Bobbitt, non potere prescindere in alcun modo dal valore uomo, pur difficile da identificare economicamente in relazione a diverse variabili e pur portatore di una pluralità di bisogni parimenti fondamentali, ma comunque necessariamente presente come bene primario da difendere e soddisfare nei suoi bisogni. Il punto è, semmai, che in nome della tutela del bene vita e salute si assiste, talvolta, a “scelte” formalmente indirizzate a proteggere la salute pubblica con scarsa ponderazione delle ricadute di quelle stesse decisioni sui soggetti più vulnerabili.
Si pensi alla scelta del decisore politico della regione italiana più colpita dal coronavirus nel mondo di indirizzare i malati anziani di covid-19 verso le residenze sanitarie assistite al fine di ridurre il peso sulle terapie intensive. Decisioni che hanno poi dato il la alle stragi di anziani verificatesi all’interno di quelle strutture – v. G.Savagnone, I Chiaroscuri – Non è un continente per vecchi –.
Nessuno si vuol qui ergere a censore di valutazioni sicuramente ardue da adottare.
Si è piuttosto cercato di porre in evidenza come la mancata ponderazione delle ricadute che una scelta del tipo di quella sopra ricordata avrebbe avuto su un vastissimo numero di persone già in condizioni di vulnerabilità, ha determinato un risultato non rispettoso di tutti i valori fondamentali coinvolti dalla pandemia.
Sembra dunque evidente che il piano delle responsabilità politiche si leghi a quello delle scelte operative e attuative, mostrando la drammaticità tanto delle une che delle altre.
Si arriva, così, quasi inconsapevolmente al piano delle responsabilità, di vario ordine, che ricadono sugli autori – di primo e di secondo grado - delle scelte tragiche, responsabilità che rimandano al piano economico, filosofico, etico, culturale e appunto politico.
E le responsabilità di ordine giuridico? E il ruolo del diritto?
Le risposte di Bobbitt forse dimostrano che il diritto - e la legge - che pure nasce per offrire alla società risposte anche rispetto a situazioni estremamente complesse, non può avere la pretesa di confezionare da sé, muovendo da una prospettiva meramente giuridica una regola, caratterizzata da certezza e prevedibilità, valida per ogni situazione, ma ha nondimeno il dovere di aprirsi alla scienza, quando occorre nella gestione del rischio – esemplare, sul punto, l’analisi svolta su questa Rivista da G. Pitruzzella, La società globale del rischio e i limiti alle libertà costituzionali. Brevi riflessioni a partire dal divieto di sport e attività motorie all’aperto; v., altresì, Scelte tragiche, cit.,138 – predisporre un sistema nel quale quelle scelte difficili, proprio perché spesso incidenti su diritti fondamentali contrapposti, di qualunque livello siano, possano collocarsi perseguendo i valori dell’eguaglianza, formale e sostanziale, e dell’onestà di chi le adotta, pur nelle accezioni ambivalenti che tali nozioni possono avere Scelte tragiche, cit., 15, 17, 215 . E pur con un ineliminabile sentimento di angosciosa insoddisfazione per gli esiti di quelle scelte, per le morti silenziose, drammaticamente destinate ad essere dimenticate e confinate nel quasi ineliminabile costo sociale della pandemia che una società deve comunque sostenere. Condizione che, del resto, Calabresi e Bobbitt avevano già descritto proprio riflettendo sulle decisioni di includere o meno alcuni soggetti in un gruppo in quarantena – Scelte tragiche , 177–.
Passando poi ad indagare il ruolo dello Stato nel suo complesso rispetto alla pandemia, ci si accorge che proprio la centralità del “valore uomo” di cui si diceva impone al decisore politico di non lasciare integralmente alle regole di mercato puro le scelte che incidono sul bene vita della sua popolazione, dovendo avvalersi del mercato in maniera accorta, anche per salvaguardare quei valori di cui si diceva, così evitando che uno sfrenato liberismo possa determinare pregiudizi inaccettabili e incalcolabili.
Ciò potrà dunque rendere accettabili e digeribili decisioni che comunque sono destinate a rimanere inappaganti per alcuni, anche se rimane difficile trovare, quando vi è, a monte, una scarsità di risorse, il “metodo dei metodi” per realizzare scelte ottimali e, quindi, risposte univoche a prevedibili.
La posizione di Bobbitt a proposito della scelta che avrebbe compiuto, da medico, se fosse stato chiamato a salvare un anziano luminare che stava per scoprire il vaccino anti Covid-19 o una persona più giovane o, ancora, suo figlio di sette anni, segue il solco tracciato da Scelte tragiche, prendendo come base il tema dell'allocazione dei reni artificiali.
Trovano così conferma, a distanza di poco meno di cinquant’anni, le intuizioni che Calabresi e Bobbitt avevano preconizzato su quanto diverse variabili potessero incidere sulle decisioni e sui metodi per giungere alle decisioni tragiche (criterio utilitarista, criterio cronologico (c.d. first come, first served, criterio casuale -c.d. lottery- o criterio terapeutico correlato alle maggiori probabilità di successo dell’intervento medico o della maggiore speranza di vita (v. Scelte tragiche, 38, 39)- rendendole più o meno accettabili in relazione al contesto nel quale esse maturano (Scelte tragiche, pag. 173).
Qui si comprende in modo forse ancora più marcato quanto la dimensione giuridica che pure è indispensabile per garantire situazioni informate a principi di certezza e prevedibilità non possa essere da sola appagante, dovendo coabitare con l’analisi economica del diritto, da essa traendo alimento e linfa anche ai fini interpretativi -v. G. Alpa, Il futuro di Law and Economics nel pensiero di Guido Calabresi. La Costituzione economica e i diritti fondamentali, in Contratto e impresa, 2013, f.3-. Un percorso, quest’ultimo, capace di alimentare un sistema giuridico in modo più accorto e consapevole tanto rispetto alle regole del legislatore, quanto a quelle di chi è chiamato ad applicare quelle regole. Un percorso, in definitiva, capace di valorizzare il passato senza scadere nel moto rivoluzionario che, pur in voga in questo periodo, rischia di essere distruttivo se privo di una visione programmatica che misuri e apprezzi il modo con il quale le scelte sono considerate dalla società nella quale viviamo.
Le riflessioni di Bobbitt sulle decisioni adottate negli Stati Uniti ed in Italia durante la crisi epidemiologica sembrano dunque avvolgere le prime da un mantello nel quale i valori della persona protetti dalle Carte dei diritti fondamentali devono godere di una protezione particolarmente intensa pur dovendo convivere, inesorabilmente, con le regole del mercato che pure lo Stato deve sapere usare in modo accorto.
Rimangono nelle coscienze dei familiari che hanno perso i loro cari per la scarsità di strutture e nei sanitari, chiamati a destreggiarsi all’interno di un sistema condizionato da risorse inadeguate, dei pesi difficilmente sostenibili che il corpo sociale dovrà cercare di valorizzare, considerare e condividere – v.le considerazioni esposte sul punto da L. Cocucci, Il diritto alla salute ai tempi del coronavirus e la scomparsa di una generazione tradita. Recensione a “L’Ovulo Rosso nel Sottobosco” di Nico Cocucci , pure pubblicato in versione pdf all’interno di questa Rivista –. E ciò non tanto o soltanto in una prospettiva “risarcitoria” – v., sul punto, l’intervista di Michela Petrini a G.Travaglino e C. Cupelli su Responsabilità Medica e Covid 19. Nubi all’orizzonte per gli eroi in corsia?, in questa Rivista, 7 maggio 2020 – ma anche quando“…in nome della solidarietà, la collettività assuma su di sé, totalmente o parzialmente, le conseguenze di eventi dannosi fortuiti e comunque indipendenti da decisioni che la società stessa abbia preso nel proprio interesse.” –cfr.Corte cost.n.118/1996–.
E il giudice di fronte all’esame delle scelte tragiche adottate dai decisori come si comporterà? Da cosa sarà a sua volta condizionato nel ponderare la portata e la conformità di quelle scelte al paradigma normativo di riferimento? Quanto la tragicità di una scelta può spettare al giudice, quando si trova davanti una persona ed è chiamato a decidere se rimanere al mondo o cessare di vivere? –v., sul tema, S. Rossi, Il diritto in equilibrio: il mestiere dei giudici e i “casi tragici” di tutti i giorni, in Diritto e società, 2013, I, 127 ss.–
Abbiamo lasciato alla fine qualche riflessione sul tema.
Ci si accorge, in verità, che la tragicità delle decisioni, anche giudiziarie, è tema talmente risalente nella storia della persona umana e della letteratura da mostrare quanto l’intervista di Bobbitt – insieme al testo dei due giuristi americani – sia di estrema attualità in un contesto ben più ampio rispetto a quello di partenza, toccando dalle fondamenta il ruolo del giudicare e dei diritti fondamentali nell’attuale contesto storico. E proprio negli hard cases che la tragicità della scelta del giudice tende ad alimentarsi della riflessione dei due studiosi americani qui più volte ricordati, ancorché non collegata alla scarsità dei beni da allocare, ma al contrasto dei valori sotteso a talune di queste scelte tragiche e della necessità di giungere, ad in via ermeneutica, ad un bilanciamento che cerchi di preservare comunque quei valori. Riflessione, quest’ultima, che è del resto lo stesso Guido Calabresi a svolgere nella prefazione alla seconda edizione italiana del volume – v. Scelte tragiche, XXII –.
Non è dunque casuale che le Università abbiano affrontato, ben prima della crisi epidemiologica, il tema delle scelte tragiche del giudice, costituzionale e non, ponendo al centro delle loro indagini il volume qui già ricordato e alcuni casi giudiziari ormai storici- caso Englaro, caso Welby, caso Cappato, maternità surrogata, vaccinazioni( per cui v., da ultimo, Corte coost.n.118/1996 e Corte cost.n.5/2018) nei quali vengono in gioco la vita delle persone più vulnerabili, il rapporto fra il diritto alla vita e quello alla dignità delle persone delle stesse, alla nozione che di dignità si intende offrire – cfr. Le scelte tragiche della Corte costituzionale italiana. Incontro dibattito con Daria De Pretis, Giudice della Corte costituzionale. Incontro organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza della Facoltà di giurisprudenza di Messina, 25 novembre 2019, in https://www.facebook.com/dirittocostituzionale/videos/629317840933320/ – poi espressamente tornando a riflettere sul tema del giudicare sulle scelte tragiche ai tempi del Covid-19- webinar su "Giudicare in tempo di crisi. Le scelte tragiche di fronte al Covid-19", organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza delle sedi di Messina e Priolo Gargallo il 29 aprile 2020 con la partecipazione dei Professori Alessio Lo Giudice e Luigi Manconi, in https://www.facebook.com/338415109925730/videos/605642656707478--
Anzi, drammaticamente, il Covid-19 ha dimostrato quanto sia stato lungimirante l’approfondimento del tema dei diritti fondamentali a livello accademico e giudiziario, del loro peso, della loro valenza interpretativa nei processi decisionali dei giudici (id est, nelle loro scelte).
Non vi è stato, in questi mesi, alcun operatore, teorico e pratico, che non abbia avvertito la necessità di richiamare i temi dei diritti, delle libertà, del bilanciamento per giustificare o criticare le misure restrittive adottate.
Ci si è accorti, forse in maniera più concreta che in altre, di quanto il ruolo del giudicare sulle scelte tragiche si alimenti di queste prospettive, di quanto il tema della disobbedienza del giudice sul quale Gaetano Silvestri, Vincenzo Militello e Davide Galliani si erano già soffermati sulla pagine di questa Rivista- Il giudice disobbediente nel terzo millennio, 5 giugno 2019, ora pubblicato ne “Il mestiere del giudice”, a cura di R.G.Conti, Padova, 2020, con prefazione di P. Grossi-.
L’intervista a Philip Bobbitt si arresta qui ma sembra aprire nuovi scenari anche sul concetto stesso di “risposta giudiziaria” e sulla capacità del sistema di offrire decisioni rapide e capaci di considerare le ricadute di tale rapidità in termini economici.
Chi scrive non ha la capacità e la forza di imbarcarsi su questioni di natura processuale. Ma sente quasi istintivamente che uno dei temi che non potrà trascurarsi sarà proprio quello del ruolo delle Corte di Cassazione, di come essa potrà svolgere la funzione che l’ordinamento le assegna se i meccanismi di accesso alla sua giurisdizione continueranno ad essere informati, spesso si suol dire, al canone dell’eguaglianza al quale fa da pendant l’accesso “libero” ed indiscriminato a difesa del diritto alla giustizia. Un’eguaglianza che, tuttavia, rischia di risolversi, in gravissime diseguaglianze se si guarda al peso ed al valore economico delle diverse decisioni che il giudice di legittimità è chiamato ad adottare e che, forse, richiederà uno sforzo aggiuntivo di riflessione sull’egualitarismo al quale Calabresi e Bobbitt hanno dedicato notevole attenzione – Scelte tragiche, cit., 17 –
Insomma, il dilemma che sta alla base della scelta di primo grado se consentire l’accesso alla giustizia di legittimità a tutti coloro che lo richiedono o solo ad alcuni, in un sistema di scarsità di risorse sarà uno dei temi centrali nel futuro del nostro Paese.
Come lo sarà quello correlato alle scelte di secondo grado che chiameranno il giudice di legittimità a selezionare, nel caleidoscopio delle decine di migliaia di ricorsi in ingresso, quelli che meritano di essere decise con priorità, riproponendosi i dilemmi che i due studiosi americani hanno richiamato sul metodo migliore per rispondere alla scelta tragica “di turno”.
Scelte che, a ben considerare, non possono ritenersi circoscritte, quanto alla soluzione, al mondo dei giudici che compongono la Corte, poiché la Giustizia non appartiene soltanto a loro, ma è della società nel suo insieme, risente dei valori e della cultura che lì si ritrova.
Un fascio di questioni che si mostrano certo “tragiche” per chi dovesse non avere accesso al giudice di ultima istanza o dovesse averlo con grande ritardo perché ritenuto meno meritevole di quella tutela rispetto ad altro.
Ritorna, ancora una volta, il ruolo del e dei metodi di allocazione delle risorse ed il loro grado di accettabilità da parte di una società.
Quanto la nostra società sarà capace di sopportare una giustizia lenta che consente l’accesso egalitario e quanto preferirà una giustizia pronta, capace di incidere sulle questioni nodali o vitali mettendo al primo posto il canone dell’eguaglianza nell’accesso? All'orizzonte ecco affacciarsi un futuro costellato, in Italia come negli Stati Uniti e nel mondo, da scelte dilemmatiche di primo e di secondo grado che, combinandosi secondo vari metodi, chiameranno i decisori ed i destinatari delle decisioni a verificarne i contenuti, le modalità, l’incisività, l’utilità e ad assumerne, ciascuno, il peso in modo responsabile.
Il saggio di accettabilità di queste scelte da parte della società dipenderà, per un verso, dal grado di onestà e limpidezza con il quale esse saranno adottate all’interno di assai delicate operazioni di bilanciamento fra diritti fondamentali – A. Buratti, Quale bilanciamento tra i diritti nell’emergenza sanitaria? Due recentissime posizioni di Marta Cartabia e Giuseppe Conte, in Diritticomparati e le condivisibili riflessioni successive di G. Martinico, Due dottrine dei diritti?, ib., 5 maggio 2020 – e di appropriatezza, proporzionalità e temporaneità delle misure intraprese che vede comunque nella Costituzione lo strumento capace di “offrire alle Istituzioni e ai cittadini la bussola necessaria a navigare «per l’alto mare aperto» dell’emergenza e del dopo-emergenza che ci attende” -M.Cartabia, Relazione annuale sull’attività della Corte del 2019 , 28 aprile 2020-.
Peraltro, la tenuta del futuro prossimo dipenderà anche dalla capacità di mettere davvero al primo posto nelle operazioni di bilanciamento fra valori – e dunque nelle scelte di secondo grado dei giudici – la vita e la dignità della persona nelle dimensioni plurali che esse assumono in funzione della pluralità dei soggetti coinvolti, in modo comunque da evitare, in nome della protezione della salute della collettività tanto la rottamazione delle persone in nome di una sconsiderata ricerca del voluttuario, del bello ma non utile (Eusebi, Scelte tragiche e Covid-19, cit.) quanto la “cultura dello scarto” in danno dei “meno utili” per la società che Papa Francesco ha stigmatizzato qualche tempo addietro – Il Papa: una società è “civile” se combatte la “cultura dello scarto"; v. pure L. Manconi, L’età dello scarto, La Repubblica, 19 aprile 2020, 1–.
Non sembra casuale che il Presidente del Bundestag tedesco Schäuble abbia di recente evocato il rispetto della dignità umana come valore fondante del suo paese, proprio per sottolineare la continua opera di bilanciamento che va ricercata per soddisfare e contemperare le prerogative più espressive della persona umana, in Germania come in Italia –v. l’intervista di chi scrive da V.Elbling, Italia-Germania, unite in un'Europa più solidale solidale e "sovrana". Parola d'ambasciatore! su questa Rivista, 9 maggio 2020 –.
Si comprende, così, come il filosofo Jürgen Habermas, in una recente intervista rilasciata a N.Truong per il quotidiano Le Monde, 15 aprile 2020, – Europa, hai l’ultima chance per salvarti l’anima – si sia posto di fronte al seguente quesito: “Si deve accettare il rischio di sovraccaricare il sistema sanitario e, quindi, aumentare il tasso di mortalità per far ripartire prima l’economia e ridurre così anche la miseria sociale causata dalla crisi economica?”
A questo punto il discorso si mostra in tutta la sua circolarità rispetto a quanto si è qui detto e sembra complicarsi enormemente, rinviando ancora una volta al tema del “giudicare” e delle sfide etiche alle quali occorrerà dare risposte.
E sarà, dunque, il giudice interprete – costituzionale e non – a dovere tentare di rispondere al quesito se la dignità rappresenti un valore a sé incomprimibile, attorno al quale ruotano gli altri valori come si è sostenuto da una parte della dottrina (per tutti, da ultimo, v. A. Ruggeri, La dignità dell’uomo e il diritto di avere diritti (profili problematici e ricostruttivi, in Consulta on line, 3 giugno 2018) o se in nome della dignità anche la vita possa essere sacrificata, ovvero ancora se la dignità rappresenti unicamente uno dei tanti valori, comprimibile allo stesso modo degli altri ( v., per tutti, M. Luciani, da ultimo in La pandemia aggredisce anche il diritto?, intervista di F. De Stefano a C.Caruso, G.Lattanzi, G. Luccioli e M.Luciani, in questa Rivista, 2 aprile 2020).
Comunque la si pensi su tale questione sarà necessario confrontarsi per risolvere gli ulteriori dilemmi che riguardano il bilanciamento fra diritti fondamentali – come testimoniato dalla già ricordata Corte cost. n.2/2015 e questa fame di dignità che sembra a più riprese emergere – v. S. Petitti, Il giudice è garante della dignità umana?, in questa Rivista, 14 settembre 2019; C. Salazar, Il giudice è garante della dignità della persona?, in questa Rivista, 3 ottobre 2019: R. Conti, Bioetica e biodiritto. Nuove frontiere, in questa Rivista, 29 gennaio 2019; id. Scelte di vita o di morte, Il giudice è garante della dignità umana? Roma, 2019 –, tenendo presente il dovere di solidarietà nel suo fare tutt’uno con quello di fedeltà alla Repubblica (A. Ruggeri, Scelte tragiche e Covid-19, cit.).
Le risposte offerte da Bobbitt potrebbero essere utili nella direzione qui indicata.
R. Conti
Versione originale(trad. domande a cura del dott. Calogero Ferrara)
Tragic choices, after 42 years. Bobbitt thinks over pandemic emergency.
1.Professor Bobbitt, you celebrated book, coauthored with Prof. Guido Calabresi, formed the basis of ethical, economic and legal studies. Nowadays, after the pandemic that hit the world, what would change and what would confirm, comparing with the conclusions you had reached at that time?
I think the overall analysis of Tragic Choices holds up: that societies disguise through various subterfuges the rationing and trade-offs that are inevitable in order to preserve a sense of the pricelessness of certain values; that because societies have a surfeit of values such that even their most deeply held values cannot be instantiated simultaneously, tragic choices are inevitable; that this surfeit of values is reflected in the cycling of various methods of allocation so that some values are exalted and then discarded or downgraded; that there is no “saddle point” that by balancing competing values, maximizes them; and perhaps most importantly, that how a society resolves its tragic choices defines that society. I think that our experience with the coronavirus crisis confirms this analysis. Still there are emphases that I might change. For example, the role of political leadership could be stressed to a greater degree. We referred to scapegoating and even xenophobia, but I doubt that either of us imagined the depths of the failure of character in a leader that this crisis would expose.
2. In your book you a bipartition between first and second degree decisions. Do you think this division can apply to the ongoing epidemiological emergency?
Indeed I do. Tragic Choices described two different kinds of decisions: first order choices such as how many tests to produce, how many ventilators, and so on and second order choices that amount to protocols setting various priorities – – who will get access to ventilators, who gets tested and where, who must be quarantined, who gets resuscitated, who gets vaccinated, and who is removed from intubation. It ought to go without saying that making the first order decisions turn on whether they enhance the political prospects of the head of government is unspeakable though no less so than making second order decisions like what regions and cities will be favored depend on whether the recipients are deemed supportive of any particular political agenda.
3. In the Western world, the procedures for allocating resources in the health system have registered different models of action. The Italian model is essentially based on the universalistic criterion but, at the same time, it has shown great difficulty in dealing with the pandemic emergency, due to the gaps between different areas of the country. Can you explain us the US approach towards the emergency? Do you think it worked and was successful?
I’m not sure that the United States has an “approach.” Our political system is so decentralized and our national leadership has been so indecisive that I think it would be a mistake to conclude that there is an American plan. The approach that seems to be emerging, driven primarily by some states, is a shelter-in-place strategy, with varying degrees of rigor, that aims to slow the pace of new infections. Schools and businesses have been closed so that hospitals and medical infrastructure would not be overwhelmed. Also, perhaps, there has been the hope that if we could buy time with these measures, a vaccine or even a cure might emerge. America is a very wealthy society, and it may be that we can afford such an expensive strategy; but America is also a rather stratified society and whether we can emerge successfully as a whole does not mean that certain groups – – the elderly in care homes, incarcerated persons in prisons, the poor in dense and underemployed neighborhoods, and various racial and ethnic groups that are disfavored structurally – – won’t bear an unfair share the burden. It may even mean that we will not emerge “as a whole.”
4. The gap between existing health structures in Italy put a strain on those in Northern Italy and much less in the Southern regions. Were there similar phenomena in the United States between the various federal states?
The contrast among regions in the United States has shown some areas as harder hit – – New York in particular – – but the real contrast has been in how the states have responded to the crisis. This is reflected in proposed interstate compacts that would link different states with the same general strategies of coping. Thus coastal regions in the Northeast, including especially New York and its surrounding states, have worked through their governors to link up with coastal states in the West, notably California and Washington. These states have had the most aggressive programs to reduce interpersonal contact. At the same time, states in the Midwest and the deep South have proposed similar plans that rely on somewhat looser regulations. These differences mirror deeper affinities that the federal system tends to nurture and I fear that, as a result of the coronavirus experience, such alliances will bring about a loss of national coherence.
5. In Italy as well as in Spain and France, it was debated the effectiveness of existing practices in hospitals when they are not able to cope with the demand for intensive care units. Many different criteria could be used for these dramatic choices: utilitarian criterion, chronological criterion (so called first come, first served), random criterion (i.e. lottery), therapeutic criterion based on the greater probability of success of the medical intervention or greater life expectancy- i.e. Le 'Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili', just to mention the most important ones. What kind of approach was adopted in the United States?
All of the above. Different hospitals even in the same city have adopted different protocols; some protocols, once they were made public, have been withdrawn in the face of public outcry. Some physicians have refused to apply the prescribed protocols. But generally there is no consistent set of priorities. Nor do I believe that any one of the criteria described in your question would long survive public scrutiny in the United States.
6. In case of a necessary choose to put under intensive care the old luminary who is discovering the covid-19 vaccine or a young man with greater life expectancy, what should be the decision of an American doctor? And of an Italian doctor?
Although I have traveled in Italy and even written a book on one of its greatest thinkers (The Garments of Court and Palace: Machiavelli and the World that He Made*), and although Italians have always made me feel at home in their company, I would not presume to say what the decision of an Italian doctor should be in the circumstances you posit. If I were an American doctor – – a real doctor, an MD, and not a mere PhD – – I imagine I would prefer the person of whatever age who is discovering the covid-19 vaccine over someone much younger because by doing so I might be able to save the lives of many younger men rather than just one. Call it “American pragmatism,” if you like. But if the young man were my son, Pasha aged 7, I should shrink from such a decision.
7. Do you think that the tragic choices we are discussing about should be freely taken only by doctors, or do we need protocols taking into consideration the positions of various professionals in the ethical, philosophical and legal medical field?
As I implied in my answer to a preceding question, I believe that a pluralism of protocols will eventuate even if one of these is to defer to individual decisions taken by treating physicians. Tragic choices are by their nature unsatisfying and unstable, but they must be made. Decisions left to individual doctors must cope with what might be called the Hippocratic paradox: that unswervingly serving the immediate patient could lead to gross inequalities based on wealth, race, ethnicity, social standing and so on and thus sacrifice the well-being of the society taken as a whole. For many cultural and historical reasons, the United States is a society whose self-respect has increasingly come to depend on how the weakest and most vulnerable among us are treated.
I think it would be an egregious exercise of state power were a society to defer entirely to the market in the distribution of tragic goods. Even if it could be shown that, in principle, such deference created greater wealth that in turn could be used to compensate those persons who could not successfully bid for the tragic good, in practice such reparations seldom take place and, in any event, the stamp of oppressive materialism upon the face of such a society would be indelible. The question rather should be: to what extent should public power and regulation use the market to achieve social aims?
8. To what extent the political choices on the allocation of health resources should be regulated only by the market? Or should they be reserved to the public powers and regulations?
I think it would be an egregious exercise of state power were a society to defer entirely to the market in the distribution of tragic goods. Even if it could be shown that, in principle, such deference created greater wealth that in turn could be used to compensate those persons who could not successfully bid for the tragic good, in practice such reparations seldom take place and, in any event, the stamp of oppressive materialism upon the face of such a society would be indelible. I was attempting to distinguish between a state that simply abdicates its role in deference to the market---as the United States largely did with respect to medical care before the Johnson administration that adopted Medicare (for the elderly) and Medicaid (for the poor)---as contrasted with state programs that use the market, as the Obama administration did with respect to the Affordable Health Care Act that attempted to broaden medical insurance coverage. Another example might contrast the option to purchase a “substitute” during the American Civil War by persons who wished to avoid the draft, with the switch from conscription in the 1970’s to an all- volunteer force to raise military personnel. In the former case, the state is deferring to the market by allowing a conscripted person to buy his way out, overriding the political mechanism of a draft; in the latter case, the state is using the market to raise armies much as it uses the market to purchase arms.
9. Professor Bobbitt, what is the economic value of a human life in your country?
This question is unanswerable, at least by me, because I believe the term “economic value” is underspecified. As I wrote my dear friend and co-author, Judge Calabresi: it is like asking the following question – – Given certain assumptions about automobile speeds, gas consumption, driver skills and fatigue, speed limits and so on, how long will it take a car to travel from the White House to its destination? “Economic value” means – – in your question, at least – – the most efficient pricing of a particular good (human life). But I cannot determine what is most efficient unless the objective is specified. Is it the longest life? The most satisfying life? The life that contributes most to society?
10. Should the universalism of values and the principle of equality affect the political decisions on the public health protection field ? And to what extent ?
And I’m afraid I have a similar difficulty with the principle of equality. Without a specified value, equality as was observed some years ago by Peter Westen, is an empty idea. We must first determine “equal in what respect” for the many kinds of equality that compete. For example, when we speak of equality before the law we rely on the many differentiations that the law makes (guilty or not guilty, responsible or not responsible, entitled or not entitled) as to which persons are equal. Is a lottery more equal because it is random (and treats everyone blindly and thus the same) or is it likely to be considered less equal as a method of allocation because without an overriding set of priorities, it invariably treats people of very different conditions as if they were the same?
11. The choice of lockdown to spare the probable death of a substantial part of the population, due to the absence of adequate health facilities, determined a strong impact on vital economic factors. Thus, it risks leading to "fatal" side effects for another bigger part of the population. Can this kind of decision be defined as a first degree tragic choice? How can be identified the balance between these two different and contrasting needs?
Yes, such a decision is in our terminology a “first order” determination. I don’t have an algorithm that would determine the proper balance between the protection of the health of various persons in a society versus the productivity of that society’s economy. I’m inclined, however, to think that there is no one rule. That is to say, that the rule on which a society settles will invariably be an imperfect one.
12. The pandemic emergency switched on again the debate on the welfare state and the market. In Italy there is still no possibility to equip the whole population with protective masks due to the fact that Italian factories did not consider this production economically convenient. In your opinion, whereas public health is at stake, the State intervention should be just a possibility or a duty?
I should think there are few more important duties than the protection by the state of the well-being of its people.
*Which, by the way, is dedicated to Judge Calabresi.