Pubblichiamo, a puntate domenicali, la storia di Al Masri, Il cittadino libico destinatario del mandato di arresto della Corte dell'Aja, arresto dalla polizia italiana a Torino e poi riaccompagnato a casa con il volo di Stato.
Io, Osama Elmasry “Njeem” – Prima puntata: Mitiga
Io, Osama Elmasry “Njeem” – Seconda puntata: RADAA
Io, Osama Elmasry “Njeem” – Terza puntata: Io sono questo
Io, Osama Elmasry “Njeem” – Quarta puntata: Toccata e... volo in Europa
Le azioni e il brutale contesto in cui opera l’uomo che la Corte Penale Internazionale ha sottoposto a mandato di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità. Prosegue il racconto su una realtà che non possiamo ignorare.
Sommario: 1. Per volere dell’onnipotente - 2. Njeem in viaggio di affari - 3. Fermo e sequestri – 4. Ritorno a Mitiga.
1. Per volere dell’onnipotente
Mi chiamo Osama, di cognome el-Masry Njeem. Le vostre autorità giudiziarie mi indicano “Njeem” nei loro atti. Da voi in Europa, dopo questa faccenda dell’arresto a Torino, sono diventato però più popolare come “Almasri”, non ho capito perché. In verità sono molte le cose che non comprendo di voi occidentali. Lo so, voi dite di avere un vostro dio, da qualche secolo siete abituati a dominare il mondo. Ma pensate anche di giudicare gli altri con gli stessi occhi con cui voi guardate il mondo, dall’alto in basso. Perciò ci attribuite i nomi che vi piacciono di più.
Nella Libia occidentale, dove il grande presidente Fayez al-Serraj è riuscito a regalarci la pace col suo Governo di accordo nazionale, posso dire di essere un’autorità anche io. E da qualche tempo la mia forza e la mia risolutezza sono apprezzati anche altrove. Devo molto al mio generale Raouf Kara, che mi ha reso uno dei capi nell’Apparato di deterrenza per la lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo, quando ancora si chiamava al-Radaa.
Ma certo, posso negare che Iddio mi abbia guidato per arrivare dove sono? Non è blasfemia riconoscere la volontà dell’onnipotente nella propria buona fortuna.
Gheddafi era ormai un servo dell’occidente, tradito dall’occidente. L’Islam non può accettare la colonizzazione di chi degrada i nostri costumi, corrompe la nostra politica, toglie al nostro popolo il potere con il sotterfugio e la menzogna. Io mi sono ribellato a tutto questo.
Allo scoppio della rivoluzione ero reputato nient’altro che un commerciante ambulante di volatili. Ciò che vendevo era halal[1], nessuno si è mai lamentato, e le mie ubare[2] erano le migliori del mercato. È stato grazie a loro che ho conosciuto berberi, tuareg, tebu: questi, passato il tempo degli uccelli, mi hanno aiutato anni dopo a cacciare le milizie di Belkasim Haftar che ancora hanno l’ardire di spingersi fino ai confini della Tripolitania, a stanare le loro spie, che si annidano ovunque tra noi, a catturare gli infedeli che attraversano il deserto infestando le nostre coste e i nostri quartieri.
Avevo già tanti amici. Quando ho visto la Radaa nascere a Souk al Juma e diventare potente in tutta Tripoli, ho capito che le mie amicizie sarebbero state importanti, che la mia capacità di riunire i seguaci avrebbe rafforzato la pace imposta dal nostro presidente, che il mio coraggio sarebbe servito al popolo libico.
Ho combattuto, ho ucciso, ho dimostrato di sapere comandare una milizia e arruolare nuovi combattenti. Nessuno come me sa organizzare centri di raccolta di sbandati e assassini, di ladri, meretrici e invertiti. Nessuno come me sa ottenere il denaro e le informazioni necessari alla nostra causa. Dispongo di carceri e magazzini, comando la polizia penitenziaria e ho due milizie direttamente ai miei ordini. Da me dipende il destino di migliaia di persone, detenute o affrancate solo precariamente.
Ora che ci siamo liberati del colonnello Gheddafi e del suo mondo malato, l’Europa ha bisogno di noi più di prima. Perché oltre al petrolio abbiamo la massa di disperati che si arrogano il diritto di volere navigare due mari: quello di sabbia, che per noi è Fezzan, e quello di acqua, Mediterraneo. E l’Europa teme gli sbandati che vanno a nord tanto quanto adora il petrolio: del petrolio non sa fare a meno, dei pezzenti che vorrebbero navigare i due mari ha paura.
Devo venire ogni tanto in Europa, dunque. Ho da fare affari e assecondare il volere dell’onnipotente.
2. Njeem in viaggio di affari
6 gennaio. Njeem inaugura il 2025 con un nuovo viaggio per l’Europa. Vola da Tripoli a Londra, facendo scalo all’aeroporto di Roma. Come passeggero in transito, a Fiumicino non subisce controllo passaporti. A Londra, dove si tratterrà sette giorni, invece esibisce un passaporto della Repubblica Dominicana.
13 gennaio. Njeem si trasferisce a Bruxelles in treno. Dal passaporto dominicano risulta che l’ingresso in area Schengen è avvenuto attraverso la frontiera francese presso il tunnel della Manica[3]. Da Bruxelles poi prosegue diretto in Germania, Bonn in particolare, dove si resterà due giorni. Nell’ex capitale della Germania ovest affitta un’automobile Mercedes esibendo una patente turca e indicando come destinazione finale del viaggio Fiumicino. Queste notizie allertano l’intellingence tedesca, che nell’arco di alcune ore metterà in moto l’unità investigativa della Corte penale internazionale.
Pare che già dal 10 luglio 2024 la Corte avesse inserito una nota, diretta solo alla Germania e non visibile agli altri Paesi, che, nella codificazione del canale di comunicazione di Interpol, era finalizzata alla raccolta discreta di informazioni su dati e documenti di viaggio, telefoni e mezzi di pagamento, persone e contatti durante la presenza in Germania di Njeem, con richiesta, per le autorità tedesche, di informare immediatamente l’ufficio del procuratore della Corte medesima[4].
16 gennaio. A bordo della Mercedes Njeem lascia Bonn in direzione sud. I connazionali che viaggiano con lui ora sono tre. Prima di Monaco di Baviera l’auto viene fermata da un controllo stradale. Njeem mostra, tra l’altro, un biglietto ferroviario a suo nome da Londra a Bruxelles datato 13 gennaio. Gli agenti, non avendo motivi contrari lasciano proseguire il quartetto, che nella serata arriva a Torino.
18 gennaio. La mattina del 18 la Mercedes con targa tedesca attira l’attenzione anche di un posto di controllo di polizia italiana. A bordo vi sono tutti e quattro i libici giunti dalla Germania. Neppure stavolta l’esame dei loro documenti giustifica un qualche seguito al controllo di routine dei documenti.
Più tardi Njeem assiste alla partita di calcio Juventus-Milan. Esce dallo stadio torinese nel tardo pomeriggio. Poco prima la camera preliminare 1 della Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto nei suoi confronti[5]. Le accuse ipotizzano crimini di guerra (oltraggio alla dignità personale, trattamento crudele, tortura, violenza sessuale, omicidio e stupro) e crimini contro l’umanità (detenzione abusiva, tortura, violenza sessuale, stupro, omicidio e persecuzione), tutti commessi nella prigione di Mitiga dal 15 febbraio 2015 al 2 ottobre 2024. Tra le vittime, vi sarebbero 34 persone uccise e un bimbo di cinque anni violentato.
Il mandato viene trasmesso all’Italia nonché a Regno Unito, Francia, Germania, Svizzera, Austria e Belgio[6].
19 gennaio. Più nel dettaglio, la sala operativa internazionale della Direzione centrale della polizia criminale trasmette alla questura di Torino la nota di diffusione “rossa” della direzione centrale Interpol alla questura di Torino. Dalla consultazione della Banca Dati Interforze emergono i dati acquisiti durante il controllo nella mattinata del 18. Di qui alla banca dati dei soggetti alloggiati si perviene rapidamente all’individuazione della nota struttura alberghiera che ospita Njeem e i suoi connazionali.
3. Fermo e sequestro
Alle 3 personale della Digos e della squadra mobile torinese viene inviato nell’hotel, da cui all’alba i quattro libici vengono prelevati. Alle 9.30 in questura viene notificato a Njeem il mandato di arresto della CPI.
Vengono fermati anche gli altri tre cittadini libici, poi denunciati alla procura di Torino in stato di libertà per il reato di favoreggiamento personale. Espulsi dal prefetto, previo nulla osta dell’autorità giudiziaria, i tre vengono infine rimpatriati. Njeem viene invece temporaneamente ristretto nella casa circondariale torinese Lorusso e Cutugno e, quindi, messo a disposizione della Corte di appello di Roma e della procura generale presso la corte di appello di Roma.
In questura gli sono stati sequestrati tre passaporti (uno libico, uno turco e uno dominicano), otto carte di credito tra Visa e Mastercard (due emesse da banche del Regno Unito e sei da istituti turchi). Ha inoltre una patente con il timbro di Ankara, che gli permette di noleggiare auto e guidare liberamente in tutti i Paesi europei, la carta per l’accesso in camera di un esclusivo albergo milanese di proprietà di una casa di alta moda e la tessera elettronica per accedere a uno stabile del “Mavera Park”. Si tratta di un elegante complesso residenziale costruito alla periferia di Istanbul, pensato come una piccola Dubai realizzata a pochi chilometri dal Bosforo[7].
Sui biglietti da visita che ha con sé Njeem risulta “general manager” di due società private turche: vi sono riportati, oltre al cellulare personale con numerazione di Tripoli, numeri di telefono fissi del Regno Unito e del Canada, Ontario. Njeem indossa inoltre un nuovo modello di Rolex Submariner Hulk, un orologio che, girando per i siti specializzati, può costare tra i 14 e i 24.000 euro.
C’è da chiedersi se il tenore di vita raccontato da questi oggetti sia frutto solo dei proventi dell’attività poliziesca e militare condotta in patria o anche dei rapporti d’affari internazionali che emergono da tante fonti. Le due società di cui Njeem appare essere manager sono iscritte effettivamente nella gazzetta del registro delle imprese turco e rispondono a un indirizzo unico nel distretto Başakşehir della capitale. Le attività aziendali sono indicate come “importazione, esportazione, placcatura del ferro e commercio di PVC”[8].
4. Ritorno a Mitiga
Dell’arresto eseguito nell’albergo torinese non viene data inizialmente alcuna comunicazione ufficiale. Solo nel corso della domenica gli attivisti di Refugees in Libya colgono un messaggio di un sito libico in cui la cattura di Njeem viene definita “un errore oltraggioso”. Due cronisti, Nello Scavo di Avvenire e Sergio Scandura di Radio radicale interpellano il ministro degli esteri Tajani, che si abbandona a un laconico “effettivamente ci risulta”. Dopo di ciò sulla vicenda scende il silenzio.
Martedì 21 gennaio Njeem viene rilasciato su disposizione della corte d’appello di Roma. Sentito il procuratore generale, la Corte rileva l’irritualità dell’arresto. C’è un vizio procedurale, insomma, poiché la CPI non ha precedentemente trasmesso gli atti al Ministro della giustizia[9].
È vero, in effetti, che la Digos torinese ha agito richiamando correttamente l’art. 11 della l. n. 237/2012, il quale dispone che – nei casi in cui sia già stato emesso dalla CPI un mandato d’arresto o una sentenza di condanna a pena detentiva – il procuratore generale presso la corte di appello, ricevuti gli atti, chieda alla corte stessa l’applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti della persona della quale è richiesta la consegna. Tuttavia, la trasmissione degli atti al procuratore generale è affidata al Ministro della giustizia che cura in via esclusiva i rapporti con la CPI (art. 2, co., 1 l. n. 237/2012), essendo il destinatario delle richieste della CPI.
Nel caso di specie, invece, la Digos non ha atteso la richiesta del procuratore generale, ma ha agito di propria iniziativa, apparentemente ai sensi dell’art. 716 c.p.p.: tale norma, è relativa alle procedure di estradizione, in casi di urgenza, non invece all’esecuzione dei mandati d’arresto emessi dalla CPI. Di qui l’irritualità della misura[10].
Ad attendere Njeem sulla pista di Ciampino c’è, da otto ore, il jet Dassault Falcon 900, con sigla ICARG, di proprietà della Compagnia Aereonautica Italiana s.p.a.: è uno dei cinque velivoli che compongono la flotta a disposizione dei nostri servizi segreti, Aise e Aisi[11]. Alle 11.14 decolla in direzione aeroporto Caselle di Torino, dove atterra alle 12.13. La notizia della liberazione non è ancora trapelata all’esterno.
Mentre il Falcon è fermo sulla pista di Caselle, alle 15.55 esce una nota del ministro Nordio: “È pervenuta la richiesta della Corte Penale Internazionale di arresto del cittadino libico Najeem Osema Almasri Habish. Considerato il complesso carteggio, il Ministro sta valutando la trasmissione formale della richiesta della CPI al Procuratore generale di Roma”. Il suo collega Piantedosi, però, non gli dà tempo per studiare. Njeem, infatti, dopo essere stato riaccompagnato nel carcere delle Vallette a ritirare gli effetti personali trattenuti, alle 19 è di ritorno a Caselle.
Sono le 19.51 quando – a carteggio non ancora valutato dal guardasigilli – il Falcon si alza definitivamente in volo, stavolta diretto a Tripoli. Njeem lascia l’Italia e le piazze europee dei suoi affari economici.
La stazione di atterraggio del Falcon non poteva che essere quella di Mitiga. Sono le 21.50. Del resto, già da nove giorni anche Ita Airways ha inaugurato la linea Fiumicino-Mitiga, con due voli settimanali. Finalmente anche i passeggeri della compagnia di bandiera italiana hanno il privilegio di atterrare nell’aeroporto che ospita il quartier generale della RADAA e il carcere libico più famigerato.
Alle 22 sul sito ufficiale della polizia giudiziaria libica compaiono le foto dello sbarco di Njeem. Sulla pista di atterraggio, ai piedi dell’aereo, lo attendono decine e decine di miliziani. Alcuni lo caricano sulle spalle in trionfo, i più si spingono l’un l’altro sporgendo le braccia rivolte verso l’alto, per riprendere il memorabile festeggiamento coi propri cellulari. Soltanto l’onnipotente poteva regalare un lieto fine così rocambolesco e repentino.
[1] Permesso, secondo la religione islamica.
[2] L’otarda ubara è un uccello migratore, dal piumaggio chiaro adatto a mimetizzarsi nei colori delle aree desertiche. È una delle prede preferite dei cacciatori libici e per questo a rischio di estinzione.
[3] Informativa Ministro dell’interno Matteo Piantedosi alla Camera dei deputati il 5 febbraio 2025.
[4] Informativa M. Piantedosi, cit.
[5] Corte penale internazionale, mandato di arresto per Osama Elmasry/almasri Njeem, n° ICC-I1/11, 18.1.2025. Il mandato è emesso a maggioranza dal collegio della CPI. Una giudice, infatti, esprime posizione di dissenso non sul merito delle accuse, ma sulla riconducibilità dei fatti alla giurisdizione della Corte nei confronti della Libia.
[6] Nell’informativa alla Camera del 5 febbraio il ministro Piantedosi riferisce che in realtà una nota “di diffusione blu” (blue notice), per l’inserimento del nominativo di Almasri Njeem nelle banche dati nazionali, era stata trasmessa soltanto a Belgio, Regno Unito, Austria, Svizzera e Francia, non anche all’Italia. Solo nella serata del 18 gennaio la Corte ha chiesto al segretariato generale Interpol di Lione di sostituire la nota di diffusione blu con una red notice, contenente cioè indicazioni per l’arresto, rivolta a questo punto anche all’Italia, unitamente agli altri Paesi. Alle ore 2,33 del 19 gennaio, il segretariato generale Interpol ha validato la nota di diffusione rossa per l’arresto provvisorio e la successiva consegna alla Corte penale internazionale del cittadino libico.
[7] N. Scavo, Arresto, rilascio, caos politico: 8 domande e risposte sul caso Almasri, Avvenire, 29 gennaio 2025.
[8] Il criminale di guerra che ha scosso l’Italia si è rivelato essere un cittadino turco, TG24 Bagimsiz internet gazetesi, 5 febbraio 2024, in t24.com.tr, consultato il 25 marzo 2025.
[9] App. Roma, sez. VI penale, ord. 21 gennaio 2025: l’esecuzione del mandato di arresto “non è stato preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale; ministro interessato da questo ufficio in data 20 gennaio, immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito”.
[10] Per una rivisitazione critica di alcuni aspetti decisionali dell’ordinanza della corte d’appello romana cfr. L. Parsi, Un volo di stato chiude il caso Al Masri?, in questa rivista, 25 gennaio 2025.
[11] L. Berberi, Voli “schermati e conti in rosso: così si muove la compagnia aerea degli 007 italiani”, in corriere.it, 24 marzo 2022, consultato il 26 marzo 2025.