Il 21 dicembre 2010 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 24 marzo la giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime. La ricorrenza serve a mantenere accesa la fiammella della speranza per le vittime di crimini rimasti irrisolti e ad alimentare una riflessione corale sul ruolo della verità nella società e nel diritto[1].
Sommario: 1. L’albero della verità. 2. Verità, dignità della persona e “dello Stato”. 2. I semi e le radici del diritto alla verità: a) vittime a associazioni. 3. Segue: b) i costruttori di verità. 4. Segue: b) Il valore delle parole. 5. Il tronco dell’albero. 6. Il piano “interno” della tutela. Corte Cost. n.192/2023 e il diritto alla verità nella giurisprudenza di merito. 7. Verità, dignità della persona e “dello Stato”. 8. Leale cooperazione e verità.9. Serve la consacrazione del diritto alla verità in Costituzione?
1. L’albero della verità
Gli incontri organizzati di recente presso il Senato della Repubblica[2] e, a Milano, dalla Rete per i diritti e dall’Associazione amici di Luca Attanasio per reclamare la verità sull’uccisione dell’Ambasciatore italiano, del suo agente di scorta, il Carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista del convoglio umanitario Mustapha Milambo, hanno ulteriormente alimentato l’interesse personale al tema della verità, pur con la consapevolezza della sua ampiezza e dell’incertezza circa l’esito di questo cammino.
Del resto, il carattere intrinsecamente polisemico e plurale del termine si presta naturalmente a costituire la base di un itinerario davvero inesauribile di riflessioni che spaziano da campi prettamente giuridici a quelli più direttamente collegati al rapporto della persona con la legge, la storia, le Istituzioni ed il corpo sociale.
La prima sensazione che si avverte è di una concentricità fra temi che si sviluppano su piani autonomi, i quali però tendono poi ad intrecciarsi e continuamente a confrontarsi.
La ricerca si è andata così continuamente arricchendo di profili e spunti, trovando sul proprio cammino nuovi impulsi per riflettere in modo più approfondito su verità, diritto e giustizia.
In questa fase di continuo disvelamento di aspetti nuovi non può essere dimenticata la fonte d’innesco di questo argomentare e, in particolare, l’esperienza di qualche anno addietro maturata in terra sudamericana sui temi legati al diritto alla verità reclamato dalle vittime di sparizioni orchestrate dai regimi dittatoriali[3].
Esperienza che ha consentito di focalizzare la dimensione “universale” del diritto alla verità, alimentata attraverso “ricorsi pilota” di vittime proposti alle Corti sovranazionali dei diritti umani- e specificamente innanzi alla Corte interamericana dei diritti umani[4], sulla cui base, come si dirà, si è andata costruendo anche in Europa una tutela effettiva del diritto alla verità.
Un cammino fatto di condanne degli Stati autori di crimini contro l’umanità che avevano lasciato impuniti i responsabili, di riconoscimenti formali del diritto alla verità avvenuti in plurime declinazioni e contenuti in atti di soft law e poi all’interno di alcune Carte costituzionali-Costituzione della Bolivia, Costituzione della Colombia- e di leggi ordinarie[5], di interpretazioni dei giudici nazionali che hanno progressivamente rifinito i confini del diritto alla verità, dimostrando che non si trattava affatto di “una verità banale” quanto di un processo di emersione, faticosamente ma limpidamente realizzato all’interno della cornice dei valori fondamentali che fanno parte della persona umana. Un itinerario parimenti alimentato dalle associazioni impegnate ad innervare nel tessuto sociale il sentimento di verità, collettivizzandolo, oggettivizzandolo, esprimendo solidarietà e sostegno alle vittime fino a farle diventare testimoni di verità e giustizia alimenta la fiammella della speranza attraverso contributi ed azioni positive.
Qui si comincia a delineare l’altro volto di questo diritto. È la spersonalizzazione della vicenda dolorosa di chi cerca la verità e non l’ha ancora trovata a determinare una sorta di metamorfosi del dolore, capace di mostrarsi in prospettive ulteriori che ne delineano una dimensione ancora più estesa, nella quale la memoria della vittima diventa memoria della collettività, alla quale spetta il dovere di coltivarla, diffonderla, moltiplicarla, affinché la memoria di dolore passi “alle generazioni che verranno, come lo scudo più resistente al replicarsi dell’orrore”.
La ricerca che ruota attorno alla verità ha così condotto chi per professione opera nel capo del diritto e si fa, come magistrato, quotidianamente interprete, con le proprie decisioni, di plurime risposte alle domande di giustizia e di verità a porsi ulteriori domande su quale sia il senso della verità nel diritto[6].
Da qui il passo successivo e quasi naturale ispirato dalla ricerca, affatto semplice, di una sistemazione delle magmatiche suggestioni diventate, lentamente ma progressivamente, sempre di più diritto vivente, aria di verità.
Un passaggio che porta oggi, 24 marzo, nella giornata dedicata al diritto alla verità indetta dalle Nazioni Unite, al tentativo di raccogliere i punti, i tanti punti scritti sul tema del diritto alla verità, provando a farlo attraverso la rappresentazione di un albero, l’albero della verità, che sembra sempre più prendere corpo e sostanza, consolidarsi, radicarsi nella coscienza sociale e nel mondo del diritto.
2. I semi e le radici del diritto alla verità: a) vittime a associazioni.
I semi dai quali questo albero prende corpo sono quelli delle tante persone, uomini e donne, che hanno perso la loro vita per azioni e condotte violente avvolte nel mistero. Inutile usare aggettivi altisonanti. Sono quei morti che nella terra e dalla terra continuano a reclamare la verità su quanto loro accaduto. A dare loro voce ci sono le parole, le azioni ed i volti dei familiari, le associazioni che hanno raccolto quelle storie per dare loro una dimensione plurale, la collettività che alimenta la memoria di chi non c’è più, della cifra delle persone cadute la loro storia personale, il contesto nel quale i propri cari operavano, lavoravano, vivevano. Un alimentare la memoria[7] per rendere onore alla dignità di quelle persone e, al contempo per “gridare” quelle vicende perché non si ripetano più, perché l’alone di mistero che le avvolge non solo venga finalmente squarciato e non si ripeta più. Esigenza che consente di stare sulla linea del tempo con coscienza di ciò che fu e al contempo di ciò che sarà, proprio per evitare di ripetere l’irripetibile.
È in questo momento che le vicende personali cominciano a diventare collettive.
In effetti, a volte queste storie sono “storie di Stato”, ma altre volte no, quando le “storie pubbliche” rimangono “private”: persone che hanno perso i loro cari perché adempivano il loro dovere, ma non valicano i confini del dolore dei familiari e della cerchia dei conoscenti.
Sono quei volti dei tanti che non fanno notizia, non fanno cronaca ma sono allo stesso modo esperienze di morte tragiche perché accrescono il senso di abbandono, di solitudine, di inutilità in chi è vittima indiretta e non secondaria.
Ed è proprio per queste vicende che l’associazionismo, quello sano, limpido, tambureggiante dà forza e vigore a quei cespugli e li rafforza, li tiene uniti offrendo la possibilità di contribuire a quella memoria collettiva che è alla base dello Stato repubblicano[8].
Associazioni anch’esse espressione di un valore portante della Carta costituzionale e che, ancora una volta, traghettano il dolore individuale in una dimensione capace di dare sollievo, di offrire speranza, di continuare a battersi per la “ricerca della verità”; una ricerca che è essa stessa proiezione del diritto alla verità, rappresentandone la spinta interiore, incapace di placarsi ed acconciarsi al silenzio o, a volte, alla mistificazione della verità, all’impostura.
Ecco, dunque, le radici che consentono di arricchire e rafforzare l’albero della verità, dotandolo di un tronco sempre più coriaceo, al cui interno si scorgono gli anelli che vanno aumentando anno dopo anno, accrescendo la struttura del tronco e le sue venature sempre più luminose e pregiate, capaci di diventare elementi strutturali del diritto alla verità.
Ed è qui che la dignità delle persone coinvolte direttamente nei fatti delittuosi, dopo avere trovato nei congiunti delle vittime i titolari del diritto alla verità, comincia ad accompagnarsi ad un altro “valore”. Si tratta del valore della verità che si “trasmette” in capo allo Stato, il quale ha il dovere di soddisfarlo, con tutti gli strumenti.
3. Segue: b) i costruttori di verità.
È in questi casi che all’albero della verità offrono ancora più forza rigenerante altri costruttori di verità diversi dal giudice.
Utili sembrano essere le espressioni del Procuratore della Repubblica Giuseppe Bellelli, con riferimento alla vicenda Rigopiano, quando chiarisce che la verità giudiziaria è solo una delle possibilità verità rispetto a quello che era stato contestato come delitto di depistaggio: “…il fatto la vicenda umana storica l'ultima telefonata del giovane D'Angelo con cui chiede aiuto siamo sommersi dalla neve non possiamo muoverci telefono in prefettura e chiede questo è questa telefonata che resta inascoltata allora ma è un fatto storico acclarato …può essere “stato ritenuto non penalmente rilevante, non ascrivibile a nessuno inteso come volontà dolosa, ma .. resta nella storia di questa vicenda”. Lo stesso Bellelli aggiunge: “Il concetto di giustizia incontra spesso il sociale nella visione dell'uomo magistrato …il potere giudiziario non è un potere buono, il magistrato non deve amare il proprio potere, deve essere consapevole che è una funzione che va esercitata tenendo presente sempre i valori della costituzione come nostro faro ispiratore e della persona umana. La storia d'Italia è piena di sentenze che non hanno accertato tanti fatti, disastri, delitti ma poi la cronaca, la storia, i giornalisti, le inchieste portano avanti lo studio e il lavoro di ricerca, Certamente è compito della magistratura accertare i fatti. Una domanda di giustizia non può non passare attraverso la ricerca della verità. Il ruolo del pubblico ministero è il ruolo di accusa pubblica nel processo ma non di accusa ad ogni costo e siamo un organo di giustizia che deve tendere ad accertare la verità.”
Comincia dunque a balenare l’idea che il processo non sia sempre tutto per la ricerca della verità[9].
Chi sono, allora, i protagonisti di questa ricerca della verità sulla base del diritto “vigente”, quando la giustizia sembra non potere arrivare a quella ricerca della verità?
Qual è dunque la verità? È solo quella dei giudici[10]? O è anche quella del giornalista chiamato ad esercitare una funzione che è ben espressa attraverso l’espressione “cane da guardia” della democrazia che si ritrova nella giurisprudenza della Corte Edu, tanto importante quanto delicata muovendosi in territori fragili nei quali le verità sono in progress[11]? Oppure è quella del P.M.[12] che ha primariamente l’obiettivo di salvaguardare la società per garantirne la sicurezza - chiamato non ad individuare i colpevoli, ma a raccogliere gli elementi in base ai quali il giudice dovrà verificare se gli imputati hanno realmente commesso i reati loro contestati sulla base delle sole prove raccolte[13]-? O ancora è la verità dell’avvocato che difende l’indagato/imputato o la parte offesa con tutte le sue abilità professionali per raggiungere, nel pieno ed effettivo contraddittorio con il P.M., l’obiettivo della “sua” giustizia che è quello di trovare gli elementi capaci di dimostrare o smontare l’accusa che gli viene mossa e di realizzare il giusto processo[14]. Un avvocato sul quale, come recita la rubrica dell’art.50 del codice deontologico forense, spicca il “dovere di verità” o, ancora quella, quella del giudice, che al termine di questo percorso si conclude con una sentenza emessa in nome del popolo italiano, destinata a diventare giudicato? E la vittima, quale ruolo ha nella ricerca della verità[15]? E le associazioni che si affiancano alle vittime[16]? E la statuizione finale del giudice, quando arriva al termine di un percorso complicato e complesso, spesso (ma non sempre) conclusivo rispetto ai processi di verità compiuti dagli altri protagonisti è “la verità delle verità”?
E lo Stato? È anch’esso, con le sue multiformi rappresentazioni, costruttore di verità o dovrebbe esserlo? Ancora una volta riecheggiano le parole di Agnese Borsellino:
“I magistrati da soli non possono trovarla la verità sulle stragi. I magistrati devono essere sostenuti dai vertici dello stato. Lo stato deve proteggere e sostenere i suoi figli migliori. [17]”
Ed è la stessa Agnese Borsellino ad invocare parità di trattamento di fronte alle barbarie degli omicidi rimasti avvolti del mistero, gridando che non possono esistere vittime di serie A e di serie B:
Quanto vorrei vivere ancora per conoscere la verità. E non solo la verità sulla morte di Paolo, ma sulla morte di tutti i nostri martiri che hanno cercato giustizia, a Palermo, come in qualsiasi parte d’Italia. Perché il mio amato non era più bravo di altri che hanno perso la vita in tragici attentati: voglio dire a voce alta che dinanzi alla morte tutti gli uomini sono uguali e dunque non esistono vittime di serie A e vittime di serie B. Invece, purtroppo, accade che alcuni vengano ricordati più di altri, mentre alcuni non vengono ricordati affatto”.
Ancora una volta parole ed espressioni che affondano nei valori di eguaglianza e solidarietà fondanti lo Stato democratico: appunto la dignità, la tutela della vita, l’eguaglianza, l’effettività della tutela dei diritti fondamentali attorno ai quali si raccoglie una comunità ed il ruolo centrale della giurisdizione, purché effettiva ed efficace. Una pluralità di diritti che va sicuramente compresa e ben considerata, anche solo per capire come sia possibile tenere unite le diverse verità che possono emergere seguendo percorsi diversi.
Da queste espressioni e su queste parole prende corpo lo Stato che diventa il primo costruttore di verità, ricadendo sullo stesso quel “dovere di verità” che si atteggia, appunto, come volto deontico del diritto alla verità.
Accanto allo Stato di cui si è detto, non meno centrale risulta il ruolo delle Associazioni che alimentano la memoria di chi non c’è più, socializzano il dolore delle vittime, affiancandole nelle loro battaglie di verità, scavano nel passato per contribuire al disvelamento della verità.
Ricercare con loro i fili rimasti nascosti è, ancora una volta, l’espressione della verità che si ricostruisce, lentamente e progressivamente. Una ricostruzione nella quale si intrecciano piani diversi, al punto che la dimensione individuale e quella collettiva stentano a cogliersi nei loro tratti originari, apparendo un tutto unitario, funzionale alla ricerca della verità, della memoria individuale ora collettivizzata per divenire monito a che le barbarie del passato non si ripetano, ma anche a che sulle vicende oscure non cali il sipario.
Ecco che i plurimi cercatori di verità sono tutti attratti e calamitati dalla verità, attorno alla quale si coagulano, in questo modo, alcuni dei valori fondanti della Costituzione in un fil rouge straordinario: dignità, libertà di espressione e di associazione, giustizia -e con essa diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti, di difesa e dell’accusa-.
4. Segue: b) Il valore delle parole per la ricerca della verità… e i fatti!
Se il diritto alla verità va per l’un verso rispettato e, per altro verso, adempiuto – per dirla con Rodotà – da parte di chi governa, essendo questi tenuto a realizzare un “regime della verità, nel senso della piena possibilità della conoscenza dei fatti da parte di tutti”, la costituzionalizzazione del diritto alla verità potrebbe essere uno strumento che raccoglie ed unisce la comunità, senza frammentazioni politiche.
A realizzare questo discernimento della verità contribuiscono le “parole”, tanto più quando esse sono pronunziate da organi posti a presidio di valori democratici che sono patrimonio di realtà nazionali talmente radicate da costituire il cuore delle organizzazioni internazionali.
Le parole, come ha ricordato Don Ciotti, hanno infatti un peso ed un significato crescente quanto più esse sono pronunziate da chi ha il compito di alimentare il senso di fiducia nello Stato e nelle sue Istituzioni. Sono, anch’esse, capaci di “radicare” nel tessuto collettivo i tanti bisogni di verità erranti che non si placano nelle loro ricerche. Questa verità che l’ottanta per cento delle vittime di mafia ancora sconosce, come ha ricordato Don Ciotti il 21 marzo scorso a Trapani.
Per questo sono significative le “parole” pronunziate dal Presidente Mattarella, espressive di un sentire che appartiene alla comunità vivente nel Paese e capaci di scolpire il senso “collettivo” del diritto alla verità.
Una prima volta, quando nelle celebrazioni per il quarantennale della strage di Bologna, il 30 luglio 2020, il Presidente della Repubblica sottolineava non solo “il dovere della memoria, l’esigenza di piena verità e giustizia e la necessità di una instancabile opera di difesa dei principi di libertà e democrazia”, ma anche “l’esigenza di piena verità, l’esigenza di giustizia, di verità completa che è stata perseguita con determinata e meritoria ostinazione dall’azione giudiziaria, dalla sollecitazione dei cittadini, dei familiari delle vittime contro ogni tentativo di depistaggio e di occultamento”.
Il dovere di memoria, è ancora il Presidente Mattarella a parlare[18], come “resistenza contro l’ignoranza”, “educazione alla pace, alla dignità umana, alla consapevolezza della fragilità della nostra esistenza”. È dunque la Repubblica ad avere il dovere di conservare “la memoria del sacrificio loro e di tutti coloro che hanno generosamente dato la vita nel servire le Istituzioni”, come Mattarella ha ricordato nel secondo Anniversario dell’uccisione dell’Ambasciatore Attanasio[19].
Sempre il Presidente Mattarella, il 2 agosto 2023, in occasione della commemorazione dei caduti nella stessa strage ribadiva che “La ricerca della verità completa è un dovere che non si estingue, a prescindere dal tempo trascorso. È in gioco la credibilità delle istituzioni democratiche.”
Parole in sintonia evidente con quelle pronunziate da Agnese Borsellino quando affermava:
Io ancora oggi voglio capire chi e perché ha ucciso mio marito, intendo conoscere le singole responsabilità ad ogni livello. Lo spero anche per la società: bisogna sapere cos’è successo allora. Mio marito è morto per lo Stato, per questa società”.
In tutte queste esternazioni si ritrovano i fattori fondanti del tema che qui si torna ad approfondire: verità e giustizia, verità e azione giudiziaria, ansia di verità e familiari delle vittime, verità e depistaggio o occultamento, diritto e dovere di verità.
Concetti che confermano il ruolo della letteratura e delle parole dei tanti intellettuali del ‘900, capaci di sviluppare la riflessione sul tema della verità: dal già ricordato Pirandello[20] nei Uno, nessuno e centomila, nelle Maschere e in Così è se vi pare a Sciascia[21], a Bufalin[22]o a Fenoglio[23], a Carofiglio[24]. Da qui il passo, quasi obbligato al connubio quasi inestricabile della verità con la mistificazione e l’impostura[25].
Anche queste “parole” scolpiscono la natura composita di quel bisogno di verità, nel quale il “mio” diritto alla verità, per quanto lancinante e incommensurabile, si trasforma nel “nostro” diritto e per questo di più si amplifica, si rafforza e si eleva a valore della comunità.
Questo passaggio, tuttavia, non è neutro, né idoneo a soddisfare i bisogni di chi reclama la verità, anzi prestandosi a conferme ulteriori di quanto i “volti” della verità si moltiplichino quando i cercatori di verità aumentano, al punto che ciascuno è capace di credere nella propria verità sulla base di elementi che altri non considerano decisivi, a fronte di un’altra verità raggiunta sulla base di una diversa ricostruzione della realtà. Tanto da dare conferma che la verità sia “colei che mi si crede” per usare le parole della Signora Ponza nel Così è se vi pare di Luigi Pirandello, archetipo delle verità plurali e soggettive[26], al pari del Principe ne La favola del figlio cambiato[27].
Non meno importanti le “parole” pronunziate dal Segretario generale dell’ONU in occasione della celebrazione della giornata dedicata al diritto alla verità il 21 marzo 2022[28].
Ma le parole rimangono vacue se ad esse non si conformano le azioni positive capaci di renderle effettive. È, dunque il diritto alla verità ad imporre coerenza da parte di chi ne ha tracciato il solco e si fa, commendevolmente, tamburino sardo della sua piena applicazione.
Per questo, rileggere le parole del Segretario generale delle Nazioni Unite appena ricordate e ripercorrere le vicende e le trame, tuttora oscure, che hanno accompagnato l’agguato all’Ambasciatore Attanasio[29] crea un senso di marcato smarrimento ed alimenta l’auspicio che esse non rimangano parole vane e trovino nei procedimenti giudiziari ancora in corso effettività e piena tutela per quanto esse meritano. Vitale potrebbe così risultare il contributo di chiarezza da parte delle stesse Nazioni Unite che, con i funzionari di una sua Agenzia – World Food Program -, originariamente coinvolti nelle indagini ma non giudicati dall’autorità giudiziaria italiana[30] in ragione dell’immunità diplomatica invocata dall’ONU e loro riconosciuta, aveva il compito di garantire la sicurezza del convoglio sul quale si trovava l’Ambasciatore Attanasio. È poi lo Stato, coinvolto con i volti – giudiziario, requirente ed investigativo - nei quali esso si mostra, ad avere il “dovere” di garantire il rispetto dei diritti fondamentali attraverso condotte orientate ai canoni scolpiti dall’art.2 CEDU ed agli obblighi di protezione sostanziale e procedurale. È dunque questo raccordo fra le parole e i fatti che i familiari delle vittime continuano ad invocare, come fa il padre dell’ambasciatore[31] dallo Stato al quale Attanasio ha dedicato la sua stessa esistenza e merita per ciò stesso rispetto, onore e dignità[32].
5. Il tronco dell’albero.
Proviamo qui solo a dare conto, in maniera assai sommaria, dei piani ulteriori che hanno consentito, oggi, un ragionamento sul tema del diritto alla verità meno fumoso di quanto potesse risultare appena qualche lustro fa, fino a poter idealmente sostenere l’albero della verità.
Il piano della tutela sovranazionale dei diritti delle vittime di fatti ascrivibili allo Stato - deportazioni sparizioni - attraverso organi giurisdizionali internazionali- Corte San Josè, Corte europea dei diritti dell’Uomo – rappresenta sicuramente uno dei fattori portanti dell’albero della verità.
La giustizia sovranazionale, come già ricordato, si è data carico di fare emergere i testi di quelle Convenzioni internazionali alle quali i cittadini di tanti paesi sudamericani devastati dalle dittature gridano il loro desiderio di verità senza avere la possibilità di vederlo soddisfatto nel loro paese[33].
La centralità dei risultati raggiunti da quell’organo giurisdizionale sovranazionale è già di per sé elemento portante nella costruzione dell’albero, offrendo elementi di riflessione affatto secondari rispetto al tema della tutela individuale dei diritti, al ruolo delle giurisdizioni nazionali, al concorrente e crescente impatto delle giurisdizioni sovranazionali.
Temi per nulla secondari e, anzi, oggi più che mai divisivi, apparendo strettamente connessi ai valori della sovranità statuale e della tutela dei diritti fondamentali, continuamente oggetto di riflessioni o approcci fortemente divaricati all’interno della comunità dei giuristi e dello stesso corpo sociale.
Non è ovviamente questa la sede per approfondire questi temi, rimanendo semmai solo da constatare quanto centrale sia risultato il ruolo della Corte di San Josè se si considera che è proprio sulla base di quel diritto vivente maturato attorno al diritto alla verità che l’altra Corte dei diritti fondamentali sovranazionale, quella europea, ha costruito la tutela del diritto alla verità per grosse violazioni dei diritti fondamentali. Ciò ha fatto attingendo a categorie che innervano la tutela dei diritti fondamentali all’interno della Convenzione europea dei diritti dell’uomo quali quelle dell’effettività della tutela dei diritti fondamentali, degli obblighi positivi incombenti sullo Stato.
L’osmosi fra queste due Corti sovranazionali, la sintonia di prospettive, la comunanza delle argomentazioni costituiscono dunque parte essenziale del tronco dell’albero, passaggi inconfutabili, punti cardinali dai quali partire quando si ragiona sul tema del diritto alla verità.
6. Il piano “interno” della tutela. Corte Cost. n. 192/2023 e il diritto alla verità nella giurisprudenza di merito.
Il passaggio dal piano della tutela internazionale a quello della protezione nazionale del diritto alla verità è indubbiamente molto delicato.
Il processo, le leggi che puniscono i reati di falso e depistaggio non possono che rappresentare il volto normativo del diritto alla verità. Ma quegli strumenti non hanno spesso potuto realizzare quel bisogno di verità, vuoi per la concorrente esistenza, all’interno dello Stato, di “forze” che si opponevano alla ricerca della verità, vuoi per limiti obiettivi degli strumenti previsti dallo stesso ordinamento- prescrizione, immunità giurisdizionale-, vuoi per la limitatezza degli strumenti stessi, che si misurano con i fatti e le prove portate dentro al processo.
Da qui il fiorire di pronunzie, soprattutto di merito, che si sono confrontate con il bisogno di verità. È dunque questo il contesto che favorisce l’emersione della tutela risarcitoria in caso di violazione dolosa o colposa del diritto alla verità, ma anche nei confronti dello Stato quando esso non riesca a garantire la ricerca della verità per effetto della mancanza di indagini adeguate, precise, coerenti, piene ed efficaci[34].
Le sentenze sul disastro di Ustica[35] e sul depistaggio per l’uccisione dell’Agente Agostino[36] hanno sicuramente consentito alla giustizia civile di mettere a fuoco alcuni aspetti essenziali del diritto alla verità. E fra questi, appunto, quello della protezione dei soggetti che hanno subito, in ragione di condotte dolose o colpose, un pregiudizio alla ricerca della verità risarcibile dall’ordinamento.
Per altro verso, fu il Tribunale di Roma[37], nella vicenda del militare Davide Cervia, scomparso misteriosamente, ad affermare che gli artt. 2, 21 e 97 Cost. costituiscono la base del diritto alla verità, integrante «una situazione soggettiva di rango costituzionale, funzionale all’effettiva attuazione della piena e libera estrinsecazione della personalità dell’individuo» che si esplica nel «diritto di acquisire, senza ostacoli illegittimamente posti, informazioni e conoscenze ritenute utili o necessarie, sia in sé, sia quali precondizione per l’esercizio di altri diritti fondamentali. In questo senso è strumentale rispetto a quanto prospettato dagli attori».
Non meno importanti appaiono gli approdi della giustizia penale e costituzionale sul tema del diritto alla verità, anzi offrendo plastica testimonianza di quanto il fenomeno giuridico sia in continuo e dinamico movimento, cercando di essere al passo con la comunità e coscienza sociale.
Si pensi alla vicenda Regeni che ha visto confrontarsi, rispetto al tema della notifica dell’inizio del processo a carico degli imputati assenti, il giudice comune e la Corte costituzionale.
Da un lato la Corte di Cassazione, chiamata a pronunziarsi su una prima impostazione della questione operata dalla Corte di Assise di Roma che aveva dichiarato la nullità della declaratoria di assenza degli imputati egiziani e del conseguente decreto che disponeva il giudizio, ordinando la restituzione degli atti al Gup che aveva sospeso il procedimento per impossibilità di procedere alle notifiche agli imputati stranieri in ragione del rifiuto all’assistenza giudiziaria da parte dell’Egitto. Rispondendo al ricorso della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma la Corte di cassazione non riteneva alcuna lesione al diritto alla verità nella decisione resa dal GUP, anzi ritenendola pienamente rispettosa dei canoni processuali interni[38]. Il GUP presso il Tribunale di Roma sollevava successivamente incidente di costituzionalità, prospettando un dubbio in ordine alla compatibilità del quadro normativo di riferimento con la tutela del diritto alla verità, nella parte in cui non prevedeva che si potesse procedere "in assenza" dell'accusato nei casi in cui la formale mancata conoscenza del procedimento dipende dalla mancata assistenza giudiziaria da parte dello Stato di appartenenza o di residenza dell'accusato stesso.
La risposta della Corte costituzionale (sent. n.192/2023), che ha dichiarato l’incostituzionalità del quadro processuale interno dal quale derivava l’impossibilità di accertare la verità rispetto al crimine di tortura contestato agli imputati, va sicuramente contestualizzata all’interno di delicate questioni che involgono il diritto internazionale e per questo rettamente intesa nel suo significato[39], ma nemmeno può essere marginalizzata ed inquadrata come “eccezionale”.
Anche qui meritano di essere ricordate le “parole” usate dalla Consulta nella sentenza n. 192/2023 nel considerato in diritto n. 9[40].
Il reticolato motivazionale usato dalla Corte costituzionale dimostra che, si formalizzi o no il diritto alla verità con una specifica previsione in Costituzione o per legge, esso esiste, ha una centralità nei canoni costituzionali dell’inviolabilità dei diritti fondamentali, della dignità della persona che vivono all’interno del processo, inteso quest’ultimo come volto processuale del dovere di salvaguardia della dignità che si protegge, appunto, attraverso l’accertamento giudiziale.
Espressioni che, nel fare sistema con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, compiono un passo straordinario in avanti di non poco momento rispetto ai contenuti del diritto alla verità ed alla dimensione plurale con la quale va declinato.
Non può infatti sfuggire che il richiamo alla sentenza El Masri c.c. ex-Repubblica yugoslava di Macedonia, 13 dicembre 2012 operato dal giudice costituzionale costituisca atto di “rispetto” di quegli stessi principi che, alcuni anni dopo, la stessa Corte dei diritti umani avrebbe richiamato nel caso Nasr e Ghali c. Italia del 26.2.2016, condannando l’Italia per le vicende del sequestro di Abu Omar, conclusesi con l’assoluzione degli imputati a causa del segreto di Stato opposto dal Governo italiano – rispetto al quale Corte cost. n. 24/2014 si era pronunziata positivamente a fronte del conflitto di attribuzioni proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri contro la sentenza della Corte di cassazione che aveva annullato la decisione del giudice di appello[41]- e, per alcuni condannati, con provvedimenti clemenziali del Presidente della Repubblica.
Fu infatti il giudice di Strasburgo a ricordare che “il principio legittimo del «segreto di Stato», evidentemente, è stato applicato allo scopo di impedire che i responsabili dovessero rispondere delle loro azioni. Di conseguenza l’inchiesta, seppur effettiva e approfondita, e il processo, che ha portato all’identificazione dei colpevoli e alla condanna di alcuni di loro, non hanno avuto l’esito naturale che, nella fattispecie, era «la punizione dei responsabili». Alla fine, vi è stata dunque impunità”.
Si tratta, a ben considerare, di un passaggio davvero cruciale compiuto dalla Corte costituzionale nel prendere atto della giurisprudenza della Corte edu sulla necessità di tutelare le gross violation dei diritti fondamentali attraverso l’apprestamento di un quadro di garanzie processuali che non impedisca atti di sovvertimento del diritto alla verità delle vittime[42].
Non pare secondario il fatto che nella vicenda appena ricordata il portiere della Corte costituzionale sia stato proprio un giudice comune di merito. Quel GUP presso il Tribunale di Roma che, nel verificare la possibilità di prosecuzione del giudizio in assenza di notifica degli atti all’imputato, ebbe a “disobbedire”[43] ai principi espressi dalla Corte di Cassazione ed ha ritenuto che la soluzione giuridica offerta dal giudice della nomofilachia non avesse adeguatamente considerato – ed avesse, anzi, in definitiva, assecondato – un quadro normativo processuale capace di provocare un danno irrimediabile a quel diritto alla verità che lo Stato ha, invece, il dovere di proteggere-v.pag.22 GUP Roma, 31 maggio 2023-.
Si tratta, a ben considerare, di una disobbedienza “legale”, autorizzata dalla legge e voluta direttamente dalla Costituzione che autorizza il giudice comune a sollevare dubbi in ordine alla costituzionalità delle leggi. Una disobbedienza, dunque, “legale” ed anzi “costituzionale”, costruttiva, proattiva, indirizzata a dare senso compiuto al diritto alla verità di fronte ad un crimine orrendo che ha assunto una tragica progressione criminosa, prospettata dall’accusa come causa di indicibili torture[44]. Il che apre le porte al tema dell’interpretazione, del ruolo del giudice nell’attuale contesto storico, dell’attività di “scavo” alla quale egli è doverosamente chiamato[45].
7. Verità, dignità della persona e “dello Stato”.
Già altre volte abbiamo provato a sottolineare il carattere bidimensionale del diritto alla verità.
Qui è forse utile fermarsi ancora e ragionare sul perché esista questa dimensione di doverosità della - recte, della ricerca della - verità.
Un bisogno di protezione che si declina come insopprimibile “fine”, “interesse” e, dunque, esigenza che lo Stato stesso ed i suoi organi, per dare un senso alla loro stessa esistenza ed al legame che tiene unite le persone che lo compongono, si attivino per realizzare il bisogno di verità del quale sono portatrici le vittime, la collettività, le associazioni che portano avanti la memoria delle vittime.
Per disvelare i dubbi in ordine al contenuto della verità come valore collettivo occorre porre le domande giuste, capaci di alimentare il ragionamento, con la consapevolezza che le domande stesse contengono un grumo di verità dal quale partire.
Cos’è, dunque, la dignità dello Stato da salvaguardare quando si sente il bisogno di cercare la verità rispetto alla dignità della persona vittima? Dove affonda questa doverosa esigenza, insopprimibile, inalienabile ed imprescrittibile di ricercare la verità? Trova le sue radici nel concetto di fedeltà dello Stato e dei suoi organi alla Costituzione, nel concetto di solidarietà che si dispiega, anche nel condividere i bisogni, le aspettative dei più deboli, dei vulnerabili e dunque delle vittime?
Si può dire che questa essenza della verità collettiva è complementare ed è la stessa proiezione della dignità delle vittime “dentro” il corpo sociale. È la proiezione della dignità, soggettiva delle persone vittime e oggettiva del corpo sociale sullo e nello Stato e nei suoi organi a determinare un obbligo di salvaguardia in ragione del patto che unisce attorno ad un’idea di appartenenza ad una comunità di valori.
Dunque, nessun intento di cucire sulla personalità dello Stato il valore della dignità che è secondo Costituzione unicamente della persona umana, ma semmai la necessità che il valore della dignità umana sia protetto in modo efficace ed effettivo dallo Stato e dai suoi organi, i quali hanno un dovere di fedeltà alla Costituzione. Questo dovere di fedeltà alla Repubblica[46] al rispetto di tutti i principi costituzionali altro non sembra essere, quanto alla c.d. dignità dello Stato, conseguenza immediata e diretta della necessità di offrire il massimo grado di tutela ai diritti della persona e al contempo di pretendere negli organi dello Stato il pieno rispetto di quel dovere di fedeltà che alberga nella Costituzione stessa, all’interno dell’art. 54.
Esso, dunque, si manifesta nel diritto/dovere di offrire ai suoi consociati attraverso le istituzioni e gli organi che lo animano una verità pubblica che crei attorno a sé un clima di condivisione, di riconoscimento dell’essere interno ad una comunità che ha a cuore le tante dignità di chi ne fa parte, non le dimentica quando sono state aggredite e calpestate, ne mette anzi al servizio della collettività il valore, la forza dell’agire, la nitidezza dei comportamenti, l’essere state elementi specchiati della società nella società. Un processo, dunque, un cammino che nella ricerca di verità a volte non condanna e non assolve ma in ogni caso fa luce, apre gli occhi, condivide, accomuna, avvolge, tiene uniti.
Ecco perché lavorare per la verità è al tempo stesso diritto e dovere[47]. Si raccolgono frutti se si investe nella ricchezza che è l’in se della polarità fra diritti e doveri, in modo che diritto e dovere di verità camminino insieme poiché l’essere su poli diversi non ne fa comunque venire meno l’essenzialità di entrambi.
8. Leale cooperazione e verità.
Occorre qui ribadire che per unire le diverse verità delle quali sono portatori i diversi “costruttori”, tutte pienamente legittime e legittimate ad essere rappresentate al corpo sociale con le forme che alle stesse appartengono, non va seguita la prospettiva dell’aut aut, ma serve invece percorrere la logica dell’et et.
Un modo di governare la complessità tra diverse verità che si articola in modo peculiare, al tempo stesso polarmente collegate fra loro, al punto di non poterle annullare o assorbire le une nelle altre[48].
Basti pensare agli istituti della revisione penale e della revocazione civile dei giudicati prodotti nell’ordinamento interno ritenuti in contrasto con decisioni della Corte dei diritti umani di Strasburgo, proprio in nome della ricerca di una verità che non può dirsi formata se lesiva di valori fondamentali volta per volta considerati prevalenti sulla certezza del diritto che governa e sostiene il concetto stesso di “giudicato”.
Un governo che reclama la leale cooperazione nei rapporti e nelle relazioni fra i diversi “costruttori di verità”, lasciando ai margini la prospettiva della gerarchia e della logica "dell'ultima parola", figlia di quella del controllore e del controllato.
Quella leale cooperazione che più volte ha richiamato la Corte costituzionale proprio tratteggiando i rapporti fra Commissioni parlamentari d’inchiesta e magistratura requirente, bastando ricordare Corte cost. n. 26/2008. Nel dichiarare che non spettava alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin adottare la nota con la quale era stato opposto il rifiuto alla richiesta, avanzata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma, di acconsentire allo svolgimento di accertamenti tecnici congiunti sull'autovettura corpo di reato, la Consulta ebbe espressamente a rilevare che "il principio di leale collaborazione deve sempre permeare di sé il rapporto tra poteri dello Stato” e che ciò era ancor più marcato nella vicenda "al fine evidente di consentire il più ampio spettro di indagine nella ricerca della verità dei fatti.” (corsivo aggiunto n.d.r.).
Tutto questo impone una grossa dose di coraggio in tutti i protagonisti del sistema. Giornalisti coraggiosi capaci di realizzare “inchieste investigative”[49], capaci di scavare alla ricerca dei fatti e della verità, come la vicenda dolorosa dell’Ambasciatore Attanasio dimostra. Giornalisti dunque anch’essi cercatori di verità pur con la necessaria consapevolezza di quanto le inchieste non possano sostituire l’autorità giudiziaria ma, semmai, stimolarla e accompagnarla e magari criticarla quando essa non appaia improntata a realizzare l’obiettivo di verità.
Avvocati coraggiosi, lontani da atteggiamenti di sudditanza psicologica o di (in)sofferenza nei confronti del P.M. e del decisore di turno che svolgono la loro funzione nei confronti dei loro assistiti salvaguardandone in modo primario l’interesse[50], al servizio del dovere di verità. Magistrati inquirenti e giudicanti, a loro volta garanti coraggiosi della correttezza dei compiti loro demandati. I primi nello svolgere legalmente l’attività del Pubblico Ministero al servizio della ricerca della verità[51]. I secondi chiamati a giustificare la decisione assunta attraverso la sentenza con un occhio attento alla verità processuale senza dimenticare quella storica, aggrappata alle ali dei poteri officiosi che pure subiscono un processo di forse non casuale e progressivo accrescimento. E senza che il cerchio possa dirsi definitivamente chiuso quando uno dei costruttori di verità abbia disvelato l’impostura che altri hanno spacciato per verità, anche se consacrata in un accertamento giudiziale. Sicché accanto al coraggio occorre una notevole e comune dose di responsabilità.
Leale cooperazione vuol dire, dunque, che ciascuno nel proprio ruolo sia portato a cogliere nella prospettiva di quei mondi diversi costretti a convivere che c’è del buono nell’altro, di utile, di costruttivo, di necessario.
9. Serve la consacrazione del diritto alla verità in Costituzione?
Quello che si è fin qui tentato di rappresentare è, in conclusione, un abbozzo dell’albero della verità e dei frutti che esso sembra avere fin qui prodotto.
Torna però a porsi il dubbio sulla opportunità di consacrare questo diritto in un testo di legge. Un tema che si ripropone ciclicamente quando si pensa di introdurre in Costituzione nuovi diritti. Il monito, recentemente espresso nel corso della relazione presentata all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2025, della Prima Presidente della Corte di cassazione rispetto al rischio che un’estensione incontrollata del campo dei diritti finisca per depotenziare il valore della categoria dei diritti stessi[52] non sembra riguardare il campo del diritto alla verità, come si è cercato di ricordare anche qui ben sedimentato e scolpito nel panorama internazionale, sovranazionale e nazionale.
Piace qui riportare il pensiero di Antonio Ruggeri con il quale si avuto occasione di ragionare sul punto[53]:
…il diritto alla verità, in un ordinamento costituzionale di stampo liberale, è in rebus. Negarne la esistenza equivale, dunque, a negare la stessa Costituzione; non tutelarlo, specie in relazione ad esperienze e vicende di cruciale rilievo per la comunità, equivale a mettere da canto la Costituzione stessa, ovverosia a lasciarla alla mercè dei prepotenti di turno, spianando pertanto la via alla involuzione autoritaria dell’ordinamento. Volendo, si può dunque fare del diritto stesso esplicita menzione nella Carta ma sarebbe – come si è venuti dicendo – come una sorta di eco della voce della Costituzione. D’altronde, quest’ultima più volte, inutilmente, si ripete: ad es., lo fa all’art. 117, I c., pretendendo per sé rispetto dalle leggi di Stato e Regione (come se potesse immaginarsi il contrario…), o all’art. 54, prescrivendo osservanza da parte dei cittadini, oltre che per le leggi, per… sé stessa. Eppure, anche le mere leges declaratoriae giovano pur sempre a rendere ancora più fermi e saldi taluni concetti dei quali rischierebbe di smarrirsi altrimenti la memoria e il vigore. Si sarebbe, dunque, tentati di dire: ben venga la “razionalizzazione” del diritto in parola, dal momento che – come recita un vecchio adagio – repetita iuvant.
È da qui che, dunque, occorre probabilmente ri-partire, anche assumendo il rischio di trovare sul cammino un’opposizione fondata sull’argomento innovativo[54].
A tale dubbio può forse rispondersi evidenziando che il diritto alla verità non è affatto un nuovo diritto, ma un valore fondamentale che affonda nella stessa dignità della persona e che si specchia, come si è qui provato ad argomentare, nella necessità che lo Stato dia ampia, efficacia e imprescrittibile forza a quel diritto. Nessuna inventio di un nuovo diritto, dunque ma mera emersione “dagli strati più profondi del corpo sociale” di un valore fondamentale emerso nelle consuetudini culturali che lo vanno sempre di più considerando e riconoscendo[55]. Ed è innegabile come il fattore propulsivo delle consuetudini appena richiamate sia costituito dalla giurisprudenza e dunque dal giudice che costituisce il braccio dell’art. 24 della Costituzione al quale si affidano le vittime, il corpo sociale e lo Stato stesso.
Il tema è quello di verificare se occorra che la Costituzione o la legge ordinaria diano testimonianza espressa del diritto alla verità quando il diritto vivente delle Corti – nazionali e sovrasnazionali - ha già estratto dal sistema la cornice entro la quale si muove il diritto alla verità pienamente “vivente” e capace di parametrare il sistema di tutela processuale e sostanziale.
Ed allora, dando spazio ancora una volta alle domande, ci si deve chiedere se questa prospettiva servirebbe o svilirebbe il ruolo della giurisdizione o, ancora, se rischierebbe di svilirne la centralità sul tema della ricerca della verità.
In definitiva, introdurre il diritto alla verità potrebbe contribuire, magari inconsapevolmente, all’opera di delegittimazione del ruolo della giurisdizione scritta in Costituzione che l’ANM individua in alcune ipotesi di riforma costituzionale, al punto da avere proclamato uno sciopero dei magistrati al quale hanno aderito circa l’80 per cento di giudici e pubblici ministeri?
Orbene, questo rischio è reale? Forse no.
Anzi, la consacrazione ipotizzata del diritto alla verità, pur ben identificabile nelle Carte dei diritti fondamentali, rafforzerebbe certamente il diritto all’accesso alla giustizia, lo renderebbe più evidente di quanto già la giurisprudenza internazionale, costituzionale e dei giudici comuni abbiano fatto nel corso degli anni. Aiuterebbe, ancora, gli operatori del diritto ad improntare ogni atto delle proprie funzioni alla salvaguardia della verità, rendendo ancora più doverose le interpretazioni del quadro normativo orientate al rispetto del diritto alla verità. E, non ultimo, rafforzerebbe e darebbe respiro, un respiro costituzionale, a chi ancora ricerca ostinatamente la verità.
Per questo il riconoscimento espresso del diritto alla verità sarebbe un ulteriore frutto, forse uno dei più deliziosi, dell’albero della verità[56].
[1] Il contributo nasce dalle riflessioni scaturite in occasione di due incontri organizzati per ulteriormente ravvivare l’interesse sul tema del diritto alla verità. Il primo seminario, Diritto alla verità e vittime innocenti di mafia. Tra memoria e diritti mancati, organizzato presso il Senato della Repubblica il 22 gennaio 2025- https://www.radioradicale.it/scheda/749490/diritto-alla-verita-e-vittime-innocenti-di-mafia-tra-memoria-e-diritti-mancati, nel quale si è discusso in varia prospettiva su Diritto, verità e vittime innocenti di mafia. Il secondo- Il caso Luca Attanasio …non è un caso! presso la Sala Umanitaria di Milano il 31 gennaio 2025, dedicato alla scomparsa di Luca Attanasio, del suo agente di scorta e dell’autista del convoglio ed ai dubbi che ancora aleggiano sul quell’episodio.
[2] https://www.radioradicale.it/scheda/749490/diritto-alla-verita-e-vittime-innocenti-di-mafia-tra-memoria-e-diritti-mancati
[3] R.G. Conti, Il diritto alla verità, fra amnistia, prescrizione e giurisprudenza nazionale della Corte edu e della Corte interamericana dei diritti umani, in R. Romboli e A. Ruggeri (a cura di), Corte europea dei diritti dell’uomo e Corte interamericana dei diritti umani: modelli ed esperienze a confronto. XI Giornate italo–spagnolo–brasiliane di Diritto Costituzionale, Messina 10–11 settembre 2018, Torino, 2019, p. 237 ss.; id., Il diritto alla verità nei casi di gross violation nella giurisprudenza Cedu e della Corte interamericana dei diritti umani, in Questione giustizia on line, 2019, p. 432.
[4] V., sul tema, diffusamente, D. Bacis, Il diritto alla verità nel dialogo tra Corti. Roma accoglie le suggestioni di San Josè de Costarica, in DPCE on line, 2018/2, 593 ss.
[5] Sulla configurazione del diritto alla verità in ambito internazionale, può ricordarsi che la Comunità autonoma dei Paesi Baschi ha adottato la Ley 12/2016. V., ancora, in modo ancora più incisivo, la Legge spagnola sulla memoria democratica n.20/2022, del 19 ottobre 2022, giunta a notevole distanza dalla dittatura franchista. Nel preambolo si sottolinea l'importanza della conoscenza della verità come diritto delle vittime e come elemento fondamentale per stabilire la giustizia e promuovere la riparazione, espressamente chiarendo nell’art.2 che “Esta ley se fundamenta en los principios de verdad, justicia, reparación y garantía de no repetición, así como en los valores democráticos de concordia, convivencia, pluralismo político, defensa de los derechos humanos, cultura de paz e igualdad de hombres y mujeres”. La Bosnia Erzegovina ha introdotto la Law on Missing Persons, approvata il 21 ottobre 2004, rivolta a garantire il pieno riconoscimento del diritto delle famiglie a conoscere la sorte dei propri cari scomparsi durante il conflitto del 1992-1995. Tale legislazione, pur ancora non pienamente attuata, come rilevato dal Parlamento europeo nella risoluzione del 12 luglio 2023 A9-0229/2023, in https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2023-0284_IT.html, costituisce uno strumento ispirato dal diritto alla verità invocato dai familiari delle migliaia di persone scomparse nel conflitto. Sui meno recenti provvedimenti normativi qui ricordati v., utilmente, F. Casafina, Politiche della memoria, vittime e diritti umani. Alcune riflessioni sulla legge Justicia y Paz e la Comisión Nacional de Reparación y Reconciliación in Colombia (2005-2011), in Nuovi autoritarismi, democrazie: diritto istituzioni, società, 2.2.2020.
[6] R. Conti, Appunti su alcuni aspetti della verità nel diritto, in Diritticomparati; id., Verità e Costituzione, Intervista ad Antonio Ruggeri, in www.accademia.it; id., Verità e diritto civile, Intervista ad Aurelio Gentili e Renato Rordorf; id., Sulla strada di Diritto, Verità e giustizia, Omaggio a Leonardo Sciascia, in questa Rivista; id., Prometeo, il potere, l’uomo e la giustizia fra l’umano e il divino, in Ordine internazionale e diritti umani, 2023, 482-487; id., Il mestiere del giudice e il diritto incordato di verità, in Accademia, 10 maggio 2023; id., Verità nelle relazioni familiari, Intervista a Gabriella Luccioli e Michele Sesta, Accademia, 16 settembre 2024; L. Sava, 21 marzo 2025, Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Due testimonianze a confronto. La mafia dal Sud. Caleidoscopio, in questa Rivista, 21 marzo 2025.
[7] M. Luciani, Itinerari costituzionali della memoria, in Riv.Trim. Dir. Pubb., fasc.2, 1° giugno 2023, 629.
[8] A proposito del ruolo delle Associazioni nella ricerca della verità v., ora, Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, dichiarazione del Presidente Mattarella, 21 marzo 2025, in www.quirinale.it: «Ricorrono trent’anni da quando Libera e altre associazioni hanno intrapreso un percorso importante di sensibilizzazione e mobilitazione civile fino a far sì che una legge dello Stato istituisse la “Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie”, per esprimere doverosa solidarietà nei confronti delle vittime innocenti uccise dalla mano mafiosa.»
[9] In generale, sul fine del processo penale v., Corte cost. n. 432/1992, Corte cost.n.111/1993, Corte cost.n.26/2008. Impareggiabili le riflessioni di G. Canzio sui “percorsi di verità” per la ricostruzione della prova scientifica e del fatto in ambito penale – tra gli altri scritti, La valutazione della prova scientifica fra verità processuale e ragionevole dubbio, in in Arch.pen., 2011, n.3, 1. Sul tema generale del rapporto fra verità e processo si è provato a ragionare in passato in R. Conti, Appunti su alcuni aspetti della verità nel diritto, in Diritticomparati, 3/2022, 26 e ss. Su diritto alla verità e incidenza nel diritto penale, anche in relazione all’emersione del concetto di obblighi positivi di matrice convenzionale v., utilmente, O. Barresi, L’endiadi “processo e verità”: i diritti fondamentali nel dialogo tra Corti sovranazionali, in Verità e giustizia nel processo penale atti del convegno di studi giuridici organizzato dalle università di Bologna, Buenos Aires e Roma tre (18-22 gennaio 2024), a cura di G. Fiorelli, E. Fronza, N. Guzmán, D. Ippolito, L. Marafioti, Romatre-press, 2025, 275.
[10] V., volendo, R. G. Conti, La funzione nomofilattica delle Sezioni Unite civili vista dall’interno (con uno sguardo all’esterno), in questa Rivista, 11 gennaio 2024.
[11] Proprio ai giornalisti Papa Francesco, in occasione del recente Giubileo della comunicazione, ha dedicato parole accorate di ringraziamento e di incoraggiamento, ricordando che “Un’informazione libera, responsabile e corretta è un patrimonio di conoscenza, di esperienza e di virtù che va custodito e va promosso. Senza questo, rischiamo di non distinguere più la verità dalla menzogna”
[12] Cfr. Corte Assise Caltanissetta, 20 aprile 2017 n.1595, ove si ricorda “l’attività svolta da Paolo Borsellino nei 57 giorni intercorrenti tra la strage di Capaci e la strage di Via D’Amelio si riferiva sia alla raccolta delle dichiarazioni rese da Gaspare Mutolo a seguito della sua scelta di collaborazione con la giustizia, sia alla gestione mafiosa degli appalti pubblici, sia ad una coraggiosa ricerca della verità sulle ragioni che avevano indotto "Cosa Nostra" a progettare e attuare l’eliminazione di Giovanni Falcone, a breve distanza di tempo dall’omicidio Lima-pag.696-.
[13] Ancora, Corte Assise Caltanissetta, cit., pag.1796, nel trasmettere i verbali dibattimentali contenenti alcune testimonianze raccolte nel corso del processo Borsellino quater, rimetteva al P.M. la valutazione sugli “elementi rilevanti per la difficile ma fondamentale opera di ricerca della verità nella quale la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta è impegnata.” V., anche, sul tema, A. Balsamo, Mafia. Fare memoria per combatterla, Milano, 2022.
[14] A. Mascherin, Prefazione a E. Randazzo, L’avvocato e la verità, Palermo, 2^ ed., 2015, 14.
[15] Cfr.Corte Ass.Caltanissetta, cit., che ricorda l’opera di Fiammetta Borsellino nella ricerca della verità. V., E. Morici, Le domande di Fiammetta Borsellino ancora senza risposta, in Libertà e giustizia, 24 gennaio 2019, https://www.libertaegiustizia.it/2019/01/14/le-domande-di-fiammetta-borsellino-ancora-senza-risposta/.
[16] Esemplare, in questo senso, l’inesauribile impegno dei familiari delle vittimi di crimini mafiosi attraverso l’Associazione Libera- v., tra le tante testimonianze, Diritti alla Verità, il primo podcast di Vivi, in https://www.libera.it/it-schede-1580-diritti_alla_verita_il_primo_podcast_di_vivi -. V., inoltre l’intervento della Signora Zakia Seddiki Attanasio, in occasione del 4^ anniversario della scomparsa dell’Ambasciatore, in https://www.mamasofia.org/nel-ricordo-di-luca-attanasio-vittorio-iacovacci-e-mustapha-milambo-un-impegno-che-continua/. Restando sempre alla vicenda Attanasio v. il ruolo dell’Associazione “Mamasofia” -https://www.mamasofia.org/-
[17] A. Borsellino-S. Palazzolo, Ti racconterò tutte le storie che potrò, Padova, 2013, 173.
[18] V. Intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione dell’incontro con i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, in www.quirinale.it.
[19] https://www.quirinale.it/elementi/80286.
[20] L. Pirandello, La verità, in Contro gli Avvocati, Palermo, 2019, 97 ss.
[21] L. Sciascia, Alfabeto pirandelliano, in Opere, a cura di P. Squillacioti, Milano, 2019, Vol. II, Tomo II, 972: “ci sono delle verità – frantumi, come di specchio di una ignorata verità – che una volta scoperte o incautamente confessate, possono avere echi imprevedibili e molteplici, effetti liberatori o micidiali: e sono le verità che rovesciano o disgregano le apparenze, le «menzogne convenzionali». Per altri richiami al tema della verità in Sciascia v, volendo, R. Conti, Sulla strada di Diritto, Verità e giustizia, Omaggio a Leonardo Sciascia, in questa Rivista, 2 settembre 2021.
[22] G. Bufalino, Le menzogne della notte, Milano, 1988, 152: Allora mi chiedo: io, chi sono? Noi, gli uomini, chi siamo? Siamo veri, siamo dipinti? Tropi di carta, simulacri increati, inesistenze parventi sul palcoscenico d’ una pantomima di cenere, bolle soffiate dalla cannuccia d’un prestigiatore nemico? Se così è, niente è vero. Peggio: niente è, ogni fatto è uno zero che non può uscire da sé. Apocrifi noi tutti, ma apocrifo anche chi ci dirige o raffrena, chi ci accozza o divide: metafisici niente, noi e lui, mischiati a vanvera da un recidivo disguido; nasi di carnevale su teschi colmi di buchi e d’assenza.
[23] Il riferimento alla produzione letteraria di Fenoglio consente di approfondire un ulteriore aspetto del tema che ruota attorno alla “verità”. Invero, anche la garanzia della non verità può, infatti, costituire un’esigenza da salvaguardare. Prospettiva, quella del diritto alla non verità, che sembra aleggiare nel pensiero del partigiano Milton tratteggiato da Beppe Fenoglio – Una questione privata, Torino, 2006 – quando dubita della relazione amorosa della sua donna con un comune amico, anch’egli impegnato al fronte. L’uomo che è per un verso bisognoso di conoscere la verità – “Avrebbe rinunciato a tutto per quella verità, tra quella verità e l’intelligenza del creato avrebbe optato per la prima… La verità. Una partita di verità tra me e lui. Dovrà dirmelo, da moribondo a moribondo” – per altro verso è capace di scorgere quanto sarebbe orribile conoscere la verità – «Se è vero…». Era così orribile che si portò le mani sugli occhi, ma con furore quasi volesse accecarsi” –. Il diritto alla “non verità” apre scenari di non marginale difficoltà, se solo si pensa alla possibilità, invero concreta, che tra le vittime di un medesimo fatto criminoso prevalga l’una prospettiva- quella della ricerca della verità – o l’altra- ad esempio quella di preferire il fare memoria del congiunto piuttosto che la individuazione dei responsabili del fatto criminoso.
[24] Diverse opere letterarie di Carofiglio hanno intercettato la questione della verità oggettiva e soggettiva-Testimone inconsapevole, Palermo, 2002, Della gentilezza e del coraggio, 2020-. Nella prima- 265- in particolare, da un lato scorre il tema del fine del processo penale – Il giudice di merito è tenuto a non trascurare che il fine primario del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità-. Ma dall’altro emerge quello di cosa sia la verità – 293 –: “fra il mentire – cioè dire consapevolmente cose false – e dire la verità cioè riferire i fatti in modo conforme al loro effettivo svolgimento – esiste una terza possibilità… Quella del teste che riferisce una certa versione dei fatti nella erronea convinzione che essa sia vera.”
[25] R. Conti, Sulla strada di Diritto, Verità e giustizia, Omaggio a Leonardo Sciascia, in questa Rivista, 2 settembre 2021.
[26] G. Scaramuzzo, Quella verità che rende umani: il canto edificante di Luigi Pirandello, in M. Geat, Il pensiero letterario come fondamento di una testa ben fatta, Roma TrE-press, 2017, 97 ss.
[27] L. Pirandello, Così è se vi pare: La verità la sa Dio solo. Quella degli uomini è a patto che tale la credano, quale la sentono.
[28] A. Guterres, International Day for the Right to the Truth Concerning Gross Human Rights Violations and for the Dignity of Victims (24 March), in https://www.un.org/en/observances/right-to-truth-day: “The International Day for the Right to the Truth Concerning Gross Human Rights Violations and the Dignity of Victims reminds us that truth is a powerful light. A light that shines on violations that perpetrators would prefer to remain hidden. A light that reveals a path towards peace, justice and reparation for victims, and compels countries to meet their obligations under international law. And a light that illuminates the underlying causes of these violations, so that we can prevent them from taking root. When the light of truth is extinguished, societies are plunged into a dark world of threat, lies and mistrust. Those who would violate human rights — those with intentions to harm, control and even kill — are emboldened to act with impunity. On this important day, we renew our commitment to lifting the veil on these gross violations, and helping societies heal divisions, reconcile in peace, and gather as one to support and protect the health, safety, dignity and opportunity of every person.…May his courageous fight for truth illuminate our own work to promote and protect human rights all around the world.”
[29] A. Napoli, Le verità nascoste del delitto Attanasio. L'inchiesta sulla morte dell'ambasciatore italiano in Congo, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell'autista Mustapha Milambo, Milambo, 2023.
[30] G.U.P. Tribunale Roma, 18 giugno 2024, in Omicidio Attanasio: difetto di giurisdizione, https://www.penaledp.it/omicidio-attanasio-difetto-di-giurisdizione/
[31] Attanasio, il padre dell’ambasciatore ucciso: “Ancora non c’è una verità su movente e mandanti”, in Il fatto quotidiano, 22 febbraio 2025.
[32] M. Correggia, Attanasio, quattro anni dopo «c’è bisogno di verità», Il manifesto, 22 febbraio 2025.
[33] Sia consentito il rinvio alla giurisprudenza richiamata in R. Conti, Il diritto alla verità, fra amnistia, prescrizione e giurisprudenza nazionale della Corte edu e della Corte interamericana dei diritti umani, cit.
[34] Si percepisce questa attenzione al fenomeno in una delle leggi che ha istituto una Commissione parlamentare di inchiesta per fare luce sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. All’art.1 lett. c) della l.n.202/2023 si chiarisce che l’organo parlamentare dovrà “esaminare e verificare fatti, atti e condotte commissive oppure omissive che possano avere costituito ostacolo o ritardo o avere portato ad allontanarsi dalla ricostruzione veritiera dei fatti necessaria all'accertamento giurisdizionale delle responsabilità connesse agli eventi, anche promuovendo azioni presso Stati esteri, finalizzate ad ottenere documenti o altri elementi di prova in loro possesso che siano utili alla ricostruzione della vicenda”. In questo comma si coglie quanto sia diventata pressante e urgente la messa in campo di strumenti capaci di mostrare uno Stato senziente, presente accanto a chi vive in ragione della ricerca di verità.
[35] Trib. Palermo n.4067/2011, ove si definisce il diritto alla verità dei parenti delle vittime quale “interesse a conoscere come e perché i loro congiunti sono morti ed anche perché tale conoscenza sia stata loro così evidentemente preclusa per trent’anni, quale esigenza la cui soddisfazione è indispensabile per potere definitivamente seppellire i loro morti, e compiutamente elaborare il lutto che è conseguito al disastro aereo di Ustica”.
[36] Trib. Palermo, 2 dicembre 2021, in cui è stata riconosciuta la lesione del “diritto dei parenti di poter conoscere la verità sulla tragica fine di persone care; espressione, in primo luogo, del diritto, di matrice costituzionale (artt.2 e 21), alla conoscenza”, ed ha aggiunto che “tale condotta integra, al contempo, una forma di lesione della dignità della persona attraverso la negazione della possibilità di ricostruire le vicende che hanno interessato le persone care e, quindi, anche una offesa contro la pietà dei defunti”. V., sulla sentenza, il commento di F. Molinaro, Il «danno da lutto» tra diritto alla verità, diritto alla manifestazione del proprio pensiero e diritto alla memoria del defunto, in Giustiziainsieme, 7 marzo 2022.
[37] Trib. Roma, 23 gennaio 2018 n.1562, in https://studiolegalegalasso.it/wp-content/uploads/2020/09/cervia-sentenza-tribunale-civile-di-roma.pdf.
[38] Cfr. Cass. pen., 15 luglio 2022, n.5675: “Neppure il collegio disconosce le richiamate decisioni della Corte EDU, che hanno affermato che, "laddove nelle indagini siano coinvolte accuse di gravi violazioni dei diritti umani, il diritto alla verità sulle circostanze rilevanti del caso non appartiene solo alla vittima del reato e alla sua famiglia, ma anche ad altre vittime di violazioni simili e al pubblico in generale, che ha il diritto di sapere cosa è successo…Deve, tuttavia, ribadirsi che sono proprio le esigenze rappresentate a dimostrare la correttezza di quanto rilevato, dovendo il perseguimento delle condotte criminose, anche se efferate e ignominiose quali quelle oggetto di imputazione, passare, in uno Stato di diritto, attraverso il rispetto delle regole del giusto processo regolato dalla legge, che si svolga nel pieno ed effettivo contraddittorio tra le parti.”
[39] V. Casillo, (Diritto alla) verità per Giulio Regeni: una lettura orientata di Corte cost., sentenza n. 192 del 2023, in AIC, n.4/2024, 6 agosto 2024; L. Acconciamessa, Balancing the Interest in Prosecuting International Crimes against the Fair Trial Guarantees: The Italian Constitutional’s Court’s Judgement in the Regeni Case on the Prosecution of Torture in Absentia, in International Criminal Law Review, 2024, 187.
[40]Cfr. Corte cost. n.192/2023: “Nella giurisprudenza sull’art. 3 CEDU, la Corte di Strasburgo ha più volte distinto un aspetto procedurale («procedural aspect») del divieto di tortura e un aspetto sostanziale («substantive aspect»), potendo tale divieto essere violato non soltanto dalla materiale inflizione di sevizie e crudeltà, ma anche dall’omesso svolgimento di un’indagine effettiva e completa sulla denuncia di tortura, giacché, quando l’indagine riguarda accuse di gravi violazioni dei diritti umani, il “diritto alla verità” («the right to the truth») sulle circostanze rilevanti del caso non appartiene esclusivamente alla vittima del reato e alla sua famiglia, ma anche alle altre vittime di violazioni simili e al pubblico in generale, che hanno il “diritto di sapere cosa è accaduto” (Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, sentenza 13 dicembre 2012, El-Masri contro ex Repubblica jugoslava di Macedonia; poi Corte EDU, sentenze 31 maggio 2018, Abu Zubaydah contro Lituania, e 24 luglio 2014, Al Nashiri contro Polonia). In altri termini, l’art. 3 CEDU esige una «efficient criminal-law response», senza la quale esso è violato nel «procedural limb», ancor prima che nell’aspetto sostanziale (Corte EDU, sentenza 16 febbraio 2023, Ochigava contro Georgia)…9.2.– Lo statuto universale del crimine di tortura – poc’anzi illustrato sulla base delle dichiarazioni sovranazionali e dei trattati – è connaturato alla radicale incidenza di tale crimine sulla dignità della persona umana, messa al centro del preambolo della Convenzione di New York contro la tortura. La denunciata lacuna normativa, precludendo l’accertamento giudiziale della commissione dei reati di tortura, offende quindi la dignità della persona, e ne comprime il diritto fondamentale a non essere vittima di tali atti; con la precisazione che, a sensi della direttiva (UE) 2012/29 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI, «vittima» è anche il familiare della persona la cui morte sia stata dal reato stesso direttamente causata (art. 2, paragrafo 1, lettera a, punto ii). 9.3.– Pertanto, la lacuna normativa denunciata dal rimettente viola l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione alla Convenzione di New York contro la tortura; ma viola anche l’art. 2 Cost., in quanto, impedendo sine die la celebrazione del processo per l’accertamento del reato di tortura, annulla un diritto inviolabile della persona che di tale reato è stata vittima. Invero, nello statuto eccezionale del crimine in questione, il diritto all’accertamento giudiziale è il volto processuale del dovere di salvaguardia della dignità.”
[41] Su tale questione v. G. Ruta, Il segreto di Stato nella giurisprudenza costituzionale e di legittimità, Relazione tenuta ad un incontro di studi presso la SSM, Firenze, 21 aprile 2022 e, diffusamente, A. Spataro, Ne valeva la pena, Roma, 2010.
[42] V., ancora, le conclusioni di V. Cassillo, (Diritto alla) verità per Giulio Regeni: una lettura orientata di Corte cost., sentenza n. 192 del 2023, cit. : “avvalendosi del concetto di diritto alla verità – e sopperendo alla sua caratteristica vaghezza attraverso il richiamo alla giurisprudenza delle corti dei diritti umani – la Corte costituzionale fornisce una soluzione concreta alla questione sottopostale, in maniera coerente con quelle dimensioni di verità individuale e collettiva evocate in sentenza.
[43] Va chiarito che l’espressione nel testo è stata, ancora una volta, usata in modo provocatorio, giusto per prevenire chi volesse trovarvi intenti eversivi che, ovviamente, sarebbero fuorvianti.
[44] V., sul tema della disobbedienza del giudice l’intervista di chi scrive a G. Silvestri, V. Militello e D. Galliani, su Il giudice disubbidiente del terzo millennio, in Giustiziainsieme, 5 giugno 2019.
[45] V., volendo, R. Conti, Dall’uso alternativo all’uso cooperativo del diritto nell’esperienza di un giudice comune, in Sistemapenale, 25 giugno 2024.
[46] A. Morelli, su I paradossi della fedeltà alla Repubblica, Milano, 2013.
[47] Sul tema dei rapporti fra diritti e doveri sia consentito rinviare a Doveri dell’uomo da Mazzini ad oggi: opinioni a confronto, all’interno della saga di interviste raccolte con L. Trucco, A. Ruggeri, L. Salvato, I. Nicotra, R. Rordorf, pubblicate su questa Rivista -v. l’editoriale in https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-societa/2207-doveri-dell-uomo-da-mazzini-ad-oggi-opinioni-a-confronto-luigi-salvato-.
[48] F. Viola, L’et et, in Paradoxa, 3-2023, 58.
[49] A. Napoli, Le verità nascoste del delitto Attanasio, cit., 8.
[50] E. Randazzo, L’avvocato e la verità, cit., 99.
[51] E. Randazzo, L’avvocato e la verità, cit., 99.
[52] V., sul punto, M. Cassano, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2024, in https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/Sintesi_Relazione_Prima_Presidente_A.G_2025.pdf, 6.
[53] V. intervista di R. Conti a A. Ruggeri, Verità e Costituzione, cit., 829.
[54] È lo stesso A. Ruggeri, op. ult. cit., a mettere in guarda dal pericolo paventato nel testo nell’intervista citata alla nota precedente: “Vedo, però, un inconveniente dalla sua esplicitazione nella Carta, che non posso qui tacere; ed è che potrebbe maturare l’erroneo convincimento che si tratti di previsione avente invece carattere sostanzialmente innovativo, portando perciò al riconoscimento di un diritto che dapprima non c’era. Il rischio, insomma, cui si va incontro è quello della delegittimazione della Carta preesistente e dell’ordinamento sulla stessa fondato nella loro interezza: come se il prima fosse stato governato dalla menzogna istituzionalizzata e il dopo possa finalmente svolgersi all’insegna della verità.
[55] V., sul tema dei nuovi diritti, ripetutamente A. Ruggeri, da ultimo in Separazione dei poteri e dinamiche della normazione, in “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti XXVIII, Studi dell’anno 2024, Torino, 2025, 123.
[56] Davvero significative, le “parole” riportate nel preambolo alla Lelle sulla memoria democratica spagnola, sopra ricordata: “La ciudadanía tiene actualmente el derecho inalienable al conocimiento de la verdad histórica sobre el proceso de violencia y terror impuesto por el régimen franquista, así como sobre los valores y los actos de resistencia democrática que llevaron a cabo quienes cayeron víctimas de su represión. Frente a esta experiencia histórica, esta ley tiene un doble objetivo. Por un lado, pretende fomentar el conocimiento de las etapas democráticas de nuestra historia y de todas aquellas figuras individuales y movimientos colectivos que, con grandes sacrificios, fueron construyendo progresivamente los nexos de cultura democrática que permitieron llegar a los acuerdos de la Constitución de 1978, y al actual Estado Social y Democrático de Derecho para defender los derechos de los españoles, sus nacionalidades y regiones. Por otro lado, esta ley persigue preservar y mantener la memoria de las víctimas de la Guerra y la dictadura franquista, a través del conocimiento de la verdad, como un derecho de las víctimas, el establecimiento de la justicia y fomento de la reparación y el establecimiento de un deber de memoria de los poderes públicos, para evitar la repetición de cualquier forma de violencia política o totalitarismo”.
Immagine: particolare da L’albero di melograno da un Tacuinum Sanitatis del 1380.