La violenza di genere e gli stereotipi contro le donne in Italia
di Silvia Fornari
Parole chiave: violenza di genere – stereotipi – donne italiane.
Abstract: La gender based violence (GBV), è un fenomeno la cui dimensione ancora non emerge totalmente. Si tratta di una violazione diffusa e sistematica dei diritti umani fondamentali e una forma duratura di discriminazione basata sul genere. Le ricerche sul tema mostrano lo stretto legame con l’interiorizzazione sociale delle forme di dominio simboliche prodotte dalla cultura dominante attraverso l’uso degli stereotipi di genere e sessisti.
Sommario: 1. Breve introduzione - 2. Quali disuguaglianze e quali stereotipi di genere - 3. La costruzione di un’identità paritaria.
1. Breve introduzione
La gender based violence (GBV), è un fenomeno la cui dimensione ancora non emerge totalmente. Nel 1995, durante i lavori della quarta Conferenza delle Nazioni Unite a Pechino, si è sottolineata l’esistenza di soggettività fino ad allora destinate al nascondimento e alla subordinazione. La complessità della relazionalità maschile e femminile mostra e giustifica la superiorità dei posizionamenti maschili, attraverso l’interiorizzazione sociale del dominio simbolico (Bourdieu 1998). Nella sottomissione della donna la violenza di genere trova una risposta, anche in considerazione del fatto che la stessa è definita come una violazione diffusa e sistematica dei diritti umani fondamentali e una forma duratura di discriminazione basata sul genere. Dalla dichiarazione dell’ONU emerge l’idea ormai condivisa che la violenza contro le donne sia di fatto «la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna, che ha portato al dominio dell’uomo sulle donne e alla discriminazione contro di loro, e ha impedito un vero progresso nella condizione delle donne» (Ventimiglia 1987). Senza dimenticare che la riproduzione della violenza di genere si determina attraverso un dispositivo che Bourdieu chiama “violenza simbolica” (1998), che rende invisibili le diseguaglianze e le asimmetrie in cui si situano le violenze. Seguendo questa linea, proprio perché la violenza è un fatto culturale e politico che attiene ai rapporti di potere e alle diseguaglianze di genere in tutti gli ambiti di vita degli uomini e delle donne, non possiamo continuare a pensarla come un destino biologico. La violenza si può dismettere, tenendo fede a quanto dichiarato dalla Convenzione di Istanbul del 2011, ratificata anche dall’Italia il 27 giugno 2013.
2. Quali disuguaglianze e quali stereotipi di genere
Se la violenza di genere non è un destino biologico, ma un dato culturale e sociale, giocano un ruolo centrale le disuguaglianze e gli stereotipi di genere riprodotte all’interno dei processi di socializzazione primaria e secondaria. Trattandosi di un processo che vede coinvolti tutti e tutte in diverse fasi della vita, siamo continuamente influenzati/e e definiti/e dalle agenzie di socializzazione. Tutte le diverse agenzie, formali e informali (famiglia, scuola, politica, religione, mezzi di comunicazione, ecc.) influenzano la costruzione dell’identità maschile e femminile. In una cultura patriarcale e sessista viene veicolata una rappresentazione del genere femminile sottomesso al potere maschile, elaborando l’oggettivazione del corpo femminile, in cui «le donne esistono innanzitutto per e attraverso lo sguardo degli altri, cioè in quanto oggetti accoglienti, attraenti, disponibili. Da loro ci si attende che siano “femminili”, cioè sorridenti, simpatiche, premurose, sottomesse, discrete, riservate se non addirittura scialbe. E la pretesa “femminilità” non è spesso altro che una forma di compiacenza nei confronti delle attese maschili, reali o supposte, soprattutto in materia di esaltazione dell’ego» (Bourdieu 1998: 80).
La categoria del genere ha consentito di superare l’innatismo che giustificava da sempre l’esclusione delle donne, svelandone la sua costruzione sociale; far uscire la componente femminile dall’invisibilità presunta; far emergere la disuguaglianza tra maschi e femmine nei diversi campi in cui si manifestano e come poterle oltrepassare. Il superamento della sottomissione del femminile parte dalla lettura congiunta dei fenomeni, in quanto l’una e l’altra parte sono in rapporto secondo un ordine gerarchico che avvantaggia il maschile. La lettura del duplice carattere sessuato della vita sociale e delle disuguaglianze che vengono prodotte è una delle nuove chiavi di lettura e interpretazione della complessa realtà sociale odierna (Zanfrini 2011).
Una complessità in cui il nostro immaginario quotidiano si forma attraverso i processi di astrazione e definizione della realtà, ovvero con e grazie agli stereotipi. Forme predefinite, fisse, che si imprimono nella memoria, nel pensiero, nella cultura, nelle relazioni; una forma di semplificazione rozza, con la quale si pretende di descrivere una realtà molto più complessa. Nel nostro paese è stato posto all’attenzione anche dall’ISTAT l’influenza degli stereotipi di genere in relazione ai casi di violenza di genere (https://www.istat.it/it/files//2019/11/Report-stereotipi-di-genere.pdf). Dall’indagine emerge la presenza nella nostra cultura di stereotipi di genere legati ai ruoli svolti dalle donne e dagli uomini nella nostra società italiana. Emerge soprattutto il radicamento degli stessi che esposti insieme all’atteggiamento della società verso i comportamenti violenti, giustificati dalla cultura maschilista e patriarcale, ci offrono le chiavi per leggere il fenomeno della violenza di genere. Inoltre, non possiamo dimenticare che la violenza contro le donne e in particolare della violenza domestica, sono fenomeni multiformi e complessi, radicati nella cultura di genere ed è per questo che si rende necessario rilevare i modelli stereotipati legati ai ruoli delle donne e degli uomini così come l’immagine sociale della violenza. Solo attraverso la conoscenza dei nostri comportamenti differenziati è possibile comprendere le cause della violenza e monitorarle nel tempo, al fine di valutare, almeno parzialmente, l’impatto sulla popolazione delle politiche inerenti alla prevenzione della violenza in termini di cambiamento culturale. Non dimentichiamo che gli stereotipi svolgono una funzione cognitiva e orientativa, permettendo la previsione degli eventi sulla base del sistema sociale e culturale di riferimento. Lo stereotipo è anche l’anticamera del pregiudizio, il quale ritorna nella dimensione normativa del vivere sociale (Sacca 2021). Anche per questa ragione una società patriarcale e sessista con fatica riesce a porre come centrali le politiche paritarie per gli uomini e per le donne nei diversi settori di vita (istruzione, lavoro, politica, ecc.), tali da permettere l’emancipazione di quella più svantaggiata (Biemmi, Leonelli 2016).
3. La costruzione di un’identità paritaria
La costruzione dell’identità femminile e maschile non può quindi prescindere dallo scambio dei due mondi in senso simbolico e sociale, nel superamento di stereotipi consolidati. Riuscire a cambiare i riferimenti stereotipati che vanno a influenzare le nostre scelte di vita, porterebbe alla liberazione primariamente delle donne, aiutandole nel processo di emancipazione e superamento delle barriere che le si interpongono nel corso della vita. Sono le nuove generazioni, di ragazze e ragazzi ancora in divenire che possiamo aiutare a oltrepassare preconcetti e chiusure mentali.
In questo quadro le nuove generazioni, cresciute in un mondo democratico e paritario, in cui tutte le battaglie per il raggiungimento dei diritti sono state conquistate da altri e spesso date per scontate, sono realmente scevre da stereotipi nei confronti delle disuguaglianze di genere?
L’educazione e la formazione continua sono i principali strumenti per proporre una lettura alternativa della visione stereotipata dei due generi (la donna dolce e accogliente, l’uomo freddo e dominante) (Gianini Belotti 1973). Una gerarchizzazione tra i sessi che condiziona, anche inconsapevolmente, i nostri comportamenti e ci costringe a non vedere dove e come nasce la relazione “vittima-carnefice”. Il superamento della contrapposizione e della competizione tra i generi sarà possibile quando entrambi riusciranno a leggere il proprio ruolo politico e sociale sulla base del sostegno e della reciprocità (Mapelli, 2017).
Si tratta di proporre schemi educativi volti al rispetto della differenza spostando lo sguardo, per riuscire a dare significato all’agire educativo, in quanto la differenza sessuale non è un contenuto. La dualità del mondo (Irigaray 1992), in quanto composta di uomini e donne, deve rimanere centrale se l’obiettivo è la crescita delle persone, nella visione relazionale senza far prevalere la visione dell’uno e dell’altro come prevalente, ma in uno scambio continuo. Educare nella differenza equivale a tenere in considerazione entrambi i mondi culturali, quello del femminile e quello del maschile (Ciccone 2009; Connell 1995), senza pretesa di evitamento e/o azzeramento dell’uno o dell’altro (Heritier 1997). Superare le discriminazioni culturali e di conoscenza vuol dire mostrare che oltre ai modelli presenti, che costituiscono la tradizione culturale maschile, vi è una visione femminile, che non vuole sostituirsi a quella maschile, ma che chiede di essere conosciuta, mostrata e criticata. Far conoscere nella sua complessità la visione del femminile significa anche riuscire a superare lo stereotipo dell’immagine della donna, trasmessa da secoli di tradizioni, in due immagini opposte: quella positiva della donna angelica, dedita alla famiglia e al focolare domestico; quella negativa della donna "diavolo tentatore". In mezzo vi è un mondo di sfumature, quelle delle donne che quotidianamente si muovono nel mondo e che tra cura e lavoro costruiscono e partecipano alla rappresentazione delle tante immagini del femminile. Le ragazze, ma anche i ragazzi, così come le bambine e i bambini, devono e possono essere stimolati a costruire la loro identità di genere solo se riusciranno a ricevere gli strumenti per leggere senza preconcetti il mondo circostante. Le parole necessarie per realizzare questo passaggio di consegne sono ancora oggi quelle di Virginia Wolf, che ha dimostrato con il suo impegno quotidiano quanto fosse necessario intervenire e cambiare il processo di produzione culturale unico ed indiscutibile, quello “maschile”: “Poiché c'è dietro la testa un posticino non più grande di una moneta da uno scellino, che non riusciamo mai a vedere da soli. Ed è quello uno dei servizi che il nostro sesso può rendere all’altro sesso: descrivere quel posticino non più grande di uno scellino dietro la testa. [...] Pensate con quanta umanità e con quanta eleganza gli uomini, dalle origini del mondo, hanno indicato alle donne quel posto buio dietro le loro teste! [...] Non si può dipingere un ritratto vero dell’uomo nella sua integrità, finché una donna non ha descritto quella macchia non più grossa di uno scellino” (Woolf 1998).
Bibliografia
Biemmi I., Leonelli S. (2016), Gabbie di genere. Retaggi sessisti e scelte formative, Rosenberg & Sellier, Torino.
Bourdieu P. (1998), Il dominio maschile, Feltrinelli, Milano.
Ciccone S. (2009), Essere maschi. Tra potere e libertà, Rosenberg & Sellier, Torino.
Connell R. W. (1995), Maschilità, Feltrinelli, Milano;
Gianini Belotti E. (1973), Dalla parte delle bambine. L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita, Feltrinelli, Milano.
Héritier F. (1997), Maschile e femminile. Il pensiero della differenza, Laterza, Roma-Bari.
Irigaray L. (1992), Io tu noi. Per una cultura della differenza, Bollati Boringhieri, Torino.
Mapelli B. (2017), Nuove intimità. Strategie affettive e comunitarie nel pluralismo contemporaneo, Rosenberg & Sellier, Torino.
Sacca F. (2021), Stereotipo e pregiudizio, La rappresentazione giuridica e mediatica della violenza di genere, FrancoAngeli, Milano.
Sartori F. (2009), Differenze e disuguaglianze di genere, il Mulino, Bologna.
Ventimiglia C. (1997). “Interrogarsi come genere. Perché la violenza maschile”, Rivista di Sessuologia (2), 145-154.
Woolf V. (1998), Una stanza tutta per sé, Mondadori, Milano.
Zanfrini L. (2011), Sociologia delle differenze e delle disuguaglianze, Zanichelli, Bologna.