Osservazioni sul disegno di legge delega di riforma del processo civile
di Giuliano Scarselli
Testo dell’audizione alla Camera dei Deputati sulla riforma del processo civile
1. Immagino che questa audizione sia finalizzata ad acquisire osservazioni tecniche specifiche, relative a singoli punti contenuti nel disegno di legge delega di riforma del processo civile.
A questo mi atterrò; mi siano tuttavia consentite alcune brevissime osservazioni preliminari.
a) La prima è che questa riforma non è pertinente, a mio parere, con l’obiettivo che intende perseguire, ovvero con l’esigenza di ridurre i tempi del processo.
Modificare il rito non serve per ridurre i tempi del processo, e le numerosissime riforme che si sono avute negli ultimi trenta anni lo dimostrano in modo inconfutabile.
Se vogliamo ridurre i tempi del processo, solo un intervento va posto in essere, ed è quello di aumentare il numero dei magistrati.
E’ una cosa così semplice che anche un bambino è in grado di capirla.
D’altronde, se a fronte di 2 milioni di nuove cause in Tribunale all’anno, abbiamo circa 10.000 magistrati, di cui parte sono addetti all’Ufficio della Procura della Repubblica, parte sono giudici che si occupano del penale, parte sono fuori ruolo o non attivi per ragioni varie, cosicché, si ritiene, che circa solo 3.000 magistrati, e non di più, si occupino, per tutti i gradi di giudizio, del contenzioso civile, non si vede proprio come i processi possano durare un tempo ragionevole, se 3.000 magistrati debbano far fronte ad un contenzioso di 2 milioni di cause ogni anno.
Ma su questo niente si trova nel disegno di riforma in commento.
b) Assai pericolose sono poi le novità in tema di Ufficio del processo.
La giustizia è amministrata in nome del popolo, e quindi non può essere delegata ad un team di giovani, per quanto coordinati da un magistrato, appena usciti dalle università, assunti a tempo determinato e con compensi minimi; la giustizia deve essere resa personalmente dai magistrati, secondo scienza e coscienza, così come è sempre stato.
E tanto è più pericoloso l’ufficio del processo, quanto più si penserà ad esso in termini di riduzione dei tempi processuali, perché ogni tempo guadagnato con esso equivarrà ad una semplificazione della funzione giurisdizionale.
I Tribunali non sono aziende, e l’idea che il primo obiettivo da perseguire sia solo, o soprattutto, quello della brevità dei tempi, attraverso una standardizzazione aziendalistica delle decisioni, costituisce, a mio parere, un vulnus.
c) La riforma della famiglia contiene anch’essa, a mio sommesso parere, aspetti preoccupanti.
Lunghissima oltre ogni misura, essa non rappresenta solo una riforma della procedura, bensì costituisce significativo intervento nei rapporti tra giudice e famiglia, immaginando una invadenza nella sfera dei privati che a mio parere, prima di essere approvata, necessitava di riflessioni che non vi sono state.
Peraltro, l’obiettivo doveva essere quello di estendere le regole del “giusto processo” ai giudizi dinanzi ai Tribunale per i minorenni; al contrario qui si sono estese le regole officiose del Tribunale per i minori a tutte le controversie di famiglia.
Non possono modificarsi i rapporti tra Stato e famiglia senza che ciò sia preceduto da idonea discussione; non possono darsi cambiamenti così forti e incisivi con decisioni unilaterali e frettolose.
d) Non condivisibile è altresì l’insieme della disciplina della mediazione e/o conciliazione.
Essa è onnipresente, non v’è momento del processo, fase, grado, nel quale non si faccia riferimento ad essa.
E’ una mediazione che si trova dappertutto, in ogni procedura, dinanzi ad ogni giudice.
Non è pensabile che le parti che vogliono giustizia, e chiedono che il giudice prenda una decisione, debbano in continuazione, e in innumerevoli e infiniti momenti, trovarsi dinanzi all’onere di dover mediare e/o conciliare, pena sempre minacce economiche più o meno dirette, o pena sopportazione di giudizi di rimprovero morale, come se l’esercizio del diritto di azione costituisse un capriccio.
La riforma non disciplina la mediazione solo al punto 4, dedicato ad essa, ma anche al punto 5. lettera l) per la conciliazione in prima udienza, e alla lettera m) per la facoltà del giudice di proporre una conciliazione fino al momento in cui trattiene la causa in decisione, al punto 8 lettera l) per la conciliazione dinanzi al giudice dell’appello, al punto 18 lettera b) 1, circa i compiti degli addetti all’ufficio del processo, tra i quali vi è anche quello della “selezione dei presupposti di mediabilità della lite”, al punto 22, lettera b) sulle modifiche da apportare alla legge 24 marzo 2001 n. 89, al punto 23 lettera f) sui procedimenti in materia di persone e famiglia, che fa riferimento alla possibilità di avvalersi della mediazione familiare, lettera l) sui tentativi di conciliazione, lettere o) e p), ove il mediatore familiare è istituzionalizzato con un elenco presso ogni tribunale, ecc……
Alla fine, sembra quasi che il cuore del processo civile sia la mediazione, non il giudizio; ma ritenere che la tutela dei diritti avvenga in primo luogo mediando, e solo dopo con l’esercizio della funzione giurisdizionale è una svolta epocale, un mutamento forte dell’organizzazione sociale, che credo sia discutibile, e che personalmente non condivido.
2. Ciò premesso, vengo ai singoli punti:
- Al punto 5. lettera i1) si prevede che “nel corso dell’udienza di comparizione le parti devono comparire personalmente ai fini del tentativo di conciliazione previsto dall’art. 185 c.p.c.”
Poiché conciliare la lite è atto volontario, e poiché non mancano nel processo momento con i quali indurre le parti a conciliare, v’è da ritenere preferibile l’attuale disciplina dell’art. 185 c.p.c., in base alla quale la comparizione personale delle parti ai fini della conciliazione si ha solo in ipotesi di congiunta richiesta delle stesse.
Altrimenti questa novità rischia di ingolfare le prime udienze, come già avvenne con la riforma del 26 novembre 1990 n. 353, facendo partecipare all’udienza una miriade di parti senza esiti utili, e con evidente e consequenziale aggravio e dispendio di tempi processuali.
- Al punto 5. lettera l 2.2.) si prevede che il giudice, trattenuta la causa in decisione “assegni termini perentori non superiori a trenta e quindici giorni prima di tale udienza per il deposito rispettivamente delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, salvo che le parti non vi rinuncino espressamente”.
Questa svalorizzazione delle comparse conclusionali non può, a mio parere, trovare consensi.
La riduzione a metà dei termini per il deposito delle memorie non trova giustificazione alla luce del fatto che corre normalmente lungo tempo dall’udienza di chiusura dell’istruzione e quella di chiusura del giudizio; e può essere, invece, tale riduzione, lesiva del diritto all’azione e alla difesa.
Ne’ si vede perché la legge dovrebbe ricordare alle parti che possono rinunciare all’esercizio di questo importante diritto difensivo.
La disciplina attuale è preferibile.
- Al punto 17, lettera d), è previsto che gli atti giudiziari degli avvocati e dei giudici, debbano assicurare “la strutturazione in campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo, nel rispetto dei criteri e dei limiti stabiliti con decreto adottato dal Ministro della giustizia”.
Si tratta di precisare che la strutturazione in campi può aver ad oggetto le sole informazioni formali del giudizio (nomi delle parti, indicazione dell’ufficio giudiziario, materia oggetto del contendere, ecc….) non i dati attinenti all’esercizio dell’azione o della funzione giurisdizionale.
Va escluso che le parti possano un domani trovarsi ad esercitare il diritto di difesa con l’obbligo di utilizzare moduli predisposti dal Ministero della Giustizia; gli strumenti telematici e/o informatici possono essere utilizzati per facilitare gli adempimenti pratici delle attività giudiziarie, ma, oltre ciò, essi non possono essere pensati ne’ per condizionare o limitare l’esercizio del diritto di azione da parte degli avvocati, ne’ per limitare e/o circoscrivere lo ius dicere del giudice.
- Al punto 18, lettera b) 1 è previsto che gli addetti alla struttura dell’ufficio del processo, fra i vari compiti, abbiano anche quello della “predisposizione di bozze di provvedimenti”.
Si tratta, a mio parere, di un compito da cancellare.
Ed infatti, se si instaurerà la prassi che i provvedimenti vengono redatti in bozza dagli addetti all’ufficio del processo, il rischio sarà quello che i giudici non scriveranno più i provvedimenti, ma solo correggeranno quelli scritti dai loro assistenti.
Si tratterebbe di una novità dirompente, poiché una cosa è studiare un fascicolo direttamente e redigere personalmente il consequenziale provvedimento, altra cosa farsi illustrare da un addetto i fatti di causa, lasciare a questi la redazione del provvedimento, e poi, se del caso, apporre delle correzioni.
Peraltro, così come gli addetti dell’ufficio del processo in cassazione non hanno questo compito (confronta infatti il punto lettera c) 2.2.), allo stesso modo ciò deve valere anche per la giustizia di merito, poiché anch’essa, resa sui diritti dei cittadini, merita eguale attenzione e dignità.
- Al punto 21, in tema di sanzioni processuali per abuso del processo, si legge: “prevedere il riconoscimento all’amministrazione della giustizia quale soggetto danneggiato nei casi di responsabilità aggravata e conseguentemente, specifiche sanzioni a favore della cassa delle ammende”.
Altre sanzioni economiche sono poi sparsamente previste in questa riforma: al punto 23, nel processo in materia di famiglia, sono previste “sanzioni per il mancato deposito della documentazione”, e poi ancora “sanzioni per la mancata comparizione senza giustificato motivo”, ecc….
Osservo che in tutta la storia del processo civile fino ad oggi la responsabilità aggravata non è mai stata considerata illecito commesso contro l’amministrazione della giustizia, bensì, al più, contro l’avversario della lite; ed inoltre, se la responsabilità aggravata dovesse davvero assumere i connotati di un illecito amministrativo, allora questa dovrebbe necessariamente altresì essere disciplinata dalla legge nella sua tipicità, non rimessa alla discrezione del giudice con il generico concetto di “responsabilità aggravata”.
Non può ammettersi un illecito amministrativo rimesso a libera discrezione del giudice, privo di individuazione legale della fattispecie.
A maggior ragione ciò è inammissibile con riferimento al mondo giudiziario, che è un mondo di cose e idee del tutto relative, un mondo fatto di infinite sfumature di grigio, che taluni vedono più chiare, altri più scure.
Diceva Salvatore Satta che “se la forza della matematica è quella di non essere un’opinione, la forza del diritto è invece propria quella di essere un’opinione”.
Tutti possono errare nel muoversi nel mondo giudiziario, gli avvocati possono errare, ma anche i giudici possono farlo.
Mancini, ancor prima dell’unità d’Italia, scriveva che “l’amministrazione giudiziale e la garanzia dei diritti è il primo e più sacro debito dell’autorità sociale” e che, se si introducono ostacoli, costi o sanzioni all’esercizio dell’azione in giudizio, allora “una comune prudenza determinerà sovente il cittadino a sopportare in pace torti anche gravi piuttosto che ricorrere a mezzi cotanto onerosi di riparazione. Allora le liti diverranno il lusso dei ricchi, la giustizia un loro privilegio e non un bene ed un diritto egualmente garentito a tutti” (in Mancini – Pisanelli – Scialoja, Commentario del codice di procedura civile per gli stati sardi, Torino, 1855, II, 9).
E dunque, terrorizzare i cittadini per le conseguenze economiche che l’aver adito il giudice possa avere, non è solo da considerare incostituzionale ai sensi dell’art. 24 Cost., ma incostituzionale anche ai sensi dell’art. 3 Cost., poiché impedisce soprattutto alle classi sociali più deboli di rivolgersi al giudice.
- Al punto 23, dedicato alla riforma dei processi in materia di famiglia:
- alla lettera b) prevede che “in presenza di allegazione di violenza domestica o di genere”, ecc……. discendano misure di salvaguardia delle vittime.
La norma è giustissima nella misura in cui tende a reprimere ogni forma di violenza, ma i provvedimenti restrittivi non possono discendere da una semplice allegazione e devono al contrario trovare riscontro in una prova, quanto meno sommaria e/o prima facie, della sussistenza della violenza allegata.
- alla lettera c) si prevede che, nei tribunali per i minorenni, il giudice relatore, ovvero un giudice monocratico, possa tenere udienza anche delegandola a giudici onorari, a seguito delle quali possono essere poi adottati provvedimenti decisori, anche provvisori.
La delicatezza dei provvedimenti, sconsiglia che questi possano essere decisi da un giudice monocratico.
- alla lettera f) si prevede che il ricorso introduttivo debba necessariamente indicare “un piano genitoriale che illustri gli impegni e le attività quotidiane dei minori, relativamente alla scuola, al percorso educativo, alle eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e ricreative, alle frequentazioni parentali e amicali, ai luoghi abitualmente frequentati, alle vacanze normalmente godute”.
V’è al contrario da ritenere che il sindacato sulla vita di una famiglia non possa spingersi fino a questi dettagli, e/o che lo Stato, tramite il giudice, non abbia il diritto di conoscere e decidere financo sulle vacanze, sullo sport, sui luoghi o le persone che si frequentano, ecc…
- al punto ff) si prevede che per questi processi si adottino “puntuali disposizioni per regolamentare l’intervento dei servizi socio-assistenziali o sanitari, in funzione di monitoraggio, controllo e accertamento”.
Ritengo sia disposizione generica e pericolosa, e che, tutto al contrario, si debbano invece indicare in modo specifico i casi, da considerare eccezionali, nei quali sia opportuno l’intervento socio-assistenziale, quelli nei quali sia necessario attivare il servizio sanitario e per quali finalità, infine precisando che tutti detti servizi non possono adempiere a funzioni di monitoraggio, e che comunque ogni dato deve esser se del caso trattato nel rispetto della riservatezza.