La giustizia civile al tempo della pandemia (Sulla approvazione da parte del Senato del ddl 21 settembre 2021)
di Giuliano Scarselli
“Se Dio ci inviasse di sua mano i nostri governanti, converrebbe prestar loro obbedienza di gran cuore”.
(Blaise Pascal, citato da Lodovico Mortara, ne La lotta per l’eguaglianza, 1888)
Sommario: 1. Premessa. Le recenti vicende - 2. Segue: una brevissima sintesi delle novità più rilevanti - 3. Il nuovo processo civile nello spirito della pandemia - 4. Sull’art. 2 Costituzione.
1. Premessa. Le recenti vicende
Questa la breve, recentissima storia, del nostro processo civile.
Il Governo nomina una commissione affinché rediga un progetto di riforma.
La commissione, evidentemente formata da giuristi non invisi al Governo se da questo nominati, redige in poco tempo il progetto, ma il Governo lo condivide solo in parte, e quindi lo recepisce non integralmente.
Lo stesso presidente di quella commissione, in più di una occasione, ha modo di sottolineare che la prima riforma da fare per ridurre i tempi del processo è quella di aumentare il numero dei magistrati; ma di questa cosa nessuno parla, e niente in tal senso è previsto da questo progetto, che dovrebbe essere finalizzato, appunto, a contenere la durata del contenzioso civile.
Il progetto, così recepito e così confezionato, è reso pubblico, ed esso riceve critiche piuttosto numerose e conformi, tanto dalla dottrina, quanto dall’avvocatura, e da parte della magistratura.
Altri processualisti, in quei giorni, ribadiscono che per ridurre i tempi del processo la prima cosa da fare è, ovviamente, quella di aumentare il numero dei giudici.
Il Governo, tuttavia, non si preoccupa, se non marginalmente, di queste critiche e di questi commenti, e presenta in modo sostanzialmente invariato il suo progetto di riforma al Senato.
Arrivato al Senato, il Senato è tenuto ad approvare il progetto senza discussione parlamentare, in quanto su esso viene messa da parte del Governo la fiducia.
In questo modo, e in queste condizioni, il Senato, approva il disegno di legge delega di riforma del processo civile in data 21 settembre 2021; il tutto, sia consentito, in una situazione che può apparire grottesca, poiché ai sensi dell’art. 76 Cost., una legge delega dovrebbe essere una legge con la quale il Parlamento delega il Governo a fare un decreto legislativo nel rispetto di certi principi; qui è il Governo che, imponendo la legge al Parlamento, di fatto delega sé stesso a fare quella medesima cosa.
E, sempre al fine di evitare la discussione parlamentare, il disegno di legge delega viene riscritto, seppur con analogo contenuto, in un solo articolo a fronte di 16 articoli che conteneva il progetto n. 1662.
Questo unico articolo approvato dal Senato è lungo ben 39 pagine!
E ora noi, cosa dovremmo fare?
Dovremmo fare l’esegesi delle norme e valutare se esse si applicano in un certo modo piuttosto che in un certo altro?
Dovremmo procedere, con libertà di spirito interpretativo, a dare la nostra visione di questa riforma?
Io non lo farò.
Io credo che in un contesto del genere non sia dignitoso farlo.
Qualcosa che nasce così, a mio parere, impedisce ogni commento ermeneutico; non si può discutere delle piccole cose senza tenere in considerazione le più grandi.
Quando qualcuno chiederà ad un giurista come funziona una certa norma processuale, o un certo istituto processuale, il giurista dovrà solo rispondere che non lo sa, e che cose del genere non devono essere chieste a lui ma a chi esercita il potere.
2. Segue: una brevissima sintesi delle novità più rilevanti
L’unica cosa che mi sento di dire è che questo processo mi sembra proprio il processo civile del tempo della pandemia.
Con la pandemia, i principi etico/giuridici che si sono affermati sono noti, e credo possano riassumersi con l’idea che il bene comune prevale sempre, necessariamente ed inevitabilmente, sui diritti della persona.
Questa regola, penso, a breve si estenderà dal diritto pubblico a quello privato, e si applicherà conseguentemente anche al processo civile, che infatti mi sembra già scritto in più di un punto in suo ossequio.
Precisamente:
- è stata estesa e rafforzata la mediazione, anche nella sua condizione di procedibilità della domanda, e anche nelle ipotesi in cui la stessa sia demandata al giudice; ad essa sono poi stati riconosciuti incentivi ed agevolazioni fiscali; inoltre si è di nuovo prevista, come già senza successo era stato previsto con la riforma del ’90, l’obbligatorietà della presenza della parte in prima udienza ai fini della conciliazione, e si è altresì previsto che il giudice possa, oltreché mandare sempre in mediazione le parti, anche formulare proposte di conciliazione fino al momento in cui trattiene la causa in decisione.
- Si sono poste in essere nuove contrazioni del diritto all’azione e alla difesa, inasprendo ulteriormente le preclusioni, e prevedendo che gli atti introduttivi del giudizio, citazione e comparsa di risposta, debbano già indicare in modo specifico i mezzi di prova e i documenti offerti in comunicazione; si è poi portato a ipotesi residuale la stesura delle comparse conclusionali e di replica, da scriversi “salvo che le parti non vi rinuncino espressamente” e comunque in termini ridotti rispetto agli attuali; si è previsto che gli atti del processo siano strutturati entro campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo, nel rispetto dei criteri e dei limiti stabiliti con decreto adottato dal Ministro della Giustizia, il che non esclude che i difensori si vedano a breve costretti a scrivere gli atti riempendo moduli prestabiliti.
- Si è previsto che la responsabilità aggravata processuale danneggia l’Amministrazione della giustizia, e quindi che v’è la necessità di dare nuove sanzioni, oltre quelle che già vi sono in base al raddoppio del contributo unificato e agli artt. 96 e 283, 2° comma c.p.c., a favore della cassa delle ammende contro chi “abusi” del diritto di azione e di difesa; si sono poi previste sanzioni per chi rifiuti ispezioni sul proprio corpo o sulle proprie cose (art. 118 c.p.c.) o rifiuti la consegna di documenti che abbia in possesso (art. 210 c.p.c.).
- Si sono ancora ridotti i casi nei quali il Tribunale pronuncia in composizione collegiale, e si è potenziato e interamente ri-disciplinato il c.d. Ufficio del processo, che certamente sarà utile strumento per agevolare il lavoro del giudice, ma che di fatto consiste nell’assunzione a tempo determinato e con minima retribuzione, di giovani laureati senza alcuna esperienza professionale, ai quali poi vengono demandati compiti centrali della funzione giurisdizionale, quali quelli di studiare il fascicolo, fare ricerche di giurisprudenza e indicare i precedenti, scrivere (in bozza) i provvedimenti giudiziali, assistere il giudice nell’assunzione dei mezzi di prova e nelle verbalizzazioni, selezionare i presupposti di mediabilità della lite.
- Si è creato il nuovo istituto del rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione, che assegna alla stessa compiti che prima non aveva, e che tende da una parte ad una gerarchizzazione della funzione giurisdizionale fino ad oggi inesistente, e dall’altra a limitare la possibilità dei cittadini di ricorrere in cassazione per far valere propri diritti a fronti di processi conclusi e già esaminati dal giudice del merito.
- Nei processi in materia di famiglia, tra le infinite novità che si sono date, e che certo non possono essere esaminate in questa sede, si è previsto che con il ricorso introduttivo del giudizio le parti debbano depositare “un piano genitoriale che illustri gli impegni e le attività quotidiane dei minori, relativamente alla scuola, al percorso educativo, alle eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e ricreative, alle frequentazioni parentali e amicali, ai luoghi abitualmente frequentati, alle vacanze normalmente godute”.
3. Il nuovo processo civile nello spirito della pandemia
Se v’è una linea che mette insieme tutti questi punti, questa è quella di una sempre maggiore incidenza del pubblico sui diritti e sulla vita delle persone.
Da ragazzo, negli anni ’70, nei movimenti studenteschi ai quali prendevo parte, si diceva: “Il personale è politico”; e qui mi sembra che il concetto sia interamente rinato e tornato.
Non so, forse mi sono fissato con questo tema, però invito tutti, come dicevano certi nostri filosofi del passato, ad avere occhi per il lontano e il lontanissimo.
Sembra che ormai l’idea che il processo civile, nel rispetto dei principi classici (o, se si vuole, liberali) della domanda, di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di disponibilità delle prove, ecc………, non abbia più il compito di attuare i diritti soggettivi dei privati, ovvero di attribuire, secondo il monito di Giuseppe Chiovenda, a chi ha un diritto praticamente tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire, ma piuttosto quello di gestire e valutare le posizioni dei litiganti in un’ottica più generale, ove tutto è dato e/o riconosciuto solo entro certi limiti.
La parte, precisamente - sembra e si ha la sensazione- non deve insistere oltre una certa misura nella tutela dei suoi diritti, ne’ avere sicuro e libero accesso alla decisione giurisdizionale, perché ciò costituisce atteggiamento egoistico/individuale in contrasto con lo spirito che oggi deve invece darsi nelle relazioni intersoggettive.
La parte, tutto al contrario, deve preferibilmente mediare, ovvero trovare un accordo che soddisfi l’esigenza del contenimento delle liti, e ciò anche a costo di qualche sacrifico individuale, perché compito primario dell’ordinamento, prima ancora che la tutela dei diritti, è quello di ridurre la durata dei processi del 40%.
Se poi, al contrario, la parte sceglie di volere in tutti modi il riconoscimento giudiziale del suo diritto, va da sé che questo non gli può essere impedito, tuttavia è giusto che per questa sua scelta asociale gli si riservino delle difficoltà: l’esercizio della difesa dovrà così trovare dei limiti, e sempre questa parte potrà essere rinviata dinanzi ad un mediatore, la gestione e l’indirizzo del processo spetterà interamente al giudice, la funzione giurisdizionale non potrà essere nella sua interezza resa da magistrati ordinari e togati e vi provvederà, in gran parte, per ragioni di economia, l’ufficio del processo, i mezzi di impugnazione saranno limitati e misurati, soprattutto vi saranno sanzioni e spese da pagare per ogni abuso e per ogni eccesso.
Ripeto: forse esagero, ma preferisco esagerare piuttosto che far finta di non aver capito.
E mi diverte pensare che, se un qualunque giurista del passato dovesse, per caso, tornare nel nostro mondo, e vedere l’attuale processo civile, rileverebbe senza dubbio questo dato, e ne rimarrebbe certamente sorpreso.
Solo noi non siamo più in grado di accorgersi di nulla perché ormai ci siamo abituati a tutto, remissivi e silenziosi, pronti solo a fare resilienza, ovvero ad adeguarci a qualunque cosa ci venga imposta.
4. Sull’art. 2 Costituzione
Aggiungo, a chiusura di questa breve riflessione, che, al fine di giustificare questo nuovo modo di interpretare il mondo, sempre più spesso, e anche in ambito di diritto privato, si è menzionato l’art. 2 Cost, e il dovere di solidarietà che incombe su tutti i consociati.
Io credo, però, fermo il valore della solidarietà, che certamente non può essere messo in discussione, che si tratti di un richiamo spesso fatto in modo non corretto e non appropriato, e che niente abbia invece a che fare con questo nuovo mondo il nostro art. 2 Cost.
L’art. 2 Cost., giova a questo fine ricordare, riconosce e garantisce, in primo luogo, “I diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali”, e solo dopo prosegue affermando: “e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà”.
Emerge, così, in modo chiaro, che la norma pone prima i “diritti inviolabili dell’uomo” e solo dopo “l’adempimento dei doveri inderogabili”; e i diritti inviolabili dell’uomo sono riconosciuti con priorità “come singolo”, e solo dopo nelle “formazioni sociali”.
E nessuno, credo, vorrà mettere in dubbio che i nostri costituenti, nello scrivere la norma, non pesarono bene, e dopo lunghe discussioni, le parole da usare, e soprattutto il loro ordine nella composizione del testo normativo.
E se noi oggi, al contrario, invertiamo completamente l’ordine di cui all’art. 2 Cost., e diamo priorità non più all’uomo e alla sua umanità bensì allo Stato, e chiediamo l’adempimento dei doveri prima del riconoscimento dei diritti, e anzi usiamo la solidarietà come strumento di negazione dei diritti, e asseriamo a questo fine che i diritti dei singoli, in tanto esistono in quanto resistenti ad un giudizio di bilanciamento di contrapposti interessi, ove, sempre e sistematicamente, ogni interesse pubblico è considerato non solo prevalente su quello privato, bensì legittimato, a discrezione, ad invadere gli spazi e gli ambiti dell’autonomia privata, allora noi andiamo a comporre un nuovo ordine delle cose, e ci poniamo in disarmonia con la nostra stessa storia, che, dall’umanesimo al rinascimento passando per l’illuminismo e la rivoluzione francese, ha creato una civiltà che, appunto, mette l’uomo al centro del sistema.
E in tutto questo, si badi, il processo civile non ha un ruolo secondario.
Se ai cittadini va riconosciuta una zona di non-invadenza, e questa zona di non-invadenza costituisce l’ambito dei suoi diritti soggetti, e questi diritti soggettivi, per rimanere integri e tali, devono essere assicurati, in modo pieno e libero, dal processo civile, va da sé che il processo civile deve continuare ad avere quell’assetto che ha avuto fino ad oggi.
Ove il processo civile, tutto al contrario, dovesse perdere questa sua identità e non rispondere più a questo compito perché la sua durata deve ridursi del 40%, allora i diritti soggettivi dei cittadini rischieranno di non esistere più, allora i privati non avranno più alcuna zona di non-invadenza, allora tutto diventerà incerto e nebuloso.
E credo che, se non ci mettiamo ora e subito a difendere i nostri diritti - forse anche a fronte di rischi che al momento sono lontanissimi - probabilmente, poi, diventerà più difficile poterlo fare.