Sulla inammissibilità del ricorso in Corte di cassazione del rifugiato politico o da proteggere sussidiariamente privo di certificazione della data di rilascio della procura: breve nota sul contrasto tra Sezioni Unite n. 15177 del 21 giugno 2021 e ordinanza n. 17920 del 23 giugno 2021 della Sezione III
di Claudio Cecchella
Sommario: 1. Il caso rimesso alle Sezioni Unite - 2. Il problema della compatibilità con le fonti costituzionali e dell’Unione - 3. Gli obiter dicta delle sezioni Unite e la valorizzazione (eccessiva) dei lavori preparatori: la soluzione nomofilattica imposta - 4. Contro il formalismo fine a sé stesso e in funzione della valorizzazione dello scopo dell’atto, raggiungibile anche aliunde - 5. La nuova via costituzionale - 6. La questione di costituzionalità sollevata dalla Sezione III - 7. La posizione del difensore smemorato.
1. Il caso rimesso alle Sezioni Unite
L’art. 35 bis, comma 13°, del decreto legislativo n. 25 del 2008, la cui introduzione è dovuta all’art. 6, primo comma, lett. g) della legge n. 46 del 2017, reca la seguente norma: “La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima”.
È noto infatti come le controversie sul riconoscimento della protezione internazionale siano devolute in camera di consiglio al Tribunale, che decide con decreto non reclamabile il quale, per il suo carattere decisorio su diritti soggettivi, è (espressamente) impugnabile innanzi al giudice di legittimità. È lo stesso legislatore che ammette il ricorso innanzi al giudice di legittimità (che perciò assume i caratteri della ordinarietà). Al 13° comma della norma cit. si legge infatti: “Il termine per proporre ricorso per cassazione è di giorni trenta e decorre dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria, da effettuarsi anche nei confronti della parte non costituita”, con una variazione sul termine di proposizione e sul dies a quo del termine breve di trenta giorni dalla comunicazione, anziché dalla notificazione.
La norma pone un espresso caso di inammissibilità del ricorso, nell’ipotesi in cui la procura sia rilasciata in data anteriore alla data di comunicazione del decreto, che dunque deve essere necessariamente successiva.
Sotto questo profilo nessuna diversità rispetto all’art. 365 c.p.c. che, nell’imporre una procura speciale per il ricorso ordinario, ad avvocato iscritto nell’Albo speciale, pone deroga al regime dell’art. 83 c.p.c. laddove ipotizza una procura generale conferita al difensore, dovendo essere la procura speciale, ovvero riferita esclusivamente al grado del giudizio innanzi al giudice di legittimità, quindi necessariamente successiva alla sentenza o altro provvedimento da impugnare.
La novità sta nell’imporre al difensore una certificazione espressa della data di conferimento della procura speciale.
Infatti la procura difensiva speciale innanzi alla S.C. che certamente deve contenere un riferimento espresso al procedimento da instaurare o alla sentenza da impugnare e non può essere generica procura riferita ad ogni grado di giudizio priva di tale riferimenti, non si preoccupa tuttavia di imporre al difensore la certificazione della data nella quale la procura è stata rilasciata, che è atto interno tra ricorrente e il suo difensore irrilevante nella disciplina comune.
Diversamente nella disciplina del ricorso in esame si impone all’avvocato una certificazione della data, con suo conseguente rilievo giuridico.
La ratio, secondo le Sezioni Unite, che giustifica il diverso regime, è quella di escludere la possibilità che la procura possa essere rilasciata senza la presenza dell’Avvocato e quindi in territorio italiano, attraverso una sorta di sottoscrizione in bianco, che l’avvocato possa riempire dopo che il decreto sia stato pronunciato, o di procura preventiva, priva di data certa, con la parte ormai rientrata nel paese di origine o in altro. In sostanza il contenzioso sarebbe giustificato solo dalla presenza della parte sul territorio, almeno al momento della proposizione, come espressione di un interesse attuale e consapevole alla tutela, che giustifichi un’attività dispendiosa com’è il procedimento giurisdizionale (con i carichi che ne derivano per il Supremo organo giurisdizionale) spesso con il ricorso agli oneri di patrocinio a carico dello Stato.
Si giustificherebbe così la modifica del comma 13 in commento, laddove inizialmente era richiesta, come unica forma possibile, il rilascio della procura a margine o in calce al ricorso (peraltro la procura a margine avrebbe comunque lasciato non pochi dubbi sulla sua anteriorità effettiva), dovuta alla legge n. 46 del 2017, modifica che ha imposto la certificazione espressa sulla data da parte del difensore.
D’altra parte, non è riproposta, come per il ricorso innanzi al tribunale, la norma che consente di ricorrere tramite una rappresentanza diplomatica o consolare (comma 2°), con procura rilasciata davanti all’autorità consolare, quindi essendo il ricorrente fuori dal territorio nazionale.
Ferma restando, dunque, la necessità di una sottoscrizione successiva della procura, resta cionondimeno di capire, all’esito della modifica, se la certificazione entri nella fattispecie che origina la inammissibilità del ricorso, oppure il problema sia sostanziale e non formale, potendo discendere la circostanza da altri elementi (il riferimento ad esempio espresso al provvedimento o al procedimento). Si tratta di capire se è sufficiente che nella “sostanza” la procura speciale sia conferita successivamente oppure se formalmente la certificazione apposta in calce alla firma, oltre ad attestare la sua autenticità, debba a pena di inammissibilità del ricorso attestare anche la data nella quale la procura è stata rilasciata, ovviamente quando è data con foglio materialmente congiunto al ricorso. Quindi la presenza sul territorio entri nella fattispecie che consente l’ammissibilità del ricorso.
Questo il caso rimesso alle Sezioni Unite e risolto dalla sentenza 1° giugno 20121, n. 15177
2. Il problema della compatibilità con le fonti costituzionali e dell’Unione
Risolto sul piano formale il problema posto dal caso, residua tuttavia un profilo ulteriore, quello della compatibilità di una disciplina severa che impone la presenza sul territorio del ricorrente dopo il provvedimento di diniego, con la disciplina costituzionale e delle fonti sovranazionali.
Implicato ne risulta il principio di uguaglianza e ragionevolezza ex art. 3, ma anche l’art. 24 e 111 Cost., sulla garanzia dell’azione e il giusto processo, e l’art. 10, comma 3° Cost, che è opportuno ricordare: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
Sul piano dell’Unione invece, come evidenziano alcune delle ordinanze di rimessione, ha rilievo l’art. 46, par. 11 della Direttiva 2013/32/UE e l’art 28, in relazione alla possibilità concessa agli Stati membri di rilevare dal comportamento del richiedente una implicita volontà di ritirare il ricorso e di non averne più concreto interesse, in particolare quando si sia allontanato dal territorio dello Stato facendo perdere tracce di sé.
Ne risultano altresì implicati, gli artt. 18, 19 e 47 della Carta dei diritti UE e gli artt. 6, 7, 13 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
È evidente che la rimessione delle sezioni semplice ritiene risolta positivamente detta compatibilità, nel non affidare al giudice della Costituzionalità la questione e nel preferire una pronuncia nomofilattica, trattandosi di questione di massima importanza, delle Sezioni Unite.
3. Gli obiter dicta delle sezioni Unite e i lavori preparatori. La soluzione nomofilattica imposta
Le Sezioni Unite, non in perfetta linea con i canoni di sintesi, offrono una pronuncia di amplissimo spessore motivazionale, toccando temi come la mancanza del doppio grado o la riduzione del termine per impugnare oppure dedicando larga parte ad una prolissa rassegna delle pronunce sulla procura speciale innanzi alla S.C., che è tema certamente rilevante – a discapito dei primi – ma che deve cedere alle particolarità dell’art, 35 comma 13°, cit. in esame.
Infatti non è in discussione la specialità della procura difensiva innanzi alla S.C., con conseguente invalidità di una procura generale rilasciata in via preventiva o con una procura speciale rilasciata per tutti i gradi di giudizio, rendendosi necessario il suo rilascio specificamente per impugnare in sede di legittimità un provvedimento già reso.
Il tema è quello del formalismo indotto dalla certificazione anche della data di rilascio da parte del difensore, a pena di inammissibilità del ricorso.
Egualmente non pare di ausilio l’analisi dei lavori preparatori del decreto legge n. 13 del 2017, poi convertito nella legge n. 46 del 2017. Si sottolinea sul piano motivazionale il valore deflattivo del nuovo formalismo, con la novellazione del comma 13, volto a porre argine a ricorsi che muovono da procure rilasciate preventivamente o peggio ancora “in bianco”.
Se certamente questa è la ratio della disposizione – da unire all’effettività di interesse del ricorrente che è dato certamente dalla sua presenza sul territorio e di cui non si fa menzione nei lavori preparatori – non sembra tuttavia che essa giustifichi di per sé il formalismo estremo, potendo rimanere – in una visione che valorizzi lo scopo dell’atto, con efficacia sanante, a scapito del formalismo esasperato – un concetto materiale e non formale che consenta di verificare la posteriorità anche aliunde e non solo sulla base della certificazione.
Al contrario la S.C. nella sua massima formazione nomofilattica, sposa la tesi “formalistica”, valorizzando lavori preparatori che non paiono così univoci ed un dato esclusivamente letterale, che distingue dalla certificazione della firma, la certificazione della data.
In realtà proprio il dato letterale non convince, perché l’inammissibilità è chiaramente riferita al rilascio della delega prima del provvedimento e non alla mancanza di certificazione (che certamente risolve il problema, ma non può essere l’unica soluzione).
La circostanza sul piano normativo che sia contemplata un’ulteriore certificazione del difensore prova troppo, come anche l’argomento secondo il quale il sistema estende i poteri certificativi del difensore in numerose altre ipotesi. Essa consente semplicemente – a fronte di una mancata previsione letterale di inammissibilità in caso di mancanza – di dare certezza e soluzione, aggredibile solo con querela di falso, ma la norma non esclude altre soluzioni, se la prova della posteriorità può raggiungersi in altro modo, essendo comunque garantita la ratio della previsione (e lo scopo voluto raggiungere con il formalismo).
Residuerebbe per la sentenza nomofilattica la salvezza della sola ipotesi di una certificazione unica, di firma e data, nella quale emerga la duplice volontà certificatrice del difensore, unica concessione verso la effettiva posteriorità della data di rilascio della procura.
4. La via contraria ad un formalismo fine a sé stesso e in funzione della valorizzazione dello scopo dell’atto, raggiungibile anche aliunde
Le Sezioni Unite tengono in considerazione sul piano argomentativo la necessità di escludere un eccessivo formalismo dell’atto processuale civile, nelle sue prescrizioni di forma, in funzione dello scopo che quelle prescrizioni si prefiggono, con conseguente irrilevanza del loro mancato rispetto se lo scopo può essere raggiunto aliunde, ma non ne traggono le opportune conclusioni.
Secondo tale, più condivisibile, impostazione (coerente anche con un interpretazione costituzionalmente orientata, che deve valutare pure il bene giuridico del diritto di azione giurisdizionale, tra l’altro a tutela di diritti personalissimi che implicano la vita, la libertà e l’incolumità della persona[1]) si deve ritenere bastevole anche il solo riferimento al provvedimento o alla sua comunicazione nel testo della procura, senza imporre la espressa indicazione della data o peggio ancora la sua formale certificazione. Infatti lo scopo della norma è comunque fatto salvo.
Egualmente, anche e a maggior ragione, quando la data è apposta prima della firma del ricorrente, ancorché l’autentica si sia limitata alla solo certificazione della firma senza una formula sacramentale che si riferisca anche alla data.
Diversa la sola ipotesi di una totale mancanza di data nella procura, neppure desumibile da riferimenti di contenuto che chiariscano la posteriorità del rilascio rispetto alla data del provvedimento: in tal caso per mancato raggiungimento dello scopo e salvezza della ratio della norma, non sarebbe possibile scongiurare l’inevitabile inammissibilità del ricorso.
5. La via della incostituzionalità
L’insuperabilità (che pure qui si mette in dubbio) del dato letterale, secondo le Sezioni Unite non consentirebbe neppure la via di un interpretazione costituzionalmente orientata, ma allora ne deriva l’inevitabile questione da valutare con attenzione di una incostituzionalità del testo letterale.
Il profilo invero è attentamente analizzato, ma con un impostazione che non ha evitato, a distanza di pochi giorni, alla Sezione III di sollevare – in contrapposizione con le Sezioni Unite – la questione di costituzionalità (ci riferiamo alla ordinanza n. 17970 del 23 giugno 2021).
Invero il ragionamento delle Sezioni Unite non si limita ai profili di incostituzionalità, ma anche di compatibilità con le norme dell’Unione ed in particolare della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, secondo la sua applicazione da parte della Corte di Giustizia.
In particolare si valorizza la ritenuta non necessità di un doppio grado, quando è assicurata una via giurisdizionale che analizzi con cognizione piena le questioni di fatto e di diritto applicate, come anche la irrilevanza di un diverso trattamento, nel diritto interno, tra vie giurisdizionali destinate alla sua applicazione e vie giurisdizionali offerte all’applicazione di norme europee o internazionali, relegando tali profili alla sfera della discrezionalità del legislatore.
In tal modo, secondo le Sezioni Unite, è scongiurato ogni profilo di effettività della tutela, assicurata ampiamenti dal primo grado di giudizio e non ostacolata dal formalismo di introduzione del sindacato di legittimità.
Non sarebbe inoltre valicato – alla luce dell’art. 6 della Convenzione – il limite di una giurisdizione eccessivamente formalistica che impedisca l’accesso alla vita di tutela giurisdizionale dei diritti, perché la prescrizione è stabilita ex ante e la sua applicazione agevole da parte del ricorrente e del suo difensore.
Se si può convenire con tale impostazione, salvo l’eccessivo formalismo interpretativo, che potrebbe eviterebbe, in considerazione della convincente lettura anche letterale diversa, le ire della Corte europea, il problema della costituzionalità appare a nostro sommesso parere più complesso e giustificata la reazione della Sezione III.
Entra così in gioco lo sviamento derivante dalla finalità di liberare le aule della S. C., dall’alluvione dei ricorsi, che non può essere criterio a cui ispirare il giudizio nomofilattico.
È il principio di eguaglianza e razionalità ad essere intensamente colpito, in modo da non tenere proprio.
Che senso un primo grado di giudizio anche non in presenza e un grado di legittimità che impone la presenza dello straniero sul territorio al momento del rilascio. Qui è in discussione non solamente il profilo formale della procura con data certificata ma la sostanza della regola e la sua ratio. Se il senso è quello di rendere effettiva la volontà di ottenere il beneficio protettivo che scaturirebbe dalla presenza sul territorio, perché tale previsione non è contemplata pure in relazione al primo grado di giudizio?
Ciò senza dovere entrare nell’argomento, pure risolto dalle sezioni unite, di una doverosità di eguale trattamento del cittadino rispetto allo straniero: è la diversità di trattamento rispetto ai diversi gradi di giudizio ad avere rilievo sul piano della razionalità.
Non pare inoltre rilevante la discrezionalità del legislatore nello stabilire i presupposti di diritto sostanziale della ospitalità dello straniero migrante e della sua protezione, che non è in discussione, trattandosi di valutare diritti processuali della parte e la loro coerenza nel sistema delle tutela giurisdizionale. Su questi diritti non può esservi “una politica nazionale in tema di emigrazione”, che ha i suoi fondamenti sul piano del diritto sostanziale e non del diritto processuale, che è ben altra cosa.
È come se il diverso trattamento del lavoratore rispetto al datore di lavoro sul piano sostanziale, in funzione della tutela di diritti fondamentali del primo, debba travasarsi nel processo con un eguale diverso trattamento: nel processo le parti sono eguali, sul piano dei principi che governano il diritto di difesa, il contraddittorio e il diritti di impugnare i provvedimenti giurisdizionali.
6. La questione di costituzionalità sollevata dalla Sezione III
La sezione III con l’ordinanza n. 17970 del 2021 pone in serio dubbio la costituzionalità della disposizione funditus, come si è fatto cenno nel par. che precede.
Sul piano della rilevanza della questione, non può non condividersi l’iniziativa, poiché la sezione semplice non ha altra via, dovendo dare applicazione al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, non potendo operare autonomamente un’interpretazione costituzionalmente orientata. La via della incostituzionalità, che è prerogativa di qualsiasi giudice anche in contrasto con le sezioni unite, è una via corretta e necessariamente percorribile.
Certamente la lettura costituzionalmente orientata è ben possibile (cui pure si è fatto cenno nel par 5 che precede), ma a questo punto al giudice della costituzionalità è destinata una valutazione di compatibilità del “diritto vivente”, che discende proprio dalla pronuncia delle Sezioni Unite.
I dubbi della Sezione III sono di grande rilievo.
Anzitutto sul piano della garanzia dell’azione, non permanendo l’effetto sospensivo del provvedimento di diniego allo status di rifugiato o di persona soggetta a protezione sussidiaria dopo il rigetto del ricorso in primo grado (potendo questo essere solo confermato a seguito di introduzione del giudizio di cassazione con apposita istanza del ricorrente), si potrebbe prospettare la necessità di un allontanamento del richiedente il beneficio, onde evitare il provvedimento di espulsione e il rischio di un rientro verso il proprio Paese di origine, che impedirebbe il rilascio della procura per la introduzione del giudizio di legittimità.
Peraltro si constata come la norma non risolva affatto la ragione per cui è posta, sul piano della razionalità, perché la presenza sul territorio al momento del rilascio della procura, non assicura la sua attualità al momento dell’effettiva decisione (potendo passare mesi se non anni), se come si vorrebbe alla presenza sul territorio si attribuisce il senso di un effettivo interesse al beneficio (dovendosi al massimo assicurare con una dichiarazione di attualità della permanenza al momento della decisione, che manca nella legge), oppure il senso di una sorta di tacita rinuncia alla impugnazione, poiché essa può scaturire, anche secondo la normativa europea che l’ammette, da un’espressa previsione del legislatore , che è del tutto mancante[2].
L’ordinanza analizza poi una serie di ipotesi che conducono a ritenere violato anche il principio di eguaglianza, il procedimento di apolidia regolato nel decreto legislativo n. 13 del 2017; il procedimento in tema di protezione umanitaria, per i quali non è contemplato l’inasprimento del formalismo per la introduzione del giudizio di legittimità. Ne discenderebbe un regime peggiorativo nell’esercizio dell’azione, non solo rispetto al cittadino, ma anche rispetto ad altre categorie di stranieri.
7. La posizione del difensore smemorato
Da ultima pare opportuno sottolineare come la ratio della norma sia individuata dalle sezioni unite anche nel tentativo di neutralizzare il “malcostume” degli avvocati ispirati ad introdurre impugnazioni infondate, nel tentativo di lucrare la parcella a spese dello Stato.
Sembra che la Corte di Cassazione, nella sua Suprema formazione, ignori l’entità delle parcelle liquidate in sede di gratuito patrocinio, che fanno dell’attività difensiva una prestazione di vero e proprio volontariato, e soprattutto i ben diversi strumenti offerti, per porre argine ai ricorsi manifestamente infondati, come l’art. 96 c.p.c. oppure la precisa violazione di norme deontologiche, la cui applicazione può essere sollecitata anche su segnalazione all’Ordine dell’organo giurisdizionale.
Un rilievo meno gravoso per gli avvocati suggeriscono invece le Sezioni Unite, rispetto alla condanna al regime del c.d. doppio contributo, che in alcune pronunce era stato fatto gravare sul difensore dimentico di data e certificazione, ma che le sezioni risolvono nell’attribuirne il riferimento esclusivamente, come obbligato, al ricorrente, poiché – questa volta correttamente – una procura senza data certificata può dirsi, seppure imperfetta, esistente con la conseguente esclusione del caso della procura inesistente, unico a giustificare una condanna personale del difensore.
[1] È l’impostazione che si rinviene In Foronews, 14 giugno 2021, con nota di F. Del Rosso, Procura speciale e controversie in materia di immigrazione. La risposta delle sezioni unite (un doveroso richiamo ed un sentito ricordo agli scritti di un Autore che ci ha lasciato prematuramente e che, con la sua preparazione e la sua sensibilità, ha dato un contributo prezioso allo studio del processo per la tutela dei diritti dei richiedenti protezione) e in L. Minniti e M. Flamini, La certificazione dell’autenticità della data di rilascio della procura da parte del difensore per i soli procedimenti in materia di protezione internazionale: ragionevolezza e conformità a Costituzione degli elementi di “specialità” della norma, in www.questionegiustizia.it (1 luglio 2021). Sul tema v. anche I. Caposella, Sulla certificazione della data della procura speciale dei ricorsi in tema di protezione internazionale, in www.ilprocessocivile.it e l’interessante scritto diE,R.P. Iafrate, Sulla certificazione della data della procura speciale dei ricorsi in tema di protezione internazionale, in www.judicium.it
[2] Sul piano della ragionevolezza ha avuto modo già di pronunciare un’incostituzionalità Corte Costituzionale sentenza n.186 del 2020 in materia di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, commentata da F. Mangano in www.questionegiustizia.it