Il processo civile in fase tre
(note a prima lettura alla legge 25 giugno 2020, n. 70, di conversione del d.l. n. 28 del 2020).
di Franco De Stefano
Con una legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale a metà giornata, è convertito in legge, ma con altre modificazioni, il decreto-legge n. 28 del 2020.
Anche per la giustizia civile, quindi, si passa alla fase tre, quella della ripartenza.
Con dubbi, problemi ed esitazioni tutte particolari; ancora una volta col rischio di cedere a tentazioni di formalismo od altri eccessi e soprattutto ad incomprensioni tra gli operatori: che, in questo momento, avrebbero un effetto deleterio cumulativo di cui proprio non si sente il bisogno.
Sommario: 1. L’anticipazione della posticipazione … - 2. Una disciplina transitoria complicata - 3. Altre novità di ordine generale - 4. Una nuova condizione di procedibilità - 5. Il testo vigente: rinvio.
1. L’anticipazione della posticipazione …
Doverosa premessa è l’assoluta novità della situazione e quindi altrettanto doverosa è una complessiva indulgenza verso le sbavature o le incongruenze di una legislazione torrenziale che ha avuto comunque il pregio, sia pure senza porsi troppo problemi di sistema, di far fronte in qualche modo ad un’emergenza epocale. Questo non esime, però, dai rilievi critici anche severi per le ricadute sulla funzionalità della Giustizia, ora che questa – e con essa anche quella civile – si avvia alla sua fase tre, quella della ripartenza.
Il tumultuoso andamento della normazione di livello primario e secondario di questi giorni meriterà l’attenzione non solo di giuristi pazienti e ricercatori meticolosi, capaci di ricostruire la successione convulsa di disposizioni complesse e pesanti anche solo da leggere (e figuriamoci da interpretare e perfino da applicare in concreto), ma certamente di sociologi e, forse, pure di psicologi del diritto.
La giustizia è passata dall’animazione sospesa, imposta dall’esplosione dell’emergenza nelle sue prime tragiche settimane e dal panico e dallo sgomento che hanno caratterizzato le prime reazioni, alla terapia intensiva: con una scelta probabilmente non propriamente tempestiva, non solo la fase uno fu prorogata di qualche settimana, ma anche la fase due fu riprogettata per una durata maggiorata di un mese intero, dalla fine di giugno 2020 alla fine di luglio 2020, con una concreta saldatura della fase emergenziale al periodo feriale ordinario.
“Contrordine, compagni!” … la posticipazione è soppressa e il termine si anticipa rispetto al posticipo; insomma, si torna alla scadenza originaria della fase due al trenta giugno; e ancora una volta si interviene sul buon vecchio art. 83 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 (e subito modificato, il giorno dopo, dal d.l. 28, della cui conversione si sta ora parlando).
Dalla polverizzazione delle risposte all’emergenza in relazione perfino ai singoli uffici giudiziari italiani, connotato saliente dell’organizzazione della fase uno e della fase due, si è passati ad una verticistica e generalizzata valutazione di ritorno alla piena normalità per legge, con la soppressione non solo netta (che era in fondo già prevista, sia pure per una scadenza ancora non prossima e che avrebbe consentito forse una maggiore ponderazione ed elasticità), ma soprattutto improvvisa. Ma non compete a chi scrive una valutazione dell’oculatezza di tali scelte repentine, nonostante la multiforme e diversificata complessità della situazione non solo e non tanto dei singoli uffici giudiziari e quindi delle esigenze della loro operatività in sicurezza per tutti gli operatori (ad iniziare dal personale amministrativo), quanto soprattutto di quelli nel generale contesto nazionale, in cui la fase tre, sia pure con qualche cautela, sembra caratterizzata da un generalizzato “liberi tutti!”.
Dal punto di vista tecnico, il legislatore sfoggia, per la modifica della modifica, la modalità tradizionale della soppressione in sede di conversione.
Infatti, con l’allegato alla legge di conversione si dispone la soppressione della lettera i) del comma 1 dell’art. 3 del d.l. n. 28, ove si prevedeva che “All'articolo 83 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, sono apportate le seguenti modificazioni: … i) ovunque ricorrano nell'articolo, le parole «30 giugno 2020» sono sostituite dalle seguenti: «31 luglio 2020».”.
Di conseguenza, è ripristinato, quanto a tale aspetto, il testo originario dell’art. 83 del richiamato d.l. n. 28, come convertito dalla l. 27 del 2020.
Viene meno, spirato il termine rianticipato al 30 giugno 2020, ogni potere eccezionale e derogatorio dei capi degli uffici giudiziari di adottare le misure organizzative, “anche relative alla trattazione degli affari …, necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dal Ministero della salute, anche d’intesa con le Regioni, dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Ministero della giustizia e delle prescrizioni adottate in materia con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, al fine di evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone”.
Viene meno quindi, spirato tale termine (ripristinati i testi originari dei commi 6 e 7 dell’art. 83), il potere di limitare l’accesso agli uffici e l’orario e le modalità di accesso ad uffici e servizi (fino alla chiusura di quelli, tra i primi, che non erogano servizi urgenti), di impartire “linee guida” (vere e proprie discipline di rango secondario, legittimate dalla norma primaria) per fissazione o trattazione (anche a porte chiuse) delle udienze, di prevedere lo svolgimento di alcune tipologie di udienze civili con modalità di collegamento telematico da remoto o perfino con modalità scritte, di rinviare le udienze a dopo il 30 giugno 2020 per i procedimenti non esclusi dalla sospensione secca dei termini propria della fase uno, di disporre la “remotizzazione” delle attività degli ausiliari del giudice.
Le disposizioni processuali impartite dal singolo giudice in via particolare o dal capo dell’ufficio in via generale costituiscono eccezionali norme derogatorie a quelle del codice di rito, di rango secondario o sub secondario, ma autorizzate appunto dalla norma primaria oggi costituita dai commi sesto e settimo dell’art. 83 del d.l. 18; tali disposizioni sono quindi legittimamente adottate, con il solo contemperamento della salvezza dell’effettività del diritto di difesa e del contraddittorio; e la loro violazione ridonda quindi in una nullità processuale, soggetta al relativo regime di rilevabilità e sanabilità (e, comunque, al principio generale per il quale non si ha giammai diritto alla regolarità formale del processo, se non per effettiva lesione del diritto di difesa: Cass. Sez. U. 09/08/2018, n. 20685).
Tali disposizioni, come è reso evidente dall’inconsueta esplicitazione dello scopo della norma fin nel suo testo, sono mirate a “contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell'attività giudiziaria” ed in particolare ad “evitare assembramenti all'interno dell'ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone”.
A cascata (ripristinato il testo originario del comma 8), è delimitato al 30 giugno 2020 il periodo di sospensione della “decorrenza” (o, forse più correttamente, anche il “decorso”?) dei termini di sospensione e di decadenza dei diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse dai provvedimenti organizzativi medesimi; ed alla stessa data (comma 10 dell’art. 83, nel suo testo anteriore al d.l. 28/2020) è rilimitato il periodo di sterilizzazione della durata del processo ai fini del computo della sua durata nei procedimenti ex lege Pinto (legge n. 89 del 2001), come pure è riancorata alla data del 30 giugno la scadenza dell’eccezionale facoltà (di fatto lasciata non operativa per le difficoltà tecniche incontrate) di deposito telematico nel giudizio di legittimità civile.
Si lascia ad apposito commento la disamina delle ricadute penalistiche, a cominciare dalla verifica dell’impatto della rianticipazione sulla sospensione della prescrizione e degli altri termini previsti dal codice di rito penale, ovvero della scadenza delle sessioni di assise.
2. Una disciplina transitoria complicata
La norma transitoria, introdotta al comma 2 dell’art. 1 della legge di conversione, prevede che “[r]estano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dell’articolo 3, comma 1, lettera i), del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28.”.
Ci si chiede quale sia l’impatto di tale disciplina transitoria sulle misure organizzative già adottate e, comunque, sul funzionamento del processo civile nel periodo dal 1° al 31 luglio, non più coperto dalla previsione normativa quanto meno dei commi 6 e 7 dell’art. 83 del d.l. 17/2020: e comunque nell’ottica della necessità di una ripartenza la più sollecita possibile, eliminata ogni connotazione emergenziale fin dal 1° luglio 2020.
Tanto premesso, è legittimo individuare la ratio della disciplina transitoria nella salvezza, per quanto sia possibile, di tutte le attività come già programmate con particolari modalità nel periodo in esame, purché tale connotazione sia stata adottata o indicata in provvedimenti dei capi degli uffici (o sulla base di questi) nel periodo in cui era vigente la lett. i) del comma 1 dell’art. 3 del d.l. 28/2020, cioè fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione, che tale lett. i) ha soppresso.
Può ipotizzarsi il potere del capo dell’ufficio, in base a principi generali dell’ordinamento, di revocare o modificare il proprio precedente provvedimento per adeguarlo alla mutata valutazione del carattere prioritario della ripresa di piena funzionalità dell’ufficio giudiziario: potere che, se orientato alla revoca, dovrebbe potere essere esercitato anche dopo il 30 giugno, mentre al contrario, se indirizzato alla modifica con mantenimento anche solo di alcune delle modalità emergenziali, dovrebbe essere attivato ed esaurirsi prima dell’entrata in vigore della normativa che anticipa la cessazione del relativo potere.
Se questa pare la soluzione auspicabile, semmai in relazione alle peculiarità del contesto in cui il singolo ufficio opera, non si dovrebbe però configurare, proprio in dipendenza della disciplina transitoria in esame, alcun obbligo generalizzato del capo del singolo ufficio giudiziario – e, sulla sua base o di sua iniziativa, del singolo ufficio – di adottare un provvedimento di riadeguamento alla nuova normativa, con nuova specifica regolamentazione delle attività già disciplinate.
In particolare, se un provvedimento del capo dell’ufficio, oppure – su sua delega o su di esso fondato – del singolo giudice civile, ha già disposto, per il periodo tra il 30 giugno ed il 31 luglio, il rinvio di ufficio di udienze o adunanze, oppure una particolare modalità di tenuta delle udienze o delle altre attività decisionali equiparate, è ragionevole pensare che la salvezza di quei provvedimenti comporti la persistente legittimità sia del rinvio che della celebrazione delle une e delle altre con le modalità già stabilite: e tanto a maggior ragione se il provvedimento è stato adottato singolarmente per ciascuna udienza o adunanza, neppure occorrendo, per la salvezza dell’effetto, che di esso sia stata operata la necessaria propalazione mediante comunicazione alle parti (che non costituisce condizione o requisito di esistenza e validità del relativo provvedimento).
D’altra parte, è verosimile pensare che molti degli uffici giudiziari, legittimamente colti di sorpresa dalla rianticipazione, possano avere del tutto opportunamente già organizzato la propria attività per il mese di luglio in applicazione delle misure derogatorie altrettanto legittimamente fino ad ora vigenti ed adottate dal singolo capo dell’ufficio o, su sua delega od autorizzazione, dal singolo giudice.
L'argomento teleologico della norma transitoria è quello di favorire per quanto possibile la funzionalità degli uffici che si sono già organizzati per applicare le misure alternative: revocarle sic et simpliciter sarebbe manifestamente contrario a questa ratio ed alla lettera della disciplina intertemporale, tutte le volte in cui la situazione in cui opera l’ufficio giudiziario in cui sono state previste non è mutata.
Ma la stessa disciplina di rianticipazione e relativa transitoria non dovrebbe consentire una modifica peggiorativa delle misure già adottate, a maggior ragione se implicasse di fatto un ulteriore rinvio o differimento o una maggiore difficoltà nella ripresa: insomma, va perseguito ogni risultato utile per l’effettività della più piena ripresa possibile.
Sarà opportuno allora rinunciare a limitazioni dell’attività che non siano irreversibili o difficilmente reversibili: si pensi alla rianticipazione mediante provvedimento formale di udienze – o assimilate – già rinviate, oltretutto resa difficoltosa dalla necessità di rispettare il diritto di difesa delle parti e l’esercizio delle eventuali facoltà in termini a ritroso.
Ma potrebbe al contrario rivelarsi opportuno conservare l’applicazione di quelle misure alternative di trattazione o di celebrazione, se ed in quanto in concreto funzionali all’espletamento dell’attività giudiziaria in modo più pieno (come, ad esempio, nel caso di uffici giudiziari caratterizzati dalla loro dimensione nazionale e dalla dispersione sul territorio nazionale di coloro che sono chiamati a prestarvi servizio).
Ed in ogni caso sarebbe preferibile una modalità alternativa, per quanto farraginosa ed in qualche caso problematica o complessa o perfino difficile da realizzare in concreto, al rinvio secco e generalizzato: fermo restando che ai singoli operatori del servizio Giustizia è chiesto oggi uno sforzo aggiuntivo, quasi un atto di fede nel recupero della piena sicurezza e funzionalità di tutti gli uffici, presupposto evidente, sia pure non del tutto verificato, della rianticipazione.
Ancora una volta è grande il senso di responsabilità richiesto ai capi dei singoli uffici giudiziari, la cui stagione di legislatori locali del processo volge al termine, col tramonto della fase più drammatica dell’emergenza e quale suo portato: e si vuole confidare che rifuggiranno, come quasi tutti hanno finora fatto, dalla tentazione di improprie ed improvvide fughe nell’inattività totale o in scelte operative sostanzialmente paralizzanti in pregiudizio del servizio della Giustizia che sono chiamati a gestire.
3. Altre novità di ordine generale
Con un’utilità pratica quanto meno dubbia, in relazione ai tempi di concreta estrinsecazione dei relativi effetti, si interviene ancora una volta sul testo del comma 3 dell’art. 83, in tema di cosiddetta fase uno, ormai terminata, ma tuttora idonea a delimitare gli effetti delle misure organizzative proprie della fase due, ormai prossima al suo rianticipato termine: si stabilisce, in particolare, che vanno normalmente trattate le cause relative ai diritti delle persone minorenni, al diritto all’assegno di mantenimento, agli alimenti e all’assegno divorzile.
A questo punto pleonastica, per le stesse ragioni, è l’ulteriore modifica della lett. f) del comma settimo dell’art. 83, con cui si specifica che “il luogo posto nell’ufficio giudiziario da cui il magistrato si collega con gli avvocati, le parti ed il personale addetto è considerato aula d’udienza a tutti gli effetti di legge”: soluzione alla quale si sarebbe comunque giunti in via interpretativa, nonostante soltanto per le giurisdizioni amministrativa e contabile il principio fosse stato codificato dai successivi artt. 84 e 85 del medesimo decreto-legge (e non potendo in contrario valere il brocardo ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit, non avendo altrimenti senso alcuno l’abilitazione alla trattazione con quelle modalità, se non fosse stata presupposta la piena equiparazione a quella in udienza.
Ancora meno comprensibile è la ragione di una modifica applicabile solo de futuro per una norma che però ne preveda la validità fino ad una data già decorsa, quale quella apportata al comma 7-bis dell’art. 83, che ora reca un diversamente articolato modello di regolamentazione dei rapporti tra genitori non affidatari di prole per gli incontri protetti: “Fermo quanto disposto per gli incontri fra genitori e figli in spazio neutro, ovvero alla presenza di operatori del servizio socio-assistenziale, disposti con provvedimento giudiziale fino al 31 maggio 2020, dopo tale data è ripristinata la continuità degli incontri protetti tra genitori e figli già autorizzata dal Tribunale dei Minori per tutti i servizi residenziali, non residenziali e semi residenziali per i minorenni, nonché negli spazi neutri, favorendo le condizioni che consentono le misure di distanziamento sociale. La sospensione degli incontri, nel caso in cui non sia possibile assicurare i collegamenti da remoto, può protrarsi esclusivamente nei casi in cui si è in presenza di taluno dei delitti di cui alla legge n. 69 del 2019.”.
Per un apparente difetto di coordinamento con la generalizzata rianticipazione, il nuovo comma 11.1 rimane introdotto senza modifiche (interpolato tra il comma 11 e il comma 11-bis da altra disposizione della medesima legge di conversione); vi si statuisce che fino al 31 luglio (e non al 30 giugno) 2020 “nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione innanzi al tribunale ed alla corte di appello, il deposito degli atti del magistrato ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. È comunque consentito il deposito degli atti di cui al periodo precedente con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti”.
Ancora limitato al periodo della fase due [anche se può essere dubbio, in dipendenza della successione degli interventi normativi, che sia stato anche rianticipato al 30 giugno il termine finale del 31 luglio, introdotto da norma diversa dalla lettera i) dell’art. 3 del d.l. 28, oggi soppressa dalla legge di conversione] è il potere del mediatore di concludere da remoto le sue attività; in particolare, egli, “apposta la propria sottoscrizione digitale, trasmette tramite posta elettronica certificata agli avvocati delle parti l’accordo così formato. In tali casi l’istanza di notificazione dell’accordo di mediazione può essere trasmessa all’ufficiale giudiziario mediante l’invio di un messaggio di posta elettronica certificata. L’ufficiale giudiziario estrae dall’allegato del messaggio di posta elettronica ricevuto le copie analogiche necessarie ed esegue la notificazione ai sensi degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, mediante consegna di copia analogica dell’atto da lui dichiarata conforme all’originale ai sensi dell’articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82”.
Infine, è introdotto - mediante un comma 1-bis nell’art. 1 del d.l. n. 28, che (si badi) non prevede alcun termine finale di efficacia ed è quindi sganciato completamente dall’emergenza sanitaria - un nuovo comma 1-bis nell’art. 88 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, del seguente tenore: «1-bis. Quando il verbale di udienza, contenente gli accordi di cui al comma 1 ovvero un verbale di conciliazione ai sensi degli articoli 185 e 420 del codice di procedura civile, è redatto con strumenti informatici, alla sottoscrizione delle parti, del cancelliere e dei difensori tiene luogo apposita dichiarazione del giudice che tali soggetti, resi pienamente edotti del contenuto degli accordi, li hanno accettati. Il verbale di conciliazione recante tale dichiarazione ha valore di titolo esecutivo e gli stessi effetti della conciliazione sottoscritta in udienza.».
4. Una nuova condizione di procedibilità
Con una norma a sorpresa, poi, la legge di conversione introduce di bel nuovo una condizione di procedibilità di cui francamente non si sentiva affatto il bisogno, per la sua efficacia dirompente nel già fragile tessuto della ripartenza della giustizia civile.
Con una tecnica legislativa che suscita dubbi di congruenza linguistica (ma del resto in linea col tecniloquio logorroico del legislatore odierno e soprattutto di quello dell’emergenza), il legislatore della legge di conversione introduce, all’art. 3 del d.l. 28/2020 un comma 1-quater, che a sua volta modifica un’altra norma dell’emergenza, il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, nel quale, dopo il comma 6-bis, che singolarmente è restato l’unico in vigore dell’intero provvedimento (dopo il suo tormentato iter, culminato nella falcidia disposta con d.l. 25 marzo 2020, n. 19), viene aggiunto il seguente: «6-ter. Nelle controversie in materia di obbligazioni contrattuali, nelle quali il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto, o comunque disposte durante l’emergenza epidemiologica da COVID-19 sulla base di disposizioni successive, può essere valutato ai sensi del comma 6-bis, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, costituisce condizione di procedibilità della domanda».
La norma dovrebbe risultare la seguente:
- soggetto della proposizione principale: “il preventivo esperimento del procedimento di mediazione ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28”;
- predicato nominale ed apposizione della proposizione principale: “costituisce condizione di procedibilità della domanda”;
- complemento di stato in luogo figurato della proposizione principale: “nelle controversie in materia di obbligazioni contrattuali”;
- soggetto della proposizione subordinata (relativa): “nelle quali il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto, o comunque disposte durante l’emergenza epidemiologica da Covid-19 sulla base di disposizioni successive”;
- predicato verbale della proposizione subordinata (relativa): “può essere valutato”;
- complemento di argomento della proposizione subordinata (relativa): “ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
In altri termini: “il preventivo esperimento del procedimento di mediazione ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28”, costituisce condizione di procedibilità della domanda nelle controversie in materia di obbligazioni contrattuali nelle quali il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto, o comunque disposte durante l’emergenza epidemiologica da Covid-19 sulla base di disposizioni successive, può essere valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
La categoria di controversie in cui è introdotta questa nuova condizione di procedibilità non è agevolmente identificabile a priori, se non per la natura contrattuale dell’obbligazione che esse abbiano ad oggetto; ma, escluse con sicurezza almeno quelle extracontrattuali, i connotati delle controversie assoggettate a quest’ulteriore autentico ostacolo sono molto più sfumati, perché si rifanno al precedente comma 6-bis della stessa norma (art. 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, abrogato quasi per intero dal decreto-legge n. 19 del 2020), il quale, com’è noto, allo stato prevede che “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Norma, a sua volta, di complessa lettura e già oggetto di numerosi interventi e rilievi[1], già qualche prima applicazione giurisprudenziale (ovviamente, di merito e inevitabilmente in sede di provvedimento di urgenza) ne ha correttamente escluso la valenza di generalizzata esenzione del singolo debitore dall’adempimento, limitando il suo effetto alla valutazione degli effetti del mancato adempimento, poi estendendola a tutte le obbligazioni contrattuali, anche se pecuniarie, comunque nel più ampio contesto degli istituti generali della contrattualistica, tra cui l’art. 1467 cod. civ. (e con seri dubbi sull’interazione con le valutazioni di gravità predeterminate dalla legge, come nei casi degli artt. 5 e 55 della legge 392 del 1978, oppure 24, 1525, 1564, 1565, 1668, 1819, 1820, 1878, 1901, 1915, 2286, 2344 cod. civ.).
Il riferimento incongruo di una norma processuale ad una norma sostanziale di così ardua ricostruzione riverbererà in un contenzioso prevedibilmente indefinito le relative problematiche interpretative: sicché, se la norma rimarrà in vigore ed imporrà quindi una complicata fase incidentale (che dovrebbe dar luogo comunque ad una sospensione del processo ed alla fissazione dei termini per procedervi, giammai consentendo una definizione in rito della domanda, in conformità con le soluzioni adottate dalla giurisprudenza di legittimità per altre ipotesi di simili condizioni), sarà buona norma per le parti (e soprattutto per l’attore) in ogni caso sobbarcarsi l’onere della preventiva mediazione tutte le volte che la sua pretesa, se sicuramente contrattuale (ed anche se solo in via subordinata, a questo punto), possa coinvolgere problematiche connesse all’emergenza sanitaria.
In definitiva, se oggetto della controversia è un’obbligazione contrattuale inadempiuta o imperfettamente adempiuta e si può ipotizzare che il debitore invochi, per limitare o escludere la propria responsabilità o anche solo quanto all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati od omessi adempimenti, purché a causa e in dipendenza non già dell’emergenza sanitaria complessivamente considerata, ma esclusivamente del rispetto delle misure di contenimento disposte durante l’emergenza epidemiologica da Covid-19.
A parte il fatto che la norma è in stridente controtendenza rispetto agli orientamenti a gran voce proclamati dal Governo e sollecitati dalla maggioranza degli operatori di Giustizia per la limitazione dei condizionamenti preventivi alla tutela giurisdizionale, si deve prendere atto dell’imposizione di una mediazione probabilmente soltanto defatigatoria a chi già ha dovuto subire le conseguenze dell’emergenza sanitaria, in luogo della rimessione al prudente apprezzamento del giudice di una valutazione ampia ed adeguata delle peculiarità della singola fattispecie.
Ecco che agli interpreti si presenta un altro, assolutamente ultroneo, capitolo del Contenzioso da emergenza sanitaria, che si può temere affliggerà per i prossimi decenni la Giustizia civile italiana.
5. Il testo vigente: rinvio.
Pare utile riportare quello che parrebbe il testo vigente dell’art. 83 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), risultante dopo la legge di conversione (l. 24 aprile 2020, n. 27) e coordinato con il decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 (in attesa di conversione, ma con le modifiche in sede di conversione di questo, secondo quanto risulta al 24/06/2020). Una curiosità: oltre 4.700 parole e non meno di ottantatre disposizioni diverse (con alcuni commi articolati su più di cinque periodi …).
Occorrerebbe un'appendice ad hoc. È meglio allora rinviare al testo dei siti specializzati, in attesa della prossima modifica.
[1] Tra molti, v.: V. Roppo, R. Natoli, Contratto e Covid-19. Dall'emergenza sanitaria all'emergenza economica, in questa rivista, dal 28/04/2020; M. Zaccheo, Brevi riflessioni sulle sopravvenienze contrattuali alla luce della normativa sull'emergenza epidemiologica da Covid-19, in www.giustiziacivile.com;