Sommario[1]: 1.Il giudice nazionale e la rule of law. Spunti di riflessione. 2. Lo Stato di diritto nella prospettiva della formazione giudiziaria. La naturale vocazione della Scuola alla tutela della rule of law. 2.1 Il nuovo ruolo della SSM nell’accesso alla magistratura. 2.2. Formazione centrale e decentrata, risorse e indipendenza della Scuola 2.3. La SSM come garante del pluralismo interpretativo e dei suoi limiti. 2.4 Alcuni fronti in divenire. La possibile separazione delle carriere e la formazione unitaria o separata di giudici e P.M. Quid iuris? 2.5 Etica, deontologia e “cultura della giurisdizione”. 2.6 Intelligenza artificiale e ruolo della SSM. 2.7 Conclusioni.
1. Il giudice nazionale e la rule of law. Spunti di riflessione
La premessa, non formale, che le riflessioni seguenti hanno carattere personale e, dunque, non possono in alcun modo riferirsi alle funzioni in atto ricoperte è al contempo necessaria e molto rassicurante per chi le rappresenta, proprio nel convincimento, che ogni contributo personale all’interno dei ruoli ricoperti costituisce un frammento di un più ampio e variegato contesto nel quale le diversità non vanno individuate come inciampi ma, piuttosto, come riserve vitali.
Detto questo, il ruolo del giudice nazionale nello Stato di diritto si presenta intrinsecamente ambivalente. Il giudice è, al contempo, attore e convenuto, parte attiva e passiva del processo di garanzia, bersaglio e presidio, per usare le felici e assai evocative espressioni utilizzate da Marta Cartabia proprio in occasione di un incontro organizzato presso l’Accademia dei Lincei per presentare un piccolo volume sullo Stato di diritto edito dalla SSM[2].
Da un lato, infatti, il giudice si pone come artefice della rule of law, traducendo in pratica i principi costituzionali e sovranazionali che ruotano attorno ai concetti di democrazia, persona, tutela dei diritti fondamentali con il suo stesso manifestarsi nella società attraverso il prodotto della sua attività. Il suo agire è, peraltro, sempre più innervato dal ricorso ad altri giudici e dall’uso di strumenti non propriamente decisori ma integrativi della decisione, quali il rinvio pregiudiziale, le questioni di legittimità costituzionale – sul piano interno il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione ai sensi dell’art.363 bis c.p.c.- e l’interpretazione conforme al diritto UE, alla CEDU e alla Costituzione.
Il giudice comune nazionale, in questo modo, alimenta il dialogo tra Corti e contribuisce a costruire un sistema multilivello di tutela dei diritti. Ruolo, quest’ultimo, delicato e complesso. La sua funzione assume, a volte, secondo alcuni tratti di supplenza legislativa e costituzionale, con il rischio di incidere profondamente sull’equilibrio tra i poteri e di oltrepassare i confini propri dell’attività giurisdizionale. Da un lato il giudice rivendica l’autonomia e l’indipendenza che sono alla base dello Stato di diritto. Dall’altro lato viene individuato come potere dello Stato capace di sovvertire l’ordine stesso che sta alla base della rule of law.
Ne deriva un equilibrio precario e sempre da ricercare, nel quale il giudice è al tempo stesso custode della legalità e potenziale fattore di instabilità della rule of law.
Tale dinamica si innesta in un contesto di pluralismo normativo e giurisdizionale: legislatori nazionali e sovranazionali, giudici comuni, Corti costituzionali e sovranazionali sono chiamati a cooperare in una rete complessa, fatta di convergenze e divergenze, nella quale gli strumenti del dialogo — rinvio pregiudiziale, incidente di costituzionalità, interpretazione conforme alle Carte ed al diritto di matrice sovranazionale, richiesta di parere preventivo alla Corte edu in base al Protocollo n.16 annesso alla CEDU, non ancora ratificato dall’Italia — diventano essenziali. Ma questi strumenti, lungi dall’essere neutrali, implicano scelte di campo su chi sia legittimato a fornire la parola definitiva. In linea di principio, il giudice comune nazionale resta il volto dello Stato “nel caso concreto”, la Corte costituzionale è il giudice delle leggi nazionali e la Corte di giustizia il custode del diritto dell’Unione, mentre la Corte EDU continua ad arricchire i diritti ed il diritto vivente della Convenzione.
Le tensioni quotidiane fra giudici comuni e Corte costituzionale- mi riferisco, senza svolgerlo, al tema del c.d. tono costituzionale affrontato in altra sede- e fra giudici nazionali e Corti sovranazionali – sul quale altre volte ho provato ad esprimere il personale avviso quanto al ruolo proattivo del giudice nazionale rispetto alle Corti sovranazionali[3] - dimostrano, da qualunque prospettiva si parta, la fragilità di questo equilibrio. Il sovranismo crescente all’interno di esperienze europee rischia di avvolgere UE e CEDU nel mantello delle identità nazionali, come dimostrano i recenti contrasti sulla designazione dei Paesi sicuri in materia d’asilo e sulla funzione della Corte EDU. Eppure, proprio in questa fase, diventa necessario che i giudici nazionali, a tutti i livelli, utilizzino e rafforzino gli strumenti di dialogo, assumendo fino in fondo il ruolo di garanti democratici di un diritto sempre più fondato su principi costituzionali interni, europei e convenzionali. Solo un metodo dialogico, come osserva Guido Calabresi[4], consente al giudice di rimanere inserito in un contesto di confronto e di limiti reciproci, evitando derive solitarie e restituendo alla rule of law quella prudenza mite e graduale che lo rende un progetto condiviso e durevole.
Tutto questo richiede che al giudice sia garantito il suo status e che tale status sia protetto internamente ed esternamente.
L’attuale assetto costituzionale affida al CSM il compito dell’autogoverno e della “protezione” del giudice rispetto ad ingerenze esterne capaci di minarne il ruolo di garante della rule of law. Ma non sono solo del CSM le prerogative della difesa dell’indipendenza della magistratura.
Proprio la Presidente della SSM ha recentemente ricordato che essa spetta alle Corti costituzionali ed alle Corti europee, aggiungendo testualmente che “When they defend the independence of the judiciary, they act as responsible guardians of the rule of law and adopt a semantics of power in preserving democracy.”[5] Il che ancora di più evidenzia profili di complessità del sistema, partecipando le giurisdizioni costituzionali e sovranazionali alla protezione del ruolo del giudice nazionale nello Stato di diritto. Questo conclama come il tema sia denso di complessità, in un contesto storico nel quale il ruolo giudiziario risulta spesso attaccato dal potere politico, di qualunque matrice esso sia – destra, sinistra o centro-.
Il recente saggio di Elisabetta Grande[6] e le recenti sanzioni applicate ad un giudice del Tribunale superiore del Brasile in esito al procedimento penale a carico dell’ex Presidente Bolsonaro[7] sono lì a ricordarcelo, in modo drammatico in tutta la sua dimensione planetaria e non solamente legata al contesto nazionale.
Del resto, proprio il rapporto della Commissione europea sulla rule of law nell’anno 2025 ha avuto modo di chiarire, con riferimento alla situazione italiana, che secondo le norme europee, anche se criticare le decisioni giudiziarie è un aspetto normale del dibattito democratico, i poteri esecutivo e legislativo dovrebbero evitare critiche tali da minare l'indipendenza della magistratura o la fiducia dei cittadini nella stessa. È lo stesso monito contenuto nella Raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa (2010) CM/Rec (2010)12, punto 18, e nel Rapporto della Commissione di Venezia (2013), CDL-AD (2013)038, punti 21 e 22 che dovrebbe anche valere come auto-limite rispetto a critiche che spesso provengono dallo stesso mondo giudiziario rispetto a decisioni assunte da altri giudici.
2. Lo Stato di diritto nella prospettiva della formazione giudiziaria. La naturale vocazione della Scuola alla tutela della rule of law
La SSM è stata istituita con la finalità di garantire un livello alto e omogeneo di formazione per tutti i magistrati, rafforzando la loro preparazione tecnica ma anche la consapevolezza del ruolo di garanti della legalità costituzionale ed europea. La Scuola rappresenta «un presidio istituzionale indispensabile per la difesa dello Stato di diritto» perché intende alimentare incessantemente l’autonomia, l’indipendenza e l’imparzialità del giudice che, appunto, è chiamato a svolgere il ruolo sopra succintamente individuato. Il tutto in piena coerenza con i principi enunciati dall’art. 2 TUE. La SSM, dunque, non è/dovrebbe essere solo un luogo di apprendimento giuridico, ma un centro culturale in cui si coltivano e rafforzano i valori di indipendenza, imparzialità e responsabilità democratica.
Questa vocazione è anche riflessa nelle figure che hanno rappresentato fin dalla sua istituzione la SSM. Dal 2012 vengono eletti come Presidenti del Comitato Direttivo ex Presidenti della Corte costituzionale: Valerio Onida (2012-2016), al quale è stata intitolata appena pochi giorni fa l’aula che accoglie i giovani magistrati nel periodo di tirocinio iniziale. Successivamente, Gaetano Silvestri (2016-2020), Giorgio Lattanzi (2020-2024) e, dal marzo 2024, Silvana Sciarra, anch’essa Presidente emerita della Corte costituzionale.
Questa continuità funzionale, lungi dall’apparire frutto occasionale di una convergenza all’interno dell’organo chiamato all’elezione del Presidente, riflette una scelta istituzionale forte e finora condivisa tanto dal Ministro della Giustizia quanto dal CSM, i quali, nell’indicare quale membro della compagine della SSM una personalità di alto profilo che aveva presieduto negli anni la Corte costituzionale. Dacché la guida della Scuola è stata affidata dai Comitati direttivi via via succedutisi a personalità di comprovata esperienza costituzionale proprio per garantire che la formazione mantenesse un orientamento costante verso il rispetto dello Stato di diritto, delle libertà fondamentali e delle norme sovranazionali. Una scelta, quella dei Comitati direttivi, con la quale non si è dunque semplicemente attribuito il ruolo di rappresentanza a quelle figure istituzionali ritenute indispensabili all’interno del Comitato direttivo, ma si è, a mio personale avviso, certificata la necessità di riconoscerne e garantirne, nei diversi cicli, il valore rappresentativo tanto “dentro la SSM” quanto nella affatto secondaria funzione comunicativa e di rappresentanza della stessa. Dimensione, quest’ultima che è parimenti necessaria per alimentare e proteggere lo Stato di diritto, alimentare la fiducia della collettività verso un sistema giudiziario capace di improntare la sua formazione a quel grumo di valori attorno ai quali si svolge la democrazia del Paese. Il che, cambiando il punto di osservazione dalla funzione della carica alla responsabilità, chiama la figura del Presidente a un ruolo interno certo non semplice di mediatore di una compagine generalmente espressiva di prospettive ed opinioni diverse che, tuttavia, esige ed impone il pieno rispetto della funzione da parte di tutti i componenti.
Non è dunque un caso che tutti i presidenti della Scuola Superiore della Magistratura abbiano negli anni sottolineato come la formazione dei magistrati rappresenti non soltanto un momento tecnico di aggiornamento, ma una condizione essenziale per la tenuta dello stato di diritto e per lo sviluppo di un'autentica cultura della giurisdizione.
Già Valerio Onida aveva insistito sulla necessità che la formazione promuovesse “una cultura dell’attività giurisdizionale rispettosa non soltanto della legge ma, ancor prima, dei principi costituzionali”, a garanzia dell’indipendenza della magistratura e della sua legittimazione democratica[8]. Sulla stessa linea, Gaetano Silvestri ha più volte affermato che la formazione è un “servizio istituzionale fondamentale” e, pur senza menzionarlo espressamente, parte integrante dello Stato di diritto, poiché volta a costruire “giudici intelligenti, capaci di orientarsi nel complesso sistema delle fonti e di comprendere le dinamiche sociali”[9]. Giorgio Lattanzi, nel suo intervento al Quirinale davanti ai magistrati ordinari in tirocinio, ha ribadito, ricordando alcuni periodi bui della nostra democrazia- terrorismo e criminalità mafiosa-, che “in tutti questi casi… l’ordinamento e lo stato di diritto hanno tenuto”, poi aggiungendo “… È la Costituzione che rappresenta la garanzia dei diritti e dell’assetto ordinamentale della Repubblica e i giudici, da quelli comuni alla Corte costituzionale, hanno un ruolo fondamentale per rendere effettiva questa garanzia.” Ancora Lattanzi non ha mancato di ricordare come la formazione deve curare non solo gli aspetti tecnici, ma anche l’“etica del magistrato” e l’acquisizione di una “cultura giuridica condivisa”[10].
Infine, Silvana Sciarra ha collegato la missione formativa della SSM alla “difesa dello stato di diritto” nel quadro dell’Unione europea, precisando che il cammino della SSM “muove dalla sede del più alto organo di garanzia della nostra Repubblica e proprio per questo è un cammino senza inciampi, che assicura a chi lo percorre un passo certo e cadenzato. La cadenza del passo si deve alla autorevolezza con cui giungono ai magistrati italiani messaggi istituzionali che esaltano i valori del nostro sistema democratico, saldamente collegato all’Unione europea nella difesa dello stato di diritto, nel rispetto dei diritti umani e, anche per questo, attivo nel promuovere la cooperazione giudiziaria oltre i confini nazionali e nell’affermare il primato del diritto europeo, come interpretato dalla Corte di Lussemburgo[11].”
2.1. Il nuovo ruolo della SSM nell’accesso alla magistratura
Il nuovo ruolo della SSM nella preparazione degli aspiranti magistrati non è un mero aggiustamento organizzativo, una tra le tante “competenze” aggiunte rispetto a quelle individuate nelle varie lettere contemplate dall’art.2 del d.lgs. n. 26/2006, ma una scelta politica e istituzionale di grande rilievo. La competenza attribuita dal d.lgs. 44/2024 segna, infatti, la rottura del monopolio di fatto detenuto dalle scuole private di preparazione al concorso, portando sotto l’egida di un’istituzione pubblica parte dell’offerta formativa in favore delle possibili nuove leve della magistratura. Si tratta di un intervento che sembra volere rafforzare la trasparenza, garantire l’eguaglianza nell’accesso e promuovere l’idea che la preparazione al concorso sia un investimento pubblico a tutela della democrazia[12]. Da qui, ancora una volta, è agevole cogliere un nesso inscindibile fra il tema accennato e la Rule of law, quale elemento che fa da volano, fra i tanti che pure possono individuarsi per giustificare la scelta di campo adottata.
Del resto, la grande innovazione voluta dal legislatore sul tema della preparazione al concorso in magistratura emerge con chiarezza nelle modifiche alle prove scritte, che oggi richiedono un più marcato sforzo di ragionamento sistematico e di inquadramento dei principi. Non si tratta più di formare meri conoscitori di giurisprudenza, ma futuri magistrati capaci di collocare il caso concreto entro l’orizzonte costituzionale ed europeo dei diritti. In questa prospettiva viene sottolineata la necessità di una solida conoscenza della Costituzione, dei principi fondamentali del diritto dell’Unione europea e della stessa Carta dei diritti fondamentali UE, che si pone essa stessa come strumento diretto di consolidamento della rule of law. L’obiettivo è dunque quello di valorizzare la capacità critica, il metodo argomentativo, la chiarezza espositiva e l’attenzione al pluralismo delle fonti, nazionali e sovranazionali, che costituiscono l’architrave dell’indipendenza della magistratura del domani e, al contempo, della nostra democrazia.
In questa prospettiva, va sottolineato che la modifica del sistema di concorso riguarda non soltanto la SSM, ma tutte le organizzazioni che tradizionalmente si occupano della preparazione al concorso e che si troveranno ad affiancarsi alla Scuola. Si tratta, dunque, di una vera e propria riforma culturale complessiva, destinata a incidere anche sul piano della concorrenza, che ancora una volta sembra orientata a rafforzare la rule of law attraverso un innalzamento qualitativo e valoriale della formazione dei futuri magistrati. Questa competizione dovrà essere raccolta dalla SSM in modo da garantire nel modo migliore possibile la riuscita del progetto di riforma, così facendosi volano e propulsore di un nuovo modo di approcciarsi al concorso in magistratura e, dunque, diventare modello e protagonista e non mero comprimario che, strada facendo, si inserisce su un percorso già tracciato e fissato da altri cercando di non sfigurare. La missione potrebbe e dovrebbe essere quella di diventare apripista per un nuovo modo di immaginare la formazione, capace di mettere a frutto l’esperienza del già fatto con la prospettiva di chi ha ben chiaro come e cosa serve ad un magistrato per assolvere la propria funzione ed è chiamato ad immaginare il DNA dei magistrati del futuro.
Questo disegno alto, visto dal lato delle nuove competenze attribuite alla SSM, si delinea proprio in ragione della “specialità” del ruolo istituzionale ricoperto dal prestatore dell’attività formativa, inserito appunto in un contesto assolutamente omogeneo rispetto a quello che offre la formazione ai magistrati in servizio. In questo senso, l’essere la SSM al servizio della giurisdizione, della sua indipendenza e, dunque, della rule of law non può che riflettersi sull’altro braccio formativo ora attribuito alla SSM.
Si tratta, tuttavia, di compiti che non possono realizzarsi senza un adeguato investimento di risorse umane e finanziarie da parte della SSM. Affidare alla Scuola compiti che in passato erano svolti in via esclusiva da soggetti privati che, comunque, continuano ad occuparsi della preparazione di aspiranti magistrati significa ampliare enormemente il suo raggio d’azione e, di conseguenza, avere una prospettiva di suo rafforzamento nella struttura della SSM, mettendone alla prova le capacità di modulare in modo adeguato l’offerta formativa tradizionalmente “tarata” su discenti già magistrati. La mancanza di un organico amministrativo adeguato ai nuovi compiti e la scarsità di fondi e di strutture appositamente destinate alla nuova competenza rischiano, all’evidenza, di compromettere la sostenibilità del progetto e di limitarne l’efficacia, indirettamente indirizzando verso scelte di prudenza, soprattutto nella fase iniziale, tanto più necessarie per evitare che l’immagine interna ed esterna della SSM possa anche solo impercettibilmente appannarsi. Preoccupazioni che in qualche modo dovranno mediare l’istanza di chi intende allestire un’organizzazione ambiziosa di ampie dimensioni e chi, invece, può rimanere sopraffatto dai dubbi circa la concreta fattibilità dell’iniziativa formativa al punto da preferire scelte attendiste.
Altrettanto decisivo sarà il tema del come fare i corsi e con chi. Quando si porrà il problema dell’attivazione, la Scuola sarà chiamata a verificarne la fattibilità, a decidere se realizzarli in presenza, da remoto o in modalità mista e a individuare il corpo docente, le forme di collaborazione da attivare, nonché a verificare se i “modelli” fin qui adottati per la formazione dei magistrati possano essere in tutto o in parte utilizzati, ovviamente adattandoli alle ben diverse finalità di un corso di preparazione all’accesso in magistratura. Percorso, quest’ultimo, destinato ad accompagnare in modo stabile e continuativo i discenti in un percorso temporale che non può in alcun modo paragonarsi a quello “tipico” dei corsi di formazione dedicati ai magistrati anche rispetto al tirocinio iniziale. La SSM sarà ancora chiamata a verificare se questi corsi dovranno essere svolti in tutto o in parte avvalendosi delle strutture decentrate della formazione che costituiscono, come si tornerà a dire nel prosieguo, un autentico fiore all’occhiello del modello formativo della magistratura italiana che, tuttavia, in tanto possono operare in quanto anch’esse sostenute da un apparato amministrativo che, già oggi, spesso manca, malgrado le spinte ad una considerazione sistematica del problema più volte indirizzate a CSM e Ministero della giustizia.
In questa scelta ci si dovrà chiedere se la SSM non potrà prescindere dal criterio già stabilito dal d.lgs. n. 26/2006 per i corsi destinati ai magistrati neonominati, secondo cui «i corsi sono tenuti da docenti di elevata competenza e professionalità, nominati dal Comitato direttivo al fine di garantire un ampio pluralismo culturale e scientifico» - corsivo aggiunto n.d.r.-. È una previsione, quest’ultima, che sembra illuminare la strada anche per i nuovi corsi. La formazione dell’aspirante magistrato dovrebbe essere aperta al confronto e al dialogo, capace di misurarsi con la complessità delle fonti e delle esperienze, così da forgiare una figura autonoma e indipendente di futuro magistrato. Solo un magistrato educato al pluralismo, radicato nella Costituzione e consapevole dei principi fondamentali dell’Unione e della Carta dei diritti, può incarnare quel modello di giudice che, nel concreto della sua funzione, assicura la tenuta dello Stato di diritto. Il che vuol dire che il corpo docente individuato non potrà che partecipare di queste stesse caratteristiche. Ma come garantire tutto questo, con quali modalità la SSM potrebbe assicurare che la formazione degli aspiranti magistrati si atteggi con queste coordinate?
Sono dunque queste solo alcune, fra le molte altre, delle complessità che potranno essere affrontate solo in una prospettiva di cooperazione con i naturali interlocutori istituzionali della SSM- CSM e Ministero della Giustizia- e che, allo stato, appaiono ex se capaci di spiegare i rilievi critici espressi a suo tempo da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, che ebbe a sottolineare, in sede di varo della riforma, il rischio che la limitazione dei posti disponibili e l’assenza di un sistema stabile di borse di studio potrebbe trasformare la formazione in un percorso elitario e poco accessibile. In questo quadro, il ruolo della SSM diventa particolarmente delicato. Da un lato è tenuta ad innalzare la qualità della preparazione dei futuri magistrati, rafforzando il patrimonio tecnico e culturale necessario a garantire un corpo giudiziario all’altezza delle sfide europee e globali. Dall’altro dovrà salvaguardare il carattere aperto e inclusivo dell’accesso alla magistratura, evitando che la formazione diventi un privilegio per pochi.
La vera sfida è dunque quella di coniugare eccellenza e uguaglianza, assicurando che la funzione selettiva dei corsi non comprometta ma anzi rafforzi la rule of law, quest’ultima nutrendosi di una magistratura indipendente, preparata ma anche rappresentativa della società che è chiamata a giudicare.
2.2. Formazione centrale e decentrata, risorse e indipendenza della Scuola
L’allargamento delle competenze della SSM si scontra con un cronico problema di risorse: organico ridotto, budget insufficiente, strutture decentrate deboli, esoneri dall’attività lavorativa non adeguati ai compiti onerosi attribuiti via via ai formatori decentrati. Molte attività formative poggiano ancora sull’impegno volontaristico dei magistrati formatori. Questa fragilità, ancor più manifesta in relazione a quanto espresso nel precedente paragrafo rispetto al possibile coinvolgimento delle strutture decentrate nel progetto formativo per gli aspiranti magistrati, rischia di riflettersi sull’indipendenza stessa della SSM, che deve poter contare su un’autonomia organizzativa e finanziaria adeguata, senza dipendere eccessivamente da decisioni politiche contingenti. Rafforzare la Scuola significa rafforzare lo Stato di diritto.
Ora, l’attivismo delle formazioni decentrate solo qui accennato rafforza l’idea che tali strutture, pur operando in condizioni spesso di scarsità di mezzi, restino il presidio più prossimo e tangibile per la diffusione di una cultura della giurisdizione, confermando la necessità di un loro sostegno strutturale e duraturo. Il tema degli esoneri dall’attività giurisdizionale del quale godono i formatori decentrati, in misura davvero non proporzionata rispetto ai compiti notevoli che agli stessi sono stati nel tempo affidati, dimostra che sia davvero imprescindibile un’attività di leale cooperazione fra SSM e CSM per individuare in temi rapidi soluzioni che, depotenziando la formazione, incidono negativamente sull’autonomia e indipendenza del giudice e, dunque, sulla protezione effettiva della Rule of law. Si tratta dunque di compiere un’opera di disseminazione e capillare informazione di tali attività anche presso i dirigenti oltre che all’interno del CSM per aumentare la consapevolezza che ridurre lo spazio della formazione è aggredire ingiustificatamente la rule of law. E ciò senza che il punto di bilanciamento indubbiamente necessario fra la produttività dei magistrati e lo sgravio possa rimanere avviluppato dal crampo mentale che spesso prende chi si lascia sopraffare dalla logica dei numeri lasciando da canto quella, parimenti indispensabile per salvaguardare l’immagine della magistratura, di un corpo preparato, aggiornato e capace di rispondere con prontezza a domande di giustizia sempre più complesse.
2.3. La SSM come garante del pluralismo interpretativo e dei suoi limiti
La SSM, nel corso degli anni, ha inteso rafforzare la formazione sulle capacità organizzative e gestionali, ma sempre nel rispetto dell’autonomia interpretativa del giudice. Custodire il pluralismo delle interpretazioni significa mantenere viva la funzione critica della giurisdizione, evitando che l’attività giudiziaria venga ridotta a mera performance quantitativa.
Il che vuol dire impegnarsi verso il continuo e costante sviluppo di una prospettiva che dia il senso dell’esistenza di un sistema di tutela giurisdizionale nel quale i valori -di matrice nazionale e sovranazionale- di certezza e prevedibilità assumono sì valore centrale per il sistema e che, in ogni caso, convivono e si bilanciano con altri valori fondamentali, fra i quali quelli dell’effettività della tutela giurisdizionale e della soggezione del giudice soltanto alla legge.
Se è dunque vero che il giudice dello Stato costituzionale non possa più essere inteso quale mero applicatore meccanico della legge, ma sia chiamato ad assumere un ruolo di interprete dei principi e dei diritti fondamentali, entro un contesto inevitabilmente pluralistico, la giurisdizione diventa così funzione diffusa e non monolitica, nella quale il confronto di diverse visioni costituisce esso stesso una garanzia contro derive autoritarie.
La riflessione sul ruolo del giudice nazionale nello Stato di diritto si completa, del resto, guardando al quadro europeo, che ne definisce la cornice di riferimento. Per un verso, l’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea stabilisce che l’Unione si fonda sul rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dei diritti umani e, soprattutto, dello Stato di diritto, riconosciuto come valore comune a tutti gli Stati membri. L’art.19 TFUE, d’altra parte, è attuativo di tale previsione e nello stesso contesto si muove la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che, all’art.47, richiama il diritto di ogni persona ad avere un giudizio pubblico “da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge”. Parametro che, per questo verso, diventa lo strumento operativo attraverso il quale i valori scolpiti nelle Carte si traducono in diritti concreti, azionabili direttamente davanti ai giudici nazionali. Ma è all’interno di quello stesso art.47 che si precisa come “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice”. Si tratta, probabilmente, di un’ulteriore dimostrazione di quanto sia la stessa attività giudiziaria, il modo con il quale essa è esercitata, i tempi con i quali è dispensata a garantire, ancora una volta, lo Stato di diritto. Ed ecco riproporsi la duplicità delle diverse facce della medaglia che, in modo polare, vedono al tempo stesso il giudice garante dello Stato di diritto ma anche “responsabile”, con la sua attività, della tenuta del sistema e della fiducia che in quel sistema ripongono le persone.
Ora, approfondendo questo punto di osservazione, è proprio in questo spazio giuridico multilivello che l’azione della Scuola Superiore della Magistratura è chiamata a formare giudici capaci non solo di applicare il diritto interno, ma anche di muoversi con consapevolezza tra Costituzione, diritto dell’Unione e Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In questo stesso scenario, assumono un rilievo decisivo le strutture di formazione territoriale esistenti presso la Corte di cassazione ed i singoli distretti di Corte di appello, le quali portano la cultura dei diritti e dei doveri fondamentali – categorie, queste ultime, anch’esse polarmente destinate a convivere - direttamente nei territori e garantiscono un radicamento concreto dei valori della CEDU e della Carta UE. Proprio queste strutture, insieme alla SSM centrale, saranno protagoniste, alla fine del 2025, delle iniziative celebrative per il 75° anniversario della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e per il 25° anniversario della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Si tratta di momenti celebrativi dotati di un’evidente carica simbolica che si affianca a quella, di particolare significato contenutistico, collegata a quanto esposto all’inizio di queste riflessioni.
La SSM, attraverso l’incessante opera di disseminazione garantita fin dalla formazione iniziale sulla cultura giuridica dell'UE e dei diritti fondamentali protetti dalla Carte internazionali, intende sviluppare la comprensione pratica del ruolo del diritto dell'UE negli ordinamenti giuridici nazionali, dell'acquis in materia di Stato di diritto e del ruolo dei magistrati in qualità di operatori europei della giustizia.
Vi è certamente il pericolo che nel pluralismo giudiziario, che arricchisce la rule of law, si annidi la mancanza di consapevolezza che ogni potere ha un suo limite.
Gaetano Silvestri ebbe per tali ragioni a ricordare che «Il compito principale di un ente formativo come la Scuola della magistratura è quello di mantenere vivo nei magistrati, giovani e meno giovani, il rapporto costante tra potere e limite. Solo una profonda e moderna cultura giuridica, vivificata da un’ampia e diversificata cultura generale, può dare sostegno a chi deve decidere casi difficili, sia dal punto di vista tecnico-giuridico, sia dal punto di vista istituzionale e sociale. L’insufficiente consapevolezza dell’estensione dei propri poteri e delle proprie garanzie può rendere il magistrato timido, timoroso… Simmetricamente, la non chiara percezione dei limiti delle proprie funzioni può produrre … pericolose sensazioni di onnipotenza…»[13]. È dunque l’approfondimento culturale di queste due facce della medesima medaglia a dovere costituire l’ossatura della formazione, in piena sintonia con gli interventi del Presidente Matterella in occasione degli incontri avuti con i magistrati presso la Scuola[14].
2.4. Alcuni fronti in divenire. La possibile separazione delle carriere e la formazione unitaria o separata di giudici e P.M. Quid iuris?
Il dibattito sulla separazione delle carriere e sulla conseguente separazione della formazione fra giudici e pubblici ministeri che secondo alcuni costituirebbe un seguito scontato ed obbligato apre le porte ad una riflessione che si porrà con forza domani, qualora la riforma costituzionale venisse approvata. Da una parte, si potrà sostenere che percorsi distinti rappresentino un arricchimento per la rule of law, in quanto rafforzerebbero l’autonomia e l’indipendenza del giudice, separandolo dalla funzione requirente e rendendolo più impermeabile a possibili condizionamenti. Dall’altra, si dovrà misurare il rischio di una perdita secca della cultura della giurisdizione che la Scuola superiore della magistratura ha costruito in oltre un decennio, proprio formando insieme giudici e pubblici ministeri.
Finora, infatti, la SSM ha rappresentato il luogo nel quale si è sviluppata una crescita culturale comune della giurisdizione, che fin qui sembra avere contribuito a dare coesione al corpo magistratuale e a rafforzare il presidio delle garanzie costituzionali e convenzionali. Per tali ragioni i programmi di formazione iniziale, nati dalla “cooperazione” fra SSM e CSM, oggi particolarmente impegnativi di fronte all’ingresso nei ruoli di oltre 1500 nuovi magistrati, sono stati concepiti per offrire un orizzonte unitario a futuri giudici e futuri pubblici ministeri. In quella stessa aula della Scuola di Scandicci di recente dedicata alla memoria di Valerio Onida si è dunque cercato di alimentare nel corso degli anni un senso di appartenenza ad una “cultura” comune che non elide affatto la diversità di ruoli e di funzioni ma, anzi, la individua con precisione proprio per darne senso e misura, come hanno di recente ricordato gli stessi magistrati ordinari in tirocinio e nella quale è la stessa Avvocatura, con i suoi docenti relatori, a dare un rilevante contributo[15]. In questa chiave si colloca anche il richiamo della Prima Presidente emerita Cassano all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2025 sul ruolo del P.M.: “il pubblico ministero [è sollecitato], al pari del giudice, al rigoroso rispetto delle garanzie fondamentali, al rifiuto di tesi precostituite all’elaborazione di tesi di accusa che conseguano ad accertamenti completi basati anche sulla raccolta di elementi favorevoli alla persona indagata tali da consentire alla persona accusata di operare una scelta informata e consapevole sull’accesso ai c.d. riti alternativi, a prognosi approfondite sul prevedibile futuro esito del processo, ad un attento utilizzo dei diversi modelli definitori sì da selezionare quelli che, soli, meritano il passaggio alla fase successiva e da porre rimedio al patologico iato temporale attualmente esistente tra la chiusura delle indagini e il successivo controllo giurisdizionale. In altri termini, il pubblico ministero concorre a realizzare la complessiva razionalità del processo che, in un’ottica tendenzialmente accusatoria, è incentrato sul corretto e realistico rapporto tra fase procedimentale e vaglio dibattimentale. Al contempo è garante, insieme con il giudice, del rispetto dei principi costituzionali di dignità della persona, di presunzione di non colpevolezza, di ragionevole durata delle procedure.”
Le considerazioni appena espresse non intendono affatto offrire una verità sul tema, quanto evidenziare il senso di quel che è stato fin qui fatto, in modo che esso possa avere un senso anche per il futuro, qualunque esso sarà.
Domani, se la riforma costituzionale andrà in porto porrà l’alternativa, qualcuno potrà ipotizzare certo percorsi formativi anche differenziati all’interno della magistratura. Si dovrà, tuttavia, essere ben consapevoli del patrimonio che dal momento in cui è stata istituita la SSM ha continuato ad offrire allo Stato di diritto.
2.5. Etica, deontologia e “cultura della giurisdizione”
Nel disegno formativo della SSM l’etica del magistrato non è mero sfondo retorico, ma un asse portante e stabile che accompagna il magistrato sin dall’ingresso in ruolo e prosegue nella formazione permanente.
La SSM insiste sul fatto che i principi di indipendenza, imparzialità e credibilità debbano essere tradotti in comportamenti verificabili: dai rapporti con le parti e con i media alla gestione dei conflitti d’interesse, dalla sobrietà del linguaggio nei provvedimenti giurisdizionali all’uso responsabile degli strumenti digitali. Il Presidente Mattarella, nel discorso pronunziato nel 2023 a Castelcapuano[16], aveva del resto già sottolineato che “La Scuola Superiore, sin dalla sua istituzione, ha accompagnato i giudici e i pubblici ministeri nella loro formazione iniziale e in quella permanente, avendo cura di elaborare percorsi di alta qualità, anche in tema di etica giudiziaria.”
In un’ottica di formazione dei magistrati, diventa dunque indispensabile insistere sulla connessione tra etica giudiziaria, fiducia dei cittadini e rule of law, facendo tesoro anche della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Lo ha ricordato Guido Raimondi in occasione di una lectio magistralis rivolta ai giovani magistrati europei, sottolineando che l’autorevolezza della giustizia non può prescindere dalla condotta etica di chi la amministra, osservava che “As a guarantor of justice, a fundamental value in a rule of law, [the judge’s] action needs the trust of citizens in order to be fully implemented.”[17]
Raimondi ha richiamato la giurisprudenza di Strasburgo per dimostrare come la fiducia nella magistratura non sia un bene individuale, ma un requisito strutturale del sistema convenzionale europeo: “The issue of the trust that the courts must enjoy so that the rule of law functions regularly, and therefore the objectives of the Convention are adequately achieved, (…) transcends Article 6 of the Convention, rising to the rank of the fundamental principles that underpin the protection system set up by the European Convention.”
Questa prospettiva mette in evidenza come la formazione dei magistrati debba non solo trasmettere competenze tecniche, ma anche rafforzare la consapevolezza del loro ruolo etico e istituzionale, perché – come ribadisce Raimondi – “The judiciary, as a guarantor of justice, a fundamental value in a rule of law, must enjoy the trust of citizens to fully carry out its mission.” La conoscenza della giurisprudenza della Corte EDU diventa allora parte integrante della formazione, perché consente di tradurre principi astratti in standard concreti di comportamento e di indipendenza, indispensabili per mantenere viva la fiducia dei cittadini e quindi per il funzionamento dello Stato di diritto.
È da sottolineare la straordinaria sinergia tra quanto appena esposto e le parole del compianto Vladimiro Zagrebelsky quando, in occasione di un suo intervento alla SSM all’indomani dello scandalo dell’Hotel Champagne[18] ebbe a ricordare, delineando le sfide che il giudice ordinario sarebbe stato chiamato ad affrontare per ritrovare credibilità nel sistema, che “Alla dignità dell’esser “servo della legge”, deve sostituirsi quella di essere voce del potere giudiziario autonomo, tutto insieme garante dei diritti delle persone e, nella continuità dell’ordinamento, della realizzazione del disegno costituzionale. Di un potere giudiziario che è parte della comunità dei giuristi. All’individualismo e alla settorialità culturale deve sostituirsi il senso di appartenenza all’istituzione. Quando un giudice pronuncia una sentenza non parla con la voce sua, ma dà voce alla istituzione giudiziaria. Potente può essere l’opera della Scuola della magistratura, nel sollecitare uno spirito istituzionale, che non è di corporazione, ma appunto di una istituzione che vive nelle persone che la compongono. È necessario allora che venga stimolata, come qualità professionale, la disponibilità a ricercare (e mantenere) soluzioni che possano dirsi espressione della istituzione giudiziaria nel suo complesso.”
Quell’invito, esplicitamente indirizzato alla SSM, a sollecitare attraverso la sua attività uno spirito istituzionale e non corporativo dei magistrati di ogni ordine e grado può, a ragione, costituire un input costante per chi è chiamato ad un compito assai complesso qual è quello appena indicato. Compito al quale non sembra nemmeno estranea la funzione di “comunicare all’esterno” le attività formative dei magistrati proprio per alimentare e rafforzare quel senso di fiducia della società nei confronti dei magistrati che è anch’esso alla base dello Stato di diritto.
2.6. Intelligenza artificiale e ruolo della SSM
La Scuola Superiore della Magistratura dovrebbe assumere un ruolo centrale nel garantire che l’introduzione dell’intelligenza artificiale nel sistema giustizia non comprometta, ma rafforzi lo Stato di diritto. La rule of law, fondata su trasparenza, responsabilità, diritto al contraddittorio e indipendenza del giudice, rischia infatti di essere messa in crisi dall’opacità e dall’autonomia degli algoritmi come da atteggiamenti superficiali ed entusiasticamente rivolti ad immaginare una giustizia predittiva come elemento risolutore dei problemi che affliggono la giustizia, non ultimo quello del numero rilevante di procedimenti e del ritardo nei tempi di definizione dei processi. In questo contesto, la formazione dovrebbe rappresentare lo strumento principale per trovare il giusto bilanciamento fra parimenti rilevanti aspettative. Da un lato preservare il primato del giudizio umano, che resterebbe insostituibile perché legato alla responsabilità, alla ragionevolezza e alla capacità di bilanciare principi e diritti fondamentali. La SSM dovrebbe, in cooperazione con istituzioni nazionali e sovranazionali (CSM, Ministero della Giustizia, CEPEJ, Consiglio d’Europa, Commissione Europea, ecc.), progettare percorsi formativi capaci di sviluppare nei magistrati competenze critiche sulla natura degli algoritmi, sulla spiegabilità delle decisioni automatizzate e sui rischi di discriminazione o di lesione dei diritti fondamentali. Non si tratterebbe di formare giudici “informatici”, ma giuristi in grado di interagire con l’IA senza subirla, mantenendo il controllo democratico e giuridico sugli strumenti digitali. In questa prospettiva, la missione della SSM dovrebbe configurarsi non solo come tecnica ma come costituzionale: assicurare che ogni innovazione tecnologica sia integrata nel sistema giustizia come supporto e non come sostituto del giudice, rafforzando l’effettività dei diritti e la qualità della giurisdizione. In tal modo, la SSM si confermerebbe presidio della rule of law perché capace di trasmettere ai magistrati la capacità di governare le trasformazioni digitali rimanendo ancorati ai principi della dignità umana, dell’eguaglianza e della giustizia costituzionale[19].
Il che, ovviamente, non vuol dire affatto rifiutare ideologicamente l’idea che l’AI possa rappresentare un ausilio per l’efficienza ed effettività della giurisdizione ma, tutto al contrario, offrire gli strumenti che possano rendere la funzione giurisdizionale sempre più orientata verso standard di conoscibilità ed effettività capaci di alimentare quei valori parimenti imprescindibili di efficienza, prevedibilità e certezza del diritto dai quali non è dato ormai più prescindere[20].
È dunque questo il contesto che si apre innanzi a chi istituzionalmente ha il compito di “formare” i magistrati su tematiche, come già accennato, variamente conosciute, variamente utilizzate e variamente considerate come utili, pericolose, dannose per il futuro stesso del sistema giustizia. Una responsabilità ancora più elevata se si considera il tema dell’immagine e della forma assunta dalla giurisdizione a seconda del “modello” di AI che si intende ammettere e giustificare[21].
2.7. Conclusioni
In conclusione, nessuna pretesa di verità rispetto alle considerazioni espresse, ma semmai un auspicio personale ed esplicito a cooperare, camminare insieme, dialogare sulla direttrice del rispetto e della fiducia.
La direzione che, dunque, una scuola di formazione della magistratura è chiamata ad intraprendere rispetto alle tante sfide che si pongono davanti a sé dovrebbe essere quella di non alimentare l’approccio dell’aut–aut per abbracciare invece convintamente quella dell’et–et. Et–et tra indipendenza e responsabilità, tra giudice e pubblico ministero, tra SSM centrale e formazioni decentrate[22], tra SSM, CSM e Ministero della Giustizia, Accademia e Avvocatura, tra diritto interno, UE e CEDU. Ancora, et–et tra esigenza di prevedibilità e pluralismo interpretativo; et–et tra innovazione tecnologica e primato del giudizio umano; et–et, soprattutto, rispetto alle scelte che all’interno della Scuola stessa devono essere adottate proprio per garantire quel pluralismo culturale che a parole è valore condiviso ma che, nei fatti, è difficile da coniugare se prevalgono personalismi e contrapposizioni chiuse al confronto costruttivo[23].
Una agorà, dunque, nella quale le scelte decisionali quanto i contenuti della formazione abbiano come prerequisiti leale cooperazione[24] rispetto e fiducia reciproci, mancando i quali la missione stessa della Scuola, faticosamente attuata fin dalla sua istituzione e dalle personalità che hanno costruito una struttura importante, rischierebbe di appannarsi agli occhi dei magistrati tutti i quali, ciascuno portatore di patrimoni culturali e personali plurali, vantano un diritto pieno al rispetto di quelle prerogative scolpite dalle fonti normative rilevanti che si è qui cercato di rappresentare.
Le opinioni espresse sono personali e non impegnano l’Istituzione di appartenenza
[1] L’intervento ha costituito la base di alcune riflessioni esposte in occasione della settimana dottorale 2025 organizzata dal Dottorato di ricerca in Scienze giuridiche dell’Università di Perugia il 19 settembre 2025.
[2] M. Cartabia, I giudici e lo Stato di diritto, in Il giudice e lo Stato di diritto. Indipendenza della magistratura e interpretazione della legge nel dialogo tra le Corti, a cura di G. Lattanzi, M. Maugeri, G. Grasso, 2024, 17.
[3] V. da ultimo, volendo, R. Conti, Tono costituzionale e certezza del diritto: in memoria dell’interpretazione conforme al diritto UE, in Riv.cont. eur., 4 settembre 2025. V., anche R. Conti, Dall’uso alternativo del diritto all’uso cooperativo nell’esperienza di un giudice comune, in Sistemapenale, 25 giugno 2024.
[4] V., volendo, R. Conti, Un’intervista impossibile a Guido Calabresi, in questa Rivista, 13 settembre 2021: “...Ora, in questo stato di cose, che cosa tiene legati i giudici al rispetto dei limiti? Che cosa impedisce loro di arrogarsi un potere eccessivo? Che cosa li aiuta a conservare qualcosa della metodicità e cautela dei loro omologhi del passato in un mondo tanto accelerato e proteiforme? Il metodo dialogico è la soluzione moderna affinché il giudice sia inserito in un contesto di costante confronto, conforto, ispirazione, influenza, scambio e limite con altre Corti, altre giurisdizioni, altri Stati, altri interlocutori istituzionali. Il dialogo attenua la ferocia repentina e drastica con cui il giudice assolverebbe il suo ruolo nel contesto giuridico moderno, riaccostandolo alla prudenza mite, incessante ma graduale, che apparteneva ai suoi predecessori della common law al fine di aggiornare e migliorare il diritto.”
[5] S. Sciarra, Intervento presentato all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023 presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, https://www.echr.coe.int/documents/d/echr/Speech_20230127_Sciarra_JY_ENG?utm_source=chatgpt.com
[6] E. Grande, Il giudiziario sotto attacco negli Stati Uniti ed in Italia: dalla rule of law alla rule by law, in Questione giustizia, 12 settembre 2025.
[7] MEDEL, Statement on Brazil, 23 settembre 2025, in https://medelnet.eu/statement-on-brazil/
[8] V. Onida, Questione Giustizia, 25 gennaio 2015
[9] G. Silvestri, Discorso inaugurale anno formativo 2019, SSM, in Questione Giustizia, 16 ottobre 2019.
[10] G. Lattanzi, Discorso, Quirinale, 15 aprile 2024, pp. 4, 7–8.
[11] S. Sciarra, Saluto ai MOT, Quirinale, 15 aprile 2024, in www.ssm.it
[12] Sulla genesi della riforma v. C. De Robbio, I corsi di preparazione al concorso e il futuro ruolo della Scuola Superiore della Magistratura, in questa Rivista, 15 maggio 2023, nonché, di recente, volendo, Pensando al ruolo della SSM nella preparazione al concorso in magistratura. Interviste a cura di Roberto Giovanni Conti, ib., 19 maggio 2025.
[13] G. Silvestri, Inaugurazione dell’anno formativo 2019, in https://www.scuolamagistratura.it/documents/20126/564830/Discorso%2BPresidente%2BSilvestri%2B2019.pdf?utm_source=chatgpt.com.
[14] V. Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione dell’incontro con i Magistrati ordinari in tirocinio nominati con i D.M. 15/04/2024 e D.M. 22/10/2024, 28 maggio 2025; Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al decennale della Scuola superiore della magistratura, 24 novembre 2021, entrambi in www.quirinale.it
[15]V. Sciopero dei magistrati: l’intervento di Francesca Frazzi, in La Magistratura, 27 febbraio 2025: “…frequentiamo le settimane di formazione alla nostra Scuola superiore dove futuri giudici e futuri PM condividono lo stesso percorso, sviluppando un’unica cultura della giurisdizione. È il senso di appartenenza a un ordine comune quello che respiriamo nelle aule di Scandicci confrontandoci con colleghi di tutta Italia”.
[16] Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla cerimonia d’inaugurazione della terza sede della Scuola Superiore della Magistratura e di presentazione dell’anno formativo 2023, 15 giugno 2023, inwww.quirinale.it.
[17] V. G. Raimondi,
[18] V. Zagrebelsky, Nozione e portata dell’indipendenza dell’Ordine giudiziario e dei giudici Ruolo del Consiglio superiore della magistratura. Relazione svolta il 5 novembre 2019 nel Corso di formazione della Scuola superiore della magistratura, dal titolo Garanzie istituzionali di indipendenza della magistratura in Italia.
[19]Sul tema, sia consentito rinviare a R. Conti, Prolegomeni sulla formazione del magistrato-giurista in tema di intelligenza artificiale, diritto, scienza e giudizio umano, in Giustizia Insieme, 15 settembre 2025.
[20] V., sul punto, G. Amoroso, Riflessioni in tema di diritto vivente e intelligenza artificiale e di D. Micheletti, Algoritmi nomofilattici a confronto: ufficio del massimario vs. intelligenza artificiale, entrambi in AA.VV., Giocare con altri dadi Giustizia e predittività dell’algoritmo, a cura di V. Mastroiacovo, Torino, 2024, rispettivamente pagg.176 e 185.
[21] Sia consentito sul tema il rinvio a R. Conti, Prolegomeni sulla formazione del magistrato-giurista in tema di intelligenza artificiale, diritto, scienza e giudizio umano, in questa Rivista, 15 settembre 2025.
[22] V., Intervento, in www.quirinale.it
[23] Cfr. G. Silvestri, Formazione dei magistrati e attività della Scuola di magistratura, cit., nel rispondere alla seguente domanda (Il comitato da Lei presieduto, che programma e dirige le molteplici attività formative della Scuola, è un organismo che comprende in sé membri laici e magistrati, componenti nominati dal Csm e componenti designati dal Ministro della giustizia, tra cui avvocati e professori universitari. Una tale composizione, voluta dal legislatore, ha dato vita a un effettivo pluralismo delle culture e delle esperienze?): “Certamente sì. Abbiamo avuto la fortuna di avere componenti “laici” che hanno preso sul serio l’impegno nella Scuola. Naturalmente, l’approccio “esterno” è diverso da quello “interno”. Ancora diverso è, tra gli “esterni”, quello dei professori e degli avvocati. Le differenti provenienze e le molteplici esperienze hanno consentito, nel complesso, di evitare chiusure autoreferenziali, di evitare la logica burocratica delle “caselle riempite” e di guardare costantemente al servizio giustizia dai differenti punti di vista dello spessore culturale, dell’attenzione ai diritti delle parti e della buona fattura dei provvedimenti giudiziari. A volte, le nostre discussioni interne risentono di qualche incomprensione, ma tutto viene superato dal confronto e dall’approfondimento. Non posso nascondere che, in qualche caso, emergono conflittualità non del tutto necessarie, che vengono risolte con molta pazienza. Nella valutazione del contributo di tutte le categorie cui appartengono i componenti del Comitato direttivo, occorre tener presente che i professori non vengono, per legge, sgravati, neppure in parte, del loro carico didattico e che gli avvocati finiscono per registrare, con l’intensa partecipazione ai lavori della Scuola, una perdita secca in termini professionali”.
[24] A. Ruggeri, La “fondamentalità” dei diritti fondamentali, in Diritticomparati, n.3/2023, 161.
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