Il “posto” del diritto nelle regressioni democratiche ed il ruolo dei giuristi
Da costituzionalista e comparatista, intervengo con gratitudine, e preoccupazione, a questo evento in difesa della Costituzione.
La difesa della Costituzione, la difesa della democrazia costituzionale, è purtroppo più attuale che mai in questa epoca, in Italia e nel mondo.
Infatti, ormai da quasi venti anni, dopo la grande espansione della democrazia costituzionale (quella, per intendersi, delineata dall’art. 1, comma 2, della Costituzione italiana, intorno ai due pilastri della sovranità popolare e dei limiti che essa incontra) avvenuta negli anni 1990, siamo di fronte a un fenomeno nuovo, definito della “regressione democratica”, che investe non solo le nuove democrazie, come la Polonia, l’Ungheria, il Messico, la Turchia, ma si affaccia anche in quelle stabilizzate, come l’India, Israele, l’Italia, per non parlare degli Stati Uniti.
Si tratta – e questa è la principale novità nuovo rispetto agli autoritarismi del passato, che si instauravano con l’uso della forza, tramite colpi di Stato – di una erosione della democrazia costituzionale che avviene attraverso il diritto, in particolare il diritto costituzionale: esso è utilizzato sempre più, anziché come strumento di tutela dei diritti e delle libertà, quale meccanismo di conservazione e accentramento del potere, al punto che i regimi che scaturiscono da tali processi vengono anche etichettati come forme di autocratic legalism.
Lo scivolamento verso regimi non democratici è graduale, e per questo anche difficilmente individuabile: esso avviene attraverso una sequenza di mutamenti istituzionali (revisioni costituzionali, riforme legislative, abbandono di prassi e consuetudini costituzionali), che spesso, presi uno per uno, non paiono pericolosi, ma considerati nel loro insieme fanno entrare in crisi gli elementi strutturali della democrazia costituzionale, determinando la perdita di indipendenza del potere giudiziario, la limitazione dei poteri o addirittura la «cattura» delle corti costituzionali e degli organi indipendenti da parte delle maggioranze politiche, il controllo dei media ad opera del governo, la compressione dell’autonomia locale. Questi processi sono orientati a una concentrazione dei poteri in capo ai governi, spesso sostenuti da ampie e durature maggioranze elettorali.
È la tecnica preferita dei populismi, movimenti politici, guidati da leader carismatici, che pretendono di parlare in nome del popolo (del “vero popolo”, dell’“ordinary people”, come risuona nella retorica populista, cui vengono contrapposte le élite corrotte), come se il popolo fosse uno e avesse un’unica voce. Tale pretesa, la cui caratteristica più evidente è il carattere anti-pluralista, implica la negazione della mediazione e del compromesso, caratteristiche della democrazia rappresentativa, la richiesta che il popolo si esprima direttamente (preferibilmente con un sì o un no, su quesiti o persone) e senza limiti.
La strategia si ripete, un paese dopo l’altro, nell’ambito dell’Unione europea lo abbiamo visto in Ungheria e Polonia: appena saliti al potere, spesso attraverso elezioni svoltesi con sistemi elettorali fortemente premianti, i populisti prendono di mira la parte istituzionale della costituzione, i checks and balances nella forma di governo e l’indipendenza degli organi di garanzia, ovvero quell’insieme di meccanismi volti a limitare i governi e le maggioranze politiche che caratterizza la forma di Stato democratico-pluralista. Una volta insediatisi al potere, l’obbiettivo è creare le condizioni per non perderlo. Soltanto in un secondo momento procederanno ad attaccare direttamente le norme sui diritti, la parte valoriale delle costituzioni, imponendo la propria agenda politica che mira a scardinare, pezzo per pezzo, i valori fondanti delle democrazie pluraliste, in primo luogo la loro qualità di società aperte e inclusive.
L’esito è costituito da regimi che i politologi definiscono «ibridi»: infatti, essi non presentano tutti i tradizionali caratteri dei regimi autoritari, in quanto i diritti di libertà non sono totalmente soppressi e si fa scarso ricorso alle norme penali, mentre le elezioni continuano ad avere formalmente carattere competitivo (perciò la denominazione di competitive authoritarianism), benché di fatto le opposizioni si trovino ad essere private della possibilità di diventare maggioranza. Questo genera, a sua volta, corruzione e clientelismo, che rendono ancora più difficile una alternanza al potere.
È un fenomeno insidioso, benché ormai noto e studiato. C’è una grande difficoltà a mobilitare le opinioni pubbliche, in quanto si tratta di interventi normativi assai tecnici, difficili da spiegare ai non addetti ai lavori, e ai quali è arduo far appassionare le persone: la questione della composizione dei diversi Consigli e della Corte disciplinare nella revisione costituzionale in itinere ne costituisce un esempio lampante. Spesso, tra l’altro i sostenitori di queste “riforme” si avvalgono di argomenti tratti dal diritto comparato, manipolati e decontestualizzati, per mostrare che quel pezzetto di norma esiste in un qualche altro paese del mondo, un paese democratico, dove non ha provocato involuzioni autoritarie, secondo quello che viene definito il “comparativismo abusivo”, ovvero un uso improprio del diritto comparato, che isola alcuni istituti dal contesto e li assembla in un inimmaginabile “Frankenstate” autoritario.
Che fare, questo è l’interrogativo impellente. Un interrogativo che, in tutto il mondo, investe innanzitutto i giuristi, che si trovano in prima linea nelle regressioni democratiche, proprio in quanto il diritto è il principale strumento del quale si avvalgono i nuovi autocrati per mantenersi al potere. Mantenersi integri, ovviamente. E poi vigilare, studiare, replicare, informare, protestare, per generare una consapevolezza di quel che sta accadendo: altro da fare non c’è. Ciascuno nel suo ruolo, accademici, operatori del diritto tutti, inclusi i magistrati, libera stampa, forze politiche fedeli alla democrazia costituzionale, società civile. Il punto chiave è trovare il modo per comunicare temi complicati in modo chiaro, semplice, corretto e, se possibile, attraente. Da qui l’importanza di questa giornata, come momento iniziale di un percorso di consapevolezza per il nostro paese, per la nostra costituzione e la nostra democrazia.
Intervento nell’assemblea pubblica al cinema Adriano, Roma, nell’ambito dello sciopero dei magistrati a difesa della Costituzione.