Sembra che il fascicolo dei tre figli della famiglia T. sia aperto da oltre un anno. Evidentemente presenta una certa complessità e iI lungo tempo che precede il provvedimento del Tribunale per i minorenni dell'Aquila riflette la necessaria ponderazione, e non superficialità, della magistratura.
Avrà tenuto occupati oltre che giudici anche assistenti sociali, educatori, psicologi, consulenti vari. Tutti vincolati per ruolo al benessere dei minorenni.
Assisto sconcertata quindi al florilegio di certezza in cui tanti stanno esibendo i loro giudizi sul provvedimento.
Le critiche devono essere esercitate nel pieno rispetto delle procedure e degli atti, evitando invettive e campagne di opinione che generano confusione e alimentano paure ingiustificate.
Molte le cose che si tacciono molte quelle che si dicono.
Si sottolinea poco che il Tribunale abbia emesso solo un decreto temporaneo, quindi interlocutorio e volto a raccogliere dati. Che è cautelare e temporaneo, volto a verificare che siano garantiti i diritti alla protezione, alla salute e allo sviluppo equilibrato dei minori, in conformità con l’articolo 6 della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia, ratificata in Italia con la legge 176/1991.
Non è dunque automatico che questo sia un primo passo verso un allontanamento definitivo: come si fa ad affermarlo?
E non va sottovalutato che il provvedimento è stato adottato da un organo specialistico, il Tribunale per i minorenni che ha il compito di tutelare i diritti degli infanti. La parola chiave è “per”: significa che il Tribunale agisce nel migliore interesse dei minori, consapevole che il rapporto con i genitori è fondamentale. Per questo cerca di sostenere la famiglia affinché diventi capace di rispondere alle esigenze dei bambini. Solo quando necessario, e mai con leggerezza, può disporre l’allontanamento.
Perché non si sta sottolineando che i minori sono collocati in una struttura protetta insieme alla madre e il padre giornalmente ha modo di raggiungerli seppur per poco tempo? Non mi sembra una omissione di poco conto.
Una generalizzata censura serpeggia verso l’istituzione deputata a difendere i minori, senza forse aver neanche letto il Decreto. Certamente senza sapere quali passaggi hanno preceduto questa misura: infatti sono atti riservati. Lo stesso da più parti si invoca l’intervento irrituale del Presidente del consiglio e del Ministro della giustizia.
Si può criticare un provvedimento, previa la consultazione degli atti e non sollevando polveroni senza fondamento. Errori umani possono sempre esserci, ma la serietà impone di analizzare i dati prima di giudicare. Le parti interessate possono subito fare ricorso. Per fortuna se si ritiene che un tribunale abbia commesso un errore, sono previsti i gradi di giudizio per rettificare le decisioni, senza interferenze ministeriali. In democrazia esistono già pesi e contrappesi. Le dichiarazioni diffuse in questi giorni, sulla stampa e in televisione, mostrano invece con buona sicurezza un’ostilità o diffidenza verso un’Istituzione della Repubblica, che ho avuto l’onore di servire come giudice onorario per molti anni. Perché screditare un organismo la cui funzione è proteggere i bambini, anche quando deve assumere decisioni difficili? Se un provvedimento appare ingiusto, risposte e verifiche si trovano negli atti e nelle procedure, non negli attacchi preconcetti.
Le istituzioni meritano rispetto e sostegno, soprattutto in periodi in cui risorse umane e finanziarie sono scarse, mentre il carico di lavoro aumenta esponenzialmente. La giustizia giusta e tempestiva è un diritto fondamentale, ma richiede mezzi adeguati per essere garantita, non può essere svuotata della propria dignità.
E non va sottaciuto che le risorse destinate alla giustizia sono da anni insufficienti, mentre il contenzioso è cresciuto notevolmente.
Garantire una giustizia di qualità è un diritto irrinunciabile per ogni cittadino. Ridurre gli organici giudiziari di risorse umane e finanziarie è invece una responsabilità grave.
Dietro questo gran parlare di questi giorni forse è celata una rivendicazione politica. Potrebbe perfino intravvedersi un potenziale tentativo di minare la fiducia nel potere giudiziario e indurre l’accreditamento della separazione delle carriere giudiziarie.
Se così fosse sarebbe davvero grave: non si possono usare temi delicati come la genitorialità e i diritti dei minori per battaglie che nulla hanno a che fare con la reale tutela dei bambini. Sarebbe una strumentalizzazione di temi fondamentali come la genitorialità e i diritti dell’infanzia.
Ecco una vera violazione, quella del rispetto dovuto a un’Istituzione della Repubblica.
Screditare la giurisdizione con campagne pubbliche erode il senso civico e vanifica il dovere di migliorare il servizio giustizia per i cittadini.
Di fronte alla complessità di questa vicenda familiare, si impone invece l’obbligo di assumere un impegno civile maturo che onori le istituzioni e favorisca una riflessione seria sui reali bisogni dei minori e delle famiglie, nell’interesse supremo di tutti i bambini coinvolti e della società tutta.
Un decreto di allontanamento, seppur provvisorio, è sempre fonte di dolore. Per tutti. Per chi si è coinvolto come operatore, per chi è stato interpellato come genitore. Per i bambini.
Tutti ora si danno da fare, come è giusto, perché abbia le minori conseguenze emotive (il padre si reca giornalmente nella struttura, la madre vi soggiorna e passa molto tempo con i figli, gli operatori cercano di attutire l’impatto, ecc).
Quello che è certo è che, nonostante la buona volontà, la comunicazione tra tutti gli attori di questa vicenda non ha finora prodotto alleanza, comprensione, progetto, patto. L’esito non poteva che essere quello che è sotto gli occhi di tutti e che sta dividendo a metà gli italiani.
Ma questo chiacchiericcio buonista a cui stiamo assistendo serve a poco ai bambini e al dolore degli adulti insieme a loro coinvolti.
Se la cultura della mediazione dei conflitti, istituto giuridico introdotto dalla riforma Cartabia, fosse stata conosciuta e applicata dai i vari attori, forse non sarebbe stato neanche necessario arrivare ad un provvedimento duro quale quello attuale. Forse si sarebbe potuto trovare un reciproco riconoscimento delle ragioni, e trovare un progetto che tenesse conto dei bisogni di tutti: dei giudici e del loro dovere di vigilare sulla qualità di vita dei minorenni. Degli assistenti sociali e degli educatori che sono votati a sostenere chi si trova in difficoltà al fine di migliorare le sue condizioni di vita. Dei genitori che hanno il dovere di dare un senso alla loro vita e di condividerlo con le loro creature. Ciascun genitore vuole dare ai figli quel che considera buono per sé.
Su questa metodologia io versato fiumi di inchiostro presentando il modello di mediazione filosofico-umanistica. Ma so che ancora siamo anni luce dalla sua diffusione e applicazione di valore. La mediazione dei conflitti, che studio e applico e racconto nei miei scritti, mi ha insegnato che ascoltando profondamente i punti di vista sempre differenti di ogni essere umano si scopre in ognuno una prospettiva degna di essere presa in considerazione. Si sperimenta che uno più uno fa tre e non due. Cioè si sperimenta che il confronto leale, senza sopraffazione o manipolazione è arricchente e costruttivo. Dalle diverse posizioni si può giungere ad una terza che rispetta entrambe senza omologarle. Questo particolare approccio, alto, poco praticato e compreso, favorisce il confronto e il dialogo evitando contrapposizioni semplicistiche e polarizzanti.
Certo occorre una comunicazione autentica, dal profondo del cuore, in verità. Non urlata, non spacciata come certezza univoca e unilaterale che invece creano escalation basate su pregiudizi e confusione.
In questo caso, come in ogni conflitto, non poteva esserci che una escalation. Ma si può sempre invertire la rotta e sperimentare l’efficacia di questa metodologia chiamata mediazione dei conflitti.
Comunque le situazioni sono sempre più complesse di quel che si dice, di quel che appare. Ma tutti oggi sono diventati giudici, censori, di parte : ora appoggiano i genitori e attaccano i giudici. Presto tutto cadrà nell’oblio e rimarranno solo i cocci di questa triste vicenda. I cocci saranno anche a carico di tutta la società, delle tifoserie a favore o contro che siano: tutti avranno consolidato una sorta di sfiducia nella magistratura.
Mentre è sempre buona cosa discutere. Di questo e di tutte le sensibilità nuove che stanno imponendosi e che attengono alle scelte di vita delle persone. Ed anche alla morte: pensiamo al tema del fine vita: programmato o accettato come ubbidienza/destino.
Si tratta di temi nuovi che richiedono garbo, delicatezza e competenza, sempre al confine tra pubblico e privato. Interpellano l’etica e la morale. Creano schieramenti politici. Ma stiamo attenti a non trattarli con lo stile da bar.
Stiamo attenti a non radicalizzare le posizioni, questo non farebbe fare un passo avanti. Non fa cogliere la complessità. Porta a semplificazioni banalizzanti e superficiali. Offende la dignità della persona.
E soprattutto a dobbiamo evitare di demonizzare o screditare le istituzioni su cui si basa la nostra democrazia e che sono deputate a sovrintendere, a vigilare, a normare.
Onestamente e seriamente si può interrogarsi ma non si può attestare con sicurezza e a cuor leggero che:
- La famiglia è solo quella dei nostri genitori o che il modello di Nazareth non apra essa stessa a modalità altre? È il modello che conta o la capacità di far circolare l’amore?
- La scuola e la formazione delle nuove generazioni sono di esclusiva competenza della famiglia o dello Stato? O vanno riconosciute le molteplici agenzie educative e il segreto sta nella sinergia tra loro?
- Il “deserto della città” è peggio o meglio del ritiro nel bosco? Un aut aut necessario, utile o dannoso?
- Il rapporto mediato dal telefonino mentre l’adulto guarda l’iPad educa alla relazione o rassegna all’isolamento interpersonale?
- Il fare manuale tipico delle società agricole ha una valenza formativa e il vuoto di stimoli si trasforma in pieno di pensieri personali, di educazione al contatto con se stessi?
Si può discuterne a lungo e probabilmente non sarà facile giungere a sintesi colta e onesta. Ci si può allenare. Ci si può avvicinare. Ma quel che non si può né si deve fare è il chiacchiericcio mediatico e la strumentalizzazione pretestuosa e ideologica. Tutto ciò porta pregiudizi e confusione e si nutre di sentimentalismi e slogan.
La cultura della mediazione dei conflitti, soprattutto nella declinazione filosofico-umanistica e trasformativa, rappresenta un’opportunità concreta per prevenire e gestire situazioni di crisi familiare. La mediazione non è solo una tecnica, ma una prassi basata sull’ascolto profondo, il riconoscimento reciproco delle ragioni e la costruzione di un dialogo autentico.
Questo approccio valorizza la pluralità delle prospettive, favorisce soluzioni che rispettano le esigenze di tutte le parti e trasforma gli scontri in opportunità di crescita e riconciliazione. In un tempo in cui la polarizzazione e la semplificazione spopolano, la mediazione filosofico-umanistica invita a una comunicazione più umana e rispettosa, che non mira a vincitori o vinti, ma a ristabilire la relazione e l’umanità tra le persone. Guida una riflessione civile, matura e responsabile.
Temi tanto delicati come la genitorialità, l’educazione e la protezione dei minori richiedono un approccio rispettoso, competente e consapevole delle complessità, lontano da slogan, banalizzazioni e campagne mediatiche urlate. È necessario evitare la radicalizzazione delle posizioni, che impedisce di cogliere le sfumature.
La società deve assumere un impegno civile maturo: onorare le istituzioni, sostenere il rispetto delle procedure legali, e promuovere un dialogo serio e basato sui fatti. Solo così si potrà difendere efficacemente i diritti dei minori, tutelare le famiglie e rafforzare la fiducia nelle istituzioni, indispensabile per il funzionamento di una democrazia sana.
Si veda anche Nota all'ordinanza del Tribunale per i Minorenni dell’Aquila del 13 novembre 2025
Immagine: Leonardo Da Vinci, Studio di Mani e Braccia, circa 1490, Royal Library at Windsor Castle.
