"Rückkehr unerwünscht" [1]
Il fisioterapista dell’Ajax di Cruyff, le ferrovie e la Shoah.
di David Cerri
“Vedete, come potete lasciare che 25.000 ebrei, o persone o diciamo mucche, come potete lasciare che 25.000 bestie spariscano durante il tragitto? […] Avete mai visto 25.000 persone ammucchiate? […] Avete mai visto anche solo 10.000 persone ammucchiate? Equivalgono a cinque treni merci e mettiamo che stipaste i treni merci secondo il modello della polizia ungherese, con tutta la buona volontà non riuscireste a far entrare più di 3.000 persone in un treno.”
Gli interlocutori di Eichmann non riuscivano di certo a immaginare quanti problemi dovesse affrontare un organizzatore di un’operazione di sterminio.
“È incredibilmente difficile fare un carico su un treno, che si tratti di buoi o di sacchi di farina […] e quando si tratta di caricare delle persone le cose sono molto più complicate, soprattutto se si devono fare i conti con certe difficoltà.” [2]
Quando pensiamo alla Shoah, probabilmente una delle prime immagini che si affacciano alla mente è quella dell’ingresso di Auschwitz-Birkenau, con quei binari che si arrestano alla rampa sulla quale veniva operata la prima selezione dei deportati. Essa ha un significato tecnico, oltre che fortemente emotivo: scolpisce un indispensabile strumento dello sterminio, il trasporto ferroviario. Dai paesi dell’Europa occupata, dapprima le ferrovie nazionali curavano il viaggio di quelli che sarebbero presto diventati dei semplici Stücke (“pezzi”), poi dall’ingresso in territorio tedesco o direttamente amministrato (come la Polonia) la responsabilità ricadeva sulla Reichsbahn. Ebrei (la grande maggioranza), Sinti, Rom, erano caricati sui carri bestiame che tutti conosciamo dai media, e magari abbiamo anche visto di persona in qualche installazione espositiva.
Il ruolo giocato dalle ferrovie nella distruzione degli ebrei d’Europa [3] è già stato considerato dagli storici [4], ma se oggi ne riparliamo è a causa delle perenne attualità della Shoah, ferita che non si rimargina, e grazie ad un sopravvissuto che ha fatto della memoria di quei trasporti una battaglia per l’affermazione della responsabilità storica e giuridica degli enti che vi avevano collaborato, e per il conseguente risarcimento dei danni subiti.
Mi riferisco a Salo Müller, ebreo olandese oggi 84enne [5], ragazzino di 5 anni salvatosi per caso dal rastrellamento, che, dopo che ad Amsterdam i familiari erano saliti su quei carri, diretti dapprima al campo di transito di Westerbork, e di là ad Auschwitz [6], aveva evidentemente giurato a sé stesso di non tacere. Una vita di lavoro come (celeberrimo) fisioterapista dell’Ajax di Cruyff degli anni ’70 non gli ha fatto dimenticare i 107.000 ebrei olandesi - sì, tra di loro anche Etty Hillesum ed Anna Frank, la seconda con l’ultimo treno del settembre 1944 - che grazie alle ferrovie olandesi, le Nederlandse Spoorwegen, erano giunti ad una od all’altra delle famigerate rampe dei Lager.
93 treni erano partiti dall’Olanda tra il 1942 ed il 1944; e, colmo di una tragica beffa, con passeggeri che pagavano per andare alla morte. Il colossale sforzo organizzativo che ebbe come protagonisti figure note – come Adolf Eichmann – e meno note – come Albert Ganzenmüller – aveva infatti anche notevoli costi; e quale soluzione migliore di quella di farne pagare la maggior parte alle vittime, in particolar modo tramite i prelievi dai fondi delle comunità ebraiche ? i migliori clienti della Reichsbahn, Himmler e la Gestapo, avevano concluso buoni accordi con l’ente ferroviario, grazie ad una burocrazia del tutto cieca al loro contenuto ed attenta solo a conseguire la massima efficienza. Il costo era quello del biglietto di terza classe (4 Pfennig a testa per chilometro) ma – somma generosità – i bambini fino a dieci anni per quella sola andata pagavano la metà, ed i minori di quattro addirittura nulla…[7] ma la Gestapo (agenzia promotrice) non aveva fondi in bilancio appositamente stanziati e doveva ricorrere all’autofinanziamento; così gli oneri furono trasferiti sugli enti che gestivano la confisca delle proprietà ebraiche, oppure sulle stesse comunità.
La sorveglianza dei treni era affidata alla Ordnungspolizei, composta in buona parte da quegli “uomini comuni” da cui trae il titolo il noto volume di Browning; come egli scrive, questi poliziotti, tra i quali riservisti e personale di mezza età, vedevano in faccia i deportati, li fucilavano se tentavano fuggire, descrivevano nei loro rapporti i viaggi, senza apparentemente batter ciglio [8].
Eichmann tutti lo conoscono, ma solo le ricerche degli ultimi anni [9], con la scoperta di nuovo materiale documentario, ne hanno chiarito la figura propulsiva nel processo dello sterminio, contro l’abuso che si è fatto di una espressione pur straordinariamente efficace come quella coniata dalla Arendt nel suo resoconto del processo di Gerusalemme (la “banalità del male”), che nella realtà storica mal si attaglia ad un simile protagonista, principale organizzatore delle deportazioni all’interno della Reichssicherheitshauptamt (all’Ufficio IV B4 della RSHA, Direzione generale per la Sicurezza del Reich, uno dei dipartimenti delle SS); ma forse essa è più adatta alle migliaia e migliaia di ferrovieri, di diverse nazionalità, che non potevano ignorare quale compito stessero contribuendo a svolgere, ed ancor di più a tutto il personale aziendale che si occupava di una complessa operazione come quella della deportazione di massa. Ai loro vertici, in Germania, c’era l’ingegner Ganzenmüller, nazista della prim’ora (aveva partecipato con Hitler al fallito putsch di Monaco del ’23), che nel 1942 scriveva orgogliosamente, dalla sua scrivania di direttore generale f.f. della Reichsbahn (fresca nomina suggerita da Albert Speer[10]) all’aiutante personale di Himmler, Karl Wolff, di esser riuscito a realizzare il trasporto quotidiano di ebrei da Varsavia a Treblinka e di esser in procinto di garantire simili trasporti al campo di Sobibor; così garantendosi l’elogio ed il ringraziamento di Wolff: ”E’ con gioia tutta particolare (mit besonderer Freunde) che ho letto come da due settimane, ogni giorno, un treno con 5000 componenti del popolo eletto viene fatto partire per Treblinka…” [11]: il primo treno era arrivato a quel campo il 23 luglio 1942. L’ultimo Sonderzug (trasporto speciale) fu probabilmente quello del 15 aprile 1945, da Vienna a Theresienstadt, che nonostante tutte le difficoltà del momento gli impareggiabili uffici di Eichmann riuscirono a far partire.
Anche Ganzenmüller, per la cronaca, riparò in Argentina dopo la guerra, tornando poi in Germania nel 1955 e superando pressochè indenne un processo (grazie alle condizioni di salute), fino ad una morte (spero non serena) a 91 anni a Monaco [12].
“Il problema dei trasporti è fondamentale, e come tale deve essere risolto…Qui le buone maniere non servono. Io non so che farmene delle buone maniere, e non mi importa nel modo più assoluto di ciò che i posteri diranno dei metodi che ho dovuto impiegare”. [13]
Ora, quando si affrontano simili questioni - del come sia stato possibile per diecine, centinaia di migliaia di persone, facenti parte degli apparati burocratici ed aziendali coinvolti nello sterminio, gestire quotidianamente una simile impresa al pari della produzione e vendita, per es., di bulloni – talvolta si tende ad immaginare che sia stato un periodo eccezionale, straordinario; che la guerra in corso, l’indottrinamento continuo, la minaccia di severe sanzioni per i rifiuti, siano stati strumenti sufficienti per indurre all’obbedienza generalizzata. Forse (e purtroppo) non è esattamente così, e si possono evidenziare – senza alcuna ambizione di una vera analisi storico-sociologica, ovviamente – alcune caratteristiche del sistema dello stato totalitario nazista. Ho scritto ”purtroppo” perché alcuni tipi di organizzazione sociale sono probabilmente ripetibili, mutatis mutandis, anche in altri ordinamenti ed in altre epoche.
In primo luogo, seguendo l’interpretazione di uno dei più noti studiosi della Shoah, Raul Hilberg, va notato come anche nel caso dei trasporti l’assegnazione di specifici ruoli al personale (la “parcellizzazione”, per così dire, della complessa operazione) consentisse – ovviamente in presenza di un coordinamento centrale: ho ricordato solo alcune delle posizioni apicali dell’azienda, come Ganzenmüller, e della RSHA, come Eichmann, entrambi in stretto collegamento con Himmler attraverso la catena di comando – di superare ostacoli organizzativi di prima grandezza, senza rinunciare ad un attenta considerazione del rapporto costi/ricavi: la Reichsbahn era “preparata a trasportare ebrei, o qualsiasi altro gruppo, dietro compenso” [14].
Scrive ancora Hilberg: “Fondamentalmente, gli Ebrei furono distrutti come conseguenza di una molteplicità di atti eseguiti da una falange di funzionari in uffici pubblici od imprese private, e molte di queste misure, presa una ad una, si rivelavano essere burocratiche, immerse nell’abitudine, nella routine, e nella tradizione” [15].
I funzionari e gli impiegati, vorrei notare, non avevano alcuna specifica preparazione per la trattazione degli affari razziali: erano “tecnici” il cui lavoro, tra l’altro, non era tutelato da particolari misure di segretezza, a differenza – per esempio – dei trasporti militari (ma si veda tra poco un accenno alle “modalità” delle comunicazioni).
Lo svolgimento pratico dei trasporti evidenziava poi un – voluto, nella logica dello sterminio – effetto collaterale: come scrive[16] Hilberg, gli ebrei erano “gestiti (booked) come persone, e trasportati come bestiame”. Per chi non avesse presenti le condizioni all’interno dei carri bestiame, sarà sufficiente rileggere la lettera da Westerbork di Etty Hillesum del 24 agosto 1943 (“Se dico che stanotte sono stata all’inferno, che cosa ne potete capire voi?”[17]), o il primo Canto (“Canto della banchina”) de L’istruttoria di Peter Weiss, con la trascrizione in versi liberi dei verbali del processo di Francoforte[18].
La “carriera morale” del deportato, per riprendere un’espressione coniata da Erving Goofman a proposito delle “istituzioni totali” (come carceri, ospedali psichiatrici, orfanotrofi [19]) iniziava con la chiusura dei portelloni del vagone, al buio, senza aria, acqua, cibo, servizi di alcun genere, per giorni e giorni, nell’indescrivibile lezzo che era parte essenziale di quello che è stato descritto da uno studioso come “excremental assault”[20].
I burocrati tedeschi che con la loro competenza contribuirono alla distruzione degli Ebrei furono tutti parte integrante dell’Erlebnis [21], gli uni si incaricarono della parte tecnica – redigere un decreto o organizzare un convoglio -, gli altri appostati con fermezza alla porta di una camera a gas. Potevano percepire l’enormità dell’operazione fin dai ranghi più bassi. In ogni stadio del processo, diedero prova di stupefacenti talenti da pionieri in assenza di direttive, di coerenza nelle attività, quando mancava un’organizzazione giuridica, di una comprensione fondamentale del compito che dovevano eseguire, nel momento in cui non venivano date comunicazioni esplicite.[22]
Altra caratteristica, comune all’esecuzione della “soluzione finale” in tutti i suoi aspetti, era l’attenzione a non usare mai termini espliciti nella pur imponente documentazione scritta necessaria alla gestione del servizio. Il modello hitleriano di comando era usato anche nella pratica quotidiana; non sembra ci sia mai stato un ordine scritto del Führer di procedere allo sterminio, ma le sue indicazioni ai principali collaboratori (e a dire il vero le sue esplicite, benchè generiche, esternazioni pubbliche, da Mein Kampf al discorso al Reichstag del 30 gennaio 1939) erano ben chiare: stava a loro eseguirle, quando necessario “inventando” le strategie migliori. Così anche per ie deportazioni; rari i documenti come quelli citati (lo scambio tra Ganzenmüller e Wolff), classificati Geheim (segreti), ma inevitabili le anodine Fahrplananordnungen (tabelle di marcia), eloquenti per la ricostruzione dei fatti: riportavano il numero dei deportati, il percorso, la destinazione. Così, per esempio, dalla F. n.587 (che si vede in Shoah di Lanzmann, nell’intervista a Hilberg [23]) si ricava che il 1 ottobre del ’42, alle ore 11:24, 10.000 ebrei arrivarono a Treblinka, e che il treno (50 vagoni) ripartì vuoto.
La battaglia di Salo Müller aveva avuto un precedente nell’ammissione di colpa delle ferrovie francesi (SNCF): tra il 1941 ed il 1944 160.000 persone erano state deportate dalla Francia (76.000 delle quali per motivi razziali) [24]. Nel 2010 il presidente delle SNCF aveva ammesso che la SNCF, benchè costretta, era stata un ingranaggio della macchina di sterminio nazista; lo aveva fatto perché l’azienda era sotto pressione da alcuni stati U.S.A. perché ne fosse consentita la partecipazione ad importanti gare d’appalto: ma lo aveva fatto, creando un sistema per la presentazione di reclami e richieste di risarcimento, che nel 2014 avrebbe riconosciuto un totale di 49.000.000 di euro [25].
Nel 2018, sono state le ferrovie olandesi a capitolare di fronte alla campagna promossa da Müller, per conto dei circa 500 sopravvissuti allo sterminio, e di oltre 5.500 familiari di vittime, cui sono stati destinati poco meno di 50.000.000 di euro.
Ora è la volta della Deutsche Bahn, “erede” aziendale della Reichsbahn; gli avvocati di Müller si sono rivolti alla società e direttamente alla Cancelliera Angela Merkel, chiedendo che venga pubblicamente assunta la responsabilità morale e giuridica delle deportazioni; per ora, il governo tedesco ha dichiarato che “la Germania, ovviamente, è ritenuta responsabile dei crimini del regime nazista”, e che “Non dimenticheremo mai i crimini commessi dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Fino ad oggi ci riempiono di grande sgomento e vergogna”. Deutsche Bahn negli anni ’90 aveva in effetti creato una Fondazione per la Memoria, la Responsabilità e il Futuro, avviando nel 2010 un progetto a beneficio dei sopravvissuti alle deportazioni.
Tutto lascia pensare che Salo non si accontenterà di altre promesse.
[1] “Ritorno non desiderato”: la classificazione dei treni speciali per le deportazioni.
[2] B.Stangneth, La verità del male. Eichmann prima di Gerusalemme, LUISS U.P., 2017 ed.digit.
[3] Uso l’espressione di R.Hilberg, La distruzione degli Ebrei d’Europa, (1985) Einaudi, 1995.
[4] Tra tutti R.Hilberg-P.Hayes-C.Browning, German Railroads, Jewish Souls, Berghahn Books,2020; H.Lichtenstein, Mit der Reichsbahn in den Tod : Massentransporte in den Holocaust 1941 bis 1945, Bund-Verlag, 1985; v.la sintesi di S.Gigliotti, The Train Journey. Transit Captivity and Witnessing in the Holocaust, Berghahn Books, 2010. Sulle deportazioni in generale R.Hilberg, La distruzione degli Ebrei d’Europa, cap.VIII, p.417 ss.
[5] Il sito web di Müller: https://www.salomuller.nl/ (solo in lingua olandese).
[6]V. il suo libro See You Tonight and Promise to Be a Good Boy! (le parole con le quali sua madre lo salutò a scuola poche ore prima di essere arrestata) , Amsterdam Publishers, 2017.
[7] S.Gigliotti, op.cit., p.40. Per i “gruppi”, peraltro (e cioè quasi sempre: oltre i 400 viaggiatori) scattava lo sconto del 50%.
[8] C.Browning, Uomini comuni, (1992), Einaudi, 1995; in particolare il cap. IV, p.28 e ss. con alcuni esempi di relazioni degli ufficiali in comando dei trasporti.
[9] B.Stangneth, op. cit.
[10] Sul punto v. lo stesso A.Speer, Memorie del Terzo Reich, (1969), Mondadori, 1995 p.266 ss., e G.Sereny, In lotta con la verità, (195) Rizzoli, 1998, p.385 ss.
[11] R.Hilberg, op. cit., p.507.
[12] Per una sintesi della vita di Ganzenmüller v. la relativa voce in Wikipedia.
[13] Così Adolf Hitler, verbale del 1942, citato da A.Speer , op. cit. p.268-269.
[14] Hilberg lo afferma in German Railroads, Jewish Souls, riprodotto in R.Hilberg-P.Hayes-C.Browning, op.cit., p.26, e nel celebre film documentario di C.Lanzmann, Shoah (1985).
[15] R.Hilberg-P.Hayes-C.Browning, op. cit., p.1 (ns. trad.)
[16] R.Hilberg-P.Hayes-C.Browning, op. cit., p.26 (ns. trad.)
[17] E. Hillesum, Lettere 1942-1943, Adelphi, 1990, p. 132.
[18] P.Weiss, L’istruttoria, (1965), Einaudi, 1966, p.13-39. Tra il 1963 ed il 1965 si svolse a Francoforte il primo processo veramente significativo a carico di SS e funzionari di Auschwitz. E si noterà tra l’altro come alcuni dei testimoni, partecipi delle operazioni con le ferrovie all’epoca delle deportazioni, fossero attualmente (anni ’60) dirigenti delle ferrovie della Repubblica federale.
[19] E.Goffman, Asylums, (1961), Einaudi, 1968.
[20] T.Des Pres, The Survivor: An Anatomy of Life in the Death Camps. New York: Oxford U.P., 1976, p.51 ss.
[21] Erlebnis: “una realtà vissuta passo dopo passo da coloro che vi hanno preso parte”: R.Hilberg, op. cit., p.1075.
[22] R.Hilberg, op. cit., p.1075.
[23] Se ne legge nell’articolo di E.Äsbrink, The Holocaust Was an Attempt to Erase Millions of People, Time 21.04.2020 (https://time.com/5824342/holocaust-remembrance-documents/)
[24] S.Klarsfeld, Vichy-Auschwitz, La “solution finale” de la question juive en France, Fayard, 2001.
[25] Il comunicato di Guillaume Pepy del 4.11.2010 si legge in https://www.prnewswire.com/news-releases/statement-by-guillaume-pepy-chairman-of-sncf-regarding-sncfs-role-in-world-war-ii-wwii-106716278.html.