Una giudice a Catania. Il caso Apostolico e le conseguenze degli attacchi politici alla magistratura
di Cataldo Intrieri
La giudice Iolanda Apostolico che giusto un anno fa precorrendo i tempi e le polemiche, aveva disapplicato uno dei tanti decreti flussi allora denominato Cutro, con motivazioni che avevano precorso quelle adottate oggi dai colleghi di Roma e Bologna con le ben note conseguenze si è improvvisamente dimessa dalla magistratura.
Lo ha fatto senza fornire alcuna spiegazione ufficiale e senza neanche ricorrere alla comoda via d’uscita di una qualche forma di scivolo o prepensionamento.
Il suo collega Stefano Musolino segretario della Corrente di MD cui la magistratura fa parte ha scritto apertamente di «dimissioni che turbano l’intera magistratura» di «senso di isolamento che da individuale tende pericolosamente a diventare collettivo», di «logica intimidatoria» scagliata su» vulnerabilità di cui tutti siamo impastati» che rendono i magistrati meno indipendenti…preoccupati delle loro vite private indifese. Un linguaggio chiaro che getta uno squarcio anche sulla grave situazione politico-istituzionale italiana (e non solo) che in molti fingono di non vedere come se ancora oggi il nocciolo del problema sia la abituale polemica sul garantismo (che ha certo il suo rilievo ed importanza) e non qualcosa di più oscuro e diverso, un grumo nero che corrode la giustizia lentamente ma progressivamente e che dovrebbe scuotere soprattutto i difensori più convinti delle garanzie difensive, tra cui per ciò che può importare milita chi scrive.
Perché se si ritiene normale “isolare un magistrato” o inviare una busta con tre pallottole all’avvocato di un omicida come è avvenuto per il prof. Caruso difensore di Stefano Turetta, ciò significa significa che il problema è generale e connesso in un mondo dove ogni giorno un qualsiasi imbecille politico rovescia insulti su magistrati, imputati, condannati e diritti assortiti delle minoranze.
Apostolico per singolare coincidenza o voluto tempismo, chissà, ha deciso nella stessa giornata in cui il governo ha votato la fiducia all’ultima versione del decreto flussi e la procura generale della Cassazione, supremo organo requirente della giurisdizione italiana, ha chiesto di rinviare alla Corte di giustizia europea la decisione sui ricorsi del governo contro i provvedimenti dei giudici di Roma e Bologna che hanno “sabotato” secondo i cantori Meloniani la "giusta e moderna” politica sull’immigrazione.
Invece i vertici della magistratura requirente hanno ritenuto corretta la decisione già adottata dal giudice Gattuso di Bologna, a sua volta oggetto di violenti attacchi personali sulla sua vita privata: chiedere lumi alla Corte di Lussemburgo al fine di sapere con certezza se la sequela di leggi ossessivamente varate negli ultimi anni dall’attuale esecutivo sull’immigrazione e protezione Internazionale, rispettino i diritti fondamentali di soggetti deboli e soprattutto l’autonomia della giurisdizione, vero nocciolo duro della questione ancorché lo si trascuri come vedremo.
Da circa un anno pende al CSM una richiesta di presa di posizione “a tutela” di Apostolico che non ha avuto seguito.
Il punto non sono le “fragilità personali” e la reazione soggettiva alle polemiche inevitabili.
Ciò che ha contraddistinto le critiche ai magistrati delle varie sezioni sull’immigrazione dei tribunali è stata la deriva verso l’attacco personale come atto costante.
Di Apostolico sono state diffuse in tv riprese durante una manifestazione politica contro provvedimenti del governo sui respingimenti ed addirittura sotto casa in motorino con un familiare.
La prima documentazione proviene da fonti della questura di Catania e nessuno ad oggi ha spiegato chi le abbia fornite alla propaganda filogovernativa.
Del giudice di Bologna sono state riprese dichiarazioni attinenti la sua situazione familiare di padre adottivo.
Accanto a ciò prosegue un’attività di depistaggio informativo che lungi dall’affrontare il merito giuridico dei provvedimenti contestati la butta in caciara sulle idee politiche dei magistrati.
È appena il caso di ricordare che nell’ufficio di sottosegretario alla presidenza del Consiglio siede un eccellente magistrato in aspettativa, Alfredo Mantovano, uno dei registi dell’attuale politica governativa, da lungo tempo parlamentare e militante dei movimenti pro-vita della cui imparzialità mai nessuno ha dubitato anche in ragione va detto della riservatezza da sempre custodita e cui qualche collega potrebbe ispirarsi.
Ebbene, non ci si stancherà dal ripeterlo, anche l’ultimo decreto flussi ripete le medesime criticità che hanno portato alla disapplicazione dei precedenti provvedimenti.
L’elenco dei “paesi sicuri” continua a comprendere paesi “sicuri” che l’UE tali non considera
Contiene parti “riservate” in ordine alle modalità dei trattenimenti e degli appalti che già in precedenza le corti europee anche ai tempi dei governi Renzi, Gentiloni, Minniti hanno ritenuto inaccettabili per violazione del principio di legalità (Cedu Sentenza Italia-Al Khalifa, 2016).
Accanto a ciò il vero tema su cui si sorvola concerne la vera e propria legittimità di una procedura di rimpatri accelerati il cui perno sarebbero i trattenimenti nei costosi resort albanesi dove ad oggi sono entrati e subito usciti in ben 19 (nessuno che sottolinei questo: i centri non hanno mai contenuto moltitudini)
Le precedenti sentenze delle corti europee, tra cui quella della CGUE del 4 ottobre che ha dato fuoco alla miccia, impongono che a decidere sia un giudice e rendono pressoché certa mente irrealizzabile la possibilità di automatismi come i respingimenti basati su elenchi preordinati.
Sullo sfondo come ha fatto Intuire lo stesso Mantovano vi è però di più e cioè la ridiscussione dello stesso ruolo di primazia della giurisdizione europea su quella interna.
Un tema su cui l’Italia in epoca di sovranismo dilaganti potrebbe trovare sponda ma che manderebbe per aria uno dei fondamenti dell’UE. L’Ungheria, dove ciò è stato tentato, per ora senza successo, è vicina.
Questo contributo è già apparso su Linkiesta il 6 dicembre 2024.