Porgo a tutte le Autorità civili e militari e a tutti i presenti il saluto della Magistratura giudicante del distretto e ringrazio l’A.N.M. per avere scelto Palermo come sede del Congresso che si svolge a pochi giorni dal 32° anniversario della strage di Capaci.
Ringrazio anch'io il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la Sua presenza ieri.
I Suoi interventi, tanto pacati quanto autorevoli, costituiscono un'autentica lezione di democrazia per forma e per contenuto e un'iniezione di fiducia e di speranza.
Mi scuso subito se ripeterò diverse cose già dette ieri, peraltro in modo più autorevole; ritengo, però, che non sia una sterile monotonia ma sia frutto di consonanza di idee e di valori.
Una presenza così numerosa di partecipanti, a mia memoria pressoché inedita, è il miglior riscontro della bontà della scelta sia della sede sia del tema verso il quale sta crescendo l'attenzione, alimentata da recenti vicende che hanno riproposto in tutta la sua importanza il ruolo della giurisdizione e in tutta la sua intensità il rapporto tra politica e giurisdizione che, purtroppo, ha assunto, ancora una volta, i toni dello scontro istituzionale.
L'esistenza di una forte tensione, che si coglie anche in frequenti espressioni irridenti e sprezzanti, alimenta una pericolosa forma di antagonismo tra Poteri dello Stato, che, invece, i Costituenti hanno costruito in termini di cooperazione.
La Magistratura non vuole alcuna forma di scontro ma rivendica soltanto il diritto/dovere di svolgere la funzione di tutela dei diritti e di controllo di legalità nel perimetro tracciato dalla Costituzione.
Solo una giurisdizione autenticamente garante dei diritti a ogni livello e in ogni settore può concorrere a realizzare il modello di società disegnato dalla Costituzione e il suo progetto di democrazia sociale, che oggi invece è in crisi.
I diritti sociali, come la casa, l'istruzione, il lavoro, sono in gran parte accantonati o riscritti esclusivamente in un'ottica di mercato.
In questo contesto di "nuova democrazia" il ruolo della Magistratura diviene ancora più rilevante.
I diritti, come scrive Stefano Rodotà, sono i temi di una vita, da essi si misura la qualità di una società e "non sono acquisiti una volta per tutte, sono sempre insidiati, diventano essi stessi strumenti di lotta per i diritti".
Già nel lontano 1965, nel congresso di Gardone, l'A.N.M. aveva espresso la consapevolezza “della portata politico-costituzionale della propria funzione di garanzia per assicurare un’applicazione della norma conforme alle finalità fondamentali volute dalla Costituzione” e da allora è stato costante il processo di promozione dei diritti e delle garanzie in attuazione della Costituzione.
La funzione legislativa non è più monopolio dello Stato nazionale, in quanto accanto allo stesso esistono altre Istituzioni alle quali è attribuita una funzione regolatrice come quelle sovranazionali.
L’ordinamento giuridico al quale il Giudice deve riferirsi non è solo il diritto statale, ma anche quello comunitario e quello convenzionale.
Inoltre, lo spostamento del baricentro dell'attività legislativa sul Potere esecutivo ha prodotto una legislazione sempre più frequentemente indotta da sollecitazioni estemporanee e populiste, carente di organicità sistematica e talvolta anche di chiarezza, soggetta a continue modificazioni che ne determinano l'instabilità e ne riducono l’efficacia sostanziale.
L’indebolimento della funzione legislativa dello Stato e la frammentazione nella titolarità a dettare le regole si riflettono sul rapporto tra legislazione e giurisdizione.
Sulla giurisdizione si riversa una grande quantità di istanze sociali per la verifica della tutelabilità di ogni nuova pretesa alla quale il legislatore, per scelta o per incapacità, non abbia voluto o non abbia saputo dare risposta.
Le nuove domande sono rivolte alla giurisdizione anche perché, cito ancora Rodotà, "la magistratura comincia a presentarsi come un potere diffuso sul territorio e quindi in grado di garantire una maggiore vicinanza e corrispondenza rispetto al modo in cui le domande si formano e si articolano nell'organizzazione sociale".
E il giudice, a differenza del legislatore, che può decidere se dare ingresso o meno alle istanze assumendone la responsabilità politica, non può rispondere con un “non liquet”.
La funzione giurisdizionale va esercitata in ogni caso e non può essere mai rifiutata.
Tutto ciò, oltre a imporre alla giurisdizione di fare fronte a una domanda quantitativamente e qualitativamente in continua crescita, che alza sempre più l'asticella delle aspettative con attribuzione crescente di responsabilità, rende ancora più attuale il tema dell’equilibrio tra potere legislativo e potere giudiziario.
La mediazione del conflitto si sposta sempre più frequentemente dal momento della creazione della regola a quello della sua applicazione.
Così, i confini tra la funzione del legislatore e quella del giudice, che sono ben delineati a livello teorico [il legislatore detta le regole e il giudice le applica], nel concreto si declinano in modo meno netto.
In questo contesto fluido e magmatico diviene di pregnante attualità il tema dell'interpretazione delle norme che è l’essenza della giurisdizione.
Sembrava tramontata definitivamente l'idea del giudice "bocca della legge", ma, forse all'insegna del timore di un soggettivismo giudiziario incontrollato, riaffiora l'idea di una giurisdizione meccanica e sillogistica che rischia di portare indietro l'orologio della Storia e riscrivere lo statuto del magistrato.
L'argomentazione giuridica non è il risultato di un sillogismo lineare perché nella stessa si intersecano momenti assiologici e teleologici, deduttivi e induttivi, e la decisione non è roba da algoritmo, è un'operazione assai complessa per la quale non è agevole individuarne tutte le possibili e variabili dinamiche, a cominciare dal panorama delle fonti regolatrici.
Afferma Calamandrei che "ridurre la funzione del giudice a un puro sillogizzare vuol dire impoverirla, inaridirla, disseccarla. La giustizia è qualcosa di meglio: è creazione che sgorga da una coscienza viva, sensibile, vigilante, umana. È proprio questo calore vitale, questo senso di continua conquista, di vigile responsabilità che bisogna pregiare e sviluppare nel giudice".
Naturalmente non sono in discussione né la titolarità del potere legislativo, né il principio della soggezione del giudice alla legge.
Ma la prima legge è la Costituzione che è al vertice del sistema delle fonti e anche e soprattutto nella stessa, nei suoi principi etici e giuridici, vanno ricercati i canoni dell'interpretazione del diritto.
Si avverte, non solo nella giurisdizione ordinaria, una diffusa >span class="normaltextrunscxw95774379bcx9">ell'attività del Governo e additati come fattore di rallentamento dell'attività medesima, non considerando, invece, che nelle democrazie i controlli hanno la funzione di garanzia dei cittadini e, indirettamente, di ausilio al corretto esercizio del potere.
È un'insofferenza che si coglie anche nel percorso di riforma in atto sui delitti contro la pubblica Amministrazione, la cui rivisitazione, tra gli altri effetti negativi, sottovaluta il fatto che i reati contro la p.A., e principalmente la corruzione, sono diventati uno degli strumenti privilegiati da Cosa Nostra per la sua ancora persistente attività criminale.
Si accusa la Magistratura di agire in funzione antimaggioritaria, trascurando che l'espressione "contromaggioritario" nella sua accezione autentica non esprime la volontà eversiva della Magistratura di contrapporsi al Governo, ma richiama il ruolo che nelle democrazie costituzionali riveste la giurisdizione.
Il consenso popolare non è sufficiente a legittimare ogni atto politico di governo che incontra il limite invalicabile del rispetto dei diritti fondamentali, l'accertamento della cui violazione compete esclusivamente alla Magistratura.
Il consenso popolare non può rendere lecito un atto contrario ai diritti costituzionalmente garantiti che sono tutelabili anche nei confronti delle contingenti maggioranze politiche e quand'anche la loro violazione fosse conseguenza di un atto politico approvato all’unanimità.
Sempre più frequentemente viene agitato lo spettro della violazione del principio dell'imparzialità del giudice.
Il rapporto tra imparzialità e interpretazione è complesso e la complessità è cresciuta per il pluralismo delle fonti, ma l'ampliamento degli spazi interpretativi non deve trasformarsi nel suggestivo timore del "diritto libero" e soprattutto non deve indurre a temere che la libertà di interpretazione possa tradursi nella parzialità del giudice.
Ogni magistrato ha, e sarebbe innaturale che non le avesse, le proprie idee culturali, politiche, religiose.
Non credo che ci sia nulla di più ideologico della pretesa apoliticità del magistrato la cui imparzialità si riassume, invece, nella capacità di mettere da parte le inclinazioni personali nell'esercizio della giurisdizione.
All'ipocrisia strumentale del giudice senza idee si deve contrapporre la figura del giudice senza pregiudizi, perché è questo che garantisce la sua imparzialità, così come la garantiscono la professionalità e l'obbligo di motivazione dei provvedimenti.
L’imparzialità è presidiata dall'autonomia e dall'indipendenza del Potere giudiziario che assume un ruolo centrale per l'esistenza e per la difesa dello Stato di diritto, in cui anche il Potere è soggetto alla legge.
È quindi necessario che ci sia una Magistratura imparziale e indipendente che sia in grado di fare rispettare la legge e tuteli i diritti anche nei confronti di chi in quel determinato momento storico detenga il potere.
Questa è la misura del tasso di democrazia di un Paese.
Le recenti riforme approvate e soprattutto quelle in cantiere fanno riflettere e preoccupano.
La riattualizzata questione della separazione delle carriere, inutile e dannosa, la riscrittura della composizione e del ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura, l'intendimento di intervenire sul principio di obbligatorietà dell'azione penale anche declassandolo dalla fonte costituzionale a quella della legge ordinaria, la singolare e indecifrata previsione dei test psicoattitudinali per i magistrati, concorrono, unitamente ad altre iniziative, al riassetto globale del rapporto tra i Poteri dello Stato, che, ove realizzato, non apporterà alcun beneficio al funzionamento della giustizia, non accorcerà di un solo giorno la durata dei processi, che è il vero e irrisolto problema della giustizia, e non ne migliorerà sotto alcun profilo l’efficienza, che, invece, necessita di ben altri interventi che la Magistratura a ogni livello ha invocato ripetutamente.
Ribadita la indiscutibile autonomia del Governo e del Parlamento sovrano, non può non rilevarsi che si profila un preoccupante scenario nel quale la previsione costituzionale dell'indipendenza, nonostante le autorevoli e ripetute dichiarazioni rassicuranti, rischia di diventare un simulacro, conservato nella forma ed eroso nella sostanza da una sistemica e concentrica opera di indebolimento dei suoi elementi portanti.
Si fa riferimento spesso alla legislazione di altri Paesi per giustificare questo o quell’altro progetto di riforma, ma non si considera che proprio la Magistratura di altri Stati guarda con ammirazione e interesse alla nostra architettura costituzionale e che l'Associazione Europea dei Magistrati ha espresso la preoccupazione che le progettate riforme "nonostante siano descritte dai loro fautori come idonee ad assicurare l’imparzialità del giudice ed a rafforzare il principio del contraddittorio nel processo penale, ad un esame obiettivo esse legittimano una ampia estensione degli spazi di influenza che la politica può esercitare sull’attività giurisdizionale, così indebolendo le essenziali prerogative di autonomia ed indipendenza della magistratura…".
Sotto altro profilo è indubitabile la necessità della tendenziale stabilità dell'interpretazione.
La Costituzione qualifica la magistratura come potere diffuso e l’ordinamento colloca i giudici di merito come prima istituzione per la tutela dei diritti.
L’interpretazione delle norme giuridiche da applicare compete a qualunque giudice, di ogni ordine e grado.
La Corte di Cassazione, cui è attribuito il compito della nomofilachia, si avvale delle sollecitazioni provenienti dai giudici di merito.
Questi, anche attraverso le preziose sollecitazioni dell'Avvocatura, apportano il loro contributo, prospettando letture e soluzioni innovative che si trasformano in diritto vivente, e le loro decisioni non impugnate diventano definitive, entrando nel circuito della nomofilachia diffusa anche senza il crisma della Suprema Corte.
Ma il giudice di merito deve avere anche la responsabile consapevolezza che, per assicurare efficacia ed effettività alla tutela dei diritti, deve contribuire alla realizzazione di un sistema, che, in nome di una malintesa idea di autonomia e di indipendenza, non sia schizofrenico e disorientante.
In un contesto nel quale il formante giurisprudenziale ha un rilievo decisivo, la prevedibilità delle decisioni, che anche la Corte EDU ritiene nell’interesse della certezza del diritto, assume un valore enorme.
La prevedibilità non è quel conformismo che Calamandrei riteneva la peggiore sciagura che potrebbe capitare a un magistrato.
Il magistrato conformista e burocrate non ci appartiene ed è ben lontano dal modello costituzionale al quale costantemente ci ispiriamo.
Non c’è dubbio che una giurisprudenza statica e insensibile alle sollecitazioni che vengono dall’evoluzione della comunità non avrebbe consentito di realizzare gli approdi cui è pervenuta, per cui, da un lato, non si possono ignorare le ragioni della stabilità, imposte da esigenze di garanzia e dalla necessità di assicurare l’uguaglianza dei cittadini, nonché dall’obiettivo di orientare i consociati, ma, dall'altro, si deve tenere conto anche delle ragioni del cambiamento, in quanto l’inarrestabile evoluzione della giurisprudenza è linfa vitale della democrazia e, per dirla con Paolo Grossi, “bisogna evitare che la prevedibilità del diritto sia strumentale a garantire l'impietosa disuguaglianza tra ricchi e poveri”.
L’articolo 3 della Costituzione si rivolge a tutte le Istituzioni, compresa la Magistratura, e la Costituzione, come afferma Calamandrei, “non è immobile, è rinnovatrice e mira alla trasformazione della società”.
La straordinaria produzione giurisprudenziale della Suprema Corte e la sua immediata conoscibilità non devono indurre i giudici di merito a rinunciare all'autonoma attività di interpretazione.
Ne verrebbero fuori l’appiattimento e l'impoverimento della giurisprudenza, innescando un circolo vizioso destinato a ripercuotersi negativamente anche sulla Cassazione, che sarebbe privata degli stimolanti contributi provenienti dai giudici di merito, in relazione ai quali si formano e si consolidano gli orientamenti del Giudice di legittimità.
Se la decisione della Corte di Cassazione non segue a un fecondo dibattito da parte dei giudici di merito, ma obbedisce maggiormente alla necessità di una risposta urgente, rischia di perdere un apporto importante.
L’accelerazione verso l’immediatezza della decisione di legittimità, spesso comprensibilmente auspicata per la necessità di un'interpretazione univoca in un contesto normativo instabile, ha come controindicazione un pericoloso verticalismo giurisprudenziale.
Tutto si tiene: una Magistratura autonoma e indipendente, professionalmente attrezzata, responsabilmente consapevole del ruolo e del potere che esercita, autenticamente orizzontale, interpreta e applica la legge garantendo l'imparzialità; anche per questo é credibile e gode dell'indispensabile fiducia della collettività senza tuttavia ricercarne il consenso.
Le conquiste della Magistratura sul versante della tutela dei diritti e sul controllo di legalità si sono realizzate solo grazie alla professionalità dei magistrati e alla granitica solidità di un sistema costituzionale che ne ha garantito l’autonomia e l’indipendenza.
Autonomia e indipendenza della magistratura giudicante e di quella requirente, che concorre anche a garantire la prima.
Una Magistratura debole e vulnerabile non è in grado di assicurare tutela effettiva ai diritti, non è in grado di affermarli nei confronti del potere, non può realizzare un vero controllo di legalità.
A farne le spese sarebbero i cittadini.
Concludo ricordando che il 30 marzo 1956, in questa città, Pietro Calamandrei, nel corso della sua arringa in difesa di Danilo Dolci, affermò che “la funzione dei giudici … è quella di creare gradualmente la nuova legalità promessa dalla Costituzione.
Voi dovete aiutarci, signori Giudici, a difendere questa Costituzione che è costata tanto sangue e tanto dolore, voi dovete aiutarci a difenderla e a far sì che si traduca in realtà”.
Sono trascorsi quasi settant'anni ma quelle limpide parole sono ancora un monito e un impegno.