di Paolo Mancuso
In cosa risiede la legittimazione della delega che i componenti di una comunità affidano ai loro magistrati per giudicare ed essere giudicati? Le risposte che nella storia del diritto sono state date a questa domanda sono state tante, ma la prevalente, e più convincente consiste nella pretesa che essi garantiscano i loro diritti ed amministrino i loro interessi secundum ius, con impegno, professionalità ed imparzialità, cioè senza pre-giudizio dettato da posizioni o convincimenti personali o di parte.
Di qui nasce la domanda: ma un giudice per essere imparziale, cioè per rispondere correttamente a quella delega, deve anche apparire imparziale? E soprattutto: qual è il limite di una condotta da non superare per garantire l’immagine di imparzialità?
Sappiamo tutti che il giudice della turris eburnea, il giudice di Montesquieu, è figura immaginaria, non esistente in natura. Se hai un figlio licenziato per giusta causa, sarai un buon (i.e. imparziale) giudice del lavoro? Se una tua amica ha subito una condotta violenta, lo sarai per un codice rosso? Se sei in lite con il tuo condominio, lo sarai in un analogo procedimento civile? E gli esempi possono essere innumerevoli. Ma, cambiando registro: se sei orientato politicamente (leggi con continuità ad esempio, la Repubblica o il Foglio); se fai parte di un’associazione di volontariato per l’assistenza ai senza tetto, o ai detenuti, o ai migranti? Se scrivi articoli sui diritti delle persone LGBTQ? Se eri nel milione di persone che ha manifestato con Cofferati contro l’attacco allo Statuto dei lavoratori al Circo Massimo, ormai lontano nel tempo? Sarai un buon giudice? Risponderai a quella pretesa della tua comunità che è alla base della terribile delega che ti è stata affidata?
Ovviamente, quello che viene fuori a questo punto è la domanda delle domande: qual è il modello di giudice ideale? Pensare che esista una risposta a questa domanda è irreale. Tuttavia, di là da quanto prevedono norme disciplinare ormai (più o meno!) codificate, si può tentare di dare una risposta ad una domanda diversa, ragionando per inversione. Quale giudice non vorremmo incontrare, come nostro giudice? È forse il caso di ricordare che il Ministro della Giustizia del Partito Liberale prof Vincenzo Arangio Ruiz, noto grandissimo giurista napoletano, abolì nel 1944 (Governo Badoglio) il divieto (introdotto dal Governo Mussolini) per i magistrati di partecipare alla vita politica, e addirittura abolì il divieto di essere iscritto a partiti politici, osservando che essendo impossibile che un magistrato non abbia idee politiche è preferibile conoscerle.
Impossibile non avere idee politiche? Forse non proprio: c’è davvero chi è convinto di non averle, o almeno di averne poche, confuse e irrilevanti. Sarà un buon giudice, costui? Cosa sarebbe la società italiana, cosa la nostra giurisprudenza, cosa lo stesso mondo del diritto se non avessimo avuto figure di ‘rottura’ di orientamenti consolidati quali i pretori che contrastarono i monopoli dei petrolieri? O altri monopoli, quelli dell’informazione? O che protessero lo stesso nostro ambiente prima di qualsiasi legislazione (procedendo ad esempio contro gli inquinatori delle acque utilizzando la legge sulla pesca)? O che elaborarono una giurisprudenza in materia di sicurezza sul lavoro alla fine tradotta in normativa? E si potrebbe continuare fino ai giorni nostri, sul fine vita, sulla procreazione assistita e, e, e. La verità è che solo la progressiva espansione di una sensibilità ai valori della nostra Costituzione ha consentito, ad una magistratura che andava sempre più abbandonando l’ingannevole mito del giudice indifferente, di spezzare pigre prassi consolidate, paludi mefitiche, e di dare un senso al valore tanto mitizzato, e tanto ingannevole se declinato in astratto, della propria indipendenza.
Perché cos’altro è l’indipendenza se non la capacità di decidere senza aspettative, senza timori, senza pregiudizi, ma avendo ben presente che ogni decisione deve rispettare una scala di valori che è scritta nella pietra su cui ogni magistrato ha giurato. E se ritiene che un Governo che stabilisce un prezzo alla libertà personale stia violando i valori della Costituzione (e che il contrasto con la normativa europea lo consenta), semplicemente disapplica il decreto che impone quel prezzo. Ed è facile prevedere che se davvero in manovra finanziaria verrà introdotta la tassa di 2.000 € per gli stranieri che vogliano usufruire del SSN, ci sarà un giudice in Italia che disapplicherà anche questo. E quel giudice, se ritiene che il cd. decreto Cutro consenta l’espulsione di stranieri senza valutarne l’inserimento familiare nel nostro Paese, disapplica il decreto Cutro (Cass., I Sez civ., 10/7/2023, ric. 27304). Ora dobbiamo aspettarci che anche il Presidente Abete, che ha emesso questa decisione, venga sottoposto ad un vero e proprio dossieraggio, come la malcapitata collega Apostolico? E gli contesteranno il colore dei calzini (anche questo è avvenuto, Berlusconi governante) o andranno a spulciare qualche sua dichiarazione di critica al Governo?
Perché alla fine oggi è sull’immigrazione che si scarica l’ansia di prestazione del Governo: inadeguato a comprendere la portata storica del fenomeno, incapace di trovare una risposta che garantisca i diritti dei migranti e la sicurezza dei cittadini, indifferente rispetto alla sofferenza di donne, minori, malati, in fuga da miseria, malattie, fame e guerre, mosso unicamente da un’urgenza securitaria che gli garantisca consenso e potere, reagisce producendo normative affrettate e tecnicamente inadeguate, gravemente lesive dei diritti di umanità, ma anche della normativa europea e soprattutto della nostra Costituzione.
Oggi è qui, su questa materia, che la magistratura è chiamata a esercitare, e non solo declamare, la propria indipendenza. Che è, ovviamente e prima di tutto, indipendenza dal potere ed affermazione della legge (che, diceva un nostro filosofo, è il potere dei senza potere). E i dossieraggi, e le fotografie, e il coinvolgimento di familiari in vicende del tutto lontane ed irrilevanti potranno restare ininfluenti e non scalfire il senso di autonomia che quel giudice manifesta solo se l’intera categoria respingerà come odiose, vili ed intimidatorie tali manovre. Manovre che hanno un unico vero obiettivo: costringere al silenzio ogni manifestazione di dissenso rispetto al sacrificio dei valori che in questo momento sono in gioco: consapevoli tutti che una magistratura silente, conformista ed intimidita al suo interno, ma mitizzata e premiata all’esterno, sarà proprio quel cane da guardia del potere in cui dovrebbe realizzarsi, secondo alcuni, il corretto rapporto fra politica e giurisdizione.
Ma il gioco è vecchio; è scoperto; questo tavolo la magistratura (guidata dalla sua parte migliore e più consapevole) lo ha rovesciato da tempo. Nessuno provi a rimetterlo in piedi.