di Vittorio Gaeta
Non siamo in tempi in cui si possano invocare moderazione o umanità nella discussione pubblica o nella battaglia politica, tanto meno nella vera e propria guerra che contro la giudice Iolanda Apostolico del Tribunale di Catania - rea di aver negato la convalida di alcuni provvedimenti di trattenimento di stranieri nel CIE di Pozzallo, fondati su norme da disapplicare perché ritenute in contrasto con regole europee - è stata unilateralmente proclamata da buona parte del sistema politico-mediatico. Quanto accaduto negli ultimi giorni, tuttavia, supera ogni immaginazione.
Domenica 15 ottobre alcuni quotidiani del gruppo Caltagirone pubblicano in prima pagina la foto della giudice con il testo “Aggredì gli agenti al corteo, assolto il figlio di Apostolico, la giudice lo difese”. Così “il Messaggero”, che nelle pagine interne racconta di un processo celebrato un anno fa a Padova contro attivisti di sinistra che, nel protestare contro un corteo del gruppo neofascista Forza Nuova, avrebbero commesso reati di resistenza e violenza a pubblico ufficiale: tra questi il figlio della giudice, la quale testimoniando al processo ne avrebbe favorito l'assoluzione (ma, di tredici imputati, solo uno fu condannato). L'articolo, corredato della solita foto della giudice alla manifestazione del 2018 (disinvoltamente definita “dell’ultra-sinistra”) in favore dello sbarco dei migranti trattenuti sulla nave “Diciotti”, fa un accenno strabiliante: “all'epoca il volto della Apostolico era di fatto sconosciuto, ma ora che è balzata agli onori della cronaca, un flash ha illuminato la memoria di chi un anno fa l’ha vista deporre in aula a Padova a favore del figlio”. Ci si chiede di chi sia la memoria del soggetto che, avendo assistito a quella deposizione nell'aula di Padova, è stato di recente illuminato dal cosiddetto flash: in un caso del genere, l’anonimato nella trasmissione ai giornali della notizia risulta arduo da commentare.
Si scatena così la gazzarra, nella quale esponenti mediatici e di maggioranza esigono le dimissioni di Apostolico, la cui testimonianza a Padova sarebbe un’inopportuna espressione di militanza politica; replica la Giunta distrettuale dell'ANM di Catania, con un severo comunicato di solidarietà verso la giudice. Nei cui confronti, prima del flash patavino, iniziava a languire il can-can sul video della manifestazione di epoca in cui non si occupava di immigrazione, cinque anni prima dei dinieghi di convalide di trattenimenti. Il can-can dell’incivile profilazione della magistrata, di cui ha parlato l’ex-ministro Flick in un'intervista dell'8 ottobre a “la Stampa”.
In questa barbarie, alcuni banali punti fermi vanno ricordati.
È normale che chi è a conoscenza di fatti rilevanti per un processo venga indicato dalle parti come testimone da ascoltare, che si tratti o meno di un magistrato, tenuto a deporre come ogni altra persona. Non ha alcuna rilevanza che il potenziale testimone sia un parente: la sua deposizione sarà ammessa e valutata dal giudice, che dovrà tenere conto della possibilità di inquinamento anche involontario derivante dal legame con la parte, ma sarà poi libero di ritenerla attendibile. Il testimone infine, diversamente da quanto si è letto in queste ore, non è un “difensore” del soggetto che lo indica, e certamente può deporre su circostanze apprese de relato dalla parte.
Tutto questo in termini generali. E in particolare? In particolare, a Padova un giudice ritenne credibile la teste, e nel complesso debole l’impianto accusatorio, avendo assolto non solo suo figlio, ma dodici imputati su tredici. Quindi la magistrata Apostolico esercitò il suo dovere civico e, secondo il giudice che la ascoltò, disse la verità contribuendo a fare assolvere il figlio (ma altri undici imputati furono assolti a prescindere da quella testimonianza).
Questi i fatti, se a qualcuno interessano. Il resto è faziosità.
E mentre la diffamazione personale prova a ravvivarsi con i cosiddetti flash, l’attacco ai dinieghi di convalida di trattenimenti cerca nuove strade. Non si nega più il potere del giudice di disapplicare le norme nazionali contrastanti con il diritto dell’UE, tanto più che fu Fratelli d’Italia, nella scorsa legislatura, a chiedere invano di introdurre (con modifica costituzionale!) l’opposto principio di prevalenza del diritto nazionale su quello eurounitario (atto nr. 291 della XVIII legislatura, prima firmataria l’on. Meloni), principio che ovviamente comporterebbe una disapplicazione di segno opposto. Né si può ignorare che alla contestata disapplicazione hanno proceduto anche altri magistrati, nel mentre si scopre (“Fatto quotidiano” del 14 ottobre) che alcuni centri di “rimpatri veloci” sono pressoché vuoti per la gravosità delle procedure di convalida.
L’attenzione si sposta allora sui limiti della disapplicazione: senza più negarlo, si assume che questo potere del giudice nazionale potrebbe esercitarsi solo in casi estremi, di evidente contrasto con il diritto eurounitario. Tesi formulata nell’intervento a Palermo il 14 ottobre del sottosegretario Mantovano davanti al capo dello Stato, e accentuata nella conversazione con “il Foglio” del 16 ottobre del politico-magistrato: “La disapplicazione, in presenza di una fonte comunitaria, è sempre un caso estremo quando una norma nazionale è evidentemente illegittima. Ma una norma evidentemente illegittima non è qualcosa che si riscontra ordinariamente: il capo dello Stato non firma norme evidentemente illegittime. La gestione di un fenomeno così complesso e delicato come l'immigrazione non può passare per via giudiziaria.”
Per la verità, un giudice si rivolge alla Corte di giustizia dell'UE solo quando l’interpretazione di regole comunitarie che potrebbero ostare all’applicazione di norme interne non sia univoca, altrimenti provvede direttamente all’eventuale disapplicazione. Se poi sia stata corretta la valutazione dei giudici che in questi giorni negano le convalide dei trattenimenti lo deciderà la Cassazione, se il Ministero competente, oltre ad annunciarle, proporrà le impugnazioni di legge.
Ma, al cospetto dell’argomentazione che “una legge nazionale va disapplicata se in evidente contrasto con le norme UE, ma una legge nazionale in quanto firmata dal capo dello Stato non può essere in evidente contrasto con le norme UE”, torna irresistibile alla mente (a ciascuno i propri flash!) il “Comma 22” di un libro e film di molti anni fa: “chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”. Potenza dei paralogismi.
(La foto di copertina è un fotogramma del film "Comma 22" di Mike Nichols, 1970).