Cassazione: è crollato il “glass ceiling” (ma non solo)
di Stefano G. Guizzi
La nomina di Margherita Cassano a Primo Presidente della Corte di Cassazione segna – anche sul piano dell’immaginario collettivo – un momento che, senza enfasi, può definirsi storico.
A sessanta anni esatti dalla legge n. 66, del 9 febbraio 1963, che – sulla spinta della sentenza n. 33 del 1960, della Corte costituzionale – aprì alle donne l’accesso alla carriera magistratuale, la designazione del Presidente Cassano rappresenta, idealmente, la chiusura di un cerchio. Essa si pone, infatti, come il simbolico epilogo di un lungo processo intergenerazionale, che ha visto – sull’esempio delle otto “pioniere”, prime vincitrici del corso in magistratura bandito il 3 maggio 1963 – una sempre più ampia (e ormai prevalente) presenza femminile all’interno dell’ordine giudiziario. Non sono mancate, specie nel recente passato, nomine di donne ai vertici di alcuni distretti di Corte di Appello (chi scrive vive a Genova e ricorda ancora, con piacere, la duplice, contestuale, designazione, pochi anni orsono, di due valorose colleghe alla guida della Corte ligure e della Procura Generale presso di essa), ma, finora, il più atto scranno di Piazza Cavour era sempre stato appannaggio di uomini. Quasi a volere confermare l’assunto – espresso, in passato, persino da chi avrebbe, poi, rivestito il ruolo di Capo dello Stato (a dimostrazione di quanto pervicace, oltre che radicato persino ai più alti livelli istituzionali, sia stato il pregiudizio sessista) – secondo cui, allorché si giunga in Cassazione, e dunque “alla rarefazione del tecnicismo, è da ritenere che solo gli uomini possano mantenere quell’equilibrio di preparazione che più corrisponde, per tradizione, a queste funzioni”.
Affermazioni che – a considerarle oggi, in una società che ha fatto dell’apporto femminile, in ogni ambito lavorativo, un dato irreversibile – destano stupore, più ancora che indurre al sorriso per il loro anacronismo. Eppure, esse non furono affatto isolate, nel dibattito svoltosi in Assemblea Costituente, circa l’assetto da conferire – nel nuovo ordinamento costituzionale – al potere giudiziario. “La donna deve rimanere la regina della casa, più si allontana dalla famiglia più questa si sgretola. Con tutto il rispetto per la capacità intellettiva della donna, ho l’impressione che essa non sia indicata per la difficile arte del giudicare. Questa richiede grande equilibrio e alle volte l’equilibrio difetta per ragioni anche fisiologiche”. Ed ancora, di rincalzo: “Signorina, lei vuole ammettere le donne alla magistratura! Ma sa che in certi giorni del mese le donne non ragionano?”. Tanto da suscitare la tagliente risposta, rimasta celeberrima, dell’On. Teresa Mattei: “No, ma so che molti uomini come lei non ragionano tutti i giorni del mese”.
Ci sono voluti, dunque, tre quarti di secolo – e il superamento nella società italiana di un maschilismo, dapprima ostentato e poi, insidiosamente, occultato – perché anche in Cassazione potesse, finalmente, infrangersi “il soffitto di cristallo”.
Se, tuttavia, è innegabile il valore di “segno dei tempi” che anche la nomina di Margherita Cassano presenta (specie in una congiuntura storica che ha visto, nell’arco di pochi anni, delle donne assurgere al ruolo di Presidente della Corte costituzionale, alla seconda carica dello Stato e, infine, alla guida del Governo del Paese), sarebbe assai riduttivo interpretare tale evento solo come l’esito di un pluriennale processo di riequilibrio di genere, all’interno dell’ordine giudiziario. “Permettere alle donne di arrivare agli alti gradi della Magistratura non significa portarcele per forza”, era la saggia profezia di una tra le nostre madri Costituenti, l’On. Angela Gotelli, che soggiungeva come gli uomini “avranno sempre la possibilità di lasciarle indietro, qualora abbiano possibilità e meriti maggiori”.
Ma questo non è stato, appunto, il caso del nuovo Primo Presidente. La sua designazione è, infatti, la conclusione di percorso professionale, sotto più profili, esemplare. È quanto hanno inteso sottolineare, del resto, in occasione del “plenum” del CSM che ha deliberato la nomina del nuovo vertice della Suprema Corte, sia il Procuratore Generale presso di essa, sia, soprattutto, il Capo della Stato. La “eccezionalità” della figura di magistrato, incarnata da Margherita Cassano, è stata, infatti, rimarcata – a ragione – dal Presidente Mattarella.
Fiorentina di nascita, ma di origine lucana, figlia d’arte (il padre Pietro fu anch’egli magistrato, impegnato in delicatissimi processi a carico di esponenti di spicco delle “brigate rosse”), il nuovo Presidente della Cassazione ha compiuto un iter di carriera che testimonia – nell’alternanza, proficua, di funzioni requirenti e giudicanti – l’efficacia di un modello ordinamentale qual è quello vigente, caratterizzato dalla comune appartenenza alla “cultura della giurisdizione” di giudici e pubblici ministeri. Non è, dunque, un caso se in alcune interviste, rese in occasione della sua recentissima nomina, Margherita Cassano abbia inteso ribadire la sua contrarietà ad ogni proposta di riforma dell’ordinamento giudiziario basata sulla separazione delle carriere.
È impossibile, in queste poche righe, riassumere lo spessore delle esperienze professionali maturate da Margherita Cassano, a partire dal 1980, allorché entrò a far parte – venticinquenne – nell’ordine giudiziario. Sostituto Procuratore della Repubblica – per diciassette anni – presso il Tribunale di Firenze, inizialmente componente del gruppo specializzato nelle indagini in materia di stupefacenti e di criminalità organizzata (ma designata dal Capo del suo Ufficio anche a seguire tutto il settore riguardante la partecipazione del pubblico ministero agli affari civili), è poi stata assegnata, per sette anni, alla Direzione Distrettuale Antimafia istituita presso la Procura fiorentina. Componente, dal 1998 a 2002, del Consiglio Superiore della Magistratura, oltre a presiedere le commissioni consiliari sesta e nona, quest’ultima competente in materia di formazione professionale (esperienza condotta in ideale prosecuzione con quella maturata, pochi anni prima, quale componente del comitato scientifico del medesimo CSM), è stata membro delle commissioni terza e quarta. Ma è, soprattutto, la sua partecipazione – quale componente titolare – della Sezione Disciplinare ciò che piace, a chi qui scrive, ricordare. Perché Margherita Cassano fu l’estensore delle tre ordinanze del 18 febbraio 2000, con cui il giudice disciplinare diede origine all’incidente di costituzionalità che portò, poi, la Corte delle leggi (sentenza n. 497 del 2000) a dichiarare l’illegittimità costituzionale del divieto, per il magistrato incolpato, di farsi assistere da un avvocato del libero foro. Pronuncia che, oltre ad adeguare all’art. 24 della Carta fondamentale lo svolgimento di quel procedimento (e, sia consentito dire, a “secolarizzarne” la portata), ebbe ad enunciare il principio che ne impone lo svolgimento nel rispetto del canone della “massima espansione delle garanzie difensive” dell’incolpato.
Esaurito il mandato presso l’organo di governo autonomo della magistratura, Margherita Cassano è giunta in Cassazione, ove ha operato, dapprima, come magistrato applicato presso la stessa e poi come consigliere, divenendo, nel 2010, anche componente della Sezioni Unite penali. Degna di nota anche la sua esperienza come vicedirettore del Centro Elettronico di Documentazione della Suprema Corte. Nominata Presidente di Sezione della Cassazione, ha, infine, assunto l’incarico – dopo una parentesi alla guida della Corte di Appello di Firenze – di Presidente Aggiunto della Suprema Corte.
Altrettanto arduo, nel breve spazio di questo scritto, è illustrare l’importanza del suo contributo alla giurisprudenza di legittimata. Ma valga, tra gli innumerevoli provvedimenti di cui ella è stata l’estensore, la sentenza della Corte di cassazione n. 34244 del 2010, che ha rappresentato la puntuale concretizzazione dei principi enunciati – su un piano generale – dalla Corte costituzionale (sentenze n. 390 del 2007 e nn. 113 e 114 del 2010) nella delicata materia delle intercettazioni telefoniche coinvolgenti parlamentari. Una pronuncia che, al pari di molte altri redatte dal Presidente Cassano, testimonia, oltre che della sua raffinata cultura giuridica, della profonda adesione a quell’interpretazione costituzionalmente orientata del diritto penale (e sanzionatorio in genere), elaborata dalla migliore dottrina, successivamente all’avvento della Costituzione repubblicana.
Una vita, dunque, quella di Margherita Cassano dedicata – con costante passione e abnegazione – allo studio del diritto e all’esercizio dell’attività giudiziaria.
Sarebbe, tuttavia, errato immaginare il nuovo Presidente della Cassazione come un magistrato sordo alle istanze della società civile, rinchiuso in quella che – un tempo – si definiva come la “torre eburnea”.
Poco più di venticinque anni orsono, quando chi oggi scrive faceva il proprio ingresso nell’ordine giudiziario, Margherita Cassano – e con lei un altro magistrato di rilievo, Paolo Borgna – davano alle stampe un libro, significativamente intitolato “Il giudice e il principe”. Una riflessione, frutto anche di un’accurata analisi comparatistica, dei rapporti tra magistratura e potere politico. Perché il Presidente Cassano, da sempre, si interroga su quale debba essere la fonte di legittimazione del potere giudiziario e, soprattutto, la sua corretta interazione con le altre Istituzioni della Repubblica, specie quelle titolari della funzione di indirizzo politico. Come ella, infatti, ha inteso, nuovamente, sottolineare, pochi anni fa – in un convegno nel quale rievocava le ragioni del suo impegno nell’associazionismo giudiziario – i “valori di autonomia ed indipendenza della Magistratura non costituiscono una prerogativa di casta, bensì i presupposti per assicurare l’imparziale applicazione della legge e, quindi, l’uguaglianza dei cittadini dinanzi ad essa”. “L’azione giudiziaria” – ella proseguiva – “è presidio ineludibile dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali e oggetto delle pronunzie della Corte Costituzionale e degli Organi di giustizia sovranazionale che costituiscono un vero e proprio diritto vivente”. Per infine concludere che il metodo giuridico, del quale il giudice è chiamato ad avvalersi, “deve essere esplicitato e controllato criticamente” dallo stesso, e ciò “soprattutto nelle materie in cui maggiore è la disomogeneità culturale all'interno della società ed in cui dunque più forte deve essere la consapevolezza del giudice circa i limiti che incontra, dovendo rimettere alle sedi in senso lato politiche le scelte che, per loro natura, esulano dal campo della giurisdizione”.
Un “modus operandi” al quale Margherita Cassano si è sempre attenuta e che costituirà – chi scrive ne è certo – il tratto distintivo del suo operato alla guida della Corte.