In memoria di Giuseppe Tesauro[1]
di Luigi Salvato
1. Sono grato agli organizzatori del convegno per la possibilità di partecipare al ricordo del prof. Giuseppe Tesauro, a pochi giorni dall’anniversario della sua scomparsa, e, soprattutto – nella certezza che ci starà guardando dall’alto, con il suo sorriso bonario e schietto che traspare dall’immagine riportata nella bella locandina – di ringraziarlo pubblicamente (in privato l’ho fatto molte volte).
Devo ringraziarlo per avermi permesso di collaborare con lui per nove anni, allorché ha svolto le funzioni di giudice e presidente della Corte costituzionale, e quindi, di vivere un’esperienza entusiasmante sotto il profilo professionale. Ma soprattutto, per avermi gratificato di un’esperienza umana bellissima; al rapporto professionale si era infatti affiancato negli anni un rapporto di amicizia.
Ho un solo rammarico: averlo conosciuto troppo tardi ed avere troppo presto perduto un amico.
2. Grato per l’invito, devo confessarvi la difficoltà nel partecipare al ricordo: per ragioni emotive e per almeno tre ulteriori motivi.
Il primo è che i giudizi davanti alla Corte costituzionale sono (e restano) connotati da una collegialità forte, anche nella fase della stesura della motivazione dei provvedimenti. Principi ed argomenti vanno dunque sempre ascritti alla Corte nella sua collegialità. Una personalizzazione è possibile nell’unico caso ammesso di dissenting opinion, traducentesi nel cambio del relatore.
Il secondo è determinato dal segreto che investe anche l’attività ancillare e prodromica alla decisione svolta dagli assistenti di studio. In particolare, il preliminare confronto in vista della preparazione della c.d. scheda del giudizio, ‘guidata’ dal giudice, e della riunione degli assistenti; le interlocuzioni preparatorie tra giudici, talora svolte alla presenza degli assistenti. Il racconto di tale attività preparatoria riveste interesse per comprendere dinamiche e ragioni della decisione, ma di essa non è possibile parlare.
Il terzo è che alla figura di Giuseppe Tesauro quale giudice costituzionale ho dedicato alcune considerazioni negli scritti in suo onore, che è superfluo ripetere oggi; comunque, la riflessione, per i profili tecnici, è opportuno che resti riservata agli altri interventori, ben più titolati di me.
Da tali difficoltà mi solleva l’invito degli organizzatori a fare del convegno «una giornata di ricordo», sottolineando che «sarebbe bello, perciò, […] condividerne uno proprio con il prof. Tesauro».
3. Mi limito dunque ad un breve racconto della mia esperienza professionale ed umana con Giuseppe Tesauro.
Non lo conoscevo personalmente; quindi, fui sorpreso dalla sua telefonata, la sera del 4 novembre 2005, di una semplicità disarmante, tipica della caratura umana della persona. La ricordo come fosse ora. Disse: «buona sera, sono Giuseppe Tesauro. Forse avrà appreso che sono stato nominato giudice costituzionale. Mi farebbe piacere scambiare due chiacchiere sull’attività degli assistenti di studio».
Ovviamente, mi dissi onorato. Ci incontrammo nell’appartamento in Roma dove all’epoca abitava. Ero emozionato; non potevo non esserlo di fronte ad un Maestro. Mi rivolse alcune domande sulle mie esperienze professionali e percepii immediatamente la sua capacità di ascoltare e di valutare l’interlocutore al di là delle parole. Dal suo canto, si soffermò, con semplicità sbalorditiva, su tre argomenti, forse per cogliere le mie reazioni:
– sulle problematiche del rapporto tra ordinamento nazionale e sovranazionale, ricordando con sintetici tratti, come è solo dei grandi, l’annosa vicenda dipanatasi da Costa/Enel a Granital;
– sulla vulgata comune, ma errata, dell’attenzione dell’Europa esclusivamente all’homo economicus;
– sulla perdurante centralità della Costituzione anche all’interno di un ordinamento sovranazionale.
Mi parlò poi della sua famiglia e della fondamentale importanza che aveva per lui, dandomi chiara l’idea di chi dà il giusto peso ai valori della vita.
In seguito, ancora più ho apprezzato Giuseppe Tesauro come uomo non chiuso nella torre eburnea delle grandi questioni giuridiche e degli altissimi incarichi istituzionali che da decenni rivestiva. Egli aveva lo sguardo aperto su tutti gli aspetti della vita, sui quali amava confrontarsi: dallo sport (in particolare, il calcio, e condividevamo le molte sofferenze e le rare gioie che ci dava la squadra del Napoli), alla musica (era anche un pianista; nel 2010 riprese le lezioni di piano e mi parlava con ammirazione di Roberto Mastroianni, perché fine giurista, ma con un pizzico di invidia per le sue doti di valente musicista), alla letteratura, al cinema. Con semplicità, a volte, mi telefonava e diceva: vengo a prendere il caffè, così parliamo un po’. E veniva a casa mia, che abito in provincia di Napoli, da solo con la sua auto (appunto, guidata da lui), come un amico qualunque.
La sua semplicità, il profondo, vero e non di facciata, rispetto per la dignità dell’uomo, mi furono peraltro chiari il primo giorno in cui ci recammo insieme alla Corte.
Nell’avvicinarci all’ascensore, ci precedeva una signora, impiegata della Corte, che, non appena lo vide, arretrò. Giuseppe Tesauro accennò ad un inchino e le disse: “prego signora, non sia mai che io entri prima di lei”. La signora, visibilmente emozionata, ringraziò ed entrò nell’ascensore prima di lui.
Può sembrare un episodio banale, ma non lo è, ricordando che talora accadeva di non ottenere risposta al saluto d’uso nell’incrociarsi, forse perché ritenuto da riservare ai pari. Giuseppe Tesauro era invece cortese con tutti, sempre attento e sensibile alle esigenze di quanti lavoravano con lui (quale che fosse il loro compito, il loro ‘grado’) e con una buona parola per coloro che avevano un problema personale.
Questo era Giuseppe Tesauro nella quotidianità lavorativa.
La sua grande umanità era reale, non di facciata; erano in lui radicati i più pregnanti valori costituzionali. Tra questi, quello della dignità dell’uomo, alla base della concezione, da lui praticata, dell’essere il diritto non un luogo di astratte dissertazioni e di formali costruzioni logiche, bensì un mezzo per il raggiungimento di fini che sono quelli della protezione degli interessi individuali e collettivi.
Questa concezione, vivificata dalla sua umanità e semplicità, e la sua matrice di giurista comunitario gli hanno permesso di contribuire all’apertura al diritto europeo quale strumento di garanzia della dimensione costituzionale della tutela dei diritti:
– attraverso l’impiego del criterio dello «effetto utile» (efficacemente evidenziato nella sentenza n. 199 del 2012 in tema di referendum abrogativo);
– mediante il rafforzamento del dialogo con la Corte di giustizia grazie al rinvio pregiudiziale (non è senza significato che l’apertura si è avuta mentre egli era giudice costituzionale) ed alla “declinazione” comunitaria di concetti in precedenza oggetto di equivoci. Il riferimento è, tra l’altro, a quelli in tema di tutela della concorrenza – con riguardo all’impossibilità di ricondurre a questa gli aiuti di stato (sentenza n. 63 del 2008) – ed all’esigenza di rifuggire da una lettura esasperata della libertà di iniziativa economica, alimentata dalla valorizzazione della centralità della persona anche nel diritto dell’Unione, da una completa e puntuale ricostruzione della giurisprudenza eurounitaria e dalla formula dell’art. 41 Cost., per affermarne la legittimità della compressione, quando costituisca l’unica misura in grado di garantire al giusto la tutela degli interessi coinvolti dalla stessa (sentenza n. 270 del 2010);
– grazie al principio di proporzionalità ed al relativo test quale criterio di controllo della «coerenza e congruità rispetto al fine della norma» (scandita dalla sentenza n. 227 del 2010 in tema di arresto europeo).
Significativa è la modalità con cui maturò la proposta poi accolta e trasfusa in una delle sentenze ‘gemelle’, la cui narrazione è ovviamente riservata, per gli aspetti tecnici, ad altri, più autorevoli, interventori. Eppure, non posso non ricordare che nel mese di luglio 2007, quando da tanto discutevamo del criterio di composizione del contrasto della norma interna con la CEDU, nel corso di una gita in barca nel golfo di Napoli, insieme alle altre due sue assistenti, ebbi la fortuna di ascoltare una lectio magistralis sulla valenza costituzionale ed internazionale del rapporto tra norme interne ed esterne, sul significato e sulle differenze degli artt. 10, 11 e 117, comma 1, Cost. Il risultato cui la Corte giunse con il suo contributo è di avere definito un sistema che magistralmente: ha permesso di adeguare il nostro ordinamento a quello della CEDU; ha valorizzato al giusto compiti e ruolo del giudice comune; ha mantenuto ferma l’ineludibile distinzione tra ordinamento dell’UE e della CEDU; ha preservato il significato più profondo della nostra Costituzione quale Carta fondamentale dei diritti in vista della realizzazione del livello più alto di tutela, all’interno di un sistema in cui non può esservi nessun “diritto tiranno”.
La chiarezza della sua ricostruzione è stata ulteriormente scandita dalla precisa identificazione operata dalla Corte, anche in sentenze di cui è stato relatore:
– dell’art. 11 Cost. quale specifico parametro in cui trova «sicuro fondamento» l’ingresso nel nostro ordinamento della norma UE, con tutte le note conseguenze che fondano la differenza rispetto alla norma CEDU che entra invece per il tramite dell’art. 117 Cost. (sentenza n. 227 del 2010);
– della rilevanza dei «controlimiti», del cui rispetto non può direttamente occuparsi il giudice comune (ordinanza n. 454 del 2006, che pose un argine al tentativo di debordamento realizzato da una sentenza del Consiglio di Stato del 2005), attivati (dalla sentenza n. 238 del 2014) come soltanto un grande internazionalista ed europeista poteva fare, confermando che in materia di diritti fondamentali la Costituzione “resta al centro”. Palesemente inesistente è infatti l’ipotizzata contraddittorietà derivante dalla presunta, erronea, «prospettiva monistica di un ordinamento sovranazionale (o globale)», come è inesatta l’asserita operatività degli stessi soltanto rispetto alle norme internazionali successive all'entrata in vigore della Costituzione, sostenuta dimenticando l’insegnamento della prima sentenza della Corte (n. 1 del 1956).
Tanto, in armonia con la sua concezione, posta in luce anche nella premessa del gennaio 2020 al suo Manuale, che l’Unione europea costituisce «una vera e propria “Comunità di diritto”, in cui è centrale il rispetto della Rule of Law», riferita anche ai «principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale ed ai diritti inalienabili della persona», dimostrando di applicare al meglio l’imperativo “Uniti nella diversità”, motto originario dell’Unione europea.
Il rispetto della Rule of Law egli lo dimostrava con l’attenzione dimostrata per evitare sconfinamenti indebiti e pericolosi per la democrazia e per la tenuta dello Stato costituzionale e di diritto (tra l’altro, valorizzando il test di proporzionalità quale rimedio alle criticità del principio di ragionevolezza). Per quanto ho compreso, non rientrava tra coloro che – per utilizzare le parole del giudice costituzionale Nicolò Zanon, contenute in un intervento ad un seminario dello scorso anno – ritengono la Costituzione un living document che sta al passo coi tempi, cui far dire oggi quel che vorrebbe si dicesse, anziché ciò che dice. E neppure tra quanti, sulla scorta di questa concezione, sono inclini a trasformare in diritti i desideri, come non è accaduto, ad esempio, neppure nel caso della fecondazione eterologa (sentenza n. 162 del 2014), in cui magistralmente è stata data tutela a precisi diritti fondamentali, senza lederne nessun altro, come non è stato capito soltanto da chi non ha compreso la precisa attenzione avuta per il diritto alla salute, esattamente considerato nei suoi molteplici profili.
Giuseppe Tesauro non era uno dei tanti eruditi e non aveva bisogno di ricorrere a citazioni erudite, non di rado soltanto evanescenti ed espressive dell’incapacità di cogliere la sostanza delle questioni e degli interessi meritevoli di tutela.
Dire che ha lasciato un vuoto incolmabile non è una formula di rito; per la scienza giuridica lo è soprattutto in anni tempestosi quali stiamo vivendo, che bene avrebbero potuto giovarsi del suo apporto.
A me manca anzitutto un amico.
L’unica consolazione, soprattutto per i suoi cari figli, colpiti in questi giorni dall’ulteriore immenso dolore per la scomparsa dell’amata mamma, Paola, è che nella caducità che segna il passaggio terreno, la cui unica traccia è per i più niente altro che un’orma destinata ad essere cancellata dal primo alito di vento, egli ha lasciato un’impronta che rimarrà ben più a lungo nella storia del nostro Paese e dell’Europa.
[1] Lo scritto riproduce l’intervento al “Convegno in memoria del Prof. Giuseppe Tesauro”, Napoli 1 e 2 luglio 2022, organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli e dalla Associazione Italiana Studiosi di Diritto dell’Unione Europea.